Il Guerriero
Gli ultimi riflessi del sole morenete si stavano inseguendo sul metallo della sua armatura.
Il forte vento di quel freddo autunno agitava il suo lungo mantello, inquieto come
il suo animo. Immobile sulla lieve altura, egli stava contemplando lo
straordinario spettacolo di fronte ai suoi occhi scuri: la città
di Altaria, la capitale. Una macchia argentata nello sconfinato verde
della pianura, su cui incombevano remote le vette della catena
montuosa di Kaartak.
Il guerriero iniziò
ad avvicinarsi alla città. Il volto carico di ombre, non notò
i magnifici picchi dorati che svettavano dal centro di Altaria e che
le erano valse, insieme alle sue immacolate e candide mura,
l'appellativo “la Bella”; non colse l'infuocato bagliore che la
illuminò, quasi l'ultimo saluto del Sole, prima di lasciare il
posto alla notte; né colse il contrastante squallore delle
sudicie dimore degli schiavi, ancorate subito fuori dalle possenti
mura alte più di dieci uomini.
Il suo sguardo era
fissato non in quel presente ma nel recente passato, perso nel
ricordo.
“Ehi cane rabbioso!
Levati di torno!”
In silenzio aveva
guardato il soldato che gli stava di fronte, quel suo compagno di
truppa.
“Ci senti o sei un po'
tocco?” aveva rincarato quello canzonandolo e toccandosi la tempia
in direzione degli altri.
“Ho sentito benissimo”,
aveva sibilato rabbiosamente in risposta.
“Il signorino è
nervoso eh? Vediamo se si calma saltando il pranzo.”
Senza altro aggiungere,
Buck si era seduto e aveva iniziato a mangiare la sua razione di
cibo, provocando l'ilarità dei commilitoni. Ma le loro risa si
spensero quando posarono lo sguardo su di lui. I suoi occhi
spalancati sembrarono ingrandirsi e guizzare fuori dal presente,
l'iride nera perdersi nel mare bianco delle pupille. Avvicinò
la mano al piatto per riprenderlo, ma Buck lo intercettò e gli
strinse il braccio.
“Ti ho detto che questo
lo mangio io” e così dicendo lo spinse via. Egli si
ritrasse. Il calore del tocco gli ardeva l'arto come fuoco vivo. Si
avvicinò di nuovo al nemico.
“Ma allora sei davvero
idiota, ti ho detto che..”, ma la sua frase si spezzò quando
il pugno lo colpì in pieno viso. La sua voce tagliò il
profondo silenzio creatosi.
“Non mi toccare mai
più”
Buck si rialzò
rabbioso.
“Fuori!” gli gridò.
“Fuori!”
E così uscirono.
Prima che qualcuno potesse placarli, farli ragionare, le loro spade
s'infransero l'una sull'altra con clangore e stridii di metallo
assetato di sangue. Combattevano entrambi per uccidere. Troppo tardi
arrivò Piotr, il comandante dello squadrone, per fermarli. Ciò
che riuscì a vedere fu un enorme spadone infrangere la lama
avversaria e poi calare celere a recidere una testa. Buck non era
più. Grida e insulti accompagnarono la corsa degli altri
soldati sul luogo dello scontro. Il sangue del morto aveva quasi
coperto il suo vincitore, che lo leccò via dalle labbra.
“Assassino! Bastardo!”
lo apostrofarono. Rimase là immobile, senza che nessuno osasse
però avvicinarglisi. Lo fece Piotr, che con voce tonante
riportò la calma e comandò a tutti di lasciarli là,
soli.
“Perchè lo hai
fatto?” gli chiese.
“Ha importanza
saperlo?” sussurrò quasi a se stesso. “Sono pronto a
morire per ripagare”
Il comnandate rimase ad
osservarlo per lunghi minuti, mentre nubi cariche di pioggia
oscuravano i suoi pensieri.
“Vattene” disse poi.
“Non intendo ucciderti, ma i tuoi giorni qui sono finiti”
Annuendo mentre ripuliva
lo spadone, il guerriero iniziò ad incamminarsi.
“Non prendi le tue
cose?” Piotr si sorprese a chiedergli.
“Non ho niente che mi
appartenga”
Gli occhi dell'esperto
comandante indugiarono sul cadavere del misero Buck. Si chinò
a sfilargli dalla cintura un piccolo sacchetto di pelle, che tintinnò
al suo tocco.
“Ehi”, chiamò
e quando l'altro si girò gli lanciò con precisione in
mano il sacchetto. “Queste ti appartengono”
Un fugace sorriso distese
per un attimo il volto del guerriero, che però subito si voltò
e riprese il suo cammino.
Piotr lo guardò
andarsene. Poi tornò all'accampamento.
“Qual'è il tuo
nome forestiero?”
Sentì una voce che
lo interrogava. Era la guardia all'ingresso della città.
“Sarevok” rispose in
un sussurro.