Hopes
and Memories
Capitolo
1
E un giorno Sirius Black salì sul mio
treno. Non sono ancora in grado di dire se fu una benedizione o una
maledizione. Eppure quando incontrai quei suoi occhi neri e profondi
come il carbone, avvertii che niente sarebbe stato più come
prima. E posso ben affermare che ciò cui voltai le spalle fu
una vita che qualunque bambina, ragazzina o donna avrebbe voluto per
sé. Non potevo sapere a cosa andavo incontro. Non potevo
sapere che quello era solo l’inizio di una lunga, sofferente
agonia. Io, Evee Longbottom, nacqui la notte del
21 Dicembre di un rigido inverno del 1961 verso le tre. Mi fu assegnato
quel nome perché così era stato stabilito, eppure
quando lo sentii mio per la prima volta mi piacque davvero tanto. Fu un
parto piuttosto difficile perché mia madre, Augusta,
l’anno precedente aveva già dato alla luce un
figlio: Frank. Mio padre William e mia madre gli avevano imposto il
nome che era appartenuto a mio nonno. Frank era il loro vanto e la loro
gioia. Non seppi mai quanto i miei genitori mi avessero desiderato.
Forse troppo poco o forse non mi avevano desiderata affatto. Loro non
dissero mai niente a riguardo e per quanto si sforzassero di amarmi
quanto amavano Frank non ci riuscirono mai.
Crebbi tra balocchi troppo costosi, balie permissive e tutto
ciò che desideravo mi veniva dato subito, o quasi. Crebbi in
un mondo tutto mio e troppe volte fui privata di quel calore che solo
una mamma può trasmettere quando abbraccia la sua bimba e la
stringe forte contro il petto, quel calore che solo un papà
può dare quando racconta una favola della buonanotte e
rassicura la sua piccola stellina che la notte e il buio non potranno
farle alcun male perché i suoi occhi vegliano su di lei
sempre. Ho detto che la maggior parte della mia infanzia si
sviluppò in un mondo che andava ben oltre a quello in cui
ero costretta a vivere. Inventai un mio linguaggio e giochi fuori dal
comune. Credevo di poter parlare con il cielo, con la terra, con le
piante e con gli animali. Di questi ultimi quelli che più
riuscivo a comprendere con il mio linguaggio furono i serpenti, anche
se non mi piacquero mai. Più tardi avrei scoperto che questa
mia dote da molti veniva ritenuta un’arte oscura. I miei
genitori (impegnati a escludermi dalle loro vite) non se ne
preoccuparono mai. Ero una bambina, dicevano, ed era normale alla mia
età comportarmi in quei modi. Per questi e per altri motivi
diventai una piccola selvaggia e una bambina del tutto autonoma e tutte
le mie balie rinunciavano al posto (ben pagato, poi) nel giro di poco
tempo. Tutte loro affermavano (ma, sono convinta, solo per non
screditare il buon nome della famiglia Longbottom e non inimicarsi mio
padre) che ero una bambina splendida, educata e posata. Eppure sussurri
pieni di timore erano giunti alle orecchie della comunità
magica: troppe volte, infatti, avevo dimostrato segni di squilibrio
mentale e assumevo un’aria sinistra. E ciò non era
normale, neanche tra i maghi. Complice delle mie stranezze, della
creazione del mio mondo e del mio linguaggio fu mio fratello Frank, una
delle poche persone che mi abbia veramente amato. Essendo fratello e
sorella per tutti era scontato che fossimo legati da uno stretto
vincolo di amicizia, amore, complicità e tutto
ciò che di più bello esista al mondo. Eppure il
nostro rapporto andava ben oltre a questo. Solo io riuscivo a
condividere ogni suo respiro, ogni empito di dolore o di gioia come
fosse mio. Ero affine a mio fratello come possono esserlo la corda e
l’arco. Solo con lui ero Evee la dolce, Evee la felice, Evee
l’amata. E la mia infanzia è costellata di bei
ricordi solo e soltanto con lui.
All’età di sei anni, poi, fummo costretti a
crescere. Entrambi fummo spediti a studiare in due collegi
babbani differenti e che avremmo dovuto frequentare fino
al nostro undicesimo compleanno. Dopo saremmo entrati a far parte
automaticamente di Hogwarts. Furono, quelli, gli anni più
difficili della mia vita. Non ero diventata una spocchiosa bambina
viziata, anzi, ma i miei modi di fare non piacquero mai né
agli insegnanti (anche se affermavano tutti che ero una bambina
straordinariamente brillante e dotata) né alle mie compagne.
Ero circondata da bambine onnipresenti che chiacchieravano senza posa,
che irrompevano nei miei pensieri e che rendevano il mio soggiorno
più lento e difficile; innanzitutto perché
inducevano a chiedermi di continuo cosa facessi lì, in
secondo luogo perché dovevo comunque prestare attenzione al
mio rendimento scolastico. E le occhiate, poi. Mi arrivavano di
sottecchi, colme di paura e risentimento. E tutto questo
perché avevo cominciato a manifestare chiari sintomi di
poteri magici e spesso e volentieri accaddero strani e bizzarri
avvenimenti tutti paradossalmente attribuiti a me. Le mie compagne
potevano essere delle papere, ma certo non erano così
stupide o così cieche da non capire, da non vedere e da non
sentire che io non appartenevo al loro mondo e che ero diversa da tutte
loro. L’unica che trovò interessanti e per niente
bizzarri i miei modi di fare fu Mary-Jane Lewis. Fu lei che divenne mia
vera amica e confidente e rese più piacevole e sopportabile
il mio soggiorno in quell’inferno. Passavamo le giornate a
studiare, questo era vero, ma erano sempre all’insegna del
divertimento; lei era sempre sorridente e gentile e più
volte evitò che versassi lacrime amare. Ricordo tenero che
serbo di Mary-Jane nel mio cuore è di una ragazzina
anch’essa sugli undici anni che mi accompagna fino al portone
del collegio (dove mi aspettano mio padre, mia madre e Frank) e mi fa
dono di un carillon e del suo indirizzo di casa. Nutriva grandi
speranze riguardo a una futura estate insieme. Ci lasciammo con le
lacrime agli occhi e con la promessa che niente e nessuno, mai e poi
mai, ci avrebbe diviso. Non avevo ancora fatto i
conti con le leggi di segretezza della magia e ben presto scoprii che
Mary-Jane era stata sottoposta a un incantesimo di memoria. Per lei,
quindi, diventai meno che niente. E lei saltò via dal mio
treno per galoppare verso altri orizzonti. Era il mio undicesimo
compleanno e fu in quell’occasione che il mio cuore conobbe
una prima e vera sofferenza. Fu Frank ovviamente a starmi vicino e non
nutrii grandi speranze che mia madre o mio padre si dessero pena per
ciò che stavo vivendo. Al contrario essi decisero che il
miglior modo, secondo loro, per sdebitarsi e scusarsi nei miei
confronti fosse organizzare una festa in pompa magna per il mio
undicesimo compleanno. Ovviamente conoscevano ben poco la loro
secondogenita e quello fu un pretesto per incominciare a odiarli. Fu
con stupore e rabbia che, al ritorno al maniero Longbottom da una mia
passeggiata con Frank, festeggiai il mio compleanno attorniata da
persone viscide, cattive, e da futuri assassini e Mangiamorte. Ebbi
modo di conoscere la ragazzina che avrebbe condannato la vita di mio
fratello e quella di sua moglie Alice: Bellatrix Black. Era
accompagnata da sua sorella Narcissa che poi sarebbe diventata la
moglie di un mio aguzzino a Hogwarts: Lucius Malfoy. Anche
quest’ultimo era presente al mio compleanno e fu proprio in
quell’occasione che ci fu un primo contatto fra noi e lessi
nei suoi occhi il primo vero sguardo di malizia. Più in
là mi avrebbe sussurrato a un orecchio, mentre mi teneva per
i polsi ed io ero spaventata a morte, che aveva visto in me qualcosa di
oscuro, che ero bella come una pallida e fredda mattina di primavera,
che avrebbe voluto passare tutta la sua vita con le dita tra i miei
boccoli corvini e che bramava da tempo di assaggiare le mie labbra
rosse come il sangue. Tuttavia conobbi altre persone che poi sarebbero
diventate alcune tra i miei migliori amici a Hogwarts e che lo
sarebbero stati per sempre: Alice Pevensie, Remus Lupin e infine James
Potter. Erano tutti e tre figli di noti maghi e streghe che mio padre
conosceva bene giacché capo dell’ufficio degli
Auror e inoltre gli ultimi due erano già amici di Frank
poiché tutti e tre avevano già cominciato il loro
primo anno a Hogwarts. Non riuscirono a venire i coniugi Orion e
Walburga Black con i loro pargoli e non mi rattristai troppo alla
notizia. Meno avevo a che fare con quella famiglia e meglio sarebbe
stato per me. Non sapevo, invece, quanto avrei dovuto condividere con
loro. Ben presto, troppo presto, le vacanze
natalizie finirono e Frank fu costretto a tornare a Hogwarts e a
lasciarmi sola in balia dei miei genitori. Fui costretta a studiare
grossi volumi riguardanti la magia e fui l’unica del mio anno
ad arrivare a Hogwarts con una preparazione così alta. Fu un
periodo buio e freddo, con miei scambiavo poche parole e non uscivo
quasi mai di casa. Fu solo quando
l’estate riportò Frank da me che quel periodo
brutto finì e passammo un’estate felice e
spensierata. All’inizio dell’ultimo mese di vacanze
mia madre e mio padre ci accompagnarono a Diagon Alley, dove avremmo
comprato tutto l’occorrente per la scuola. Fu in questo posto
meraviglioso che comprai la mia fidata bacchetta magica e feci amicizia
con Nyneve (una dolcissima civetta delle nevi). Ovviamente feci tutto
da me, non chiesi aiuto ai miei genitori né loro si dettero
la pena di offrirsi volontari per un qualche servizio. Avevano occhi
solo per Frank. Tornammo a casa verso sera e quando fui in camera mia
incominciai a segnare i giorni che separavano il mio arrivo a Hogwarts.
Il primo Settembre raggiunsi il binario 9 e ¾ piena di
emozione, di gioia e di sogni. Quando rividi Alice, sorridente quanto
me in mezzo al fumo e alla folla, le corsi incontro e
l’abbracciai stretta. Sapevo già che lei sarebbe
diventata la mia unica e fidata migliore amica oltre Lily Evans, che
ebbi modo di conoscere più tardi. Salutai i miei genitori
con un freddo bacio sulla guancia e poi salii sulla locomotiva a vapore
decisa a godere solo della compagnia della mia amica e a non incontrare
nessuna delle persone che avevano reso terribile il mio compleanno. Non
riuscii, comunque, a non passare sotto gli occhi di ghiaccio di Lucius
e avrei voluto, solo per un attimo, fermare il tempo e distruggere la
sua figura. Non so come né
perchè, ma ricordo tutti i sentimenti che attorniavano il
mio cuore e la mia mente in quei momenti e ogni ricordo è
impresso come può esserlo un tatuaggio sulla pelle. Solo che
il dolore o la felicità di quei gesti non sono svaniti in un
attimo: permangono nella mia anima e posso assicurare che non giovano
per niente alla mia salute (sia fisica che mentale). Ecco
perché dono le mie memorie a fogli di cara troppo bianchi e
immacolati: anche loro devono macchiarsi del mio passato, anche se
l’inchiostro può essere lavato via o sciogliersi
come neve al sole. Devo liberare il mio corpo e fare spazio per un
futuro che, incomincio a capirlo in questa stanza troppo stretta, non
vivrò mai. Il mio corpo e la mia mente sono stati troppo
provati e so che solo quando riuscirò a buttar via tutto il
male che ho dentro sarò pronta per vivere la più
grande delle avventure e che bramo con tutto il cuore da molto tempo. E
quest’ultimo non è riuscito a rimarginare ferite
così profonde. Dagli occhi di una
persona si capiscono tante cose e negli occhi di Lily lessi cose che
serbo nel mio cuore e che non posso esprimere perché troppo
belle e profonde. Io, lei e Alice stringemmo una salda amicizia e delle
tre sono l’unica sopravvissuta all’attacco sferrato
da Lord Voldemort. Nonostante ciò
sono sicura che in questo momento lui mi cerchi, mi cerchi come non
mai, e nel profondo dell’anima sono convinta che fino alla
fine riuscirà a scovarmi. Se questo dovesse accadere spero
di essere all’altezza del coraggio, dell’amore e
della lealtà che fecero di Lily e Alice persone
così meravigliose. Avvertii che
qualcosa stava cambiando nell’aria e, prima ancora che
potessi fare un qualche passo verso la soluzione di
quell’enigma, Sirius Black salì sul mio treno.
Semplice metafora? No, non potrei trovare frase più
azzeccata. Mio fratello aveva avuto la brillante idea di trascorrere il
viaggio con me, Alice e Lily e quando entrò nello
scompartimento io e le mie amiche appurammo che dietro si era portato
James e Remus e altri due ragazzini che io e Alice non conoscevamo ma
Lily, invece, sì. Quest’ultima,
anch’essa del secondo anno, storse il naso quando vide James
e Sirius e bloccò appena in tempo quello che, so per certo,
era un commento piuttosto malevolo. Salutò invece con
cortesia e dolcezza Remus, Peter e Frank. Incominciarono le
presentazioni e quando strinsi la mano di Sirius avvertii qualcosa che
mai prima d’allora avevo sentito. Era un Black, e lo sapevo.
Era un Black e tanto mi sarebbe bastato per odiarlo. Eppure
c’era una consapevolezza in me che compresi solo dopo qualche
tempo. Un mistero così profondo e così antico che
quando lo si svelava ti rimaneva impresso nell’anima, nel
cuore e nella pelle. Non avevo mai ricevuto un po’ di quel
mistero, che avevo tanto bramato quanto una pietra preziosa, da parte
di quella donna che io chiamavo madre. Non avevo mai visto ne avvertito
un pò di quel mistero nelle persone che fino a quel momento
mi avevano circondato. Non ci badai molto e decisi di lasciar correre,
anche se ogni volta che incrociavo il suo sguardo sentivo di morire
dentro e tornavo ad ammirare il paesaggio che si stagliava immobile e
silenzioso oltre il finestrino. Arrivai a
Hogwarts e seppi di essere arrivata finalmente a casa. Non parlai mai
di quelle mie sensazioni con gli altri ma da come loro guardavano
estasiati il grande castello che si ergeva alto e imponente in quella
notte fredda e stellata d’inizio Settembre, dal luccichio
innaturale nei loro occhi avvertii che provavano esattamente
ciò che io provavo. La prima, vera
figura che incusse timore, rispetto e forza nella mia vita fu quella di
Albus Silente, il preside che ancora oggi occupa quella poltrona. Il
suo sguardo sereno e quieto m’indusse a volergli bene sin dal
primo momento. In seguito avrei imparato a
conoscerlo molto meglio e in breve tempo ci affezionammo
l’uno all’altro. Egli diventò per me un
padre ed io per lui una figlia. Era un uomo straordinario, fuori dal
comune e ciò che era complesso lui lo rendeva semplice con
poche parole e qualche gesto. Mi amò come mai fece mio padre
e riuscii a cambiare per un certo verso il sentiero della mia storia.
Ancora oggi lui provvede affinchè io sia protetta e sicura e
so di potermi fidare di lui. Ma so anche che il flusso e il riflusso
del tempo non lo evita e Albus sta invecchiando e di tanto in tanto
mostra segni della sua debolezza. Ed è in quei momenti che
appare più vecchio e stanco che mai. Fui
smistata nella casa di Grifondoro con Alice e Lily e ciò
bastava per rendermi la ragazzina più felice del mondo.
Quando salii le scale a chiocciola che portavano al dormitorio seppi
che quello era l’inizio della vera vita.
Ho così tanti ricordi di Hogwarts che neanche tre Pensatoi
interi riuscirebbero a contenerli tutti. E non mi sognerei mai di
pensare che scriverli sarebbe sufficiente per renderli giustizia. Come
per ciò che provai quando incontrai gli occhi di Lily, anche
in questo caso le parole servono a ben poco. Bisogna accontentarsi
della mia buona fede e cercare di immaginare; ma sarebbe
difficilissimo, un po’ come cercare di afferrare il fumo con
le mani. Tante cose accaddero tra quelle mura ma solo alcune mi
segnarono profondamente e forgiarono l’Evee Longbottom che
sono adesso. Diventai in breve tempo una delle
migliori alunne di Hogwarts, tanto che detti del filo da torcere anche
a James, Sirius, Remus e Lily che venivano considerati alcuni tra gli
alunni più brillanti della scuola. Scoprii ben presto
l’amore che mi legava agli Incantesimi, alle Pozioni, alla
Trasfigurazione ma soprattutto alla Difesa Contro le Arti Oscure.
Alcuni professori (e in particolare il professor Lumacorno, un
brav’uomo un po’ panciuto che si attorniava degli
alunni più bravi riuniti sotto il nome di
“Lumaclub”, di quella maledetta setta feci parte
anch’io) affermavano che quelle particolari
abilità le avevo ereditate da mio padre e che quasi
sicuramente avrei seguito le sue orme e sarei diventata un grande
Auror. Le mie giornate passavano ridenti e fuggitive in compagnia di
Lily e Alice soprattutto, ma spesso si univano anche la banda di James
e mio fratello. Feci amicizia anche con persone che non appartenevano
alla mia stessa casa e ricordo con dolcezza una simpatica ragazzina di
Tassorosso, Rosie Cotton, che poi si sarebbe sposata con un babbano e
avrebbe vissuto tutta la sua vita da Maganò. Ricordo con una
punta di nostalgia anche Billy Clarence, un gran cervellone di
Corvonero con cui alle volte passavo interi pomeriggi a giocare a
scacchi o a condurre esperimenti con le Pozioni. Billy adesso
è un Indicibile e fino a quando non lavoravo al Ministero ci
incontravamo spesso e volentieri per lunghe chiacchierate di fronte ad
una tazza di the. Scoprii ben presto che lo
studio non era il solo modo di apprendimento ad appagarmi come persona
e il Quidditch entrò a far parte di me, divenne un elemento
indispensabile e fondamentale nella mia vita tanto che, se non fosse
successo quello che è successo, avrei intrapreso una
carriera da giocatrice. Mi costarono tanti sacrifici entrare in squadra
e se non fosse stato anche per il mio ottimo rendimento scolastico,
credo che il Quidditch avrei potuto considerarlo come una meta lontana
esattamente un anno poiché i ragazzini del primo anno erano
esclusi dallo sport. Non mollai per niente al mondo e dopo tante
richieste alla professoressa McGranitt, un sudato permesso del preside
e un provino sensazionale occupai il mio posto da Cacciatrice. Spedii
una lettera a mio padre, dove gli spiegavo ciò che avevo
fatto e gli chiesi se avesse potuto comprarmi l’ultimo
modello di scopa in circolazione. La risposta di mio padre non si fece
attendere molto e in pochi giorni mi ritrovai a contemplare il mio
nuovo manico di scopa. Ero l’unica ragazza in squadra e
conquistai presto la simpatia di tutti i miei compagni e James Potter,
oltre ad essere un ottimo capitano, divenne anche un ottimo amico. E fu
proprio in questo modo che incominciai ad avvicinarmi, anche se
all’inizio inconsapevolmente, a Sirius.
Eppure non fu anno facile. Notai che una persona non mancava di
lanciarmi occhiatine e frecciatine, notai che ciò che
all’inizio poteva essere una semplice cotta adesso si stava
trasformando in un qualcosa di ridicolo, se non assurdo,
corteggiamento. Autore di ciò fu Lucius Malfoy, che
però riuscii ad evitare per la maggior parte
dell’anno. Imparai ben presto a conoscere i miei acerrimi
nemici che poi lo sarebbero stati per tutta la vita. Scoprii ben presto
il dono oscuro che mi legava paradossalmente alla casa di Serpeverde e
quando confidai i miei timori e le mie paure ad Albus lui, sorridendo
dolcemente, mi disse che ciò che siamo lo decidiamo noi e
noi soltanto. Il fatto che appartenessi a Grifondoro ne era la prova
vivente. Prima che mi confidassi con Albus, però, tenni per
me il segreto che però fu svelato da Sirius quando mi
trovò in lacrime, sola, sotto un grande salice vicino al
lago. Fu questo momento che ci legò l’uno
all’altra.
Sirius aveva deciso di passeggiare solo per un
po’ nel parco. Dell’aria fresca di tanto in tanto
gli faceva bene. Evidentemente non era il solo a voler godere di un
po’ di solitudine, perché quando guardò
verso il lago vide Evee Longbottom sotto il salice a piangere.
Ciò destò in lui tristezza, tenerezza e anche un
po’ di compassione. Si avvicinò con passo felpato
alla ragazza e poi le si sedette affianco. Evee alzò il capo
e svelò il suo viso rigato di lacrime. Se le
asciugò frettolosamente con un fazzoletto preso dalla borsa
e poi con voce rotta e tremante cercò di prendere il
controllo della situazione.
"S-sirius…Cosa…Cosa ci fai qui?"
"Cercavo di passeggiare ma il tuo pianto mi ha incuriosito e
infastidito al tempo stesso. Perché piangi Ev?"
Evee rimase turbata e ciò glielo si doveva leggere in faccia
perché Sirius mormorò un debole:
"Scusa, mi spiace"
La ragazzina scosse il capo e poi guardò Sirius.
"Piangevo perché non voglio essere legata né alle
Arti Oscure né a Serpeverde" rispose con durezza.
"Non sei legata né all’uno né
all’altro".
"E invece si"
La ragazza rispose così subito e con una sicurezza tale che
Sirius si spaventò per un attimo.
"Dammi un motivo per cui ciò che tu dici sia vero" rispose
con aria di sfida.
"Parlo il Serpentese"
Calò un lungo silenzio tra i due, durante il quale ognuno
soppesava l’altro. Sirius poi si alzò, le
afferrò la mano e la fece alzare per ritrovarsi di fronte a
lei.
"Ci sono creature che fanno parte della notte ma non appartengono
né sono legate a essa. Ci sono persone, come me e come te,
che possiedono una famiglia legata alle Arti Oscure eppure hanno scelto
di combatterle. Persone, come me e come te, che possiedono doni oscuri
ma che in realtà appartengono alla luce e al bene".
Evee abbassò per un attimo lo sguardo.
"Ev, guardami. Tu sei esattamente ciò che vuoi e sai di
essere. Capito?"
Evee annuì, gli occhi scintillanti di lacrime. Il sole
cedeva il passo al crepuscolo, entrambi vennero investiti da una luce
dorata e calda. Evee si alzò in punta di piedi e
sfiorò la guancia di Sirius di un morbido, delicato bacio.
Gli sorrise, prese le sue cose e si avviò verso il castello.
Sirius aveva capito e sorrise. Si sedette e si poggiò contro
il tronco nodoso dell’albero, chiudendo gli occhi per
assaporare fino in fondo il tramonto e il suo bacio.
Io e Sirius non parlammo mai più di
quell’episodio ma il nostro rapporto
s’intensificava e si faceva profondo ogni giorno di
più. Esso crebbe, però, nel segreto. Il
più delle volte eravamo soliti incontrarci di notte, su una
delle torri all’aperto per ammirare il cielo e parlare di
tutto ciò che volevamo. Alle volte ci rifugiavamo sotto il
salice per fare i compiti assieme, ridere, scherzare e altre volte
ancora ci accompagnavamo in lunghe passeggiate silenziose, solo per
godere l’uno della compagnia dell’altra. Durante
l’anno non mancarono vari litigi con Alice e Lily,
più di una volta tra me e James o tra me e mio fratello ci
furono giorni di quello che noi consideravamo dignitoso silenzio e con
Remus, alla fine del primo anno, strinsi un’ottima amicizia.
L’unica persona che non riuscivo a tollerare del gruppo era
l’inetto Peter: non lo conoscevo e non mi detti la pena di
conoscerlo perché dalle prime impressioni lo considerai una
persona viscida e opportunista. Non confidai mai agli altri queste mie
sensazioni eppure molto tempo dopo avrei scoperto che quella stessa
persona avrebbe ucciso due dei miei migliori amici. Fui ben lieta di
festeggiare il mio dodicesimo compleanno in quel posto meraviglioso e
mi sentii felice come non lo ero mai stata da tanto tempo. Per le feste
comandate purtroppo dovetti tornare a casa, ma fortunatamente furono
solo pochi giorni di sofferenza. Ben presto tra Sirius, James, Remus e
Peter nacque un’amicizia così profonda e
particolare da portarmi a capire che nessuno avrebbe potuto interferire
e cercare di entrare nel loro cerchio. Capii dagli sguardi, dai gesti,
dai sorrisi e da tutto ciò che facevano che
l’amicizia tra Sirius e James era così profonda
che anche se fossi riuscita a conquistare Sirius, una parte del suo
cuore non mi sarebbe mai appartenuta veramente. Avrei dovuto
condividerlo con James. Fu esattamente ciò che successe e
credo che anche Lily abbia provato la stessa cosa. Diventai una ragazza
forte e ciò forgiò il mio spirito e la mia mente
per ciò che avrei vissuto due anni dopo il mio arrivo. E
il mio primo anno a Hogwarts volò via, passai gli esami con
il massimo dei voti e dovetti tornare in quel posto che io chiamavo
casa ma che consideravo solo un luogo in cui potevo avere vitto e
alloggio. La mia vera casa, come ho detto prima, era Hogwarts. Il resto
dell’estate passò in compagnia di Nyneve e Frank,
e via gufo mantenni i contatti con tutti tranne che con Peter,
ovviamente.
Note
della scrittrice:
Innanzitutto
vorrei ringraziare tutti quelli che, dotati di una buona dose di
pazienza, dopo
aver letto la mia fan fiction vorranno anche recensirla. E’
davvero importante
sapere cosa pensano gli altri del mio lavoro per poter migliorare e
offrire a
tutti il meglio che ho da dare. In secondo luogo, se non fosse chiaro,
vorrei
dare delle delucidazioni sulla fan fiction.
Accanto
ai personaggi inventati da Zia Jo ne ho aggiunto uno: Evee Paciock.
Nella
storia sono riuscita ad inserirla come sorella di Frank e,
perciò, zia di
Neville e figlia di Augusta. Evee affida le sue memorie ad un diario
che verrà
ritrovato solo dopo la fine della Seconda Guerra contro Voldemort. Il
diario
riporta gran parte della sua vita che, poi, sarà
paradossalmente legata alle
due Guerre contro l’Oscuro Signore. Come qualcuno mi ha fatto
notare, le
caratteristiche fisiche dei personaggi non sono proprio fedeli a quello
che
aveva in mente Mamma Rowling, ma sono certe che saprete perdonarmi e
capire che
si tratta di sciocchezze. “Gli occhi neri come il
carbone” di Sirius Black
suonavano bene.
Vostra
Evee