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Autore: elipicci    17/06/2010    2 recensioni
Una ragazza assolutamente normale, per pura casualità, o per uno scherzo del destino, incontra i Cullen ed Helia, che si rivelerà il suo amore più grande. Elena ha un passato difficile, e poche aspettative per il futuro. Ma la sua vita può cambiare, deve solo scegliere di essere trasformata e seguire la famiglia di vampiri. Accetterà questa proposta?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggerella fitta mi bagnava il viso, mentre, avvolta nel mio impermeabile, attraversavo senza le strade del centro. In giro non c’era quasi nessuno, e io non avevo fretta di tornare a casa. Guardavo quei pochi passanti frettolosi attraversare la strada, per arrivare alle loro macchine. Arrivai al cartello “zona traffico limitato” mi voltai e tornai indietro. Non amavo fare le “vasche” ma tornare a casa e passare il resto della serata davanti alla tv non era nei miei programmi. Tutti i miei compagni dell’università erano in vacanza, e io avrei avuto tempo da perdere da qui alla fine delle prossime due settimane. Ero totalmente assorta nei miei pensieri quando li vidi. Erano dieci e si tenevano per mano a due a due, sembravano usciti da un libro. Erano bellissimi. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Un brivido mi attraversò e nello stesso istante uno di loro mi guardò. I capelli bronzei erano mossi dal vento freddo, la pelle pallida come la neve, le iridi color caramello, le labbra socchiuse in un ghigno. Rimasi senza fiato. Mi sforzai di respirare e cercai di capire come il suo volto mi fosse stranamente familiare. Accanto a lui c’era una ragazza con la stessa pelle pallida e gli occhi dello stesso colore, i capelli castano scuro e il corpo esile. Erano tutti così. Davanti a loro, in testa al gruppo, un uomo alto e biondo, sicuramente più grande degli altri teneva per mano una donna, forse della sua stessa età, più bassa, con i capelli rossastri e le labbra carnose. Un ragazzone muscoloso, alto e bruno, teneva per mano una bionda con un corpo mozzafiato, mentre, subito dietro un ragazzo biondo con i capelli ricci che avrebbe potuto essere il fratello della bionda che gli camminava davanti, cingeva la vita a una ragazza bassa, con i capelli corti e castani. I due ragazzi infondo alla fila avevano qualcosa di diverso dagli altri. Un ragazzo con la pelle scura, i capelli neri e corti, gli occhi neri e leggermente allungati, era a braccetto con una ragazza dalla pelle chiara, le guance rosee, i lunghissimi capelli bronzei e boccoluti, gli occhi color cioccolato. Ad un certo punto quella bassa con i capelli corti si girò indietro, verso il ragazzo che mi aveva guardata e fece per parlare. Tesi le orecchie, ma la ragazza restò muta, il ragazzo invece le rispose come se avesse parlato. “scherzi? Non ci serve chiedere informazioni” la ragazza accanto a lui lo strattonò un po’ “dai… ricordati che dobbiamo comportarci da persone normali… e poi è così divertente!” disse sorridendo. Il ragazzo annuì svogliato e tutta la comitiva si diresse verso di me. Mi voltai, come per fargli capire che non li stavo guardando. Eppure li sentivo avvicinarsi. Feci finta di nulla finché una voce femminile e vellutata mi chiamò. “scusa…” mi volta di scatto, arrossendo. “per caso sai dov’è il Palace Hotel?” rimasi a guardarli per una frazione di secondo. Erano ben vestiti. Beh, chi va al Palace Hotel dev’essere per forza ricco sfondato. “ma certo…” dissi, attraversata da una scarica di insicurezza. 
“Dunque. Prendete la prima a destra, poi sempre dritto fino al parcheggio principale e infine svoltate l’angolo. Non potrete non vederlo.”
“Grazie” disse in tono gentile.
“Ma prego Alice, figurati.” Mi fulminò con lo guardo. Quando capii che avevo detto qualcosa di strano mi scusai “scusami! Il mio subconscio lavora in modo strano…”
“Me ne sono accorto” disse il ragazzo con in capelli bronzei.
“comunque ci hai azzeccato.” Lo interruppe la ragazza che mi aveva chiesto informazioni. “mi chiamo Alice, e loro sono Esme” disse indicando la donna con i capelli rossastri” “Rosalie” disse indicando la bionda “Jasper…” quello che sembrava suo fratello.
“Aspetta non me lo dire.” La fermai. “Edward” dissi indicando il ragazzo con i capelli bronzei, “Bella” la ragazza che gli stava affianco “Carlisle” che teneva per mano Esme “Emmett” mano nella mano con Rosalie, “Jacob” indicando il ragazzone dalla pelle scura e gli occhi neri “e Nessie… o per meglio dire Reneesme” indicai la ragazza a braccetto con lui. “La famiglia Cullen” conclusi.
Mi fissarono tutti con occhi increduli, tranne quello che inconsciamente avevo chiamato Edward, il quale rise. 
“Ho azzeccato?” chiesi imbarazzata.
“Centrati in pieno” disse Emmett.
“Posso sapere come fai?” chiese Esme.
“Sinceramente… n-n-non lo so… i-in qualche mo-do vi conosco…” 
“che altro sai?” chiese Carlisle. 
“Io…”
“Aspetta” mi fermò Edward “Sarebbe meglio non parlarne qui”
“Giusto…” accennai un sorriso.
“Perché non ci accompagni in hotel?” propose Bella.
“Ok…”
Il tragitto fu lungo e silenzioso. Mentre li guidavo senza guardare -conoscevo bene la strada per l’hotel-tentai di capire come li conoscevo. Sentivo di sapere tutto su di loro. C’era una parola che mi ronzava in testa. “Twilight” sussurrai involontariamente. “Twilight?” Chiese Reneesme da infondo alla fila. Come diavolo aveva fatto a sentirmi? Sorrisi scuotendo la testa. Non riuscivo a ricordare nulla. Per quanto mi sforzassi, ciò che cercavo di far riemergere era chiuso in un pozzo in fondo alla mia mente, sigillato, che non voleva aprirsi. I loro nomi erano scappati fuori chissà come. Arrivati davanti all’hotel, mi fermai. “eccoci qui…” e feci per andarmene. Ma una mano, fredda come il ghiaccio e dura come il marmo mi fermò. “Ma come? Non sali a farci compagnia?” il mio istinto mi diceva di non farlo, mi ripeteva che me ne sarei potuta pentire. Esitai. Loro mi squadravano, mentre attendevano la mia risposta, silenziosi. Poi, alla faccia del buonsenso e dell’istinto, risposi “ma certo”. Alla reception ci accolsero, o meglio, li accolsero, molto calorosamente. Ci facemmo tutti i piani dell’hotel in ascensore, fino all’attico, dove una mega-sweet li attendeva. Entrarono disinvolti e si sparpagliarono nelle varie stanze. Poi qualcuno sbucò fuori da una delle porte. Non lo riconoscevo, o meglio, il mio subconscio non lo riconosceva. Era biondo, i capelli gli ricadevano sugli occhi, le iridi color miele leggermente venate di un azzurro intenso, e come tutti, la pelle chiarissima. Era più bello di tutti loro. Lo guardai meglio: i lineamenti del viso erano perfetti, le labbra carnose, il naso regolare, lo sguardo tenero ma acuto. Scosse un po’ il viso, poi rimase immobile. Una statua. Mi fissava anche lui, incredulo. Prima che potesse parlare, Edward intervenne. “Helia, questa è Elena” Come sapeva il mio nome? Mi guardò e sorrise. Sembrava che mi leggesse nel pensiero. Annuì. Io mi guardai attorno. Parlava con me? Annuì di nuovo. Rabbrividii. “Elena” intervenne Carlisle “raccontaci tutto quello che sai.” Ci sedemmo in cerchio. Non ricordavo nulla. Mi misi le mani nei capelli. “Io… non mi ricordo…”. “cerca di sforzarti” mi incoraggiò Esme. Scossi la testa. Sentivo di saperlo, eppure ricordare mi faceva male. Chiusi gli occhi. Niente. Mi veniva da piangere. Trattenni le lacrime a stenti. Li guardai. Reneesme teneva una mano sulla guancia di Jacob, i suo sguardo era perso nel vuoto. Avverti un altro brivido. Quella scena… come facevo ad averla già vista? Mi alzai, e mi diressi verso la finestra. Loro si voltarono, ma non si alzarono. Rosalie era appoggiata allo stipite della porta sulla sua spalla c’era la mano di Emmett. Alice era sdraiata a pancia sotto sul letto, le mani sotto al mento, accanto a lei, Jasper era seduto, disegnando ghirigori sulla sua schiena. Carlisle ed Esme si tenevano per mano. Guardai fuori dalla finestra, lì davanti c’era il balcone di casa mia. “Posso provarci io…” sentii la voce di Helia. “Sì” disse Edward “ma fai attenzione”. Pose la mano fredda sul mio collo, sentii come una scarica elettrica percorrermi ed arrivarmi alla testa. E da quel pozzo sigillato affiorarono sempre più immagini. Sentivo la testa scoppiarmi, mentre quella scossa non smetteva di percorrermi. Non ne potevo più. Ma non riuscivo a parlare, era come se mi si fosse atrofizzato il cervello. “Basta così” Edward, di nuovo parlò per me. Helia immediatamente ritrasse la mano. “Scusa” non capivo se si rivolgesse a me o a Edward. “ è che… la tua mente è così interessante… tutti quei ricordi…” disse piano, scrutandomi. Sgranai gli occhi. Carlisle intervenne prima che potessi parlare. “Perché prima non ci parli un po’ di te?” Annuii. 
“Non ricordo un granchè della mia vita… solo quella degli ultimi due anni. Sono stata “estratta” due anni fa da una macchina ha sospeso le mie funzioni vitali per 47 anni. Sono stata congelata li nel 2010. Non ricordo né come, né quando, né perché. E non mi interessa. Comunque mi svegliò uno scienziato. Si chiamava Luke. Mi disse chi ero e che mi era successo. Poi mi “istruì” a questa nuova vita. A dir la verità non mi sembra molto diversa dai pochi ricordi che ho. Insomma: la gente abita ancora nelle case, i bambini sono umani e vanno ancora a scuola, i ragazzi all’università, si va ancora in vacanza al mare o in montagna, le abitudini sono le stesse di sempre, il cibo si mangia ancora cotto e servito a tavola, le automobili non volano, non è scoppiata una terza guerra mondiale, gli alieni non hanno invaso la terra, e l’uomo non è arrivato su marte. Adesso vado all’università anch’io. Ho qualche amico, ma nessun punto di appoggio…”
“E il professore? Non è un punto d’appoggio?” chiese timida Reneesme. 
Gli occhi mi si inondarono di lacrime “…è morto misteriosamente un anno fa. Il suo corpo è stato trovato incenerito… e come se non bastasse sua moglie si è suicidata subito dopo la sua morte. Non avevano figli… consideravano me, come tale. Mi hanno comprato una casa bella e lussuosa, dove ora abito” indicai il balcone davanti alla finestra. “Lizzie, la moglie, mi ha lasciato tutta la loro fortuna… e ora io sono… sola…” mi passai una mano davanti agli occhi per asciugare le lacrime, che però non volevano fermarsi. Le mie spalle facevano su e giù ad intervalli regolari, e piangevo così tanto che non riuscivo a respirare. “Poverina…” il tono pieno di compassione di Esme scatenò in me altre lacrime. “No… io… non voglio avere la vostra compassione… non voglio farvi pena… è stato un errore venire qui… scusate.” E singhiozzando feci per andare verso la porta. Una mano fredda e mi prese per il braccio e mi portò a se. Bella mi abbracciò. Mi fece sedere e mi offrì un bicchiere d’acqua. “Perché stanotte non rimani con noi?” chiese Alice. Senza esserne sicura annuii. Mi fece accomodare sul letto, e di li a poco mi addormentai. Quella notte le immagini che Helia -chissà come- aveva rievocato non mi fecero dormire sogni tranquilli. Tutta via, quando mi svegliai non ricordavo nulla di ciò che avevo sognato. Non volevo alzarmi, quindi rimasi sul letto con gli occhi chiusi. Sentii le loro voci. “Che facciamo? Tra poco si sveglierà e dovremo pur dirle qualcosa.”chiese la voce premurosa di Esme.
“Ma sì, certo… la salutiamo e la spediamo a casa.” Era la voce aspra di Rosalie.
“Non essere stupida Rosalie… non possiamo lasciarla morire di solitudine…” intervenne Bella.
“E poi conosce il nostro segreto” era la voce di Emmett.
“Mettiamo ai voti.” Intervenne Carlisle.
Sulla stanza regnò un silenzio tombale. Cosa avevano votato? E se mi avessero chiesto di unirmi a loro, che avrei risposto? 
Poi sentii la voce di Edward “Eccola.” Mi aveva sentita. Mi alzai e entrai nell’ampio salone. Li salutai accennando un sorriso timido. “Allora Elena, raccontaci quello che sai” Jasper andò dritto al punto. Sospirai e mi sedetti. Senza che il mio cervello impartisse un ordine, la mia bocca parlò. “Voi siete… vampiri.” Nello stesso attimo in cui lo dissi, mi accorsi di dove mi trovavo e mi venne voglia di scappare. Eppure ero inchiodata lì, senza la forza di muovermi di un centimetro. Loro mi guardavano, pensierosi. “Ma vi nutrite esclusivamente di sangue animale…” mi calmai e mi schierii la voce. Era come se prendessi coscienza delle mie parole solo dopo averle pronunciate. Quindi, per capire dove andava a finire la faccenda, proseguii. Raccontai ciò che sapevo di loro (praticamente tutto), e lasciai sgorgare dalla mia bocca tutti i ricordi che avevo su di loro, senza fermarmi. Loro ascoltavano pazienti, senza fare una piega. “È assurdo… Ma come fai?” chiese Esme.
“Lo so io” intervenne Edward. “Ricordate quella scrittrice uccisa dai Volturi perché aveva scritto, senza volere, il segreto dei vampiri?”
“Già, Stephanie Meyer.” Dissi ricordandomi improvvisamente di tutto.
“Bene. Allora adesso sta a te decidere cosa vuoi fare. Se vuoi unirti a noi, oppure se vuoi tornare alla tua solitudine.”
Non sapevo cosa rispondere. Non mi andava di diventare una succhia sangue, ma nemmeno di rimanere sola per il resto della mia vita.
“Datemi del tempo per pensarci” dissi. 
“Va bene” rispose Carlisle. “Noi rimarremo in città per altri sette giorni, alternandoci per andare a caccia ogni due o tre giorni. Se vuoi potremo tenerti compagnia.”
Guardai Edward, senza parlare, e lui annuì. “Puoi fidarti” disse lui. Annuii a mia volta e poi mi alzai dal letto. “Se non vi dispiace torno a casa” aggiunsi. “A più tardi”. 
Uscii, con un unico pensiero per la testa: accettare o no la loro proposta?

La pioggerella fitta mi bagnava il viso, mentre, avvolta nel mio impermeabile, attraversavo senza le strade del centro. In giro non c’era quasi nessuno, e io non avevo fretta di tornare a casa. Guardavo quei pochi passanti frettolosi attraversare la strada, per arrivare alle loro macchine. Arrivai al cartello “zona traffico limitato” mi voltai e tornai indietro. Non amavo fare le “vasche” ma tornare a casa e passare il resto della serata davanti alla tv non era nei miei programmi. Tutti i miei compagni dell’università erano in vacanza, e io avrei avuto tempo da perdere da qui alla fine delle prossime due settimane. Ero totalmente assorta nei miei pensieri quando li vidi. Erano dieci e si tenevano per mano a due a due, sembravano usciti da un libro. Erano bellissimi. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Un brivido mi attraversò e nello stesso istante uno di loro mi guardò. I capelli bronzei erano mossi dal vento freddo, la pelle pallida come la neve, le iridi color caramello, le labbra socchiuse in un ghigno. Rimasi senza fiato. Mi sforzai di respirare e cercai di capire come il suo volto mi fosse stranamente familiare. Accanto a lui c’era una ragazza con la stessa pelle pallida e gli occhi dello stesso colore, i capelli castano scuro e il corpo esile. Erano tutti così. Davanti a loro, in testa al gruppo, un uomo alto e biondo, sicuramente più grande degli altri teneva per mano una donna, forse della sua stessa età, più bassa, con i capelli rossastri e le labbra carnose. Un ragazzone muscoloso, alto e bruno, teneva per mano una bionda con un corpo mozzafiato, mentre, subito dietro un ragazzo biondo con i capelli ricci che avrebbe potuto essere il fratello della bionda che gli camminava davanti, cingeva la vita a una ragazza bassa, con i capelli corti e castani. I due ragazzi infondo alla fila avevano qualcosa di diverso dagli altri. Un ragazzo con la pelle scura, i capelli neri e corti, gli occhi neri e leggermente allungati, era a braccetto con una ragazza dalla pelle chiara, le guance rosee, i lunghissimi capelli bronzei e boccoluti, gli occhi color cioccolato. Ad un certo punto quella bassa con i capelli corti si girò indietro, verso il ragazzo che mi aveva guardata e fece per parlare. Tesi le orecchie, ma la ragazza restò muta, il ragazzo invece le rispose come se avesse parlato. “scherzi? Non ci serve chiedere informazioni” la ragazza accanto a lui lo strattonò un po’ “dai… ricordati che dobbiamo comportarci da persone normali… e poi è così divertente!” disse sorridendo. Il ragazzo annuì svogliato e tutta la comitiva si diresse verso di me. Mi voltai, come per fargli capire che non li stavo guardando. Eppure li sentivo avvicinarsi. Feci finta di nulla finché una voce femminile e vellutata mi chiamò. “scusa…” mi volta di scatto, arrossendo. “per caso sai dov’è il Palace Hotel?” rimasi a guardarli per una frazione di secondo. Erano ben vestiti. Beh, chi va al Palace Hotel dev’essere per forza ricco sfondato. “ma certo…” dissi, attraversata da una scarica di insicurezza. “Dunque. Prendete la prima a destra, poi sempre dritto fino al parcheggio principale e infine svoltate l’angolo. Non potrete non vederlo.”“Grazie” disse in tono gentile.“Ma prego Alice, figurati.” Mi fulminò con lo guardo. Quando capii che avevo detto qualcosa di strano mi scusai “scusami! Il mio subconscio lavora in modo strano…”“Me ne sono accorto” disse il ragazzo con in capelli bronzei.“comunque ci hai azzeccato.” Lo interruppe la ragazza che mi aveva chiesto informazioni. “mi chiamo Alice, e loro sono Esme” disse indicando la donna con i capelli rossastri” “Rosalie” disse indicando la bionda “Jasper…” quello che sembrava suo fratello.“Aspetta non me lo dire.” La fermai. “Edward” dissi indicando il ragazzo con i capelli bronzei, “Bella” la ragazza che gli stava affianco “Carlisle” che teneva per mano Esme “Emmett” mano nella mano con Rosalie, “Jacob” indicando il ragazzone dalla pelle scura e gli occhi neri “e Nessie… o per meglio dire Reneesme” indicai la ragazza a braccetto con lui. “La famiglia Cullen” conclusi.Mi fissarono tutti con occhi increduli, tranne quello che inconsciamente avevo chiamato Edward, il quale rise. “Ho azzeccato?” chiesi imbarazzata.“Centrati in pieno” disse Emmett.“Posso sapere come fai?” chiese Esme.“Sinceramente… n-n-non lo so… i-in qualche mo-do vi conosco…” “che altro sai?” chiese Carlisle. “Io…”“Aspetta” mi fermò Edward “Sarebbe meglio non parlarne qui”“Giusto…” accennai un sorriso.“Perché non ci accompagni in hotel?” propose Bella.“Ok…”Il tragitto fu lungo e silenzioso. Mentre li guidavo senza guardare -conoscevo bene la strada per l’hotel-tentai di capire come li conoscevo. Sentivo di sapere tutto su di loro. C’era una parola che mi ronzava in testa. “Twilight” sussurrai involontariamente. “Twilight?” Chiese Reneesme da infondo alla fila. Come diavolo aveva fatto a sentirmi? Sorrisi scuotendo la testa. Non riuscivo a ricordare nulla. Per quanto mi sforzassi, ciò che cercavo di far riemergere era chiuso in un pozzo in fondo alla mia mente, sigillato, che non voleva aprirsi. I loro nomi erano scappati fuori chissà come. Arrivati davanti all’hotel, mi fermai. “eccoci qui…” e feci per andarmene. Ma una mano, fredda come il ghiaccio e dura come il marmo mi fermò. “Ma come? Non sali a farci compagnia?” il mio istinto mi diceva di non farlo, mi ripeteva che me ne sarei potuta pentire. Esitai. Loro mi squadravano, mentre attendevano la mia risposta, silenziosi. Poi, alla faccia del buonsenso e dell’istinto, risposi “ma certo”. Alla reception ci accolsero, o meglio, li accolsero, molto calorosamente. Ci facemmo tutti i piani dell’hotel in ascensore, fino all’attico, dove una mega-sweet li attendeva. Entrarono disinvolti e si sparpagliarono nelle varie stanze. Poi qualcuno sbucò fuori da una delle porte. Non lo riconoscevo, o meglio, il mio subconscio non lo riconosceva. Era biondo, i capelli gli ricadevano sugli occhi, le iridi color miele leggermente venate di un azzurro intenso, e come tutti, la pelle chiarissima. Era più bello di tutti loro. Lo guardai meglio: i lineamenti del viso erano perfetti, le labbra carnose, il naso regolare, lo sguardo tenero ma acuto. Scosse un po’ il viso, poi rimase immobile. Una statua. Mi fissava anche lui, incredulo. Prima che potesse parlare, Edward intervenne. “Helia, questa è Elena” Come sapeva il mio nome? Mi guardò e sorrise. Sembrava che mi leggesse nel pensiero. Annuì. Io mi guardai attorno. Parlava con me? Annuì di nuovo. Rabbrividii. “Elena” intervenne Carlisle “raccontaci tutto quello che sai.” Ci sedemmo in cerchio. Non ricordavo nulla. Mi misi le mani nei capelli. “Io… non mi ricordo…”. “cerca di sforzarti” mi incoraggiò Esme. Scossi la testa. Sentivo di saperlo, eppure ricordare mi faceva male. Chiusi gli occhi. Niente. Mi veniva da piangere. Trattenni le lacrime a stenti. Li guardai. Reneesme teneva una mano sulla guancia di Jacob, i suo sguardo era perso nel vuoto. Avverti un altro brivido. Quella scena… come facevo ad averla già vista? Mi alzai, e mi diressi verso la finestra. Loro si voltarono, ma non si alzarono. Rosalie era appoggiata allo stipite della porta sulla sua spalla c’era la mano di Emmett. Alice era sdraiata a pancia sotto sul letto, le mani sotto al mento, accanto a lei, Jasper era seduto, disegnando ghirigori sulla sua schiena. Carlisle ed Esme si tenevano per mano. Guardai fuori dalla finestra, lì davanti c’era il balcone di casa mia. “Posso provarci io…” sentii la voce di Helia. “Sì” disse Edward “ma fai attenzione”. Pose la mano fredda sul mio collo, sentii come una scarica elettrica percorrermi ed arrivarmi alla testa. E da quel pozzo sigillato affiorarono sempre più immagini. Sentivo la testa scoppiarmi, mentre quella scossa non smetteva di percorrermi. Non ne potevo più. Ma non riuscivo a parlare, era come se mi si fosse atrofizzato il cervello. “Basta così” Edward, di nuovo parlò per me. Helia immediatamente ritrasse la mano. “Scusa” non capivo se si rivolgesse a me o a Edward. “ è che… la tua mente è così interessante… tutti quei ricordi…” disse piano, scrutandomi. Sgranai gli occhi. Carlisle intervenne prima che potessi parlare. “Perché prima non ci parli un po’ di te?” Annuii. “Non ricordo un granchè della mia vita… solo quella degli ultimi due anni. Sono stata “estratta” due anni fa da una macchina ha sospeso le mie funzioni vitali per 47 anni. Sono stata congelata li nel 2010. Non ricordo né come, né quando, né perché. E non mi interessa. Comunque mi svegliò uno scienziato. Si chiamava Luke. Mi disse chi ero e che mi era successo. Poi mi “istruì” a questa nuova vita. A dir la verità non mi sembra molto diversa dai pochi ricordi che ho. Insomma: la gente abita ancora nelle case, i bambini sono umani e vanno ancora a scuola, i ragazzi all’università, si va ancora in vacanza al mare o in montagna, le abitudini sono le stesse di sempre, il cibo si mangia ancora cotto e servito a tavola, le automobili non volano, non è scoppiata una terza guerra mondiale, gli alieni non hanno invaso la terra, e l’uomo non è arrivato su marte. Adesso vado all’università anch’io. Ho qualche amico, ma nessun punto di appoggio…”“E il professore? Non è un punto d’appoggio?” chiese timida Reneesme. Gli occhi mi si inondarono di lacrime “…è morto misteriosamente un anno fa. Il suo corpo è stato trovato incenerito… e come se non bastasse sua moglie si è suicidata subito dopo la sua morte. Non avevano figli… consideravano me, come tale. Mi hanno comprato una casa bella e lussuosa, dove ora abito” indicai il balcone davanti alla finestra. “Lizzie, la moglie, mi ha lasciato tutta la loro fortuna… e ora io sono… sola…” mi passai una mano davanti agli occhi per asciugare le lacrime, che però non volevano fermarsi. Le mie spalle facevano su e giù ad intervalli regolari, e piangevo così tanto che non riuscivo a respirare. “Poverina…” il tono pieno di compassione di Esme scatenò in me altre lacrime. “No… io… non voglio avere la vostra compassione… non voglio farvi pena… è stato un errore venire qui… scusate.” E singhiozzando feci per andare verso la porta. Una mano fredda e mi prese per il braccio e mi portò a se. Bella mi abbracciò. Mi fece sedere e mi offrì un bicchiere d’acqua. “Perché stanotte non rimani con noi?” chiese Alice. Senza esserne sicura annuii. Mi fece accomodare sul letto, e di li a poco mi addormentai. Quella notte le immagini che Helia -chissà come- aveva rievocato non mi fecero dormire sogni tranquilli. Tutta via, quando mi svegliai non ricordavo nulla di ciò che avevo sognato. Non volevo alzarmi, quindi rimasi sul letto con gli occhi chiusi. Sentii le loro voci. “Che facciamo? Tra poco si sveglierà e dovremo pur dirle qualcosa.”chiese la voce premurosa di Esme.“Ma sì, certo… la salutiamo e la spediamo a casa.” Era la voce aspra di Rosalie.“Non essere stupida Rosalie… non possiamo lasciarla morire di solitudine…” intervenne Bella.“E poi conosce il nostro segreto” era la voce di Emmett.“Mettiamo ai voti.” Intervenne Carlisle.Sulla stanza regnò un silenzio tombale. Cosa avevano votato? E se mi avessero chiesto di unirmi a loro, che avrei risposto? Poi sentii la voce di Edward “Eccola.” Mi aveva sentita. Mi alzai e entrai nell’ampio salone. Li salutai accennando un sorriso timido. “Allora Elena, raccontaci quello che sai” Jasper andò dritto al punto. Sospirai e mi sedetti. Senza che il mio cervello impartisse un ordine, la mia bocca parlò. “Voi siete… vampiri.” Nello stesso attimo in cui lo dissi, mi accorsi di dove mi trovavo e mi venne voglia di scappare. Eppure ero inchiodata lì, senza la forza di muovermi di un centimetro. Loro mi guardavano, pensierosi. “Ma vi nutrite esclusivamente di sangue animale…” mi calmai e mi schierii la voce. Era come se prendessi coscienza delle mie parole solo dopo averle pronunciate. Quindi, per capire dove andava a finire la faccenda, proseguii. Raccontai ciò che sapevo di loro (praticamente tutto), e lasciai sgorgare dalla mia bocca tutti i ricordi che avevo su di loro, senza fermarmi. Loro ascoltavano pazienti, senza fare una piega. “È assurdo… Ma come fai?” chiese Esme.“Lo so io” intervenne Edward. “Ricordate quella scrittrice uccisa dai Volturi perché aveva scritto, senza volere, il segreto dei vampiri?”“Già, Stephanie Meyer.” Dissi ricordandomi improvvisamente di tutto.“Bene. Allora adesso sta a te decidere cosa vuoi fare. Se vuoi unirti a noi, oppure se vuoi tornare alla tua solitudine.”Non sapevo cosa rispondere. Non mi andava di diventare una succhia sangue, ma nemmeno di rimanere sola per il resto della mia vita.“Datemi del tempo per pensarci” dissi. “Va bene” rispose Carlisle. “Noi rimarremo in città per altri sette giorni, alternandoci per andare a caccia ogni due o tre giorni. Se vuoi potremo tenerti compagnia.”Guardai Edward, senza parlare, e lui annuì. “Puoi fidarti” disse lui. Annuii a mia volta e poi mi alzai dal letto. “Se non vi dispiace torno a casa” aggiunsi. “A più tardi”. Uscii, con un unico pensiero per la testa: accettare o no la loro proposta?

  
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