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Autore: Dira_    18/06/2010    76 recensioni
La guerra è ormai finita, Harry è un auror e sta per avere il suo secondo bambino.
Degli strani sogni e la misteriosa comparsa di un neonato decisamente particolare turbano la sua pace, tornando a scuotere la famiglia Potter sedici anni dopo, quando Tom, il bambino-che-è-stato-salvato, scoprirà che Hogwarts non solo nasconde misteri, venduti come leggende, ma anche il suo oscuro passato...
La nuova generazione dovrà affrontare misteri, intrighi, nuove amicizie e infine, l'amore.
“Essere amati ci protegge. È una cosa che ci resta dentro, nella pelle.”
Può davvero l’amore cambiare le carte che il destino ha messo in tavola?
[Next Generation]
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Eccoci all’ultimo capitolo. Spero davvero di non deludere nessuno. Come ho detto precedentemente, ci sarà una seconda parte. Questo, quindi, lo considero un capitolo aperto, ma risolutivo.
Enjoy.
@Chiara96: Ciao! Grazie mille per la recensione e grazie per aver apprezzato la scena dell’armadio. Era uno spezzatensione in effetti!
@NickyIron: No, Harry non si era accorto di Fanny. Penso fosse troppo, troppo preso ad evitare di non farsi ammazzare da Tom. xD Grazie mille! Spero che le tue congetture non ti abbiano deluso!
@ElseW: Troppi complimenti! Grazie mille! °_* Li adoro sì! XD vediamo se combattere contro Al gli ha giovato! XD
@RoroTheJoy: Davvero? Non ci avevo fatto caso! Anche io adoro i WT! Dimmi se ti piace la canzone per questo capitolo. Ti consiglio di metterla alla fine però, che si riferisce a quella! Ciao!
@Altovoltaggio: Addirittura paragonata a mamma Row! Ma grazie! :D Il concerto è stato favoloso! Certo, anche se ho preferito quello del 2006, c’era meno gente e faceva meno arena di Vasco. Però è stato fantastico, ero proprio sotto il palco! Sotto Dom! T_T Me-ra-vi-glio-so! Purtroppo il coro di Bday non si è sentito! :/
@Sophie: No, non preoccuparti! Fidati di Tommy! XD Non ancora nel senso che Harry ha visto morire molta gente, e questo l’ha traumatizzato. Questo è l’ultimo capitolo! ;) Seconda parte però.

@Pheeny: Grazie mille per i complimenti… eh sì, Jamie/Sy/Rosie sono il nuovo trio XD
@Aga: Grazie per i complimenti! Sì, l’ambientazione era un po’ tanto voluta, mi fa piacere che tu l’abbia notato ^^ Il trio grifondoro è sì ubbidiente in effetti, ma devi ammettere che hanno dei genitori che sanno tenerli per la collottola. XD Comunque prevedo più azione anche per loro.
@Trixina: Ciao! Tu più di tutti mi premeva rispondere, perché mi hai seguito fin dall’inizio. Sì, ci saranno dei momenti Teddy/Vic e si riferiranno al passato, ma anche lei scenderà in campo. Vedremo. Al avrà un bel ruolo, e ringrazia per essere adorato. XD Grazie di tutto Trixina, davvero.
@Ombra: Ciao! Essì, i nostri ragazzacci rimangono gli stessi! XD Grazie per i complimenti e sì, Fanny crea casini, ma del resto empatizza con il suo nuovo padroncino. E Albie fa dei casini! XD
@Mikyvale: Ciao! Ci sarà una seconda parte, dove spero che anche i personaggi secondari avranno più risalto… almeno queste sono le intenzioni. Lily ne avrà, ASSOLUTAMENTE. Spero di non averti deluso con questo capitolo! E grazie per i complimenti e per aver capito i paralleli!
@Andriw9214: Wow! Che letturona ti sei fatta! Mi sento onorata! Anche di averti fatto cambiare idea sulla next generation! Grazie grazie! Non preoccuparti, non ci sono brutte o belle recensioni, e la tua andava più che bene!
 
 
 
****
 
 
Capitolo XLVII


 
 
 
 
La scelta ultima di un uomo quando è portato a trascendere se stesso
è creare o distruggere, amare o odiare.
(Erich Fromm)
 
 
 
Tomba di Silente.
 
Tom aveva gli occhi rossi.
Al se ne rese conto immediatamente, mentre sentiva la presa sulla bacchetta farsi bollente. Quasi fosse la bacchetta stessa ad emanare calore.

Certo, il modo in cui Fanny ha aperto la tomba…
Eppure la sentiva pulsare, contro il suo palmo sudato, mentre Tom lo guardava.
Cercò lo sguardo del padre, spaventato, solo allora capendo quello che aveva fatto.
Ho la bacchetta di Sambuco.
Ed è quella che Doe vuole.
Tom lo guardava per la prima volta dopo ore. Aveva quegli occhi, quello sguardo vitreo, quello dell’imperio.
… cosa ho fatto…
Harry però non lo guardò. Stese la mano e pronunciò un chiaro ‘accio’ mentre la sua bacchetta, la sua unica bacchetta gli ritornava in mano.
“Al, scappa!” Gli gridò. Come in una scena a rallentatore vide il padre cercare di frapporsi tra lui e Thomas, cercando di tornare ad essere il suo avversario.

Ma adesso c’era John Doe.
“Oh, non credo proprio, Salvatore!” La voce del sicario era come carta vetrata contro le sue orecchie. Faceva male, mentre lo scoppio di un incantesimo vicinissimo a lui – vicino a suo padre in realtà – lo accecò brevemente.
Fece qualche passo indietro, coprendosi il viso.
Albus!” Era ancora suo padre ad urlare. Aprì gli occhi e si trovò Tom a pochi passi da lui. “Al, vattene via, scappa! Lascia la bacchetta e scappa!”

Lasciare la bacchetta? No!
Era l’unica cosa che poteva, Dio, difenderlo.
“Scappa!”
A quel punto finalmente riuscì a farsi obbedire dalle proprie gambe. Anche se il suo intero essere si ribellava a quell’idea, e qualcosa dentro di lui tremava e piangeva… Non poteva semplicemente fermarsi.

L’istinto di sopravvivenza azzerò la paura e incespicò sbattendo contro un pinnacolo di roccia prima di correre via.
Doveva uscire di lì.
Sicuramente suo padre era venuto con la sua squadra, con suo zio Ron.
Sicuramente fuori, all’entrata, c’era qualcuno. Qualcuno che avrebbe fermato Thomas, qualcuno che avrebbe sciolto la maledizione. Qualcuno che avrebbe fatto finire quell’incubo.
La bacchetta era rovente e non aveva la minima idea di dove stesse andando. Il lucore tenue della tomba di Silente, dopo che Fanny l’aveva aperta, si era affievolito fino a diventare poco più che un vago luccichio latteo.
La luce azzurrina che proveniva dai muschi abbarbicati alle rocce era malsana e dava un’ombra sfalsata alle cose.
Sbatté con un gomito contro uno spuntone di roccia, sentendo un dolore accecante.

Aveva nelle orecchie il rumore del suo respiro, forte e sincopato come il cuore che gli sbatteva violentemente nel petto.
Aveva paura. Non voleva. Non era giusto.
Non si fermò. Non si stava neppure guardando indietro per vedere se Tom lo stava seguendo.
Lo sapeva, semplicemente.
Quando passi tanto tempo con una persona la percepisci la sua presenza. Acutamente.
Chissà se per i babbani è così o è questione di aura magica…
Sentì uno scoppio e un bagliore rossastro vicinissimo al suo orecchio. La polvere che ne scaturì, aveva colpito a terra, lo fece tossire.
“Tom, smettila!” Urlò, voltandosi indietro.
Era dietro di lui. A parecchi metri, ma camminava.

Sentì il panico serrargli lo stomaco.
Camminava.
Come se non ci fosse bisogno neanche di rincorrermi…
L’entrata era vicina. Non doveva preoccuparsi, solo… arrivarci.
Era sempre più vicina. Doveva essere vicina. Perché non la vedeva?
Poi lo capì: l’entrata era franata, dopo uno dei tanti incantesimi di Tom deviati da suo padre. L’arco di pietra era crollato su se stesso, lasciando un semicerchio poco più alto di una persona. Si apriva sul…
Si fermò di colpo, ansimando.
Si apriva sul vuoto.

Dannazione. È una passaporta. È una maledetta passaporta, non c’è nessun passaggio scavato nella roccia. L’ha rotta!
Non c’era via di uscita. Erano bloccati lì dentro almeno finché qualcuno non ne avesse aperta un’altra da fuori.
Ma non stava arrivando nessuno. Nessuno.
Si voltò sentendo il respiro spezzarsi e il sangue rombargli nelle orecchie.
Tom era a pochi passi da lui. Vicinissimo. Gli occhi vuoti, vitrei come quelli di una bambola non riflettevano nulla. Neanche lui.

E gli stava puntando la bacchetta addosso.
Stupef-
Al sentì il sangue bollirgli impazzito nelle vene e il suo braccio scattò prima che avesse tempo di pensare.

Expelliarmus!
Tom parò il suo incantesimo senza neanche parlare. Un dannato scudo non-verbale, persino di basso livello.
Pareggio.
Non sarebbe durato a lungo. Tom non aveva usato una maledizione, ma…
Non ancora almeno.
Doe gli aveva ordinato di ucciderlo.
E a lui tremavano le mani. Così forte che doveva obbligarsi a tenere la presa sulla bacchetta. Questo la diceva lunga su quanto fosse in grado effettivamente di batterlo. Nei duelli con i fratelli era sempre stato patetico, ricordò con terrore. Il club dei duellanti era una cosa a cui era girato alla larga sin dal primo anno. E la bacchetta gli cadeva in continuazione.
Tom invece era brillante. E aveva l’imperio: rodeva via la sua stanchezza per farlo diventare uno strumento.
Lo sentì muoversi, cercarlo.
Ma a quel punto si era già tuffato tra un colonnato di rocce, scomparendo alla sua vista.
Doveva sopravvivere.
A tutti i costi.
Se fosse morto… se fosse morto Thomas non avrebbe più avuto scampo. Sarebbero stati condannati, entrambi.
Non è giusto. Non è giusto. Non doveva capitare a noi.
A me, che non so difendermi.
A lui, che non sa fermarsi.
Da lontano sentiva gli scoppi degli incantesimi, orribili lampi di luce all’angolo della sua visuale che gli ferivano gli occhi.
Suo padre non poteva aiutarlo, non in quel momento: Doe non gli lasciava scampo.
Nascondi. Nasconditi finché non arriva papà.
Sentì il respiro spezzarsi e ingoiò un sussulto. Era stanco e spaventato. Tutta l’adrenalina l’aveva persa dopo che si era reso conto dell’errore tremendo che aveva commesso.

Nasconditi. Nasconditi.
Serrò le labbra. I passi di Tom erano vicini, ma non riusciva a trovarlo.
Sentiva il suo respiro, simile ad un sibilo riempirgli le orecchie.
No.

Serrò le labbra.
Non è giusto.
Oltre la paura sentiva un grumo di… rabbia. Cristo, era rabbia quella che sentiva rimbombargli nel petto.
Non era giusto che lui e Tom dovessero affrontarsi. Non era giusto che Tom dovesse ucciderlo per ordine di un pazzo psicopatico. Era tutto completamente sbagliato.
Non voglio morire. E lui non deve uccidermi.
L’equazione era semplice, terribile, ma maledettamente semplice: doveva salvarlo.
Infilò la bacchetta dentro la tasca dei pantaloni e si arrampicò lungo la parete di roccia che fino a quel momento l’aveva nascosto. Se fosse riuscito arrivare alla sommità avrebbe potuto vedere Tom senza essere visto. Avrebbe potuto capire dov’era.

Un vantaggio.
I palmi delle mani gli bruciavano, sfregando contro la ghiaia e fu un paio di volte sul punto di scivolare a causa delle scarpe dell’uniforme, ma riuscì ad arrivare fino in cima della grossa stalagmite.
Si affacciò e tirò un brusco respiro che gli si ficcò a fondo nella gola, bruciandola.
Tom era sotto di lui, esattamente a pochi metri in linea d’aria. Si aggirava tra la foresta di stalagmiti, con la bacchetta tesa davanti a sé ad illuminare le porzioni umbratili, dove il muschio fluorescente non cresceva.

Lo cercava.
Com’è possibile che l’imperio gli faccia fare questo… Com’è possibile che lo obblighi ad uccidermi?
In una situazione diversa avrebbe urlato, avrebbe pianto. Ora doveva capire come annullarlo.

Pensa, Al. Pensa.
L’imperius. È la maledizione della volontà. La annienta. Ma una forte volontà può combatterla. Papà l’ha combattuta.
Tom non mi farebbe mai del male.
Mai. Si è quasi fatto ammazzare per salvarmi dai Naga, mi ha nascosto che sapeva chi era la Prynn per mettermi al sicuro…
Poi lo intravide. Un bagliore, un riverbero dovuto ad un’angolazione della luce riflessa dalla bacchetta.
Era un luccichio, ed era attorno al collo. Come una collana, come…
Ha il medaglione! È quello!
Non era solo quello, lo sapeva. Ma era quello che confondeva Tom, che gli aveva fatto avere quegli sbalzi di umore tremendi per quasi tre mesi. Si trattava di fare due più due.
Ora sapeva cosa fare.
Tom doveva solo arrivare sotto di lui. Era un azzardo, avrebbe rischiato di far male ad entrambi, ma a quel punto qualche osso rotto non era certo un problema. Doveva prenderlo di sorpresa e a giudicare da come lo stava cercando in basso, era certo che non avesse capito che era lì.
Non avrebbe mai pensato che il Quidditch gli sarebbe servito fuori dal campo ovale.
Uno schiocco violento, come uno sparo  rimbombò per le pareti, distraendo Tom: adesso aveva la guardia abbassata.

Si lasciò andare e gli piombò addosso. Sentì un rumore soffocato provenire dalle bocca di Tom, e crollarono entrambi a terra. Sentì un dolore tremendo alla spalla, che quasi lo lasciò senza fiato. Non c’era tempo. Infilò la mano dentro la camicia di Tom e trovò la cordicella del medaglione. Gli diede uno strattone violento e quella si spezzò.
Sì!
Lanciò il medaglione oltre le sue spalle, ma a quel punto Tom si era già reso conto della situazione, e si era ripreso dalla sorpresa di sentirsi piombare qualcuno addosso. Lo spinse via da sé e con un colpo violento alle reni Albus si trovò schiacciato contro la roccia, a terra, con Tom sopra, la sua bacchetta premuta sulla carne tenera della gola.

Sgranò gli occhi, mentre il respiro gli si incastrava in gola. Tom aveva il volto vicinissimo al suo e respirava forte, furioso.
Furioso. È un emozione.
Aveva gli occhi di nuovo del suo colore, poteva intravederlo perché erano sopra ad una macchia di licheni che si diramava lungo le stalattiti che formavano il soffitto.
“Tom… Sono io.” Sussurrò. Non riusciva a gridare, la bacchetta sembrava volergli perforare la trachea. “Ti prego. Combatti, dannazione, combattila…”
C’erano solo loro due adesso. Niente medaglione. Solo loro due e la maledizione.
Tom si passò la lingua tra le labbra secche. C’erano di nuovo delle emozioni nei suoi occhi, poteva vederle agitarglisi dentro e fargli fremere i lineamenti. Come una tempesta cupa e violenta sulle scogliere di Dover. Era un immagine assolutamente idiota viste le contingenze, ma ad Al sembrò azzeccata.

Ma era ancora confuso. L’imperio continuava a ottundergli le capacità di ragionamento e l’ordine era ancora valido.
“Falla… finita.” Sussurrò spaventato. Doveva funzionare. “Stupido caprone egocentrico. Se sei tanto brillante, dimostralo. Combatti l’imperio e schiarisciti il cervello. Tu non vuoi uccidermi!” Riuscì a levare le mani, passandogliele lungo le braccia. Aveva i tendini tirati fino alla soglia del dolore, ne era certo. Premette le dita sui bicipiti. Riuscì ad alzarsi, di qualche centimetro necessario per raggiungere la sua bocca. “Se mi ammazzi…” Ormai doveva tentare tutto, e sperava che le favolette della sua infanzia sull’amore salvassero il culo ad entrambi. “Se mi ammazzi, giuro che ti uccido.”
E lo baciò.
 
Un impulso nervoso.
Nella sua vita Tom aveva imparato a classificare tutto, anche le emozioni. Era facile classificarle e dare loro nome e collocazione.
Ma quando si trattava di provarle, ovvio, non c’era logica.
C’era nebbia adesso, dentro la sua testa. Tanta.
Nebbia, rossa, rabbia, dolore e paura.
C’era qualcosa che doveva fare, e doveva farlo. Nessuno scampo. Come respirare.
Se non respiri, muori.
Non riusciva a capire cosa succedeva, agiva.
Aveva visto Harry, aveva combattuto con Harry. Si era reso conto di come il padrino non combattesse neanche alla metà della sua effettiva forza magica. Di come stesse cercando trattenersi, di salvarlo.
Ma lui non poteva fare lo stesso.
E poi c’era stato Albus.
Quell’idiota di Al aveva preso la bacchetta ed era cambiato il comando: l’aveva dovuto cercare.
Era diventato di nuovo tutto confuso.

Gli era piombato addosso e improvvisamente era diventato tutto più chiaro… ma era confuso, era stanco e c’era ancora il comando.
Uccidilo e prendigli la bacchetta. Uccidilo.
Ma era un impulso nervoso che l’aveva spinto a capire che lo stava baciando. Certo, tolto il suo significato, toccare la bocca con la propria era un gesto privo di senso.
L’aveva sempre pensato.
Ma c’era Al, e con quel bacio tutta la sua magia gli era entrata dentro, vibrandogli con una potenza spaventosa, come il vento che saliva dalla brughiera del Devonshire, lo stesso vento che faceva sbattere le finestre della Tana, che frustrava i capelli di Al quando d’estate si librava in alto con la sua scopa, nel cielo, fino a diventare un puntino lontanissimo, che brillava contro il sole.
Al era vento. Secco, pulito, che gli aveva riempito i polmoni…
… E finalmente aveva respirato.
 
Lo sentì staccarsi bruscamente, come scottato, ispirando come dopo una lunga apnea nell’acqua gelata.
Si scostò e tirò via la bacchetta. Lo fece con tale violenza che sbatté contro la parete opposta di roccia, tra le due stalagmiti in cui erano caduti.

Tom!” La gola gli pulsava dolorosamente ma significava che la circolazione nel punto in cui aveva premuto la bacchetta stava ritornando.
Tom lo guardò.

“Ehi… ehi, mi senti?” Gli balbettò, incerto sul muoversi e eliminare la distanza tra di loro. Era finita? Era davvero finita?
“Certo che ti sento…” Sussurrò. Ma parlò, Dio. Era la sua voce sfibrata dalla stanchezza, ma monotona, annoiata. Non avrebbe mai pensato che gli sarebbe mancato essere trattato come un idiota. “Sono a mezzo metro da te e mi stai urlando addosso.”

Probabilmente era solo gioia mischiata al desiderio di rompergli la testa con una pietra. Lo placcò, facendolo sbuffare, afferrandogli la camicia tra le dita, quasi strappandogliela. Non gli importava di essere goffo, né tantomeno di fargli male al momento. Gli morse le labbra, o lo baciò non gli fu ben chiaro e non gli importava finché lo ricambiava con la stessa sollevata disperazione, tenendogli il viso tra le mani.
“Va’ al diavolo!” Gli sbraitò contro. Probabilmente dopo avrebbe pianto per ore, ma al momento aveva solo il bisogno di strattonarlo, picchiarlo e toccarlo. “Stupido imbecille!”

Sentì le sue braccia, magre, piene di angoli e fredde stringerlo, così stretto da far mancare il fiato ad entrambi.  
“Al…” Lo sentì mormorare contro la sua tempia. “Mi hai sentito.”
“Sì… ed hai un modo schifoso per chiedere aiuto.”
Tom sorrise, Al sentì le sue labbra piegarsi contro i suoi capelli in una carezza morbida. “Non può muovermi obiezioni chi ha combinato la cretinata del secolo.”
“… È la Bacchetta di sambuco, vero? Sono diventato il nuovo padrone.”
“Pare di sì.” Sospirò appena. Lo sentiva tremare. Ma andava bene. Poppy lo avrebbe rimesto in sesto, l’avrebbe sgridato fino alla brutalità da convenzione di salvaguardia dei diritti dei maghi, ma sarebbe andato tutto bene.

Tom gli passò le dita trai capelli. “Non è finita.” Mormorò. “C’è ancora John Doe.”  
Fu come una doccia fredda doversi staccare da lui, per alzare il viso, e rendersi conto che suo padre stava ancora combattendo. I lampi si stavano avvicinando, come i rumori.
“Sta venendo a controllare…” Aggiunse, afferrandogli un braccio. “Si sarà reso conto che non c’è stato nessun lampo verde, o rosso. Che non ti ho ucciso. Che non ho il possesso della Bacchetta.”
Al deglutì, sfilandosi la bacchetta dai passanti della cintura. “Tutto per un pezzo di legno…”

Tom inarcò le sopracciglia, sembrando per un attimo assolutamente allibito. Poi stirò un sorrisetto, vicino a rompersi una risata: doloroso proprio perché non c’era niente da sorridere.
Non ancora.
Gli tirò una ciocca di capelli dietro la nuca: non aveva mai avuto bisogno di spiegare che detestava le pacche sulla testa. “Solo tu puoi definire la bacchetta più potente del mondo magico un legnetto Al.
“È quello che è! Almeno… in mano a me.” Si umettò le labbra. “Adesso cosa facciamo?”
Tom non rispose subito: sembrava sul punto di addormentarsi, o di svenire. Era così debole che quando Al si alzò in piedi non esitò neppure tanto prima di tendergli la mano per farsi aiutare.
Però lo sapevano entrambi, dovevano trovare una soluzione.

Tom raccolse la bacchetta, e se la rigirò tra le dita. Era la sua, quella che gli aveva strappato nella grotta, ma non gliela chiese indietro. C’era una luce fioca nei suoi occhi, molto simile a quella di una persona allo stremo. Non glielo fece notare. Non era il momento, gli strinse solo il polso.
Tom gli afferrò la mano, stringendola. Poi parlò.

“Ho un’idea.”



****
 

Harry parò l’ennesimo incantesimo, che gli sfrecciò al lato della testa con un lampo violentissimo.

John Doe sogghignò. “Mi sembri stanco, salvatore…”
“Va’ al diavolo.” Ringhiò, mentre un rivolo di sudore gli scendeva in mezzo agli occhi, fastidioso.
John Doe non era un pesce piccolo. O se lo era, era maledettamente ben addestrato al duello magico.

Era veloce, potente, spietato.
Ed io sono anni che non combatto seriamente con qualcuno…
La scrivania l’aveva intorpidito, i riflessi non erano più quelli di un ragazzo che aveva appesa sopra la propria testa una spada di Damocle.
Erano quelli di un uomo di ufficio e la magia, non utilizzata, si fiaccava.
Comunque, nonostante tutto l’aveva  messo in difficoltà. Il sicario aveva il fiatone come lui, e la potenza mortifera delle sue maledizioni era molto diminuita dall’inizio.
E poi c’era un altro particolare che era un palese segnale di quanto Doe fosse sfinito. I suoi lineamenti si erano infiacchiti, fatti più segnati. Invecchiati.
Quando l’aveva visto per la prima volta gli era sembrato un trentenne. Ora sembrava averne una cinquantina.
“Stanco? Non credo. Se non altro non sono invecchiato.” Motteggiò.
Doe fece una smorfia, passandosi una mano sul viso. Ghignò.
“Che imbarazzo. Credo che dopo avermi visto in queste condizioni dovrò ucciderti, Harry Potter. Ti dirò, sono un po’ nervoso all’idea. In fondo è la prima volta che ammazzo un eroe.”
“Non  ho ancora smesso di respirare, mi sembra.”
“Oh, questione di momenti.”
Il flusso dei rispettivi incantesimi si incontro di nuovo producendo una luminescenza arancione, accecante. Harry strinse i denti, ma quando con uno scoppio i flussi magici si interruppero, Doe aveva ancora la sua bacchetta in mano.

Dannazione.
Era una situazione di stallo.
Per quanto cercasse di disarmarlo, l’altro si difendeva. Per quanto cercasse di colpirlo, ergeva scudi. Alcuni incantesimi neppure li conosceva e solo i riflessi e l’arsenale che ricordava a memoria da quando ormai aveva diciassette anni gli aveva evitato di soccombere.
Lanciò un’occhiata verso il fondo della grotta, verso l’entrata.
E poi c’erano Albus e Tom. Non si sentivano rumori, non c’erano lampi di luce. Non si stavano scontrando.

Questo era un bene? Albus era riuscito a fuggire?
Era un male?
No, non voleva neanche pensare all’eventualità…

Vide nella sua visuale un raggio viola. Fece appena in tempo a deviarlo con un Sortilegio Scudo.
Doe sbuffò. “Ma come? Neppure mi presti attenzione? Mai abbassare la guardia. Mai.” Inarcò le sopracciglia. “Oh, perdonami. Sarai preoccupato per i bambini. Che dici, chi dei due ha ammazzato l’altro?”
“Figlio di puttana!” Ruggì furioso. “Stupeficium!”
“Devi fare meglio di così, Salvatore!” Rise l’uomo, vanificandolo con una robusta diversione della bacchetta che lo fece scoppiare in migliaia di scintille rosse. “Che ne dici di una bella maledizione? Al Ministero non saranno tanto contenti, ma ehi… il mezzo giustifica il fine. O hai paura di perdere la tua immagine da brav’uomo?”
Harry serrò la mascella. Usare le Maledizioni Senza Perdono.
Oh, in quel momento aveva sufficiente forza di volontà per uccidere una decina di John Doe.

Ma non poteva.
Le Maledizioni Senza Perdono erano qualcosa che apparteneva ai cattivi della sua storia personale, di quella dell’Inghilterra magica. Solo una volta l’aveva scagliata, contro Bellatrix Lestrange, fuori di sé dalla rabbia. Ma non aveva funzionato.
 
‘Ma devi volerlo, Harry…Devi voler uccidere.’

Sentiva la voce strisciante di Voldemort risalirgli lungo la china dei ricordi, fare il nido nelle sue orecchie, balenargli davanti agli occhi.
Tom…

Il suo bambino silenzioso, quello che si addormentava tutto rigido sulla moto per non raggomitolarglisi contro come ogni bambino normale, perché si vergognava.
Thomas, con quegli occhi rossi.

Oh, se lo voleva uccidere.
Ma non poteva.
Si aggiustò gli occhiali, sentendoli pesanti come macigni. “Io non sono un assassino.”
“Ah no?” Interloquì Doe con un sorriso sgradevole quando i suoi lineamenti indeboliti dalla fatica. “La tua fama non riposa sui cadaveri dei tuoi nemici?”

“Ho fatto ciò che dovevo.” Sillabò aspro. “E non devo giustificarmi con te, né con nessun altro.”
È così che ha messo in crisi Thomas? Con le domande, con piccole esche…
Maledizione, capisco perché ci sia caduto. Alla sua età avrei fatto lo stesso, se non avessi avuto Silente e Sirius…
 
“Tu non sei una persona cattiva Harry, sei una persona buonissima a cui sono successe cose cattive. Tutti portiamo luce ed ombra dentro di noi. Ciò che conta è da che parte scegliamo di agire. Questo è ciò che siamo.”¹
 
Sirius poteva aver avuti tanti colpi di testa, tanti difetti, primo trai quali averlo considerato la copia di suo padre.
Ma quel discorso non l’aveva mai dimenticato e l’aveva fatto suo.

Avrebbe dovuto dirlo a Thomas, quando c’era ancora tempo.
“Pensi che sia un ragazzino influenzabile? Ti avverto che già altri ci hanno provato prima di te.” Fece un sorriso quieto. “E ti assicuro che non ha funzionato. Sono ancora qui.”
Doe tese le labbra in una smorfia, poi guardò qualcosa oltre le sue spalle. E ghignò.

Era un largo, orribile ghigno felice. Possibile che i cattivi sorridessero tutti nella stessa melliflua maniera?
“Non sto bluffando. Voltati, salvatore di mondi.” Fece una pausa. “Ciao Thomas.”


“Doe.”


Si voltò di scatto, con il cuore in gola e un orribile senso di smarrimento. Per un attimo, solo per un attimo, desiderò poter tornare ragazzo ed avere di nuovo qualcuno a coprirgli le spalle, e dire cosa fare.
Tom era da solo, e stringeva in mano… la Bacchetta.
Doe non abbassò la sua, non era così stupido, ma gli occhi gli brillavano di soddisfazione. Una gioia selvaggia. “Bravo il mio ragazzo. Avanti, vieni qui. Fai vedere ad Harry la tua nuova bacchetta.”
Tom mosse qualche passo.  

Al? Dov’è Al?
“Tom, dov’è Al?” Sussurrò sentendo la voce graffiargli la gola. Merlino, non poteva essere.
Il ragazzo non gli rispose, ma si voltò verso di lui.
L’espressione di gioia di Doe era troppa, perché si accorgesse dei dettagli.

Harry non capì subito. Era stanco, sfibrato e Tom davvero, sembrava…
Poi lo notò.
Tom non aveva gli occhi rossi. Li aveva blu. Di quel blu straordinario, che a volte, quando era in penombra sembrava ossidiana. Il colore del mare profondo.
I suoi occhi.
“Vieni Thomas… Harry non ti farà del male.” Fece un ghigno sarcastico. “Sai, lui è un eroe.” Tese la mano. “Dammi la bacchetta.”
Tom si avvicinò, tendendogliela dalla parte del manico.
Tom, no!” Gli gridò, disperato. Non voleva schiantarlo. Non poteva farlo, quando era evidente che qualsiasi incantesimo l’avesse colpito avrebbe rischiato di ucciderlo. Si reggeva a malapena in piedi. E lui stesso non era certo di poter calibrare uno schiantesimo in modo tale da farlo semplicemente svenire.
Il ragazzo non si voltò, raggiunse Doe.
“Tuo padre sarebbe fiero di te, ragazzo.” Lo apostrofò l’uomo, facendo per afferrare la bacchetta. Non c’era brama nel suo sguardo, solo la soddisfazione di aver concluso la missione. Harry era certo che a John Doe non interessava quella bacchetta.
Tom a quel punto si fermò. Inarcò le sopracciglia.
“Mio padre dice sempre che non bisogna fidarsi dei chiacchieroni. Devo ammetterlo, per essere un babbano aveva ragione.” Ritirò il braccio di scatto facendo afferrare all’uomo soltanto l’aria. “Tu parli troppo.” Si scostò dalla traiettoria, dalla traiettoria di qualcuno che Harry vide muoversi alle sue spalle.
Era Al, con di nuovo la sua bacchetta in mano.
Petrificus Totalus!
Doe non se l’aspettava era evidente. La sorpresa gli si dipinse in volto, pura e sgomenta prima di crollare a terra come un sacco, immobile come una statua di cera.
Harry ricordò di colpo come per Al fosse sempre stato difficile scandire precisamente gli incantesimi in situazioni di stress. In quel momento l’espressione del figlio riflesse quella di Ginny. Era dura, brillante.

“Albus!” Tenne d’occhio Doe, ma corsa da lui. “Al, stai bene?”
Il ragazzo inspirò, guardando la propria bacchetta. “Ora che ho la mia bacchetta sì…” Mormorò, con un’ombra di sorriso. “Ora sì. Mi… mi dispiace papà. Ho fatto un casino.”

Harry gli passò un braccio attorno alle spalle, tirandoselo contro. Al ricambiò l’abbraccio, stringendolo come quando da bambino lo vedeva materializzarsi dopo una lunga missione.
“Non dire sciocchezze.” Gli sussurrò trai capelli, cercando di frenare il groppo alla gola. Suo figlio non aveva bisogno certo di un genitore scosso in quel momento. “Sei stato grandioso.”
“Preferisco rimanere me stesso, grazie.” Mugugnò, facendolo ridere.
Tom intanto si avvicinò a Doe, calciandogli via la bacchetta dalla mano. Harry capì subito che non andavano lasciati da soli. Per nessun dannatissimo motivo, e ne ebbe la conferma quando vide l’espressione di Tom.

Il ragazzo teneva la bacchetta contro l’uomo che lo fissava sgomento, per la prima volta con un’espressione di terrore dipinta in viso.
“Cosa dici, Doe, anche se non sono il padrone, funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al, staccandosi dal suo abbraccio. “No! Sei impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.” Lo richiamò Harry. Conosceva quell’espressione. L’aveva vista sin troppe volte in guerra addosso a lui o ai suoi amici. Vendetta. Il ragazzo era teso come una corda, la mascella serrata.  

“Non me ne importa nulla. Neppure io la valgo.” Gli lanciò un’occhiata bruciante. “Tu sai. Non è così?”
Harry non rispose subito. Fece solo un paio di passi, facendo cenno a Al di restare fermo. Era quello il momento cruciale: il figlioccio era in sé, ma lo shock di quei giorni di prigionia, la rabbia e la paura lo rendevano molto più pericoloso che sotto imperio.

Troppi giovani assassini erano nati così, durante la guerra.
“Sì. So tutto. E non mi importa.” Disse piano. “Tu sarai sempre il mio figlioccio. Sei…”
“Sono Voldemort.” Lo trafisse con lo sguardo, quasi sfidandolo a contraddirlo. “Sono la sua anima.”
“Voldemort era la mia nemesi, l’uomo che ha ucciso la mia famiglia e distrutto la mia infanzia.” Un altro passo e gli fu accanto. “Non possiamo decidere come nascere, o da chi. Ma possiamo decidere chi essere. Una volta una persona mi disse che siamo le nostre scelte. Puoi mettere fine alla sua vita. Credimi, lo capirei. Ti ha fatto del male, ti ha ingannato e ti ha quasi costretto ad uccidere Albus facendoti diventare un assassino.”
Tom non lo guardava. Fissava la smorfia scomposta dell’uomo sotto di lui, immobile e incapace.
Non faceva più paura adesso.  

Sembra solo un patetico ometto…
“Oppure?” Chiese. “L’altra opzione, Harry.”
Il tono era indifferente, ma Harry sentì la disperazione. La percepì nello sguardo, nella postura, nel modo in cui lo guardava di sottecchi.
Lo stava sfidando a dargli la risposta giusta.
“Oppure puoi scegliere di dispiacerti per lui. Sei tu che hai la sua vita nelle tue mani adesso. La pietà è uno dei sentimenti più difficili da provare al mondo. Voldemort non l’ha mai provata in vita sua.”
“Non mi sento particolarmente pietoso…” Sussurrò, ma abbassò la Bacchetta chiudendo gli occhi. Non lo guardò mentre gliela consegnava. 

Al dietro di lui respirò di sollievo. Deglutì, guardandosi attorno nervosamente.
“Possiamo andarcene adesso?” Chiese spezzando il silenzio. “Questo posto mi dà i brividi.”
Harry annuì  e con un cenno leggero del polso tirò in piedi Doe, pronunciando a mezza voce un incarcerarmus per legarlo.
Tom raggiunse Al. Harry lo vide tirargli un leggero colpo contro la spalla con la propria. Poi non si scostò, rimase lì, accanto al figlio. Al gli sorrise.
C’era un linguaggio segreto tra quei due, Harry l’aveva sempre saputo: probabilmente era quello che li aveva salvati.  
“Ho ancora voglia di ucciderlo.” Mormorò quando Harry si fu assicurato di tenere di fronte a sé Doe, con la bacchetta premuta sulla schiena. Incedevano per la grotta lentamente, stanchi. Al aveva il braccio di Tom attorno alle spalle. Lo sosteneva; era palese che con l’azione di prima doveva aver esaurito tutte le forze.

“Comprensibile.” Gli sorrise appena. “Sei umano.”  
Tom non rispose.
Arrivarono all’entrata. Al si morse un labbro, guardando il padre che soffocò un’imprecazione.
“Sapevo di averla colpita…” Disse tra sé e sé. “Dovremo aspettare che riattivino il passaggio dall’esterno. Ora come ora la passaporta è inutilizzabile.”
Al spiò l’arco di pietra semi-franato: prima non aveva avuto il coraggio di passarci in mezzo, ed evidentemente aveva fatto bene a dar retta al suo elevato istinto di conservazione.

Serpeverde per la vita.
“Perché? C’è ancora il passaggio…” Chiese comunque.
“Sì, ma non è più collegato magicamente all’esterno.” Gli spiegò il padre, con un sospiro.
“Come comunichiamo con l’esterno?” Al si rabbuiò. “C’è un modo?”
“Temo di no… Ma credo si siano accorti che il passaggio è stato compromesso anche da fuori. Verranno a prenderci, sta’ tranquillo.”

“Potresti chiedere alla tua fenice.” Esordì Tom nel silenzio.
Fenice?” Harry batté le palpebre, attonito. “Quale fenice?”
Tom inarcò appena le sopracciglia. “Quella che c’era prima. Ero sotto imperio Harry, e l’ho notata persino io. Volteggiava sopra la tomba di Silente, e poi è scomparsa in una gigantesca fiammata. Ma ti dava le spalle, in effetti.”
Al arrossì, sotto lo sguardo sbalordito di suo padre. “È… l’ho trovata nel bosco un paio di settimane fa. Mi ha seguito e mi ha portato qui. L’ho chiamata Fanny. Anche se non so se sia quella Fanny.” Si schiarì la voce, chiamandola. Se Tom non avesse detto che anche lui l’aveva vista, avrebbe pensato ad un’allucinazione. Dopo avergli aperto la tomba infatti era scomparsa.
Si sentì un canto, che Harry ricordò come se non fossero passati vent’anni da quando l’aveva vista l’ultima volta. Certo, poteva non essere quella fenice…
Ma di certo le somigliava mentre planava dolcemente sul braccio di suo figlio.

“È straordinario…” Sussurrò rapito, guardandola. Era un esemplare giovane, e le dita di Al le carezzavano con naturalezza le piume. “Al, credo che ti abbia scelto come padrone… Ed è una cosa che succede raramente.”
“Siamo solo amici.” Rispose con un mezzo sorriso, facendosi beccare affettuosamente il lobo dell’orecchio. “E poi ho già Anacleto.”
Harry abbozzò un sorriso, nascondendo una risata. “Merlino Al! Non so se ti rendi conto, ma…”
Certo che me ne rendo conto.” Lo fermò serio. “E non me ne importa nulla. Io voglio diventare un medimago. Non sono un nuovo Silente. Mi basta avere il suo nome. Davvero.”
Harry lo guardo incredulo, prima di ridacchiare. Era così da Al un ragionamento del genere, così umile ed insieme cocciuto che si sentì un idiota ad aver pensato che avrebbe avuto problemi con la questione della Bacchetta, che potesse esserne attratto: suo figlio aveva le idee chiare. Non era interessati alle luci della ribalta, né tantomeno ad entrarci, anche se perfettamente legittimato a questo punto.

“Diventerai un gran mago, Albie.”
Il ragazzo, prevedibilmente, sbuffò. “È Al, papà.”  Poi diede un colpetto con le dita, gentile all’ala destra della fenice. “Avverti le persone qua sopra, Fanny. Avverti che siamo qui ed abbiamo bisogno di aiuto per uscire.” Guardò il padre, come a cercare conferma. Harry gli sorrise ed annuì. Al stese il braccio e lasciò che Fanny volasse via.

Era finita adesso, giusto?
 
Accadde tutto all’improvviso.
Era così che succedeva nella realtà: le cose orribili non accadevano mai a rallentatore, ma in una semplice, ridicola, frazione di secondo.
 
Tom si era subito accorto che sia Al che Harry non stavano affatto badando a John Doe.
La sorpresa di trovarsi una fenice tra le mani aveva distratto entrambi. Comprensibile, ma lui conosceva bene quell’uomo.
E persino legato e stordito era un pericolo.
Lo era.
Perché lo vide di nuovo sorridere.
Mormorò qualcosa a fior di labbra, mentre Harry e Albus seguivano il volo colorato della fenice, una macchia di fuoco in mezzo a tutto quel celeste opalescente.

Un incantesimo non-verbale.
Se era rimasto in silenzio tutto quel tempo non era perché era stato vinto.
Ma perché stava cercando di rompere l’incarcerarmus.
Le corde gli caddero di dosso, come serpenti morti. E Tom seppe con calcolata precisione che era ad Al che mirava, al nuovo possessore della Bacchetta.  
John Doe voleva ancora finire il suo compito.
Se non sono io, sarà lui.
Tirò fuori dalla tasca della giacca un’altra bacchetta – come potevano essere stati così stupidi a non supporre che un sicario ne avesse una di ricambio? – e gliela puntò contro.
Tom vide gli occhi del ragazzo fissarsi su Doe e sgranarsi, grandi, enormi, spaventati.

Harry si voltò di scatto, ma non avrebbe mai fatto in tempo: aveva la bacchetta abbassata.
Tom allora capì cosa doveva fare.
Era semplice.
Si liberò dalla presa di Al e spinse, con tutte le forze Doe fuori dalla traiettoria di tiro, afferrandogli un braccio. Sentì il suo corpo urlare di dolore per il movimento brusco e il ringhio rabbioso dell’uomo.
Non c’era stato altro tempo, se non per fare quello, ma la spinta li sbilanciò facendoli cadere dentro l’arco della passaporta.
L’ultima cosa che sentì fu Albus urlare il suo nome.  

Scusa Al.
E poi fu inghiottito dal buio.
 
****
 
 
Poteva succedere qualcosa del genere. Poteva, sì, certo. Era plausibilissimo.
Ma non avrebbe dovuto.
 
Rose sentiva il fiato corto mentre affrontava l’ultima rampa di scale della Torre di Astronomia.
James era tornato neanche cinque minuti prima ai dormitori, di nuovo con il Mantello e con un’espressione scombussolata.
Come se non potesse crederci.
E chi ci poteva credere? Pensò sentendo i passi di Scorpius e James dietro di sé, distanziati, perché probabilmente per la prima volta nella sua bibliofila vita stava correndo più di due atleti.
Perché sì, era tutto finito.
Al era salvo, i Doni della Morte erano di nuovo al sicuro e suo zio e suo padre si stavano occupando di tutto, assieme al sergente Smith.
Ma Tom…
Salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola.
Sapeva che avrebbe trovato lì Albus, come sapeva che non sarebbe rimasto in infermeria ad attendere zia Ginny per essere portato via.

Al dava le spalle all’entrata, con le mani appoggiate sulla ringhiera.
Volle chiamarlo, ma non ci riuscì. Non subito almeno.

Che senso aveva poi, visto che non sapeva cosa dirgli?
Scorpius la raggiunse, sbuffando, mentre le metteva una mano sulla spalla. “Da quando corri così veloce?”
“Istinto del Clan Potter-Weasley.” Mormorò senza riuscire a sorridere.

Thomas era caduto dentro la passaporta rotta. Ed era scomparso.  
Teddy, arrivato poco dopo James, aveva loro spiegato che era il primo caso di smaterializzazione di quel genere. Che erano stati chiamati degli esperti dal Ministero, che avrebbero fatto delle ricerche, perché sfortunatamente – Teddy aveva solo riportato le parole di  Smith o era certa che avrebbe dovuto ucciderlo - non esistevano incantesimi per far riapparire qualcuno.
Non in quel modo.
Teddy aveva anche detto che c’erano buone possibilità che la passaporta l’avesse trasferito in un luogo fisico.
Ma non era dato sapere quale.
James si schiarì la voce. La luna in cielo si stagliava, esile, un quarto di luna. “Va’ da lui.” Mormorò. “Noi… beh, siamo maschi. Non è proprio il caso, ecco.” Aggiunse.
Rose deglutì, ma non fece obiezioni. Era il suo Potter, quello, anche se in quel momento non le era mai sembrato così distante.
Si avvicinò, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui.

Albus aveva un grosso cerotto sulla guancia e il mantello di Harry addosso. I capelli arruffati gli cadevano sugli occhi, nascondendogli l’espressione.
“Il coprifuoco?” Le chiese piano.
“Al diavolo il coprifuoco.” Rispose. “Stai bene?”
“Sono vivo. E non avrei dovuto esserlo.” Si scostò una ciocca di capelli. “Tom mi ha salvato.”
“… Lo so.” Esitò. “Al, io…”
“Tornerà.” La interruppe, guardando un punto imprecisato, che Rose non riuscì ad individuare. Era oltre la macchia degli alberi della Foresta Proibita. Forse addirittura oltre le montagne.

Lo stai cercando, Al?
“Certo…” Dio, che avrebbe dovuto dirgli? Che forse gli era successa la stessa cosa accaduta a Sirius Black, come aveva ipotizzato Teddy? Che forse era svanito nel nulla?
“No. Lo so che non mi credi.” Al scosse la testa. Non piangeva. Non era pallido. Non era sconvolto. Era tranquillo, realizzò Rose stupita. Non ci credeva a quello che diceva, ne era certo. “Tom è vivo e tornerà.”
Rose inspirò, sentendosi orribile quando lo disse. Ma non poteva non dirlo.

Non era sempre facile essere amica di qualcuno.
Anzi, a volte è un fottuto schifo.
“Al… non sanno se la passaporta, in quelle condizioni, si sia attivata o se invece… lo abbia…”
Al la guardò. Era uno sguardo pulito come il vetro e penetrante nello stesso modo.

“Tu che probabilità sceglieresti, Rosie?” Le chiese. “Sapendo che il ragazzo che ami ti ha salvato la vita con la sua?”
Rose si voltò verso Scorpius. Aveva ascoltato, come James. Erano rimasti in disparte, ma c’erano.
Lo sapeva anche Al, si capiva dalla postura delle spalle. Sapeva di averle coperte, adesso.
“Sceglierei…” Esitò, poi continuò più sicura. “… Sceglierei quella in cui faremo i MAGO dell’ultimo anno assieme e lo batterò miseramente.”  

Al abbassò lo sguardo e finalmente si lasciò stringere in un abbraccio.
“Lo odio…” Sussurrò contro la sua spalla. “È un vero idiota.”
Rose inghiottì il groppo di lacrime che avrebbe rovinato tutto. “Certo che lo è. Ma non penso lo sia al punto da non saper tornare indietro, no?”
Al rise appena. Un suono tenero e fragile come una piuma di zucchero. Lo strinse forte, perché era giusto così e perché era quello che avrebbe fatto finché Tom non sarebbe tornato.

“Tornerà da te, Al. Perché prima o poi si torna sempre a casa.”
 
 
****
 
 
 
Le onde frustavano dolcemente la risacca, lasciando una spuma soffice e del colore del latte.
Dopo ogni tempesta, arrivava sempre il sereno per le bianche scogliere calcaree che tanti pittori avevano dipinto e tanti poeti avevano decantato.
E quando la tempesta lasciava la costa, quando l’acqua tornava ad incresparsi dolcemente, c’era sempre qualcosa che lasciava in regalo, quasi a volersi scusare di aver maltrattato gli isolani. 
 
Oma! Oma guarda! C’è un ragazzo sulla spiaggia!”
“Meike, vieni qui! Un ragazzo? Non fare la sciocca!”
“Ma no, è vero ti dico! Vieni a vedere, guarda!”
“Oh, per l’inferno di Nurmengard…”
“Ti dicevo la verità, hai visto? Com’è bello… Sembra un principe addormentato! Viene dal mare, oma? Dici che viene dal mare, come la Sirenetta?”

“No, bambina mia… Non viene dal mare.” Aveva spostato con le dita una ciocca di capelli fradici dal viso del ragazzo. Erano color dell’ala di un corvo. Sua nipote aveva ragione, dall’alto dei suoi pochi anni di vita. Aveva la bellezza di un principe. E la tristezza di un naufrago.
“Allora da dove viene?”
“Non lo so, tesoro mio. Ma credo che abbia perso la strada di casa.”
 
 


One of these days the sky's gonna break and everything will escape and I'll know

One of these days the mountains are gonna fall into the sea and they'll know
That you and I were made for this
But until that day I'll find a way to let everybody know that you're coming back,
you're coming back for me²


 
 
 
 
****


 
Note:
Finita!

Eddai, lo sapete (ormai l’ho detto a chiunque) ci sarà una seconda parte.
Fatemi organizzare, fidatemi di me, che anche se adoro i finali aperti adoro più gli happy-endings.
Sul serio.
Per farmi perdonare, ecco l’ultimo capolavoro di Iksia. Non potete odiarlo, è Tom Quindi per favore, non odiate me. *occhioni brillosi*
 
1 – Da “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”
2 - Qui la canzone. Ascoltatela, perché giuro che l’ho scelta la prima volta che l’ho sentita. Ho saputo subito che era la canzone finale della prima parte.
  
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