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Autore: CieloSenzaLuna    18/06/2010    2 recensioni
Esistono davvero i principi azzurri?
Quelli che ti rapiscono e ti fanno volare, quelli che ti fanno sognare ad occhi aperti tra le loro braccia.
Quelli che sono per sempre.
Possono essere reali?
Possono essere eterni?
Secondo me no.
[SOSPESO: credo che mi manchi l'ispirazione. L'aspetto con ansia. Non ci posso fare niente, la mia mano non ha voglia di scrivere.]
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 – DAMMI IL TUO SORRISO; REGALAMI UNA CANZONE.


Sdraiata sulla sabbia calda mi sembra tutto più semplice... tutto più comodo e colorato. Il sole mi picchia sulla fronte nuda e vedo ancora la sua luce attraverso le palpebre abbassate. Le onde in lontananza, il vento che mi fa venire brividi di freddo sulle gambe ambrate. Pace. Solo questo. Solo quello che mi serve.
Adesso comincio anche a sentire della musica … sto diventando pazza. Credevo di essere l’unica, strana, complicata persona su questa spiaggia vuota. Però questa melodia mi piace. È tremendamente magnetica. Mi appoggio sui gomiti e socchiudo gli occhi, cercando quella chitarra. La chitarra.
Eccola. Bella, lucida, coi riflessi dorati sul legno scuro. E poi, un ragazzo. Seduto sulla gradinata di pietra, gli occhi grigio-blu verso la sua musa, le dita lunghe tra le sue corde, i capelli neri arruffati sulle orecchie. Piega gli angoli della bocca rosea in quello che mi sembra un mezzo sorriso. Ironico. Adoro l’ironia.
Continua a concentrarsi sullo strumento, non degnandomi di uno sguardo.
Chiudo gli occhi e ascolto, trasportata in un mondo che non mi appartiene. Nel suo nascondiglio segreto, pieno di note e corde di chitarra stuzzicate e di profumo d’estate e di cocco. Delirio. Magica follia che riempie anche gli spazi più vuoti, le persone, i cuori, le menti. Mi immagino su un enorme pentagramma, disegnato da una mano delicata, con una penna sottile. Immagino di ballare con le chiavi di violino, finché Morfeo non mi accoglie tra le sue grandi braccia.

Vengo risvegliata da un tuono spaventoso e due nuvole piene e nere che riversano le loro lacrime sul mio viso. Dov’è la chitarra? Il mio pentagramma e le sue note? Quegli occhi grigi e profondi, come il cielo in questo momento? Spariti. Tutti, avvolti nella nebbia che aspira ogni cosa.
Dalla finestra di casa si vede la luna. È piccola e sottile e sorride timidamente, quasi non volesse farsi vedere. Mi piacerebbe nuotare nel suo oceano blu, dove lei galleggia adesso. Sedermi su una stella e far penzolare i piedi nel vuoto, fino a sentire il ghiaccio dentro le ossa, il corpo freddo e distante. Invece non posso. Sono incatenata qui, nella mia stanza a rivedere nella mente quegli occhi grigio fumo, senza sapere il motivo. Ma per una volta, non penso ai miei problemi. E questo è un bene.

Giorno dopo giorno torno sempre alla spiaggia. Come se ci fosse un istinto nascosto, qualcosa che mi richiama incessantemente. Credo che sia la voglia di rivedere quegli occhi chiari, quel sorriso sarcastico. Credo che sia la voglia di ascoltare ancora, anche se fosse l’ultima volta, quella canzone. E ogni volta il ragazzo c’è. Sempre sulla gradinata che arriva alla distesa di granelli biondi che si accalcano l’uno sull’altro.
È il nostro posto. Lì dove non c’è mai nessuno e dove le onde ti cercano, quasi ululando. Fedeli a qualcuno che non conoscono. Lì dove io mi sdraio sulla schiena e la chitarra parte col suo ritmo veloce e allegro. C’è tutto, come quel primo giorno di metà maggio.
Manca solo una cosa … il suo sorriso. Non lo vedo più. Scomparso in quella nebbia lontana e mai ritornato. Gliel’hanno rubato. Una delle cose più preziose al mondo, che a nessuno dovrebbe mancare. Vorrei mostrargli quella luna che avevo visto, per dimostrargli che il sorriso deve esserci. Anche la luna sorrideva. Allora perché lui no?

Un pomeriggio ventilato e soleggiato mi siedo al suo fianco, sul gradino freddo. Lui continua a suonare, impassibile. Lo guardo, attenta, per un’eternità, e ne studio il volto affilato, duro e compatto. Cerco quell’increspatura delle labbra, ma non c’è.
Vedo che vicino ai suoi piedi nudi, immersi nella sabbia, c’è una scatoletta. Vuota e metallica. La osservo meglio e capisco che il ragazzo vuole raccogliere soldi. È uno di quegli artisti di strada, che si spostano per cercare fortuna. Infilo la mano dentro la tasca dei jeans e trovo una moneta. Vale poco, ma la butto nella scatola.
“Grazie, ma non mi devi nulla.” Mi dice, senza alzare gli occhi dal legno lavorato appoggiato alle sue gambe.
“Non è un buon posto per cercare fortuna, sai? Qui non c’è molto pubblico, a quanto vedo.”
“Non cerco pubblico.”
“E allora che cosa?” Curiosa e ingenua, voglio parlargli. È misterioso, con quelle ciocche color carbone sugli occhi. Voglio sapere, scoprire, imparare. Voglio ballare con lui sul mio pentagramma.
“Un sorriso.” Prende la monetina minuscola che gli ho donato tra le dita affusolate e me la porge, appoggiandola sul palmo della mia mano.
E allora io rimango lì a fissarlo, senza sapere bene cosa rispondere, senza capire le sue parole. Lui ricomincia a pizzicare le corde della sua chitarra, la musica riprende.

Dalla mia finestra, oggi, non si vede la luna. È triste. Io mi sento malinconica più del solito.
Decido di immergermi nella vasca, con l’acqua calda e la schiuma e il vapore che si appiccica alla superficie dello specchio. Rimango a mollo per molto tempo, fin quando sento che la pelle è tutta accartocciata e ruvida. Esco e bagno le piastrelle fredde, avvolta nell’accappatoio.

“Quanti anni hai?” Questa volta è lui che parla, affianco a me. Mi guarda in faccia per la prima volta, forse.
“Quindici. E tu?” È strano perché non mi ha chiesto il mio nome. Forse vuole rimanere nell’anonimo.
“Diciotto. Ti piace la spiaggia?”
“Sì, molto! Adoro il rumore sordo delle onde blu, i gabbiani che si posano tra i cespugli, il sole che tramonta sull’orizzonte, la sabbia calda tra i piedi, le conchiglie bianche e violette tra gli scogli. Le stelle marine colorate sul fondale, l’acqua smeraldina, i ricci di mare pieni di spine, le nuvole che si rincorrono e …”
Con una risata mi blocca. Mi sento in imbarazzo e avvampo all’istante, rendendomi conto della lunghezza del mio discorso. Però ha proprio un bel sorriso. Splendente. Comincio a balbettare qualcosa di insensato.
“Hai una bella parlantina.” Dice, ricomponendosi e annuendo.
“Hai un bel sorriso.” Non so perché l’ho detto. Mi sento maledettamente stupida.
“Sai …” comincia, alzando gli occhi verso il mare “Ultimamente non vedo sorrisi sulle persone che mi stanno attorno. Io stesso ormai non sorrido più … però tu mi hai fatto ridere. E per questo ti sono riconoscente, davvero.” Ricomincia a guardarmi nei miei occhi mogano.
“È per questo che raccogli sorrisi?”
“Mia madre dice che dovrei racimolare qualche soldo, con la mia stupida musica. Adesso che mio padre non c’è più siamo rimasti in tre fratelli più lei. I parenti pensano che dovrei darmi da fare per la famiglia.”
“Io non la considero affatto stupida, la tua musica.” Affermo, scuotendo la testa e sistemandomi una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
“Nemmeno io. Suono soltanto perché questa venga apprezzata. Voglio costruirmi un futuro e lavorare seriamente per raccogliere denaro. Studiare e andare avanti.”
“Come ti chiami?” Gli domando subito, prima che possa sfuggirmi.
“Lo vuoi davvero sapere? Perché mai?”
“Mi interessa … e poi suoni bene!” Esclamo, facendogli l’occhiolino. Lui sghignazza.
“Mi chiamo William.”
“Allora buona fortuna per il futuro che vuoi costruirti, William.”
Rimango un po’ in silenzio, aspettando che mi faccia anche lui la domanda. Invece non succede niente.
“Credo che ricevere un sorriso da qualcuno sia una delle cose migliori che ti possano capitare. Non succede molto spesso, sai?” Mi piace. Passa da un discorso all’altro come se niente fosse. Mi assomiglia.
“Ultimamente la tua musica è molto malinconica. Un sorriso è quello che ti serve. Deve essere dura.”
“Sei la prima persona che non mi fa le condoglianze o non dice semplicemente che le dispiace.”
“Penso che le parole non servano, in certi casi. Non cambia nulla se ti piangi addosso o ti dispiace.”
Silenzio.
“Grazie, Anne.” Anne? Come conosce il mio nome? A quel punto torna a suonare e a concentrarsi sulla sua musica. La sua vita, forse. Quando comincia con la chitarra non lo interrompo. Non si può. Mi alzo e cammino sul bagnasciuga, verso il molo diroccato, al di là del faro rosso e bianco. Passeggio ininterrottamente, fino a sentire la musica del giovane artista in lontananza.

Mi siedo su una panchina di legno consumato, umido. Stringo le gambe tra le braccia lunghe e le porto al petto. La mia testa sprofonda tra le ginocchia dure e comincio a piangere. Non so perché. Magari per la storia di William, per la mia debolezza, per il tempo che passa, per la luna che se n’è andata, per lo stress. Un pianto silenzioso è il mio. Solo lacrime salate che mi ricordano il mare. Gocce. Acqua. Dolore.

Sabato. Finalmente. Sdraiata sul muretto del promontorio che si getta sul mare, osservo le nuvole. Si muovono incostantemente, sono senza regole, ribelli e furbe. Scappano e corrono, il vento loro amico. William non c’è. Forse è meglio così. Ultimamente le mie giornate le passavo con lui, il raccoglitore di sorrisi. Però mi manca. Voglio cancellarlo via dalla memoria, ma sarebbe come cercare di togliere una macchia indelebile dal foglio immacolato. La mia vita non può girare attorno a lui, anche se in realtà voglio proprio che sia così …
Mi sento rifiutata. Mi sento una bambina depressa e stanca. Mi sento una vecchia con le ossa rotte. Mi sento male. Mi sento diversa, cattiva, egoista. Mi sento fortunata e anche il contrario, mi sento piena di domande a cui non so rispondere.
Dei passi interrompono la mia crisi interiore. Mi alzo a sedere e porto una mano sulla fronte, per ripararmi dal sole cocente. Non riesco ancora a riconoscere il profilo a cui appartengono quei piedi, che una fantastica melodia comincia a riempire il vuoto della giornata.
Io non parlo. Non lo interrompo e lui si butta nella sua corsa, la sua sfida. Mi siedo con la schiena rivolta verso di lui. Guardo lontano, dove vorrei arrivare, in quella tempesta di note e colori e profumi delicati.
“Ciao principessa.” Arrossisco leggermente, mentre lui mi sembra indifferente.
“Buongiorno messere. Come andiamo?” Domando con un pizzico di divertimento sulla lingua.
“Divinamente.” E si siede al mio fianco, con gli occhi verso il mare calmo e remoto.
“Come mai qui? Non dovresti essere in spiaggia?”
“Sono venuto a cercarla, signorina.”
“Che succede?” Mi preoccupo, io.
“Volevo chiederti se ti va … se ti va di darmi il tuo sorriso. Solo uno.” E alza le spalle, sorridendo.
“Facciamo un patto” gli dico, stando al gioco “Se tu mi regali una canzone, io ti cedo un mio sorriso.” E gli faccio l’occhiolino, ridendo di gusto.
È così che funziona, tra noi due. Forse siamo esseri speciali. Forse semplicemente ci scambiamo ciò che non si può avere completamente. Forse siamo quelli che vivono con la testa tra le nuvole. Quelli strani? Complicati … unici. È questo quello che siamo. Ognuno di noi, dentro. Sempre.
“E tu … me lo regali un bacio?” mormora, titubante e poi con fare più deciso.
Avvicina il viso al mio, mi guarda negli occhi. Mi fa una carezza sulla guancia e mi sposta una ciocca scura dal volto. Le nostre labbra si toccano, in un bacio leggero e fresco. Nuovo e sorprendente. Non so descrivere quello che provo in questo momento. È bello, sì. Gelato e bollente, dolce e passionale.
“Scusa …” balbetta, staccandosi da me poco dopo. “Idiota …” gli rispondo io, maliziosa. Appoggio le mani al suo collo, sotto la nuca, e lo bacio. Questa volta è un gioco di lingue che scottano. Cuori roventi e animi che gridano. E continua così per qualche minuto, non so quanto. Solo non voglio che questo finisca. È il mio unico desiderio.
“Grazie, Anne, mia principessa …” mi sussurra all’orecchio, la bocca vicinissima a me. Le sue labbra passano sul collo, sotto la mandibola, e io mi sento in paradiso. Terribile e fantastico giorno.


***


Adesso, dopo dodici anni, sono ancora qui, sul muretto del promontorio. Qui dove la nostra storia è cominciata. Qui dove abbiamo passato momenti meravigliosi, secondi di fuoco, attimi indimenticabili.
Sono ancora qui, sul muretto del promontorio, dove la nostra storia è finita. Dove sono scese lacrime sulle sue guance e sulle mie, in un vortice di dolore. Dove ci siamo baciati per l’ultima volta, toccati quell’ultima sera di un inverno glaciale.
Sono ancora qui, sul muretto del promontorio. Sono ancora qui, incinta.
Le nostre strade si sono divise, e io ancora mi chiedo dove sia quell’artista di strada che mi ha rapito il cuore. Semplicemente, il destino ha deciso. Non lo dimenticherò mai, questo è sicuro. Mi ha insegnato tanto. Mi ha fatto capire il valore di un sorriso, la bellezza di una nota dimenticata che volteggia senza sosta, la capacità di ascoltare, di ridere insieme. Mi ha fatta crescere, mi ha fatto ascoltare il dolore senza orecchie. Mi ha insegnato ad amare ed essere amata.
Siamo stati insieme per un lungo periodo. Siamo stati insieme, bene. Stupendamente. Lui il mio principe, io la sua principessa. Lui è stato il primo, vero, l’unico. Il mio sorriso costante. Mi ha fatta salire sul suo cavallo bianco e insieme siamo arrivati al castello. Per me lui ha ucciso draghi e mi ha portata a sognare.

Il mare, ora, è ancora piatto. Io mi sento una balena, per colpa di questa pancia, e mi viene voglia di tuffarmi in quella distesa enormemente blu. Io la balena e, in quella sporgenza che si nota sotto il vestito arancio, come il sole di oggi, c’è il mio pesciolino. Insieme nuoteremo nell’oceano e gli mostrerò le stelle marine, le rocce colorate, i pesci argentini e le alghe verdi e gialle. Ci divertiremo.
Con Ray è iniziata una nuova favola. Il bambino è nostro. Sono la mia nuova famiglia, li amo con tutta me stessa. Penso comunque che quella, di favola, con William, non sia mai finita. E mai finirà. Io continuerò ad amarlo, in modo diverso, ma lo amerò con tutto ciò che rimane del mio cuoricino da adolescente piena di problemi che combina sempre guai.
Al pesciolino che nuota nella mia pancia un po’ cresciuta darò tutto ciò che William mi ha insegnato. Ci scambieremo doni invisibili, che valgono più di quelli materiali.
Penso che l’amore rimanga dentro, come un pezzo di ghiaccio che non si scioglie. Intrappolato in quell’universo che siamo. Un tesoro nascosto nel labirinto del nostro cuore.
Penso che l’amore sia la parte più bella di ogni storia.
E, come ogni storia che si rispetti, anche la mia è giunta alla fine. Queste righe appena scritte sono ancora calde, nei miei ricordi, in quelli del raccoglitore di sorrisi e del pesciolino.
Queste righe formano il pentagramma della mia vita. In questo pentagramma ci sono le note più importanti, le più belle.
Provo ad immaginarmi ancora, mentre danzo con William e Ray, mentre piango e il pesciolino mi nuota dentro e io torno indietro … in un tempo passato, dove le canzoni e i sorrisi si donano.







***
Spazio di Cielo:
Ciao a tutti! Allora, questa storia fa parte di una raccolta, come avete visto, "I Principi".
Ho creato questo racconto un po' per gioco, ma poi mi sono talmente tanto affezionata ai protagonisti (Anne, William e il pesciolino :P), che non ho resistito a continuare... e quindi eccomi qui, a condividere questa favoletta con voi.
Credo che non sempre le storie debbano avere un lieto fine.
Ed infatti, ho voluto "sgarrare" un po', ecco. Per cambiare la storia.. perchè a me piace raccontare storie. <3
Questa raccolta sarà formata da altri due testi, scritti apposta per due mie carissime amiche di sempre, che mi appoggiano nella scrittura ^^
Volevo poi ringraziare Fede, che è la mia "art director" ;) e un enorme grazie alla mia Coccola, che mi fa pubblicità! *____*
Ah, un'ultima cosa e ho finito XD
Ringrazio tantissimo anche BabyRana, Ilaja e LightningStrike (la mia coccola <3) che hanno recensito la mia storia, "Rose". Siete gentilissime e mi fate arrossire, ragazze!

Coming Soon: Ignorance. There's something we don't know.
Ci vediamo alla prossima! :)
CieloSenzaLuna.
  
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