Crossover
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Autore: HamletRedDiablo    19/06/2010    3 recensioni
[...]-Non mi sono spiegata- rimbrottò lei, intrecciando le dita e osservando il ragazzo da sopra di esse con un’aria biecamente indagatrice. –Chi ti ha portato ad infrangere i comandamenti? E, più precisamente, dov’è?-
Gli occhi si socchiusero mentre le labbra si incurvavano in un sorriso talmente affettuoso da essere quasi disarmante, poiché mai un condannato aveva mantenuto una simile fedeltà nei confronti della causa del suo arresto.
Doveva decidere se annoverare Fay nell’esiguo numero dei geni o in quello sovrabbondante dei pazzi.
-Chi può saperlo?- chiese il ragazzo, incrociando le braccia dietro la schiena come un bambino pronto a cantare nel coro. –Lui è talmente… inafferrabile, non è così?-
Tutti gli angeli sono uguali... ma alcuni sono più uguali di altri.
[Sebastian (Kuroshitsuji), Fay (Tsubasa Reservior Chronicle); SebastianxFay]
[Seconda Classificata al Contest sulle Distopie indetto da Rota23]
Genere: Dark, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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-Autore: Red Diablo
-Titolo: All angels are equal [but some angels are more equal than others]
-Genere: Drammatico, Distopico, Erotico
-Rating: Arancione 
-Distopia scelta a modello: alcuni elementi da Animal Farm, altri da 1984  
-Personaggi/Pairing: Sebastian (Kuroshitsuji), Fay (Tsubasa Reservior Chronicle); SebastianFay
-Avvertimenti: Death Charachter, Yaoi, Lemon, One-Shot, AU (Alternative Universe)
-Riassunto (facoltativo): Gli angeli ricercano la perfezione. Questa ricerca porta alla discriminazione. La discriminazione fa nascere la categoria del “diverso”. Questa categoria porta al razzismo. Il razzismo genera vittime. Le vittime sono costantemente torturate. Le torture generano odio. L’odio porta alla vendetta.

Finché non si capirà che la perfezione non esiste, ci sarà sempre un “diverso”… e una scusa per massacrarlo.

 -Commento (facoltativo): ho inserito il commento alla fine ^^

 

 

L’uomo non è né angelo né diavolo,

la sfortuna è che chi vuole fare l’angelo, fa il diavolo.

(Pascal)

 

All angels are equal

[but some angels are more equal than others]

 

Primo Comandamento delle Gerarchie Angeliche:

nessun angelo ne ucciderà un altro.

Secondo Comandamento delle Gerarchie Angeliche:

nessun angelo farà uso di alcolici o sostanze stupefacenti.

Terzo Comandamento delle Gerarchie Angeliche:

nessun angelo mancherà di rispetto ad un suo superiore.

Quarto Comandamento delle Gerarchie Angeliche:

nessun angelo si lascerà andare ad un qualsiasi eccesso.

Quinto Comandamento delle Gerarchie Angeliche:

nessun angelo compirà atti di fornicazione che non siano finalizzati alla riproduzione.

Sesto Comandamento delle Gerarchie Angeliche:

tutti gli angeli sono uguali.

 

Le mani frenarono il brusco atterraggio, impedendo alla testa di sbattere al suolo.

Il ragazzo cercò stremato una posizione vagamente comoda in cui rannicchiarsi, forzando i muscoli ormai prossimi al collasso.

Non poteva appoggiare la schiena al muro trasudante muffa della prigione, o avrebbe rischiato di morire di setticemia: il suo dorso era aperto da due ampi crateri scarlatti, laddove le ali erano state asportate alla radice.

Non poteva nemmeno usare il braccio come cuscino: il marchio che gli avevano impresso a fuoco sul bicipite era ancora fresco, e bruciava come una colata lavica; appoggiarlo a terra avrebbe significato un’ondata di cocente dolore dritta nel cervello.

Non poteva lasciarsi cadere sulle ginocchia: le sue rotule erano troppo provate dalle ore che avevano passato inginocchiate mentre la frusta si dava da fare sulle spalle e sul torace, e i muscoli, lasciati per troppo tempo immobili, chiedevano disperatamente di essere stesi.

Non poteva neppure serrare le mascelle per il dolore: sentiva ancora le gengive dolorosamente intontite per i colpi subiti quella mattina, quando i suoi denti erano stato sbeccati a colpi d’acciaio nella forma triangolare, consona ai peccatori come lui.

Il giovane cercò di mettersi in equilibrio sulle piante dei piedi, corrose dalle vesciche, e rimase immobile a fissare l’entrata della sua cella in cui si stagliava, come un’apparizione di gloria in mezzo al putridume, la figura altera ed immacolata di una donna.

 

Oh, loro erano davvero incommensurabili nell’arte dell’inganno: persino in quella situazione, in cui era chiaro chi fosse la vittima e chi il carnefice, il suo affascinante boia era in grado di elevarsi ai livelli più alti di splendore, facendo sfigurare la sua persona martoriata.

Un demonio che recitava la parte di un angelo, ed un ragazzo indifeso additato come diavolo portatore di disgrazie.

 

-“Tutti gli angeli sono uguali”… ma alcuni sono più uguali di altri- commentò, cercando di ignorare i fulmini che sembravano irradiarsi dai polpacci a tutto il resto della gamba.

Le labbra pallide si stesero in un sorriso anche troppo genuino per la situazione.

-Questo l’hanno tralasciato, quei birichini… non credo che ad un Arcangelo sarebbero riservate le medesime squisitezze…- considerò, scostando una ciocca ruvida di sudore dagli occhi.

-Fay, non sei qui per discutere della legge angelica- lo richiamò la donna.

Il ragazzo appoggiò su di lei i suoi grandi occhi azzurri, velati dalla sofferenza: forme proporzionate, un’invidiabile cascata di capelli dorati ed una sobria veste che nascondesse le fattezze che potevano indurre al peccato; il prototipo perfetto della razza pura tanto ricercata.

 

Anche a costo di ingrassare quel modello utopico con del sangue innocente.

 

-Lei è convinta che siano sufficienti quei sei comandamenti per far sì che un angelo sia davvero tale?- domandò, indossando la sua consueta maschera di ilarità fuori luogo. –Io credo che sia assai più complicato…-

Il sapore acre della ruggine e del sale gli inondò la bocca: Fay dischiuse velocemente le labbra, facendo esplodere un fiore scarlatto nell’aria. Meste gocce sanguigne scivolarono lente dal suo labbro inferiore fino a raggiungere la punta del mento, e da lì si lasciarono cadere nel vuoto, alimentando il lago rosso che si apriva ai suoi piedi.

-Fay!-

La secca esclamazione della donna non era certo una brusca esternazione di compatimento per lui: era unicamente un rimprovero schifato per aver sporcato la cella con i suoi liquidi vitali.

Buffo come gli angeli, che avevano tante volte combattuto con i demoni, tremassero alla vista di un innocuo fluido proveniente dall’interno del corpo.

-Non siamo qui per parlare di questo- ripeté, scandendo con cura nauseata ogni parola.

Tutto ciò che ottenne fu un momentaneo oscuramento dell’espressione gioviale, prima che questa riprendesse prepotentemente possesso dei lineamenti del giovane.

-Oh, già- trillò lui, portandosi davanti alla donna con una piroetta scoordinata dall’intento canzonatorio. –Di cosa dovevamo parlare?-

-Del motivo per cui sei qui- gli ricordò secca lei, inforcando un paio di occhiali.

-Quei fondi di bottiglia la invecchiano, sa?- gorgheggiò Fay, assumendo l’espressione da cucciolo giulivo che inteneriva le donne e faceva imbestialire gli uomini.

-Non sei qui per parlare di questo!- sbottò lei, con più veemenza del dovuto: a quanto pareva, anche le donne angelo erano sensibili alla propria bellezza. –Allora, Fay… spiegami cosa ti ha portato ad infrangere uno dei Comandamenti…-

-Ho scoperto che la società non era esattamente come la immaginavo…- minimizzò lui, con un’alzata di spalle che gli costò una cocente ondata di dolore alle scapole squarciate.

-Non mi sono spiegata- rimbrottò lei, intrecciando le dita e osservando il ragazzo da sopra di esse con un’aria biecamente indagatrice. –Chi ti ha portato ad infrangere i comandamenti? E, più precisamente, dov’è?-

Gli occhi si socchiusero mentre le labbra si incurvavano in un sorriso talmente affettuoso da essere quasi disarmante, poiché mai un condannato aveva mantenuto una simile fedeltà nei confronti della causa del suo arresto.

Doveva decidere se annoverare Fay nell’esiguo numero dei geni o in quello sovrabbondante dei pazzi.

-Chi può saperlo?- chiese il ragazzo, incrociando le braccia dietro la schiena come un bambino pronto a cantare nel coro. –Lui è talmente… inafferrabile, non è così?-

Le unghie della donna si conficcarono con forza in una delle ferite pulsanti sulla schiena, causandogli una sorta di elettroshock a tutti i nervi del dorso.

-Parla- ordinò, ripulendosi le dita sul fazzoletto perlaceo, disgustata.

Fay ansò, mentre la pelle tremava per lo sgomento di quel dolore improvviso e lancinante. Poi la sua inguaribile allegria risultò nuovamente vittoriosa sul suo volto:

-Chi può saperlo?- ripeté, chiudendo gli occhi con fare ingenuo.

Questa volta fu il tacco della donna a torturarlo: si abbatté con violenza inaudita sui suoi polpacci stremati, facendolo rovinare a terra.

-Perché lo difendi?- s’infuriò lei, calpestando quel povero essere che non aveva più voglia di proteggersi.

 

Proteggersi da cosa, poi? Quella donna non era che una pedina, una foglia in balia del vento proprio come lui… ribellarsi a lei non avrebbe cambiato nulla.

 

–Non capisci che è l’unico modo per ottenere clemenza al processo?- rincarò quella, pronta a sferrare un nuovo attacco.

-Clemenza…-

La fievole replica del ragazzo arrestò la discesa del tacco malvagio a metà strada.

-La vostra clemenza non è altro che l’ipocrisia con cui vorreste lavarvi l’anima dal mio sangue- giudicò, con un ghigno reso tremendamente inquietante dal rossetto sanguigno che lo bagnava, colando sul mento in modo tale da farlo assomigliare ad un vampiro che aveva appena terminato il pasto. –Volete mandarmi al patibolo, e allo stesso tempo volete mantenere le vostre mani candide… “povero ragazzo, abbiamo fatto il possibile”…- i gomiti tremarono violentemente, mentre il giovane si issava sulle braccia. –No, non sarò io ad offrirvi una falsa redenzione- esalò, seguitando a sorridere in quel modo terrificante nella sua spontaneità. –Vi porterete le vostre colpe nella tomba-

Una tempesta di sofferenza si abbatté sulla sua schiena lacerata.

 

Cosa lo colpiva?

La scarpa della donna? Le sue mani? Qualche strumento preso dalla cella?

Che importava, in fondo? Saperlo non avrebbe diminuito la pena.

Così come venire a conoscenza delle brutture di quella società non aveva aiutato a cancellarle.

 

Potrei dire che è colpa tua, lo sai?

Tu mi hai aperto gli occhi, e ora non riesco più a chiuderli.

Ma non sarebbe giusto.

Perché anche io avevo intuito l’ambiguità di questo mondo, troppo immacolato per essere reale.

E se tu volevi aprirmi gli occhi, io stesso ero ben felice di non tenerli chiusi.

 

***

 

-Sei di nuovo qui-

Così lo accolse, in quello che si sarebbe rivelato il loro ultimo incontro.

 

La prima volta che lo aveva visto, aveva provato istintivamente timore di fronte alla sua persona.

Non solo per quegli occhi rossi, che richiamavano i biblici tormenti della Geena con il loro colore infuocato.

Forse era assurdo, ma ciò che più lo sconvolgeva era il contrasto tra la pelle eburnea e i capelli corvini: l’epidermide, così bianca e liscia, senza la minima imperfezione, si adattava perfettamente a quel luogo di beatitudine che gli angeli avevano tanto faticosamente costruito. Al contrario, quei capelli sembravano un estratto dell’ombra che i messi divini tanto temevano: neri come l’aria infernale, parevano collaborare con l’angosciante tinta delle iridi, per conferire un’aria satanica all’agghiacciante uomo.

 

I temibili occhi amaranto si posarono su di lui, scrutando la sua minuta figura quasi volessero estrapolarne l’anima.

-Mi chiedo quale motivo ti porti a ritornare sempre se, a quanto dici, questo posto non ti piace…- soppesò, curvando le labbra demoniache in un ghigno.

 

Quello li accomunava e, allo stesso tempo, li divideva: Fay sorrideva di continuo, per dissimulare l’amarezza che la visione di quella società mascherata gli faceva provare. Il suo, però, era un sorriso altruistico: lui si sentiva inaridito, ma voleva fare il possibile per rendere il mondo un posto piacevole per gli altri.

Sebastian no: quando sorrideva, lo faceva solo per fuorviare il prossimo. Fingeva tranquillità, e proprio quell’imbroglio era la sua arma più pericolosa: se si fosse mostrato per quello che era in realtà, avrebbe dato al suo interlocutore il modo di prepararsi ai suoi attacchi. Invece lo ingannava con un’apparente serenità, così che il suo l’altro lasciasse cadere le armi.

E diventasse vulnerabile.

 

-Perché tu sei seccante, inquietante, e, indubbiamente, sei folle- spiegò Fay, rischiando di rompersi la faccia per l’ampiezza del sorriso che sfoggiò. –Ma sei l’unica persona sincera che conosca-

Due iridi purpuree lampeggiarono sotto i ciuffi irregolari della frangia scura.

-Non posso darti torto- confermò Sebastian, rialzandosi lentamente dalla poltrona in cui si era elegantemente accomodato. –Eppure la prima volta… e anche tutte le successive, ad essere sinceri…- si corresse, portandosi un dito alle labbra nell’imitazione di un uomo pensoso. -… mi sei parso un poco… turbato, quando hai lasciato questo appartamento-

Per un attimo, le labbra di Fay rinunciarono a tendere i loro angoli verso il cielo per farli sprofondare verso il basso, in un’improvvisa serietà.

La lunga veste frusciò quando il giovane biondo si portò alla finestra.

-Se qualche settimana fa mi avessero chiesto cosa vedevo attraverso questo vetro avrei risposto: “Vedo una perfetta società, signore. Un meccanismo impeccabile in cui ogni ingranaggio è inserito con cura ineccepibile in un quadro d’insieme dall’equilibrio accuratamente studiato”-

-Risposta degna di una pedina devota- valutò Sebastian, lisciando alcune invisibili pieghe sulla sua maglia scura.

-Ora vedo ipocrisia- le dita affusolate si strinsero sulla tenda sgualcita. –Vedo dei bambini che corrono felici senza sapere che le strade in cui giocano sono state costruite da degli schiavi sfruttati a sangue. Vedo delle telecamere che spiano ogni movimento degli abitanti non per garantire la loro sicurezza, come viene propagandato, ma unicamente per avere un totale controllo sulle loro azioni. Vedo un mondo marcio che si vela di purezza per essere ammirato dagli esterni- le palpebre si strinsero, quasi volessero esporre la minor superficie possibile della pupilla alla vista di simili turpitudini. –Cercano di farci credere che la libertà sia la vera schiavitù, il vero pericolo, in modo da farci baciare le catene con cui ci imprigionano, venerandole come il sacro amuleto che può proteggerci dalla minaccia del pensiero libero ed incontrollabile- giudicò, incrociando risentito le braccia.

-Complimenti- la voce roca dell’uomo gli scivolò sulle spalle come la carezza di un diavolo. –Hai conseguito notevoli progressi-

-E’ merito tuo, Seba-pin- cantilenò Fay, recuperando in un attimo la sua baldanza.

 

-Sai quante lacrime sono necessarie per ricavare la tinta del sangue?-

-Questo discorso non ha senso-

-Come i vostri decantamenti sulla morale-

Ogni parola di quell’uomo lo colpiva come una pugnalata.

-La morale è qualcosa che serve unicamente ad imbrigliare, a demonizzare quelli che sono istinti naturali: gli angeli non capiscono che in questo modo umiliano unicamente se stessi-

-Non sarai tu a demonizzare la morale?-

-Oh, cielo, certo che no. Io non ho intenzione di puntare il dito contro le regole: solo contro la falsità che si cela dietro di esse-

Ogni parola di quell’uomo sembrava accuratamente ponderata per ferire le sue convinzioni laddove traballavano.

-Non avrei nulla contro la legge… ma coloro che la usano come scudo per celare la propria malvagità… mi nauseano…-

-I nostri capi sono modelli di incorruttibilità…-

Anche le risate di quell’uomo sembravano studiate per destabilizzarlo.

-Oh certamente, poiché loro non sono obbligati da uno stuolo di telecamere a seguire i loro stessi Comandamenti: loro controllano, non sono controllati. È assai diverso-

Quelle parole…

-Le bugie non mi impressionano. Mi disgustano-

… nessuno aveva mai osato pronunciarle prima.

-Nessun angelo ne ucciderà mai un altro. Come spiegano, allora, tutti quei messi alati scomparsi nel nulla? Nessun angelo compirà fornicazione che non sia a scopo procreativo. E quei poveri emarginati, che con tanto disprezzo chiamano “feccia”, a che scopo credi vengano usati? Tutti gli angeli sono uguali. E allora perché un nobile viene perdonato ed un plebeo viene condannato?-

E quegli occhi che arrivavano a bruciargli l’anima con il loro fuoco diabolico…

-Tu hai una spiegazione?-

-E tu hai le prove?-

Il ghigno che nascondeva un’insondabile perfidia era sempre annunciatore di disgrazie.

-Sì, ho le prove. Perché io sono parte della “feccia” di cui si servono per i loro desideri osceni-

Gli zaffiri che mai si erano spalancati tanto per la sorpresa.

-Il colore dei miei capelli e dei miei occhi mi ha etichettato fin dalla nascita come “diverso”…-

-Mi dispiace-

-Non usare la tua compassione con me. Non ne ho bisogno. Sono fiero di non appartenere alla schiera di quei bugiardi. E poi, in questo modo conosco tutte le loro nefandezze-

Di nuovo quel ghigno, foriero dei più malvagi degli intenti.

-Vuoi conoscerle, Fay?-

E gli aveva narrato ogni cosa.

La prima volta se ne era andato dopo i primi racconti, incapace di reggere un simile fardello di bugie.

Ma poi aveva voluto sapere.

Ed era tornato.

E aveva saputo.

Gli assassinii, i complotti, i rapporti peccaminosi, le frodi…

Tutto, tutto il marcio era venuto fuori.

Ora si spiegava tanti atteggiamenti ambigui…

Nascosti da una pretesa di perfetta compostezza, gli angeli perpetravano i crimini più abietti nell’oscurità che ripudiavano a parole.

 

-E’ quasi ovvio, a pensarci- rise Fay, allontanandosi dalla finestra. –L’ombra più oscura è proiettata dalla luce più intensa…-

-L’ombra è più sincera- dichiarò Sebastian, appoggiando la schiena al muro di quella stanza. –Nelle tenebre, tutti sono uguali. E’ alla luce che emergono le differenze e, con esse, le discriminazioni-

-Discriminazioni?- gli fece eco l’altro, senza comprendere.

Un’espressione di raffinata malvagità si stese sul volto dell’uomo.

-Non ti sei mai sorpreso del fatto che tutti gli angeli rispecchino il candore della luce con il loro aspetto?-

In effetti si era soffermato più di una volta su quell’insolito particolare, ma aveva immaginato che quelli che non erano stati dotati dalla natura dei tratti della razza pura avessero provveduto con tinte, lenti colorate e quanto necessario per attenersi ai canoni prestabiliti.

-La politica eugenetica, che ovviamente viene svolta in segreto, pretende l’eliminazione o l’emarginazione degli individui che potrebbero minare la trasmissione pura dei geni…- le spalle dell’uomo si contrassero impercettibilmente, trattenendo una risata più prossima alla disillusione che all’allegria. -Ma una simile crudeltà sarebbe inaccettabile per quei concentrati di virtù dei tuoi superiori- seguitò Sebastian, lanciandogli un’occhiata spaventosa dai suoi recessi rosso sangue. –Quindi i bambini assassinati o condannati a vivere perpetuamente ai limiti della società diventano sfortunati infanti morti tragicamente dopo il parto- concluse, con un distacco terrificante per un argomento così tragico. -Questa è la versione ufficiale. In questo modo, si liberano delle macchie della società, mantenendo salda la loro immagine irreprensibile-

-Tu eri… uno di quei bambini, Seba-pin?- esalò Fay, troppo sorpreso per emettere un suono più robusto. –Ma com’è possibile che tu sia un angelo? Non hai le ali…-

-Nemmeno tu le sfoggi, in questo momento- gli fece notare pacatamente l’uomo dai capelli corvini, avvicinandosi di un passo ed incatenandolo con il potere magnetico dei suoi rubini. –Gli angeli mostrano le ali solo quando necessitano di volare oppure quando non riescono a controllare le loro emozioni-

-Qualcosa mi suggerisce che un perfetto autocontrollo non sia il caso delle tue strutture per il volo, Seba-pin- ridacchiò Fay, cercando di smorzare la tensione elettrica quasi palpabile nell’aria.

-Corretto- ammise l’interessato, sorpassandolo con un’unica falcata e liberandolo dal sortilegio del suo sguardo. –Mi sono state strappate al momento della nascita- annunciò, con la stessa indifferenza con cui avrebbe potuto parlare di quanto aveva mangiato a pranzo. –Così, se avessero deciso di scaraventarmi giù dai cieli, non avrei potuto opporre resistenza-

 

Quando era piccolo, li aveva odiati.

Li aveva odiati tutti.

Tutti coloro che vivevano in quelle case appetibili, tutti coloro che non dovevano subire quelle angherie ogni giorno, tutti coloro che lo avevano condannato per la sua nascita indesiderata.

Come se fosse stato lui a spingere sua madre e suo padre ad avvinghiarsi l’uno all’altro, la sera del suo concepimento.

Che diritto avevano di dire che lui avrebbe portato sciagura? Come potevano, loro, che ogni giorno lo tormentavano fino a fargli rasentare la follia, a dire che lui era foriero di malvagità? Non erano assai più crudeli loro, che si divertivano ad infierire su un bambino indifeso a cui il mondo intero aveva voltato le spalle?

Come potevano dire che era crudele, lui, che per tutta la vita non aveva fatto altro che subire?

Come potevano dirsi puri, loro, che per tutta la vita non avevano fatto altro che straziarlo?

Poi, il suo odio si era evoluto.

E aveva imparato a deriderli, ogni volta che tentavano di umiliarlo.

Loro volevano grida, strazi, lamenti.

E, concedendo loro l’esatto opposto di ciò che desideravano, frustava il loro smisurato orgoglio.

Avrebbe continuato a sorridere per fargli male.(*)

A sorridere con quella grazia smisurata ed inattaccabile che li faceva sentire inferiori poiché in balia della propria furia, al contrario di lui, freddo e razionale. Oh, quanto adorava vedere i loro volti aristocratici distorti dall’ira impotente.

Avrebbe riso di loro fino alla morte.

 

Dei polpastrelli gentili si posarono sulle scapole dell’angelo decaduto.

La bocca del ragazzo dagli occhi celesti si arricciò per un istante in una smorfia di compassione, quando il suo tatto saggiò la presenza frastagliata delle cicatrici irregolari che testimoniavano la passata esistenza delle ali.

-Non ti libererai mai di questi sfregi, Seba-pin-

 

Tanto meno del rancore di cui sono intrisi.

Anche tu sei come loro: un povero bambolotto in balia dell’odio verso chi non è come te.

L’unica differenza è che tu lo accetti.

 

-Oh, cielo- esclamò l’uomo: nonostante fosse di spalle, il suo sogghigno indecifrabile era percepibile nel tono della voce. –Sono sufficienti due cicatrici per farti sprofondare nel più scontato romanticismo?-

-Trovi così ripugnante la dolcezza, Seba-pin?- tintinnò Fay, abbracciando con la gioia di un bambino il busto dell’uomo.

-Non vi è nulla di più vicino al perbenismo dell’affettazione- sentenziò l’altro, senza rispondere alla stretta amorevole del compagno più piccolo.

-Tu sei sempre rude, Seba-pin…- lo rimproverò bonariamente  il giovane dai capelli dorati, sfregando la guancia sul torso marmoreo dell’uomo. –Potresti scioglierti, ogni tanto-

Bastò un istante, e Fay si trovò improvvisamente premuto sulla poltrona all’angolo della stanza.

-Non intendevo questo, Seba-pin!- protestò infantilmente, senza intaccare l’esposizione sulle labbra dell’ennesimo sorriso. –Insomma, basta una frase da nulla e tu vedi subito risvolti sconci…-

-Sono la feccia della società, ricordi?- lo sfidò l’uomo, adagiandosi con la calma di un predatore sopra di lui.

Un’invisibile gocciolina di sudore si formò sulla tempia del ragazzo aggredito.

 

Non ricordava con esattezza quando fosse iniziato.

L’unica cosa che riusciva a rammentare era che un giorno aveva sentito il freddo dell’indifferenza più pungente del solito.

Tutti quei visi superficialmente altruisti, che in realtà non erano altro che studiate maschere per distogliere dalla sozzura interna, come dei sepolcri imbiancarti; quelle parole gentili, viscide per la loro falsità; quell’ostentazione esagerata e fanatica della razza eletta…

Quel giorno, il gelo dell’ipocrisia generalizzata lo aveva colpito fino alle ossa.

E aveva sentito la necessità violenta di combatterlo con il calore.

Ma non voleva un sentimento simulato.

Preferiva qualcuno che gli sussurrasse parole ruvide ma oneste, piuttosto che una persona che si sciogliesse in promesse senza fondamento.

“Soltanto una voce mi può far pensare …”(*)

La tunica prevista per gli impiegati come lui aveva il pregio di sfilarsi in un attimo: le mani dell’uomo ne arrotolarono i bordi, facendo scivolare il tessuto sulla schiena del ragazzo, poi sulle braccia fino a sfilarlo dalla punta delle dita.

-L’ultima volta sei stato un po’ irruento…- lo canzonò Fay, notando lo sguardo quasi sorpreso dell’uomo, quando quest’ultimo mise a nudo il petto dell’angelo puro, esageratamente colorato da vistosi segni rossi.

-Immagino che questo…- mormorò Sebastian, portando la bocca su uno di quei marchi voluttuosi. -… offenderebbe i tuoi superiori, nevvero?-

-I miei superiori non li vedranno mai- affermò sicuro il giovane, sorridendo per dissimulare l’agitazione. –Loro non fanno questo genere di cose… o meglio, non ammettono di farle-

-Hai imparato in fretta come funziona per loro- si compiacque l’uomo, risalendo con calma sul suo corpo in modo da deliziare gli occhi con la vista di quei muscoli agitati, prima di posare le sue labbra a pochi millimetri da quelle del ragazzo.

 

Tutte le volte agiva con lentezza, quasi dovesse studiare ogni suo gesto prima di portarlo a compimento.

Fay era abituato ai contatti brevi, approvati dal galateo: una stretta di mano all’amico, un cenno di saluto al conoscente, un saluto militare al generale.

Perché lui si prendeva tutto il tempo del mondo, con una dolcezza tale che gli fiaccava la forza per ribellarsi?

Non era una premura visibile negli occhi dell’uomo, così freddi anche in quei momenti, o nelle sue parole, sempre sferzanti ed enigmatiche: erano i gesti., che studiavano il suo corpo con una minuzia estenuante, a comunicargli quanto il compagno fosse attento a non imporgli forzature.

Quella dolcezza nascosta era molto più pericolosa dell’odio: l’odio era solido, quindi era possibile spezzarlo; la dolcezza era viscosa, infida: una volta insinuata all’interno, era quasi impossibile disincrostarla.

“La voce mi dice: ‘Sai che cosa fare.
Non resistere, lasciati trasportare.’” (*)

 

-Mi chiedo perché tu venga qui così frequentemente…- sussurrò Sebastian, respirando sul collo fremente del giovane, mentre le mani carezzavano con ponderata delicatezza la pelle del compagno.

 

Perché fuori c’erano solo ghiaccio e fango.

Travestiti da gioielli.

E lì c’erano ghiaccio e fango.

Ma non menzogne.

 

-Ti interessa davvero, Seba-pin?- lo schernì Fay, rannicchiando le ginocchia contro il petto, in una specie di tagliola per le mani dell’uomo.

-Potrebbe farmi piacere saperlo?- domandò di rimando l’altro, esercitando una leggera pressione sulle cosce in modo che tornassero a distendersi, in una posizione lievemente più allargata rispetto alla precedente.

“Non so se ti farà piacere.”(*)

Non lo sapeva.

Conosceva così poco di lui, nonostante tutte le volte in cui avevano discusso.

Sapeva cosa pensava di quella società corrotta… ma di lui come persona, come Sebastian, non sapeva nulla.

Sogni, desideri, speranze…

Lui aveva sempre identificato Sebastian con il suo signorile rancore verso gli uomini che lo attorniavano: era la personificazione del rancore decoroso.

Non aveva mai cercato di scoprire altro.

Anche perché era sicuro che Sebastian non avrebbe risposto.

Rivelarsi significava dare al prossimo una chiave di accesso alla propria mente.

Ed una simile condivisione poteva significare solo una cosa: offrire all’avversario un’arma per penetrare le sue difese.

Quell’uomo era sempre in guerra: non avrebbe mai commesso un passo falso.

Nemmeno con lui.

“Non so se ti può consolare.”(*)

Conosceva solo un abbozzo del suo passato.

Intuiva che doveva essere stato terribile oltre ogni dire: isolato e disprezzato dal mondo, costretto ad imparare fin dalla più tenera età i trucchi più abietti per sopravvivere, si era trascinato giorno dopo giorno lungo un’esistenza desolata, covando in silenzio il proprio risentimento nei confronti di tutti gli angeli indifferenti alla sua condizione.

E ad avergli imposto quei patimenti erano stati proprio i suoi superiori, che un tempo aveva tanto ammirato, come punizione per la tremenda colpa di aver scelto di nascere con un colore di capelli e di occhi non consono agli standard della massa.

Non sapeva quali fossero le parole giuste per confortarlo…

E, ad essere sinceri, non era nemmeno sicuro che Sebastian desiderasse essere consolato.

In battaglia servivano armi, non lacrime di commiserazione.

“Non so se mi potrai capire.”(*)

E non sapeva neppure se quell’uomo sarebbe mai riuscito a capirlo.

Quando era in sua compagnia, pareva che nulla potesse scalfirlo o sorprenderlo, come un giocatore che ha il pieno controllo della scacchiera… ma davvero lo conosceva così a fondo?

Davvero Sebastian era in grado di comprendere ogni pensiero che si agitava in lui?

Oppure era solo una delle finzioni arroganti che utilizzava per difendersi dagli altri?

“Non so niente eppure…” (*)

Eppure continuava a nutrire la presunzione di essere l’unico, in quel mondo, a non nausearlo.

 

La domanda precedente rimase sospesa nell’aria.

Gli occhi dell’uomo non erano gli unici a condividere l’ardore delle fiamme: le braccia roventi lo strinsero con vigore, premendo il suo corpo esile contro quello scolpito del compagno, in un contatto talmente irruento da togliergli quasi il respiro.

Gli sembrava quasi di perdere coscienza del resto del mondo, quando si chiudeva in quella stanza con quell’individuo tenebroso: tutto il suo universo si focalizzava su loro due, confondendo ogni cosa nel delirio della lussuria.

Gli occhi si chiudevano e le dita graffiavano la schiena dell’uomo tenebroso, quando quelle mani diaboliche lo invitavano a muoversi secondo i loro desideri con le loro carezze esperte: lo costringevano lusinghiere ad inarcare la schiena, solleticandogli la spina dorsale; gli suggerivano di stringere le braccia intorno al collo di quell’angelo perverso, conducendo pazienti i suoi polsi sulla nuca dell’altro; gli ordinavano di accettare la presenza dell’uomo dentro di sé, piegando le gambe arrendevoli secondo le loro impudiche necessità.

La pelle sembrava essere formata unicamente da nervi iperattivi, tanto si riscaldava e fremeva sotto le attenzioni dissolute che le venivano concesse: l’epidermide bollente quasi si protendeva verso il compagno, cercando un contatto più duraturo dei baci che la ricoprivano, più intimo delle mani che la lambivano instancabili, più desiderabile della pelle dell’altro uomo che la sfregava.

Sebastian, dalla sua prospettiva privilegiata, appariva contenuto persino in quel frangente: sembrava quasi che lo studiasse, con un’insaziabile sete di conoscenza, per registrare esattamente quale tocco ottenesse quale reazione.

Doveva divertirlo vedere un angelo appartenente alla schiera dei suoi aguzzini, cedere ai suoi adescamenti, arrivando addirittura ad infrangere un Comandamento per lui.

 

Ma era solo… divertimento?

 

Fay non ebbe modo di pensarci: i movimenti dell’uomo si fecero improvvisamente più veloci, frazionandogli il respiro in una serie di singulti imbarazzanti, e facendogli artigliare con forza la poltrona, quasi fosse l’ancora di salvezza da quella situazione proibita.

Le ali si sprigionarono improvvisamente dalla schiena quando il corpo dell’angelo più giovane raggiunse il limite: le piume si spiegarono come un niveo stendardo di casta beatitudine, in opposizione stridente ai due giovani stretti l’uno all’altro in un abbraccio di libidinosa dannazione.

-Devo dedurre… che in mia presenza non sei in grado di gestire le tue emozioni?- sogghignò l’uomo, afferrando con un pizzico di brutalità una delle piume più vicine.

-Forse sto solo cercando di scappare, Seba-pin…- deviò Fay, sgranchendo le ali in una vanesia esibizione della loro bellezza eterea.

Un bacio possessivo, più simile ad uno scontro di denti e lingue che ad un incontro di labbra, gli fece chiaramente intuire che il compagno non aveva la minima intenzione di farlo volare via.

 

Non adesso che aveva finalmente ottenuto un nuovo paio di ali.

 

***

 

La guardia stramazzò al suolo senza emettere un solo grido.

Tanti anni passati a contatto con i peggiori individui della società gli avevano fatto sviluppare quelle doti di dubbia moralità, ma di sicura utilità.

Non incontrò alcuna difficoltà nemmeno nello scassinare la serratura: gli angeli erano davvero poco prudenti, oppure erano semplicemente così pieni di sé da non pensare che un reietto come lui potesse introdursi nelle loro prigioni ad alta sicurezza.

 

Dovevano averlo catturato mentre tornava a casa.

Se ricordava bene il loro modo di agire, dovevano averlo braccato in cinque: due per le gambe, due per le braccia, e uno per effettuare il controllo.

Non doveva essere stato difficile emettere la sentenza, visto che lui non aveva avuto riserve per il corpo di quell’angelo ingenuo.

Fornicazione chiaramente compiuta al solo scopo di appagare dei deviati istinti sessuali.

La pena prevista era la morte, che sarebbe servita come esempio a tutti i futuri disertori.

 

Ma non avrebbe permesso che Fay diventasse uno strumento per confermare la loro legge distorta.

Lui era il suo giocattolo, non aveva alcuna intenzione di cederlo a quei folli ideatori di Comandamenti assurdi.

Inoltre, sarebbe stato un enorme schiaffo morale infliggere una simile umiliazione a quei superbi.

 

Non lo faceva per quel ragazzo dagli occhi cerulei.

Lui non aveva mai mosso un dito per gli altri, così come gli altri non avevano mai riservato una parola o un gesto per lui.

Era solo per non cedere nemmeno uno dei suoi divertimenti a quei burattini di falsità che era arrivato fin lì.

Ma quello che non immaginava… era che loro si fossero già presi quanto reclamava come suo.

 

I segni della lobotomia risaltavano tetri come filo spinato sulla neve.

-E’ entrato qualcuno?- rise sgangheratamente Fay, battendo gaio le mani.

 

Le labbra che si curvavano in un sorriso erano sempre le stesse ma… l’antica anima che le muoveva era evaporata.

Fay era morto. Quello era solo un involucro ancora respirante.

 

-C’è il sole, fuori, signore?- domandò gioioso.

Sebastian arricciò il naso: quell’allegria insana era disgustosa quanto l’incuria in cui versava l’aspetto del ragazzo. La schiena era scoperta, esponendo l’orribile crosta scura che raggrumava i profondi solchi delle ali strappate; l’oro dei capelli era degenerato in un colore indefinibile, così come la loro forma non possedeva che il ricordo della precedente vaporosità; la stessa pelle, così segnata, così torturata, non era certo quella che qualche giorno prima era stato lieto di baciare.

-Oh, sì… un sole meraviglioso…- riuscì ad articolare, vincendo la nausea che gli contorceva le viscere.

-Mi piace tanto il sole!- ribadì ridente Fay, ciondolando con il busto come per un gioco infantile.

-Vuoi vederlo?-

La domanda dell’uomo rimbalzò minacciosa sulle pareti scalcinate di quella prigione.

Non era la gentilezza ad aver mosso quella richiesta, ma qualcosa di ben più allarmante… ma Fay non era più in grado di cogliere le sfumature celate nelle parole.

-Lei mi ci può portare, signore?- gioì, tirandosi in piedi in maniera grossolana, come un bimbo che ha appena imparato a muovere i primi passi.

-Certo...- assicurò l’uomo, avvicinandosi in modo da poter aiutare quel fagotto impacciato a mettersi in una posizione adeguata.

Il giovane batté le mani, spensierato.

-Cosa devo fare?- biascicò, aggrappandosi fiducioso alla severa figura dell’uomo fosco.

-Rimani immobile- lo consigliò lui.

Poi, tutto avvenne in un attimo: il pugnale si infilò con facilità nelle membra morbide del ragazzo, trovando un comodo fodero nel suo polmone. Con altrettanta celerità abbandonò la calda custodia, lasciando sgorgare una cascata dal lucente colore rosso cupo.

Le iridi cerulee fissarono la ferita sanguinante senza capire, mentre sul volto prendeva il comando un’espressione talmente vacua da sembrare istupidita.

-Questo non è il sole…il sole non ha questo colore…- obiettò Fay, senza rendersi conto che il sangue che zampillava dalla ferita sanciva la fine della sua vita.

Il viso si rialzò con la fronte lievemente aggrottata, come se il giovane si fosse reso conto solo in quel momento di essersi dimenticato di un particolare di vitale importanza.

-Lei chi è, signore?-

L’ultima sillaba venne inghiottita dal gorgoglio insanguinato che riempì la gola del ragazzo, poco prima che questo ricadesse pesantemente sulle ginocchia.

-Sono il demone che condurrà tutti al loro inferno- si annunciò Sebastian, osservando dall’alto quel corpo che andava irrigidendosi nel feretro cremisi del suo sangue versato. -Forse per un po’ ti sentirai solo…- stimò, dando le spalle a quel bozzolo esanime per dirigersi verso la porta della cella. -Ma non preoccuparti: presto l’Ade diventerà un luogo molto affollato…- la sentenza mortuaria fluttuò nell’immobilità della prigione, lanciando nell’aria soffocante i suoi intenti omicidi.

Sfilò fuori dalla gabbia che l’ultima eco stava ancora terminando di spegnersi sui mattoni marci di quel posto di penitenza.

 

I Comandamenti lo fissarono beffardi dall’alto della montagna su cui erano stati scolpiti.

“Quanto a lungo combatterai contro di noi, Sebastian?” sembrarono chiedergli.

L’uomo voltò loro le spalle, lasciando che le sue sacrileghe vesti nere lo confondessero con la notte circostante.

Finché avrò pedine da sacrificare.

Fino ad allora…

 

(*) “Cuore nero”, Punkreas

NdA: dunque, non è stato facile scrivere questa fic. Per nulla, anche perché doveva essere molto più lunga, ma, poiché non riesco mai a decidermi su di un’idea al posto di un’altra, mi sono ridotta a scrivere e consegnare all’ultimo minuto.

Vorrei spiegare alcune scelte stilistiche adottate dalla fic: non mi sono soffermata a descrivere il funzionamento della società o gli organi che gestiscono la vita cittadine per un maggiore realismo. Mi spiego: chi vive in un regime demagogico, ossia una dittatura mascherata da democrazia, raramente si rende effettivamente conto della propria mancanza di libertà, inoltre è talmente abituato dal funzionamento della sua società da non starci neppure a pensare, dandolo per scontato. Chi invece si rende conto del marcio che vi è sotto, si ritrova a pensarci con un’insistenza quasi ossessiva, tanto da non liberarsene neppure nei momenti di intimità, per questo certi concetti sono quasi ridondanti: volevo dare l’impressione di questo fanatismo.

Fay viene punito con la lobotomia perché, secondo me, perdere le proprie facoltà intellettive, la propria identità, è molto peggio che morire davvero.

Inoltre non ho approfondito l’introspezione di Sebastian perché volevo mantenere la sua aura di mistero, parzialmente rivelato solo dai gesti che compie con il suo compagno.

Lo stile ha alcuni periodi molto lunghi, ma è una scelta: volevo che lo stile ricalcasse l’atmosfera cupa della distopia.

Un ultima cosa: non mi sono dilungata a descrivere la società perché volevo che essa fosse visibile non come entità a se stante, ma solo attraverso gli effetti lasciati sui due protagonisti,  come una malattia silenziosa.

Sperando che vi sia piaciuta, almeno un pochino, e sperando di ricevere presto i vostri commenti, vi saluto ^^

Red-chan

   
 
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