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Autore: Whatsername    10/09/2005    9 recensioni
Ci sono cicatrici che non guariscono, e ferite che non smettono di sanguinare. Post HBP.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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I HAVEN’T FORGOTTEN, MINISTER

 

I HAVEN’T FORGOTTEN, MINISTER

 

 

 

I haven’t forgotten, Minister. – Harry Potter, HBP.

 

 

Seduto alla sua scrivania, nell'ufficio che occupava ormai da più di un anno al Ministero della Magia, Rufus Scrimgeour stava finendo di sbrigare la corrispondenza personale.

Scriveva alla luce di una piccola candela, ormai quasi del tutto consumata, che poggiava su un piattino ricoperto quasi interamente di cera sciolta e rappresa. Le candele che erano passate su quel piatto, una specie di portafortuna che lo aveva seguito in ogni suo cambiamento di postazione da quando era cominciata la sua carriera di Auror, erano state molte, e di diversi colori: lo strato di cera che lo ricopriva aveva assunto delle sfumature incredibili. Non sapeva perché, ma questo pensiero continuava a tornargli in mente, anche nei momenti meno consoni, e a inquietarlo. Forse il motivo della sua agitazione era che, in fondo, quel piatto era un po' come l'indice del tempo che passava... e a preoccuparlo non era tanto il pensiero di invecchiare, in quel periodo, quanto la consapevolezza che la guerra andava avanti senza che il Ministero avesse raggiunto nessun risultato concreto.

Posò la piuma e si lasciò andare contro l'alto schienale della sedia, con un sospiro stanco. Si tolse gli occhiali dalla montatura di metallo, e li appoggiò sopra alla pergamena ricoperta per metà dalla sua scrittura irregolare e decisa. Si portò una mano al viso e si strofinò gli occhi affaticati.

Questa storia lo stava facendo impazzire, anche se cercava di non darlo a vedere in giro, soprattutto in presenza della stampa. Quando, più di un anno  prima, Caramell aveva dato le dimissioni dopo il ritorno di Voldemort, il pensiero di prendere il suo posto non lo aveva spaventato affatto: anzi, si era sentito galvanizzato, pronto a quella nuova, importantissima sfida. Era davvero stato convinto, per un bel po', di poter mettere a posto le cose... o per lo meno, di poterle migliorare notevolmente. Poi le persone avevano cominciato a morire, persino fra i Babbani, e la situazione era precipitata nel giro di poche settimane. Tutte quelle misteriose sparizioni. Gli omicidi irrisolti. Le strane disgrazie e le stragi che i Babbani non riuscivano a spiegarsi. E nessuno, nessuno che potesse essere ritenuto responsabile su cui mettere le mani. Gli era sembrato di impazzire, soprattutto perché aveva temuto di perdere il consenso dei suoi elettori, delle persone che avevano creduto in lui. In tempo di guerra, lo sapeva, i personaggi possono salire vertiginosamente in fretta nella stima della gente, e con altrettanta repentina velocità possono scendere. Non avrebbe sopportato una cosa del genere, e il pensiero che il pericolo di un tracollo non fosse ancora scampato - anzi, era ben lungi dall'esserlo - lo tormentava.

Durante l'anno precedente aveva cercato di fare del suo meglio per non far capire all'opinione pubblica che il Ministero, per essere assolutamente onesti, brancolava nel buio più totale. Dopo l'arresto di diversi Mangiamorte alla fine del mandato di Caramell, a seguito della testimonianza di Harry Potter e di Albus Silente, non c'era stato più alcun passo in avanti. Si erano verificati degli arresti, persone erano state catturate con l'accusa di essere in contatto con il Lato Oscuro, ma Scrimgeour sapeva meglio di chiunque altro quanto tutte quelle storie fossero frutto di un'orribile politica di convincimento - del Ministero stesso, prima che della gente - riguardo al fatto che tutto fosse sotto controllo, o quasi, e che comunque ci si stesse muovendo nella direzione giusta. Ma era tutta una farsa. Colossale.

Scrimgeour sospirò, e guardò il crepuscolo che avvolgeva i palazzi, al dilà del vetro. Si trattava di finestre incantate, dal momento che gli uffici del Ministero si trovavano a parecchi metri di profondità nel sottosuolo di Londra, ma raggiungevano ugualmente lo scopo: distrarlo almeno per qualche istante dallo sgradevole turbinio di pensieri che gli riempiva la testa. Quasi senza rendersene conto, la sua mente tornò indietro a qualche mese prima: con più precisione, al funerale di Silente, che si era tenuto nel parco di Hogwarts il giugno precedente. Silente non gli era mai piaciuto particolarmente: soprattutto, non aveva mai gradito quel suo modo cortese ma deciso di prendere le distanze dall'operato del Ministero. Sapeva che non era una questione personale: Silente era sempre stato un po' eccentrico, e si era comportato allo stesso modo anche con i suoi predecessori. Soprattutto dopo il rifiuto di Caramell di credere al ritorno i Voldemort, un paio di anni prima, il vecchio Preside si era allontanato ancora di più dalla linea del Ministero. Pensandoci su, Scrimgeour non aveva potuto dargli torto del tutto: lui e Harry Potter erano andati avanti per un anno intero a gridare la verità, e quasi tutto il mondo magico li aveva presi per pazzi. La stampa - e il Ministero stesso - avevano dato il via a una specie di campagna volta a screditare le loro affermazioni... salvo poi realizzare che era tutto vero, e che per mesi, per anni, al Ministero c'erano state persone che avevano militato nelle file dei Mangiamorte (ad esempio, Lucius Malfoy) e che mentre erano impegnate a sostenere la propaganda contro Potter e Silente facevano il loro interesse e quello del proprio padrone.

Assurdo. Scoprire come stavano davvero le cose era stato un brutto, bruttissimo colpo. Caramell era stato costretto a dimettersi, e Scrimgeour pensava che al posto suo avrebbe fatto lo stesso. Era per questo che, dentro di sé, aveva paura.

 

Aveva ripreso a scrivere da circa cinque minuti, quando sentì dei colpi leggeri alla porta. Alzò gli occhi, stupito, e scoccò un'occhiata al vecchio orologio appeso alla parete di fronte: mezzanotte e dodici minuti. In quella sezione del Ministero non doveva più esserci nessuno, a quell'ora. Chi poteva essere? Forse qualcuno del turno di notte alla sezione Auror... magari avevano trovato una pista.

"Avanti!" esclamò, fissando la porta con aria a metà fra l'apprensivo e lo stupito.

La maniglia girò. Il battente di legno si aprì lentamente, e sulla soglia si stagliò una figura alta e magra, avvolta in un mantello scuro. Il corridoio, illuminato da una fila di torce appese alle pareti,  era più chiaro della stanza dove Scrimgeour si trovava: questo gli impedì di vedere in faccia il misterioso personaggio. La sua ombra si allungava fino al centro dell’ufficio, e la luce ondeggiante delle fiaccole alle sue spalle la faceva fluttuare come una bandiera mossa dal vento.

Perplesso, Scrimgeour a tutta prima non riuscì a dire niente. Lo sconosciuto restò immobile soltanto per un attimo, con la mano poggiata sulla maniglia, poi si mosse dalla soglia e si chiuse la porta alle spalle. Così facendo, piombò nell'oscurità più totale: il cerchio di luce proiettato dalla candela posata sulla scrivania del Ministro non arrivava ad illuminare quell'angolo della stanza.

Scrimgeour cominciò a preoccuparsi, mentre una voce nella sua testa cercava invano di rassicurarlo: non può essere nessuno di pericoloso, le entrate del Ministero sono sorvegliate giorno e notte... sta’ calmo... Il suo istinto gli suggerì di cercare la bacchetta. Si portò la mano sotto la giacca, ma non la trovò. Agitato, la vide che spuntava dalla tasca del suo mantello, gettato disordinatamente sulla spalliera di una sedia, poco distante. Senza pensarci, si protese in quella direzione, allungò il braccio e l'afferrò, tenendola sollevata davanti al viso come aveva fatto tante volte, in passato, durante la sua decennale carriera nel corpo scelto degli Auror. Adesso si sentiva più sicuro.

"Chi è là?" chiese, e fu più un ruggito che altro.

Inaspettatamente, la figura avvolta nel buio rise, e Scrimgeour si stupì di quel suono. L'aveva già sentito. Conosceva quella voce.

L'uomo dal mantello nero avanzò di un paio di passi ed entrò nel debole cerchio di luce proiettato dalla piccola candela, la cui fiamma ondeggiò più forte, per un istante. Gli occhi verdi scrutarono Scrimgeour con aria divertita, dietro le lenti degli occhiali, e le labbra si piegarono in un sorriso sarcastico alla vista della sua espressione sbigottita.

"Buonasera, Ministro" disse Harry Potter, lentamente. "Mi perdoni per l'ora, ma avrei bisogno di fare quattro chiacchiere con lei."

 

Scrimgeour non credeva ai propri occhi. Fra tutte le persone che si sarebbe aspettato di veder entrare nel suo ufficio, Harry era in assoluto l’ultima che avrebbe potuto passargli per la mente.

Lo osservò per qualche istante, in silenzio, talmente stupito da non ricordarsi nemmeno di abbassare la bacchetta dalla posizione di difesa.

Non vedeva Harry da parecchio tempo. L’ultima volta che ci aveva parlato era stato al funerale di Silente. Dopo la fine della cerimonia, l’aveva raggiunto e aveva provato, ancora una volta, a farlo ragionare e a fargli capire l’importanza che una sorta di collaborazione (vera o presunta) fra lui e il Ministero avrebbe avuto per la tranquillità e la serenità delle persone, visti i tempi bui che correvano. Già il Natale precedente aveva affrontato quel discorso con lui, ma non c’era stato verso di convincerlo. Gli era sembrato strano che un ragazzino così giovane – nonostante quello che aveva passato e quello che si diceva di lui, che fosse il Prescelto e cose del genere, restava comunque un sedicenne – avesse le idee così chiare su cosa fosse giusto e cosa no, su cosa voleva e cosa non voleva, e aveva supposto che dietro quell’atteggiamento ci fosse l’indottrinamento di Silente. Gliel’aveva anche fatto notare: fedele a Silente fino in fondo, vero? E inaspettatamente, il ragazzo non aveva negato: aveva risposto che sì, era proprio così che stavano le cose: Era fedele a Silente e lo sarebbe rimasto fino in fondo.

Scrimgeour aveva pensato che le cose fossero cambiate, dopo la morte del vecchio Preside, ma si era sbagliato di grosso: la risposta di Harry alla sua proposta, quel giorno di giugno, era stata la medesima di sei mesi prima. E in quell’occasione aveva notato qualcosa che l’aveva profondamente stupito: nonostante la perdita di Silente, che l’aveva sempre guidato e protetto, Harry non gli era sembrato affatto smarrito. A parte la comprensibile tristezza, nei suoi occhi non aveva letto segni di debolezza o di cedimento: anzi, gli aveva dato l’impressione di essere più forte. Più deciso. Ancora più determinato a non rivelare a nessuno la natura delle conversazioni che lui e Silente avevano avuto, dopo la comparsa di Voldemort al Ministero l’anno precedente, circa la Profezia che quest’ultimo aveva tentato di rubare. Nessuno conosceva con esattezza il contenuto di quella Profezia, purtroppo. Nessuno, tranne Silente e, Scrimgeour ne era sicuro, Harry.

Dopo il funerale, l’aveva rivisto soltanto un’altra volta, a Hogwarts. Il Ministero, in accordo con i Professori, aveva deciso di tenere chiusa la scuola quell’anno, a causa degli avvenimenti di qualche mese prima. Gli insegnanti però continuavano a vivere lì, a prendersi cura di quel posto come se dovesse riaprire da un momento all’altro… cosa che Scrimgeour, ad essere onesto, trovava abbastanza improbabile. Quel giorno di settembre era andato a Hogwarts per parlare con la Professoressa McGranitt, e mentre risaliva il viale dopo essersi materializzato al di fuori dei cancelli, nei prati di fronte al Castello aveva visto degli studenti. A tutta prima aveva pensato di essersi sbagliato: la scuola era chiusa, non avrebbero dovuto esserci ragazzini nei paraggi. Avvicinandosi, aveva notato che in effetti quei ragazzi non indossavano la divisa della scuola: erano vestiti normalmente, e sui mantelli non c’erano stemmi di sorta. Era passato a pochi metri da loro, camminando in fretta, e solo allora aveva notato Harry: se non avesse visto la cicatrice spuntare sulla sua fronte da sotto alle ciocche scure mosse dal vento, probabilmente non lo avrebbe nemmeno riconosciuto. Era cambiato moltissimo in quei pochi mesi: era più alto, più largo di spalle, e i capelli – una volta corti e ribelli – erano più lunghi, sfioravano quasi il collo del mantello. Ma non era stato tanto questo a colpirlo: quello che davvero lo aveva stupito era il fatto che non sembrava affatto un ragazzino di diciassette anni. Già al tempo del loro ultimo colloquio aveva notato quell’aria decisa, risoluta, trapelare dalle sue parole; adesso quella vena di maturità era visibile anche a una prima occhiata. Harry l’aveva guardato di sfuggita, senza sorridere né fare un cenno di saluto, prima di avviarsi verso il lago, al fianco di una ragazza rossa di capelli dall’aria impertinente. Solo dopo aver visto l’altro, il ragazzo magro e alto dall’aria dinoccolata con una zazzera rossa molto simile, aveva realizzato che dovevano essere due dei figli di Arthur Weasley. E l’altra ragazza, quella bruna con i capelli cespugliosi e lo sguardo penetrante, doveva essere la ragazza del figlio di Weasley, a giudicare da come si tenevano per mano. Con loro c’era Hagrid, il guardiacaccia, che l’aveva salutato con un grugnito.

Da allora, Harry era cambiato ancora di più: quello che aveva davanti adesso era a tutti gli effetti un giovane uomo. Continuò a guardarlo in silenzio, troppo stupito per pensare di dire alcunché di sensato, finché Harry non agitò vagamente una mano nella sua direzione, abbozzando un sorriso.

“Non potrebbe mettere via quella bacchetta, Ministro?” chiese, affabilmente. “Non vorrei che le partisse accidentalmente un incantesimo nella mia direzione. Non sarebbe il momento giusto per mettermi fuori combattimento, mi creda.

Scrimgeour sbatté le palpebre, e per un attimo si sentì come chi si sveglia da uno strano sogno ad occhi aperti. Abbassò la bacchetta e la ripose nella tasca interna della giacca, senza smettere di studiare Harry con aria sospettosa.

“Che cosa ci fai qui?” lo apostrofò, senza curarsi di essere gentile. Non se n’era reso conto fino a quel momento, ma era davvero molto arrabbiato con lui. Parte della colpa delle sue notti insonni e delle sue trepidazioni era di quell’idiota.

Harry dovette registrare all’istante il tono ostile, perché inarcò un sopracciglio con aria vagamente stupita.

“Oh, capisco” disse, sottovoce. Il sorriso sarcastico non era ancora sparito dal suo volto. “Ce l’ha ancora con me per l’ultima conversazione che abbiamo avuto, a Hogwarts.”

“Non attribuirti più importanza di quella che meriti, ragazzino” ribatté lui, con durezza. “Non ce l’ho con te, se vuoi metterla in questi termini. Credo solo che tu abbia fatto un errore colossale a…”

“A rifiutarmi di essere strumentalizzato dal Ministero?” suggerì Harry, con voce leggera. I suoi occhi sembravano quasi divertiti, e né la sua voce, né il suo atteggiamento tradivano il minimo segno di rabbia o di indignazione.

Lo stesso non si poteva dire di lui, purtroppo.

“… a non accettare il mio invito a collaborare con il Ministero” finì, alzando un po’ il tono e fingendo di non averlo sentito. “Nessuno di noi ne ha tratto alcun vantaggio. La gente è in preda all’angoscia e ha paura di uscire di casa. Hogwarts è stata chiusa…”

“Sa benissimo che la chiusura di Hogwarts era inevitabile, Ministro” disse Harry, calmo. “Sarebbe andata così anche se io avessi accettato di collaborare, come dice lei.

“Le persone avevano bisogno di una speranza, di qualcosa in cui credere” disse Scrimgeour, fissandolo con rabbia malcelata. Somigliava sempre di più a Silente, con quella tranquillità quasi ostentata e quei modi cortesi. “E tu hai negato loro tutto questo.

“Non mi sembra, visto che tutti credono che io sia il Prescelto… e sbaglio o mesi fa fu proprio lei a dirmi che non importava che lo fossi davvero, perché la gente fosse più tranquilla?” ribatté Harry, fissandolo.

Scrimgeour rimase un attimo in silenzio, a disagio. Era vero, l’aveva detto… e lo pensava. Non capiva ancora perché Harry e Silente avessero rifiutato così ostinatamente di collaborare. Poi lo sguardo gli cadde sulla mano destra di Harry, e vide sul dorso le cicatrici che gli aveva mostrato il Natale precedente. Non devo dire bugie.

Sentì che gli veniva la nausea.

“Il fatto che il Prescelto collabori con il Ministero darebbe più credito all’operato di quest’ultimo” disse, stancamente. Ad un tratto, non aveva più nessuna voglia di continuare quella conversazione inutile. “Te l’ho già spiegato, ma non hai voluto saperne. Che sei venuto a fare?” ripeté, con malgarbo. Non vedeva l'ora che se ne andasse, averlo davanti agli occhi lo angosciava e gli torturava i nervi.

Harry rimase un attimo in silenzio.

"Posso sedermi?" disse alla fine, sottovoce.

"No, non sarà necessario" rispose subito Scrimgeour, ostile. "Anzi, se cortesemente potessi accorciare i tempi e spiegarmi lo scopo di questa tua visita in breve, te ne sarei grato."

"D'accordo." Harry incrociò le braccia sul petto e gli occhi verdi, dietro le lenti degli occhiali, brillarono di una strana luce. Non sembrava affatto infastidito dalla sua mancanza di cortesia: anzi, era come se se l'aspettasse e si stesse in qualche modo divertendo ad osservarlo, come il gatto che gioca col topo. Quella faccenda gli piaceva sempre meno. "Come vuole. In breve, Ministro... in questi ultimi tempi ho ripensato a quello che ci siamo detti durante quelle nostre... chiacchierate" sottolineò la parola, con un tono lievemente sarcastico "e ho avuto un'idea che, almeno dal suo punto di vista, potrebbe essere vantaggiosa per tutti."

Lo fissò, vagamente sorpreso, mentre il suo cervello lavorava ferneticamente. Gli sembrava improbabile - per non dire impossibile - che Harry avesse cambiato idea circa la sua proposta. Doveva esserci sotto dell'altro.

"Parla, avanti" gli disse, sbrigativo.

"Ho bisogno di discutere con lei di alcune cose, Ministro..." Harry sospirò, e lo guardò negli occhi. "Siamo vicini alla fine della guerra, e se lei deciderà di darmi una mano, sarà finita nel più breve tempo possibile."

Scrimgeour lo fissò allibito. Per qualche attimo gli sembrò persino di aver smesso di respirare, e gli si seccò la bocca.

Cosa diavolo stava dicendo, nel nome di Merlino? La fine della guerra? Come poteva essere vicina la conclusione del conflitto, se loro del Ministero non avevano trovato neppure una traccia che portasse a qualcosa di concreto? Il senso di nausea che aveva cominciato a provare da quando Harry era entrato si acuì ulteriormente.

"La fine... della guerra?" disse, debolmente. Non avrebbe voluto dargli l'impressione di essere stupito, ma non riuscì a fare diversamente. Come diavolo aveva potuto quel ragazzino fare tutto da solo? Evidentemente, oltre a Silente c'erano altre figure dietro di lui che lo aiutavano... a chi si riferiva quel siamo? "Esatto..." Harry abbozzò un sorriso. "Posso sedermi, adesso, Ministro?" aggiunse, con una punta di ironia nella voce.

Scrimgeour abbassò gli occhi sulla pergamena che aveva davanti. Gli passò per la mente l'idea che fosse tutto un bluff, che Harry stesse inventando ogni cosa perché non sapeva più da che parte sbattere la testa e aveva bisogno di aiuto... ma la scartò immediatamente. La sua faccia non era quella di un ragazzino spaurito che chiede assistenza e protezione. Era la faccia di chi concede qualcosa. Quel pensiero gli fece attorcigliare le budella.

Tornò a guardarlo, alla luce fioca della candela, e sospirò. Indicò con un cenno del capo una delle due sedie davanti alla scrivania.

"Accomodati pure."

 

Quei capelli lunghi e la barba di qualche giorno non donavano al ragazzo, pensò mentre lo osservava di sottecchi. Si era seduto tranquillo, senza togliersi il mantello, e si era appoggiato allo schienale della sedia assumendo una posizione decisamente rilassata. In certi momenti gli sembrava che lo stesse prendendo in giro, e questo gli dava terribilmente ai nervi. Chi diavolo credeva di essere? Nonostante la sua fama di ragazzo semplice e con i piedi per terra, evidentemente tutta quella storia della Profezia e del Prescelto doveva avergli dato alla testa.

"Allora..." esordì, visto che lui era rimasto in silenzio e sembrava attendere che lui cominciasse a parlare. "Come vanno le cose, in questo periodo? Ho letto sui giornali che sei stato via a lungo... in posti più o meno improbabili, a mio avviso."

"Già." Harry annuì, sorridendo. "Direi decisamente improbabili, Ministro."

"Però non ti ho più visto in giro."

"Lei non mi ha mai visto in giro" lo corresse lui, serenamente. "E comunque sì, sono stato via. Non credo che sia rimasto così sorpreso da questa mia scelta, o sì?"

Scrimgeour sollevò le sopracciglia.

"Non saprei proprio" ammise "visto che tu e Silente non avete mai voluto dividere le vostre conoscenze e le vostre intenzioni con me."

"Avevamo i nostri buoni motivi" ribatté Harry. Nel suo atteggiamento si era insinuata una punta di durezza che non sfuggì al Ministro. "E per quanto mi riguarda, li ho ancora."

Scrimgeour lo guardò senza capire.

"Non ho intenzione di dirle niente di più di quello che già sa, Ministro" spiegò Harry, serio. Sembrava aver abbandonato definitivamente l'atteggiamento amichevole e gioviale in favore di un tono sbrigativo e che non ammetteva repliche. "Questo è meglio metterlo in chiaro fin da subito."

"Cosa?" lo fissò incredulo. Si sporse sopra alla scrivania, e strinse gli occhi in due fessure. "Mi stai dicendo che vorresti il mio aiuto... senza dirmi cosa diavolo sta succendendo?"

"Non ho mai detto di essere qui per cercare il suo aiuto..." gli fece notare Harry, tranquillo.

"Hai detto che dovremmo collaborare perché la guerra finisca prima."

"Già, e c'è una grande differenza fra le due cose."

Gli occhi di Harry erano impenetrabili. Quello sguardo inquietò profondamente Scrimgeour.

"Come posso darti una mano se..." ricominciò.

"Forse non ci siamo capiti, Ministro" lo interruppe Harry, senza tante cerimonie. "Qui sono io che cerco di offrire a lei una scappatoia facile e indolore da questa faccenda, non viceversa. Non ho bisogno di lei, posso cavarmela benissimo come ho fatto fino ad ora. Non mi serve nessun aiuto per... per quello che dovrò fare, alla fine."

"Uccidere Tu-Sai-Chi?" chiese subito Scrimgeour. "Allora è vero che sei il Prescelto, la Profezia..."

"La Profezia non è affar suo, Ministro" disse Harry, con durezza. "Né di nessun altro."

"Senti, ragazzino..." Scrimgeour cominciava decisamente a perdere la pazienza. "Se sei venuto qui per prenderti gioco di me io..."

"Se lei mi lasciasse parlare invece di fare tante domande, forse riuscirei a spiegarle il motivo della mia visita" osservò lui, incrociando le braccia sul petto.

Il Ministro sospirò, e si tolse gli occhiali. La testa gli scoppiava.

"Parla" concesse, e fu più un grugnito che altro.

"La ringrazio" disse Harry, ironico. Si appoggiò più comodamente allo schienale della sedia, e proseguì: "Se tutto andrà come speriamo, contiamo di raggiungere risultati davvero concreti nei prossimi mesi... e ci farebbe comodo un contingente di Auror che venga con noi quando sarà il momento."

"Ah!" esclamò Scrimgeour, trionfante. Raccattò in fretta gli occhiali e se li infilò, per fissare Harry con aria vittoriosa. "Allora sei qui per chiedermi aiuto!"

Harry lo guardava quasi annoiato, come se non vedesse il senso di tutta quella veemenza e di tutto quell'entusiasmo.

"Le ho già detto che è più o meno indifferente, per quanto mi riguarda, avere una squadra di Auror che mi segue o il nulla più assoluto dietro di me" disse, con un sospiro.

"Allora perché?" replicò Scrimgeour, con un sorriso scettico. "Perché questa proposta?"

Harry ricambiò il sorriso, ma il suo era diverso: sembrava quasi divertito.

"Non è ovvio?" mormorò, pacato. "Per fare un favore a lei, Ministro. In fondo, era quello che voleva, no? Collaborare" il sorriso si allargò impercettibilmente "con me."

"Un... un favore a me?" fece Scrimgeour, stupito. "Potter, parola mia, devi essere diventato matto..."

"Sì, è la stessa cosa che ho pensato io di lei quando mi ha fatto quella proposta assurda, mesi fa" annuì Harry, con aria comprensiva. "Poi, come vede, ci ho riflettuto meglio e..."

"In che modo pensi di farmi un favore, Potter?" ruggì Scrimgeour, seccato. "Portando con te i miei ragazzi a... a morire invano?"

A dispetto della sua apparente calma, negli occhi di Harry passò un lampo di rabbia.

"Morire invano?" ripeté, lentamente. "Vedo che, dopo tutto, non ha proprio imparato niente in questi mesi, Ministro..."

"Che diavolo vorresti dire?"

"Mi aveva detto che non le importava che io fossi davvero il Prescelto... non le importava che morissi nello scontro con Voldemort, alla fine" mormorò Harry, senza smettere di fissarlo. "Voleva solo che la gente pensasse che le cose andavano bene. E adesso ha detto più o meno la stessa cosa... vorrebbe ancora strumentalizzarmi, ma non è disposto a fornirmi degli uomini. Non le pare di voler scegliere una strada eccessivamente facile per la gloria, Ministro...?"

"Non è il Ministero a doversi sottomettere alla volontà di uno stupido ragazzino!" gridò Scrimgeour, balzando in piedi e perdendo definitivamente la pazienza. Il cuore gli batteva come un martello nel petto, e faticava quasi a respirare normalmente. Si sporse sulla scrivania. "Dovresti essere tu a fare quello che ti dico, e non viceversa!" esclamò, puntando l'indice contro Harry. "Prescelto o meno, sei un simbolo importante per le persone in questo momento, ed è tuo preciso compito fare di tutto perché le cose filino il più lisce possibile! Era tuo dovere aiutare il Ministero!"

Anche Harry si alzò in piedi, ma lo fece con molta calma. Si avvicinò alla scrivania, e poggiò le mani aperte sul ripiano di legno. Si sporse verso Scrimgeour, senza fretta... ma quando quest'ultimo vide l'espressione nei suoi occhi, seminascosti dalle ciocche lunghe e disordinate che gli ricadevano sulla fronte e su parte del viso, non poté impedirsi di trasalire interiormente. Nel suo sguardo c'era una collera profonda, che - Scrimgeour ne fu certo - non derivava soltanto dai fatti che erano accaduti fra loro. Nella vita di quel ragazzo, dalla morte di Silente in poi, dovevano esserci stati parecchi sconvolgimenti di cui lui non aveva neppure idea, probabilmente.

"Il mio dovere non c'entra affatto con il Ministero" sibilò Harry. "E' il Ministero ad avere dei doveri verso di me, semmai. Come le ho già spiegato, Ministro... i suoi predecessori non si sono dimostrati molto amichevoli, nei miei confronti..."

Come aveva fatto il Natale precedente, sollevò il pugno destro per mostrargli le cicatrici. La sua espressione dura non cambiò di un millimetro.

"Lei ha un debito con me, Ministro" disse, piano. "Lei, e tutti quelli che lavorano in questo posto. Avete passato un anno a dileggiare me e Silente, a tacciarci per pazzi quando parlavamo del ritorno di Voldemort. Lei è proprio incredibile, sa?" aggiunse, con una risata amara e beffarda. "E' stato capace di accusarci di tenere dei segreti, di non essere collaborativi, dopo tutto quello che il Ministero era stato capace di scatenarci contro quando avevamo tentato di dire la verità. Ma davvero si stupisce del fatto che Silente non credesse in lei? Del fatto che io non creda in lei?"

"Non puoi buttarmi addosso le colpe di chi mi ha preceduto, stupido ragazzino!" esclamò Scrimgeour, spingendosi così vicino a lui che i loro nasi quasi si toccavano. Avrebbe voluto vederlo terrorizzato, o almeno un po' intimorito, ma Harry non vacillò di un millimetro, e non indietreggiò.

"Lei non ha fatto molto di meglio" replicò, fissandolo negli occhi. "A quanto mi risulta, il povero Stan Picchetto è ancora ad Azkaban, non è vero? E quanti altri innocenti come lui ha sbattuto in galera per far pensare alla gente di avere la situazione sotto controllo? Come funziona?" aggiunse, sarcastico, ma la rabbia adesso era palese nel suo tono. "Ha già una lista pronta e ne cattura uno ogni tanto, inventandosi delle scempiaggini per giustificarne l'arresto prima di spuntare il nome dall'elenco?"

Scrimgeour perse il controllo e afferrò Harry per il collo del mantello, scuotendolo con violenza.

"Non permetterti mai più di parlarmi così, sono stato chiaro?" ringhiò, avvicinando ancora di più il viso al suo. "Sono stato chiaro?" ripeté, urlando ancora più forte.

Harry chiuse gli occhi, con un sospiro, e sussurrò:

"Mi lasci andare, Ministro... non le conviene avere questo atteggiamento con me."

Scrimgeour lo scosse più forte: "Smettila di dirmi quello che devo o non devo fare, insulso ragazzino!"

Con un movimento fluido, Harry allungò un braccio e gli spinse la mano contro la spalla, allontanandolo da sé. Con l'altra mano gli tirò fuori la bacchetta dalla tasca interna della giacca, puntandogliela contro il petto all'altezza del cuore.

Scrimgeour si tirò indietro, e lo fissò allibito.

"Che cosa... cosa vuoi fare?" esclamò. "Che intenzioni hai, Potter?"

Gli era venuto in mente che forse Harry era completamente impazzito ed era andato da lui per ucciderlo. Il pensiero di essere stato talmente ingenuo da lasciarsi prendere la bacchetta in quel modo lo innervosì.

Sembrò che Harry gli leggesse nel pensiero, perché scoppiò a ridere.

"Non voglio farle del male, non si preoccupi" disse, sottovoce. "Non ne vale la pena, fra parentesi. Ma non provi mai più a mettermi le mani addosso, o la pagherà cara. Il fatto che una volta fosse a capo degli Auror non mi impressiona minimamente... ho visto di peggio, nella mia vita. Non ho nessuna paura di lei, Ministro."

"E invece dovresti averne!" abbaiò Scrimgeour, infuriato. Avrebbe voluto picchiarlo, prenderlo a schiaffi. "Non sarai in una bella situazione, quando si saprà in giro che mi hai puntato contro la bacchetta!"

"Oh, certo... perché lei sarà talmente stupido da pensare di dirlo a qualcuno?" replicò Harry, senza accennare ad abbassare la guardia.

"Non penserai che te la faccia passare liscia!"

"E' stato lei ad aggredirmi, Ministro" disse Harry, truce. "E non le conviene tirare fuori questa storia... perché se dovessi parlare io, adesso, per lei e per la sua poltrona sarebbero guai seri."

"Mi stai... mi stai minacciando?" Scrimgeour era livido di rabbia.

"No, la sto solo avvertendo di non fare passi falsi" rispose Harry, tranquillo. "E adesso si sieda, se vuole sentire il resto della faccenda."

Lo guardò oltraggiato:

"Come osi ordinarmi di..."

"Si sieda, ho detto" ripeté Harry, con un movimento secco della bacchetta in direzione della poltrona di Scrimgeour. "Ero venuto qui con l'intenzione di essere civile, nonostante il modo in cui mi ha trattato l'ultima volta che ci siamo visti, ma lei non sembra apprezzare tutto ciò. E io non ho tempo da perdere."

Scrimgeour si sentiva le guance in fiamme, e aveva la fronte sudata per lo sforzo di trattenere la collera. Non avrebbe mai creduto che Potter arrivasse a tanto, con la sua insolenza. Guardandolo negli occhi, capì che non avrebbe continuato finché lui non avesse accettato di sedersi. Con uno sguardo tutt'altro che rassegnato o amichevole, si lasciò cadere sulla poltrona, senza perdere di vista la bacchetta che Harry gli teneva ancora puntata addosso.

"Facciamola finita con questa farsa" disse, con asprezza. "Dimmi cosa vuoi, Potter. Dimmelo e poi vattene da qui."

"Gliel'ho già detto." Harry mosse qualche passo per la stanza, senza smettere di tenerlo sotto tiro. "Una squadra di Auror. I migliori."

"I miei ragazzi sono tutti all'altezza dei loro compiti!" esclamò lui. "Molti li ho addestrati io stesso!"

"Già..." lo sguardo di Harry si incupì "Come quelli che avete mandato a piantonare la casa dei Weasley, due giorni fa...?"

Scrimgeour ebbe un'illuminazione. Al nome Weasley, ricordò di aver visto Harry insieme a quella ragazzina rossa di capelli, l'ultima volta che era stato a Hogwarts... e anche prima, in giugno, al funerale di Silente. Erano seduti vicini, e avevano parlato da soli alla fine della funzione: ne era più che sicuro, perché aveva atteso che quella conversazione finisse per poter avvicinare Harry.

"Le è successo qualcosa, vero?" disse, sottovoce.

Harry lo fissò in silenzio, con le labbra ridotte a due fessure.

"Alla figlia di Arthur Weasley..." proseguì Scrimgeour. "E' per questo che sei qui. E' per questo che ti sei abbassato a tanto..."

"La smetta..."

"... il grande Harry Potter si abbassa a chiedere favori solo quando è in ballo la vita di qualcuno di immensamente prezioso, vero? Cos'è, Potter? E' la tua ragazza?" Scrimgeour sorrise, malignamente. "Non ti secca essere usato se c'è di mezzo la sua vita, allora...?"

"Le ho detto di piantarla!" gridò Harry, furioso. Con uno strattone violento scostò la scrivania, che finì contro il muro. La candela ondeggiò pericolosamente, ma restò dritta e non si spense. Con una mossa repentina, Harry fu sopra a Scrimgeour, una mano aperta su uno dei braccioli della poltrona e la bacchetta puntata sotto la sua gola. "Non si azzardi nemmeno a parlare di lei, sono stato chiaro? Non ci provi ancora, o giuro sul nome di mia madre che le infilo questa su per il cranio e la lascio qui a dissanguarsi come un maiale. Ha capito?"

Scrimgeour non credeva quasi a quello che vedeva, e a quello che sentiva. Potter sembrava davvero un pazzo, adesso: lo sguardo nei suoi occhi, dopo che aveva nominato la figlia di Weasley, era diventato quasi omicida.

“Tu sei… sei fuori controllo…” balbettò, fissandolo. 

Il sorriso di Harry fu più una smorfia. “Sì…” mormorò, lentamente. “E’ probabile. Mi fa piacere che se ne sia accorto.”

“Non hai più Silente a guardarti le spalle…” continuò Scrimgeour, fissandolo negli occhi. “Non puoi più infischiartene delle regole, persino delle leggi, e sperare di farla franca, adesso che… ”

“Allora non ha capito” lo interruppe Harry, pacato. Il suo tono era calmo, adesso, ma con un movimento brusco conficcò la bacchetta più a fondo nella gola del Ministro, facendolo gemere di dolore. I suoi occhi fiammeggiavano, e quella collera trattenuta e impetuosa spaventò Scrimgeour, nonostante il suo passato di Auror. “Le sue minacce non funzionano con me. Non mi serve la protezione di nessuno… non mi importa di finire in galera. Non mi importa di vivere, né di morire. Non mi importa di niente…”

Trattenne impercettibilmente il respiro, e Scrimgeour fu certo di scorgere una sorta di cedimento nei suoi occhi. Ma fu solo un attimo.

“L’unica cosa che voglio è farla finita con questa storia” continuò Harry, piano. “E lo farò, con o senza di lei…”

“Hai bisogno dei miei Auror!” esclamò lui. “Non ce la farai mai da solo, razza di pazzoide!”

Harry sorrise, amaro.

“Lei non mi conosce” disse. “Non sa niente di me. E non ha ancora capito che per me le sue parole sono vuote… le sue minacce non mi fanno nessun effetto. Sono al dilà di tutto questo, ormai.

Scrimgeour lo fissò in silenzio, e nei suoi occhi vide una tristezza che, nonostante la rabbia, non poté fare a meno di colpirlo. Improvvisamente, fu come se qualcuno gli avesse fatto cadere un velo da davanti agli occhi, e riuscì a farsi un’idea di quello che doveva davvero significare essere Harry Potter. Per qualche assurdo, brevissimo istante, mentre i suoi occhi guardavano in quelli verdi del ragazzo, provò per lui un sentimento nuovo, che somigliava stranamente alla pena.

Ma durò lo spazio di un battito di ciglia. Harry gli premette ancora una volta la bacchetta sotto la gola, prima di lasciarlo andare bruscamente, allontanandosi da lui. Scrimgeour si tirò indietro, massaggiandosi il collo, e osservò il ragazzo mentre si voltava, la schiena coperta dal fluttuante mantello nero. Si diresse verso la porta, lentamente. Si voltò appena, mentre posava la mano sulla maniglia, e sussurrò:

“Una squadra. Domattina all’alba, nell’atrio.”

Scrimgeour continuò a massaggiarsi il collo, a disagio, senza rispondere. Gli sembrò di vederlo sorridere, nella semioscurità, e quel sorriso gli diede i brividi.

“Domattina” ripeté Harry a bassa voce, girando la maniglia. “Ci conto, Ministro. Buonanotte.”

La porta si richiuse lentamente dietro di lui. Per molti minuti Scrimgeour fu incapace di articolare pensieri coerenti e di muovere un solo muscolo, a parte quelli della mano che massaggiava ossessivamente la pelle irritata del collo, nel punto in cui la punta della bacchetta si era conficcata a forza nella carne. Si sentiva ancora furioso, e oltraggiato, ma il sentimento che cominciava fastidiosamente a prevalere sugli altri era una sorta di vergogna. Si vergognava di se stesso, perché gli era già chiaro che avrebbe fatto quello che il ragazzo voleva: gli avrebbe dato la squadra di Auror scelti che aveva chiesto.

Si alzò dalla sedia, con un grugnito, e si accinse a spostare di nuovo la scrivania dov’era prima che Harry la scaraventasse via in un accesso d’ira. Poi si sedette pesantemente e, impugnata la piuma e stesa una pergamena bianca davanti a sé, cominciò a scrivere il messaggio che avrebbe fatto pervenire agli uffici degli Auror, quella notte stessa. Dovette fermarsi parecchie volte, perché il ricordo degli occhi infuocati di Harry lo distraeva dalle parole che tracciava sulla carta. Aveva avuto paura, in un paio di momenti, e in passato non avrebbe mai immaginato di provare quel sentimento davanti a un ragazzino di diciassette anni. Si vergognava anche per quello, ma nello stesso tempo provava un senso di comprensione che fino a poco tempo prima non aveva posseduto. Aveva sempre pensato che Harry fosse manovrato da Silente, ma quell’episodio aveva dimostrato che non era affatto così. Silente era morto, se n’era andato… e ancora quel ragazzino continuava a calcare le sue orme, benché non ci fosse più nessuno ad indicargli la strada.

Rimase a fissare l’oscurità artificiale al dilà dei vetri per molti minuti, perso in pensieri confusi e preoccupati. Mentre chinava di nuovo la testa sulla pergamena, pensò che forse – solo forse – il Mondo Magico aveva davvero perso un grande uomo, con Silente. Ma ne aveva guadagnato un altro il cui valore, proprio perché così inaspettato e sottovalutato per tanto tempo, sarebbe  risultato ancora più inestimabile in futuro.

 

 

 

  
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