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Autore: justsilence    20/06/2010    0 recensioni
Hanna torna dal viaggio in America, torna in una Londra diversa dall'ultima volta, cambiata. Ciò che è mistero verrà rivelato, forse.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The bitch is back in town.
( first part )



( past )

La stanza era pervasa da un semplice filo di profumo, un odore dolce ed estremamente femminile che, con una leggerezza quasi divina, penetrava dentro al naso e alla mente di chi entrava nella stanza. Un profumo che copriva con attenzione e forza l’odore di fumo proveniente dal filo di nebbiolina grigia emanato dalla sigaretta che una donna teneva tra l’indice e il medio. Una splendida ragazza di circa ventiquattro anni, una venere scesa in terra solo per poter suscitare invidia nel resto delle donne, amore, perdizione e passione nei maschi. L’ufficio rifletteva perfettamente l’eleganza e la bellezza sopraffine della donna: arredato con mobili relativamente di stile non troppo moderno, con colori tutti tendenti verso lo scuro; una scrivania, al centro, rivolta verso la porta d’entrata nell’ufficio, completamente in legno con il ripiano principale in vetro – nell’angolo destro v’è l’incisione ‘ S.E.J ‘ in ricordo dell’artigiano che l’ha creata. Dietro il tavolo una semplice poltroncina tendente al marrone scuro regnava sovrana; nella parete dietro la poltrona, una vetrata lunga tre metri che dava su Hyde Park, sulle splendide piante del parco. Appesi alle pareti beige laterali v’erano dei quadri rappresentanti dei volti di donne e uomini di alcune epoche, dal settecento al novecento, una ventina di quadri di ogni misura, divisi attentamente nei tre muri, non troppo ammassati, giusto per non appesantire l’arredamento e renderlo pacchiano. Nella parete a destra della porta in mogano erano state posizionate due poltroncine e una poltrona a tre posti – quest’ultima con lo schienale attaccato al muro, mentre le altre due rivolte con lo schienale verso la scrivania - tutte e tre scarlatte, sotto di queste un semplicissimo tappeto coordinato con le varie poltrone.
Lo schienale della poltroncina dove la ragazza sedeva era nascosto per metà o, quasi, dai capelli mori e lunghi della femmina; mossi verso le punte con un accenno di colore rosso verso la fronte. Del corpo si poteva vedere a malapena la mano sinistra, da cui spuntava, tra l’altro, la sigaretta accesa e fumante e la luce non facilitava la possibilità di vedere oltre la sedia, i raggi che entravano dalla finestra illuminavano tutto l’ufficio ma rendevo quasi impossibile la messa a fuoco del busto o della testa dell’altra – benché i capelli e il capo si potessero scrutare tranquillamente.
La porta si aprì con un rumore sommesso, uno scricchiolio leggero soffocato dalla melodiosa voce di una donna vestita completamente di nero, un vestito nero lungo fino alle ginocchia, delle scarpe lucide a tacco alto e qualche gioiello, nient’altro.
‹ Signorina Camille .. › il tono era estremamente dolce e quasi persuasivo, le parole lasciarono lo spazio al silenzio per un paio di secondi ‹ .. è arrivata la persona che ha chiamato pochi minuti fa. › disse, restando silente, in attesa che l’altra desse una risposta.
‹ Perfetto .. › dalla bocca, oltre al suono, uscì una nuvoletta di fumo che andò a infrangersi contro il soffitto sino a scomparire completamente ‹ .. falla entrare, e assicurati che abbia ciò di cui cibarsi, te ne prego. › non si girò, non degnò la segretaria di alcuno sguardo d’assenso o di disprezzo, come se quella non importasse effettivamente niente. Passarono una decina di minuti prima che qualcuno bussò alla porta, un semplice ‘ knoc, knoc ‘ che risuonò per tutta la stanza come se venisse amplificato dall’ufficio stesso.
‹ La porta è aperta › disse, la mora mentre spegneva la sigaretta su un posacenere.
La porta d’entrata s’aprì con lo stesso rumore di qualche secondo fa rivelando , però una figura completamente diversa da quella della segretaria. Entrò una donna coetanea di Camille, capelli color pece, raccolti in una semplicissima coda di cavallo dietro la testa. Gli occhi color del ghiaccio, simili all’acqua cristallina delle Hawaii, indossava un vestito bianco senza spalline, stretto poco sotto il seno da una cintura grigio scuro. Il vestito, lungo fino a metà coscia, sembrava proprio uno di quelli usati durante le comunioni religiose; un vestito puro, che avrebbe dovuto riflettere il candore di chi lo indossava. La carnagione non troppo scura diede un aspetto ancora più esotico al corpo longilineo e sinuoso della ragazza appena entrata. Ai piedi delle semplicissime ballerine, un paio di scarpe basse nere come la pece. Intorno agli occhi una linea di matita scura, il tanto che serviva per poter delineare e marcare la bellezza degli occhi.
‹ Camille. › il nome, detto da quella donna, prese una piega incredibilmente passionale, non sembrava più un nome qualunque ma IL nome, un tabù che non poteva essere pronunciato da persone estranee se non da quella.
‹ Hanna. › pronunciò attentamente il nome dell’altra, cercando di emulare lo stesso tono.
‹ Da quant’è che non ci vediamo? ›
‹ Da un po’, oserei dire.. › ribattè, Camille. La poltroncina scricchiolò appena, mentre si girava scoprendo e mettendo in buona vista il corpo sinuoso e dolce dell’altra, una vera e propria Venere scesa in terra, la bellezza di un angelo e la passione di un demone.
Il busto della donna si spostò leggermente in avanti, per permettere al corpo di riportarsi in posizione eretta, in piedi davanti ad Hanna. Il corpo si mostrò alla luce del sole, illuminato dai raggi del giorno; linee femminili per una donna di tutto punto, una donna passionale, che trasudava passione e sensualità da ogni singolo poro del suo corpo. Occhi dorati, di un colore talmente intenso da potersi perdere dentro come fosse una droga, di cui non fare assolutamente a meno. La carnagione leggermente abbronzata marca con forza i lineamenti, rendendoli quasi più passionali, più femminili e attraenti. Indossava una giacca nera a maniche lunghe, stretta ai polsi da due bottoni leggermente dorati, quasi ramati; giacca color pece che occultava un top bianco, bombato verso la fine con, al centro, il volto stilizzato di una donna con delle labbra rosse molto più marcate del resto. Pantaloni neri molto leggeri, lunghi sino a qualche centimetro sopra la caviglia, stretti poco sopra la vita. Ai piedi delle semplicissime scarpe nere con il tacco alto, allacciati alla caviglia con dei lacci in cuoio nero leggermente lucidato.
‹ Com’è stata l’America? › domando, Camille, posizionando il proprio corpo davanti alla scrivania, appoggiandosi a quest’ultima; i palmi delle mani poggiati sulla superficie di vetro fresco. ‹ E’ stata a dir poco stupenda .. › il tono sembrò quello di una donna sognatrice, una di quelle che non hanno lasciato da parte la loro infanzia e hanno continuato a sognare. ‹ Tutti quei musei .. tutte quelle statue .. tutti quei locali in cui divertirsi. › si bloccò per avanzare di qualche passo e sedersi nella poltrona a tre posti attaccata al muro.
‹ La nazione fatta apposta per te, direi. › asserì, l’altra.
‹ Sono passata da New York a Seattle in pochi giorni, come se niente fosse. Poi a Las Vegas .. › girò su sé stessa come una bambina che gioca con le sedie girevoli. ‹ Ah, l’America. › terminò, lasciando che la parola sparisse in un soffio.
‹ Quindi posso ipotizzare che ti sia divertita .. › Camille le rivolse un semplice sguardo di finta gioia.
‹ Mi sono data alla pazza gioia. › rispose, l’altra
‹ E’ tornato il momento di lavorare, lo sai questo, vero? › s’intromise, Camille, prima che l’altra potesse tornare a parlare.
‹ Lo so .. purtroppo. Uff › sbuffò.
‹ Non voglio ‘ ma ‘ o ‘ se ‘ , lo sai. › una pausa per scrutare con attenzione Hanna ‹ Non voglio scansafatiche nella Congrega. Tantomeno una come te. › la mano destra tastò la cattedra fino a toccare la scatola di sigarette, sfiorarne l’interno ed estrarne una semplice sigaretta per poi, finalmente, portare il filtro tra le labbra e appiattirlo di poco. La mancina viene portata a pochi centimetri dal tabacco, l’indice viene sbattuto lievemente sul pollice un paio di volte. Giusto tre volte. La prima volta non successe nulla, la seconda si formarono delle semplici scintille mentre, la terza volta, dal polpastrello del dito scaturì una scarica elettrica, non troppo forte da far del male alla donna, la giusta forza per accendere la sigaretta e creare del fuoco. ‹ Potrei arrabbiarmi. › sogghignò, mefistofelica, spostando la sigaretta per permettere al fumo di uscire e sparire a pochi centimetri dal suo volto.
La luce cominciava ad affievolirsi, il cielo si tinse di rosso mentre il sole moriva poco a poco spegnendosi, sino a lasciare spazio alla luna. La compagna della notte.
‹ E io non voglio che questo accada, Camille. › terminò, l’altra, rivolgendo un semplice sorriso accondiscendente, il capo si abbassò lentamente, mostrando rispetto e sottomissione.

  
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