Giudizio dell’autore: Premetto che America non mi sta molto simpatico per via di un motivo: FRUK. Io sono una fangirl (fanboy più che altro xD) incallita di quella coppia e qualcuno potrebbe pensare che io abbia scritto questa fiction per gettare merda su Alfred, ma non è così! Questa fiction è un regalo, per cui, Alfred è trattato come tratto qualsiasi altro personaggio di Himaruya, forse anche meglio! Ho solo messo in evidenza la comicità delle sue manie di protagonismo. Buona lettura!
Era una chiara giornata di
estate. Le nuvole passeggiavano e i venti facevano amicizia con loro.
Le
chiedevano come stavano, se avessero intenzione di far piovere, come
facevano a
non soffrire di vertigini e quant’altro.
Un uomo dai capelli biondi,
impettito, con uno sportivo giaccone di pelle marrone, nonostante
l’eccessivo
caldo, andava per le strade del ridente centro balneare presso cui
aveva deciso
di passare l’estate.
“Yummi! Quest’aria salubre
stimola l’appetito! Un hamburger non ci starebbe per niente male!”
Alfred aveva perso il conto di
quanti culi avesse visto in giro in quello stabilimento balneare. Ma
ognuno di
essi gli ricordava un hamburger, e il bisogno di nutrirsi lo stava
lacerando.
Il lido in cui soggiornava era
più che fornito di sedie a sdraio. Il piano era quello di sdraiarsi,
per poi
ordinare qualche porcheria da sgranocchiare o sorseggiare.
L’ombra era fantastica. La
frescura era divina. Niente lo avrebbe scomodato da lì… se non il
bisogno di un
suo intervento tempestivo.
Alfred aveva qualcosa in testa
come un radar cerca pericoli: ogni qual volta la gente aveva bisogno di
un
eroe, qualcosa in lui si accendeva, conducendolo alla fonte di
disperazione.
Questa volta la cosiddetta fonte era più vicino di quanto pensasse.
Alla sua sinistra, il rumore
sordo di un oggetto metallico che colpiva fortemente qualcosa gli
penetrò
dentro le orecchie per più di una volta. Quando torse gli occhi per
controllare
la situazione, riuscì ad intravedere Ivan con un rubinetto in mano, e
una sedia
a sdraio tutta sgangherata ai propri piedi.
“Mia cara sedia a sdraio…”
Mormorava il sovietico con un’espressione sorridente e compiaciuta.”
“Ehi, Russia! Che succede?”
“Ho provato ad aprire più di una
sedia a sdraio, ma non ci riesco… Poi sono passato alle maniere forti,
ma
neanche col mio rubinetto… Che nervosismo…” Spiegò, sempre col sorriso
sul
volto.
“Ahahahahah! Perché non me l’hai
detto subito? Io sono l’eroe! Ci
penso io!” Urlò, battendosi un pugno sul petto.
Con uno scatto agile, Alfred
balzò dalla sua sedia a sdraio, dirigendosi verso quella del russo. Si
chinò
ginocchioni sulla sabbia, cominciando ad armeggiare con la sedia a
sdraio,
toccandone le gambe e i meccanismi a molla che ne permettevano il
funzionamento.
Ivan, dal canto suo, non riuscì a
resistere. La testa dell’americano che si muoveva di qua e di là sotto
il suo
naso era un bersaglio troppo invitante. Portò il rubinetto dietro la
schiena,
mentre raccoglieva le forze e raccoglieva le forze, quando, tutto ad un
tratto,
la sedia a sdraio volò verso l’alto, mancando d’un soffio Alfred e
colpendo a
tutta potenza Ivan in fronte, che crollò privo di sensi sulla sabbia
dorata.
“Kaboom! Con un po’ di tritolo si
risolve sempre tutto!”
La sedia a sdraio atterrò
magicamente sulla distesa di sabbia, perfettamente aperta e
utilizzabile, come
se l’esplosione non l’avesse nemmeno scalfita.
“Hai visto, Russia? Non ci voleva
molt-…” Pronunciò America mentre si rialzava in piedi, voltandosi di
180°. Ai
suoi piedi, Ivan svenuto, stava cocendo sotto il sole rovente.
“Ma… ha deciso di dormire sulla
sabbia alla fine? Bah, questi russi! Mi ha fatto aprire la sdraio
inutilmente,
e ora mi è passato l’appetito!”
Il nostro uomo biondo, impettito
e occhialuto aveva abbandonato lo stabilimento, ricercando altre mete o
altri
luoghi in cui avrebbe potuto dare una mano.
Le strade erano ricche di stand o
negozi di qualsiasi tipo, specialmente di fiorai, che lucravano sulla
gran
presenza di coppiette innamorate a cui rifilare l’ultimo tipo di fiore
scoperto
in patagonia.
Tra questi maledetti venditori,
uno di essi aveva la capacità di convincere la maggior parte delle
coppie di un
possibile acquisto. Il suo nome era Francis, il re dei subdoli, il gran
maestro
della ruffianaggine, il cultore della seduzione.
Certo, anche lui aveva le sue
nemesi. Come le donne timide, totalmente indecise, che si chiedevano
quale tipo
di fiore andasse meglio per arredare la propria casa.
“Il mio senso di bagno pizzica! Significa che c’è
qualcuno in pericolo!”
Alfred torse gli occhi in
direzione della sorgente di tanta disperazione. Seychelles si trovava
di fronte
allo stand “Bellezze Floreali”, il cui titolare era il sopraccitato
Francis.
“Allora, chierìe, quale di questi
vorresti?”
“… Pesce. Qualcosa che sa di
pesce.”
“Che ne dici di questo oleandro
marino, allora?” Propose il francese, passandosi una mano tra i capelli
e
strizzando l’occhio.
“Uhm…” Seychelles ne assaggiò con
un forte tiro del naso l’odore, sottoponendo a giudizio la scelta del
vinofilo:
“Buono, ma… incompleto. Più pesce. Me ne serve. Come posso fare?”
“Io sono l’eroeeeeeeeeee!” Proclamò Alfred, correndo in
direzione di
Seychelles col dito innalzato al cielo, arrivandole vicino in una lunga
scivolata, lasciando sull’asfalto qualche centimetro delle sue suole.
“A-america?” Il francese rimase a
bocca aperta, mentre cercava di rimettersi a posto un ciuffo spostato
dalla
folata di vento provocata dall’arrivo dell’americano.
“Ehilà, ehilà, Francia! Stai
facendo uscire pazza questa poveretta, eh? Ma non c’è problema! Io
risolverò
tutto. Andiamo, andiamo, Seychelles, dì pure cosa vuoi.”
Beh, mi servirebbe un tipo di
fiore che… sappia di pesce. Di più di un pesce. Cioè…” La piccola e
innocente
ragazzina si rigirò più volte il dito in una delle sue due code,
assumendo
un’espressione fragile e insicura. “Come faccio…”
“Se non riesci a scegliere… la
soluzione è solo una! Prendine più di uno, fino a creare
l’inconfondibile aroma
che cerchi!”
“Oooh…!” Gli occhi della pesciara
cominciarono a brillare, sprizzando stupore da ogni poro. Si sarebbe
trattato
di un lungo lavoro, e Francis già non si aspettava nulla di buono…
“Uhn… e se aggiungessimo…”
“Provo ad aggiungere io
qualcosa!” Alfred scaricò un altro copioso mazzo di fiori sulla schiena
di
Francis. “Che te ne pare?”
“Non sa… di… pesce…”
“La vogliamo smettere per favore?
Non ce la faccio più!”
“Ahahah! Francis, sei proprio un
mollaccione! Toh, prendi questo esemplare tipico di fiore
dell’amazzonia!
Sembra perfetto per il profumo di cui è in cerca Seychelles!” Senza
pensarci
l’americano gettò un altro bouquet di fiori sulla schiena del francese,
sforzandosi di poter trovare l’aiuto giusto per la donzella in
difficoltà.
“Co-cosa? America, che cazzo mi
hai lanciato? Non avrai per caso sfiorato l’esemplare di ovbulba
flurensis, è famosissimo per attirare sciami e sciami di
api verso l’uomo che possiede i fiori in quel momento!”
Una manciata di secondi e un
rumorosissimo sciame di api era già comparso all’orizzonta, come una
sorta di
tromba d’aria turbinante e assassina. Francis sgranò gli occhi,
tremando per
l’imminente pericolo.
“Cochon! Che cos… parbleu! Si
stanno dirigendo verso di me! Devo… gnnn… scappare!”
Francis andò per muovere le gambe
a passo veloce, ma il peso dei fiori l’aveva completamente paralizzato
e
impossibilitato a fuggire.
“Pourquoiiiiiii, mon dieu?”
Lo sciame di api aveva ormai
avvolto Francis, che era crollato supino a terra, sotto il peso delle
sue
bellezze floreali, divenendo facile preda degli animali pungenti. Urla
strazianti e lancinanti provenirono da dietro il bancone, mentre Alfred
e
Seychelles assistivano alla scena senza muovere un ciglio.
“Pesce… morto?”
“Nah, Seychelles, si sta
divertendo con le api! Francis è una persona dolce come il miele, e le
api ne
vanno matte!”
“Oooh, ma allora… i fiori fanno
male? E la mia fragranza… pesce?”
“Io sono l’eroe! E ho sempre la soluzione giusta al
momento giusto!”
Alfred si girò di colpo, individuando con gli occhi un pescivendolo sul
ciglio
della strada. Con la faccia di chi sa cosa sta facendo, comprò una
quantità
incredibile di pesce, depositandolo nelle mani della ragazzina.
“Ecco! Arreda casa tua con
questi! La fragranza di pesce è assicurata!”
La ragazzina fissò i pesci con
aria stralunata: “Pesce! Pesce, pesce, pesce!”
“Evvai! Un’altra situazione
risolta alla grande!” Con estrema gioia, Alfred alzò il braccio,
colpendo le
mani di Seychelles e facendole volare tutti i pesci in faccia con una
brutalità
inaudita, tanto da farle perdere i sensi.
“Toh, che strano! Non avevo mai
visto nessuno prendersi da solo a pesci
in faccia! Non le bastavano già quelli che aveva ricevuto da
altri?” E
conscio del fatto di aver sconfitto ancora una volta il male, Alfred,
più che
mai impettito, ricominciò il suo viaggio senza meta.
L’uomo dal ciuffo biondoso sexy
andava barcollando sotto il solleone cocente, disidratato e affamato.
Essere
eroi era un duro lavoro, e forse due azioni eroiche in una sola
giornata erano
troppe.
Ma un eroe non ha mai tempo di
riposarsi. E se c’è qualcuno che ha “bisogno”
il senso di bagno non può che
attivarsi. Questa volta la fonte di disperazione riguardava una persona
che
stava particolarmente a cuore ad Alfred.
“Ti dico di no, maledetto
unicorno! Non va toccata quella parte del motore!”
Arthur era chino sul motore della
propria decappottabile, accostata sul ciglio della strada di quella
ridente
località turistica. Il culetto dell’inglese, la cui forma era ben
visibile a
contatto col costume, si muoveva a destra e a sinistra, mentre le mani
toccavano
a casaccio qua e là marchingegni presenti dentro il cofano.
“Inghilterra! Ahahahah! Parli
ancora coi tuoi amici immaginari? Perché non ti crei un unicorno di
professione
meccanico la prossima volta? Almeno ti aiuta!”
“America…” Con la faccia
stizzita, Arthur si voltò lentamente verso l’americano, sperando che la
sua
espressione fosse più eloquente delle sue parole. “Che diamine vuoi
qua? Fuori
dai piedi!”
“Uhn?” America si sorprese,
mentre con circospezione faceva il giro dell’auto dell’inglese. “E
questo
cuscino a forma di rosa? Che cosa ci fa nella tua macchina? Forse
Francis…”
“Sono affari miei!” Urlò Arthur,
piazzandosi tra Alfred e la decappottabile.
“Inghilterra! Ahahahah! Sono
venuto qui per aiutarti, non hai capito? Io
sono l’eroe!” E via un’altra volta il dito verso il cielo,
innalzato verso
la libertà e gli aerei da guerra.
“N-no! Tieni le tue zampacce
lontano dalla mia decappottabile!”
“Andiamo, sai molto bene che sono
migliore di te in tutto! E poi ho imparato come si fa da giappone!”
Una leggera spinta ed Arthur era
ormai lontano dal cofano, al cui interno le frettolose
mani dell’americano si muovevano senza sosta,
provocando rumori inquietanti per le orecchie del giovane Arthur. Col
cuore
straziato, non poteva far altro che osservare qualche bullone o vite
che veniva
fuori.
Lo strazio perdurò finchè Alfred
non tirò su la faccia sporca di grasso, asciugandosi il sudore.
“Inghilterra! Ahahahahah! Vedrai
come ti ho sistemato il motore! E’ una bomba!”
“Ehr… sì? Non vedo l’ora di
provarlo, allora!”
Inghilterra prese posto sul
sedile del guidatore, con volto scettico. Mise le mani sul volante,
andando per
girare le chiavi e accendere la vettura.
“Aspetta, Arthur. Lascia che ti
aiuti. Chiudi gli occhi…”
“Co-come sarebbe a dire, chiudi
gli occhi?” L’inglese saltò all’aria, con la faccia più porpora che
abbia mai
avuto.
“Fidati di me, Arthur!”
Il britannico chiuse gli occhi,
tenendo le mani ben ferme sul volante. Dopo una manciata di secondi,
sentì il
respiro dell’americano avvicinarsi a lui, sempre più vicino, fino al
collo.
“Adesso non frenare, Arthur… Non
fermarti…”
Co-cosa? Sta forse alludendo al fatto… che non devo tirarmi
indietro?
Che non devo frenare i miei sentimenti? What the fuck!
Il cervello del gentleman era
andato praticamente in tilt. Quella frase risuonava così ambigua… e…
quella sua
frase precedente… quel chiudere gli occhi…
“Bene, Arthur. Adesso accelera,
fallo vibrare… Muovi sull’acceleratore…”
Accelerare… il battito del mio cuore? M-ma… What the Hell,
da dove ha
preso tutta questa audacia?
Il volto di Arthur era in
sovraccarico sanguigno. Stordito da quelle parole che non si aspettava,
mantenne la lucidità necessaria quanto bastava a seguire le direttive
dell’americano, schiacciando sull’acceleratore. Quando Alfred smise di
parlare,
il rumore di un motore che si accendeva arrivò alle orecchie
dell’inglese.
Aprì gli occhi e tutto gli fu
chiaro: nella sua macchina a cambio automatico, schiacciare
l’acceleratore
significava partire. Alfred aveva girato le chiavi mentre lui aveva gli
occhi
chiusi, e la pressione sull’acceleratore aveva fatto il resto.
La macchina partì come un razzo,
e quando Arthur aprì gli occhi si ritrovava già a folle velocità, con
una
macchina che non riusciva a controllare né a fermare.
“What the heeeeeeeeeeeeell…!”
Sentì Alfred sempre più in lontananza, mentre vedeva la macchina
dell’inglese
partire a tutta velocità, andare a sbattere con un albero ai lati della
strada
e poi esplodere, mentre il britannico veniva scagliato via ad anni luce
di
distanza.
“Ehi, che fesso! Eppure
gliel’avevo detto che il nuovo motore
era una bomba! Come gli è venuto in mente di farlo esplodere? Oh,
povero
Inghilterra…”
Alfred aveva terminato la
giornata con una gran soddisfazione sulle spalle. Ancora una volta, si
era battuto
perché tutto andasse bene. E aveva vinto.
Il bene aveva trionfato ancora
una volta.
Si era meritato una bella cena a
base di hamburger e cola.
Scriveva così a fine giornata,
sul suo diario:
<
Se non trovo il tempo per
rilassarmi nemmeno in vacanza, quando dovrei farlo?
Eppure, giuro che da domani la
smetto.
Anche perché ho la sensazione che
non tutto ciò che ho fatto oggi abbia avuto un esito positivo.
O no?
Beh, domani chiederò a qualcuno.
O dopodomani.
O magari fra un mese.
Ma è poi così importante
l’opinione degli altri?
Tanto, per quanto possa domandare
in giro, da ogni parte riecheggerà sempre la stessa magnifica voce: Io sono l’eroe!>>
“Là! Finito!” Urlò esultante
America, staccando la penna dal foglio.
“Bene, adesso puoi levarti da
sopra di me? Mi stai fracassando tutto!”
“Inghilterra! Ahahahah! Scusa, mi
ero completamente dimenticato di essermi appoggiato sul tuo stomaco per
scrivere!”
“Vaffanculo! Non solo mi hai
mandato all’ospedale, mi usi anche come scrivania!”
“Beh, se mi hai sempre detto che posso contare su di te
non vedo perché
non dovrei poter scrivere su di te!”
Con una risposta arguta, ancora
una volta l’eroe aveva esorcizzato il male, riportando tutto alla
normalità. Il
mondo poteva dormire sogni tranquilli.
Continua a difenderci, Alfred.
Continua a difenderci e a garantire a ognuno il proprio giusto futuro.
Perché, checcè ne possano dire,
tu sei e rimani l’eroe. L’unico eroe.
---
Questa
fiction è… strana. Un
insieme di demenzialità e ironia nei confronti di America? Non saprei.
Ma so a
chi doverla dedicare. Anche se l’ho terminata alle 0:05 e di fatto non
è più il
suo compleanno, dedico questa fiction a Giulia/Hina,
come un piccolo presente per il suo compleanno (di cui mi sono
ricordato, tra
l’altro, alle sei di pomeriggio xD)
Dal momento che lei è l’eroe, e
sottolineo, l’unico che sopporto, non potevo non dedicarle una fiction
alfredosa.
Sebbene lei non voglia ammetterlo mai, so bene che mi ama, quindi non
volevo
che questa giornata mi scivolasse addosso come una giornata qualsiasi.
Per cui…
Tanti auguri onee! <3