Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law
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Autore: Shadowolf    22/06/2010    5 recensioni
Sì, sono in vena ultimamente, come facilmente intuibile. E sì, lo so che le angst sono deprimenti, ma non ci posso fare niente. Questo periodo prima o poi passerà. Forse. Nel frattempo vi tocca sopportarmi ç___ç Anyway, anche questa è un flashback, risale alla fine delle riprese di Holmes (e prima del tour promozionale, of course). Enjoy!
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riuscii ad andare da lui prima di lasciare l’hotel per l’aeroporto. Dovevo farlo. E l’avevo fatto anche a costo di fare incazzare Susan, che non riusciva a capire perché dovessi per forza andare a salutarlo. Di nuovo, aveva sottolineato. Già, perché la sera prima ci eravamo salutati con tutta la crew, con Guy, con Rachel, con Mark... insomma, con tutto il cast e con ogni singola persona che aveva lavorato al film, lui compreso. È una cosa che faccio sempre, mi sembra il minimo. Anche solo per educazione. Voglio dire, passi quattro mesi insieme e poi te ne vai senza neanche salutare?
Comunque ero riuscito a liberarmi di lei, in un modo o nell’altro (alla fine aveva alzato gli occhi al cielo e si era arresa, mentre io ero già con una mano sulla maniglia della porta), avevo percorso tutto il corridoio fino ad arrivare alla sua stanza (sospetto l’intervento di mia moglie anche in questo, prima che mi raggiungesse a Londra la mia stanza era di fronte alla sua) e avevo bussato. Una volta, due volte. Non rispondeva nessuno. Non poteva essersene già andato, gli avevo fatto recapitare un messaggio dalla portineria dicendo che sarei passato prima di andar via. Riprovai, ma niente. Così scesi in fretta le scale, arrivai alla reception e su due piedi inventai una scusa con il tipo ,della serie che avevo scordato la card dentro la stanza. Quello mi squadrò mezzo disgustato (probabilmente pensando che noi attori potevamo permetterci davvero ogni lusso) ma me ne diede un’altra comunque. Ritornai davanti alla sua porta ed entrai finalmente dentro. “Jude?” chiamai, senza avere risposta. “Judesie?” di nuovo, stesso risultato. Poi mi accorsi del suono dell’acqua. “Ecco perché non m’ha risposto" pensai, "è sotto la doccia, non m’ha proprio sentito.” Mi sedetti sul letto ed aspettai, anche se non avevo tempo. Cinque minuti. Dieci minuti. L’aereo partiva tra un’ora e mezza. Ma al massimo l’avrei perso. Tanto. Non avevo programmi per la giornata. A pensarci bene non avevo programmi nell’immediato. Non prima di una decina di giorni almeno. Passò un quarto d’ora. Non ero preoccupato, spesso passa mezz’ora sotto la doccia. Dice che lo aiuta a rilassarsi. Evidentemente doveva essere appena entrato quando ero fuori a bussare. Cominciai a guardarmi intorno, cominciai a guardare le sue cose. I suoi vestiti così perfettamente piegati nella valigia già quasi tutta pronta (le mie cose, venticinque stanze più in là, giacevano sparse ovunque, o ammucchiate senza essere state nemmeno piegate). Mi alzai e raggiunsi il bagaglio. Cominciai a spostare piano le sue magliette, alla ricerca di non sapevo nemmeno io cosa. Probabilmente mi piaceva semplicemente guardarle. Poi all’improvviso mentre ero piegato a sbirciare sento un rumore. Meglio, un tonfo. Come di un qualcosa che viene lasciato cadere. E proveniva dal bagno.
Smisi di assecondare il mio piacere possessivo di avere le mie mani nelle sue cose e mi avvicinai alla porta del bagno, poggiando un orecchio sulla sua superficie. L’acqua continuava a scorrere. Bussai piano e chiamai il suo nome. Ancora nessuna risposta. Lo chiamai ancora, e questa volta colsi nel suono della mia stessa voce una nota allarmata. Ma non cambiò le cose. Così decisi di entrare. Era anche idiota, da un certo punto di vista, farsi tanti problemi su una presunta violazione della sua intimità, visto che in pratica era il mio ragazzo e avevamo fatto tutte quelle cose che si fanno quando si ama qualcuno. Ci eravamo baciati, ci eravamo coccolati, avevamo fatto l’amore. Ma ora mi facevo tanti problemi ad entrare nel bagno mentre lui era sotto la doccia. Significava qualcosa? Avevo già cominciato a cercare di farmi una ragione di non averlo con me ogni giorno? Forse sì. Comunque senza aspettare oltre abbassai la maniglia e aprii la porta.
Sembrava tutto in ordine. Era tutto in ordine. “Jude, are you okay?” chiesi a voce più alta, così che mi sentisse nonostante lo scorrere dell’acqua. Di nuovo non mi rispose. “Jude! Don’t make me worry, c’mon...” ripresi, ma potevo benissimo star lì a declinare quella frase in dieci lingue diverse e con dieci accenti diversi, era come se stessi parlando da solo. Cominciò a venirmi il dubbio che avesse lasciato il rubinetto aperto. Non è che sia sbadato, è che certe volte non ci pensa, o semplicemente viene preso da altre cose. Fissai la tendina blu per un minuto ancora prima di decidermi a dare un’occhiata più da vicino. Raggiunsi la doccia, tesi la mano verso il tessuto e pian piano lo tirai verso destra. All’inizio pensavo che il vano fosse effettivamente vuoto, ma poi lo vidi. Se ne stava rincantucciato contro la superficie liscia della vasca, il torso nudo, le ginocchia al petto, i pantaloni del pigiama ancora indosso. Teneva la fronte appoggiata alle gambe e mi nascondeva i suoi occhi. Il getto d’acqua lo colpiva direttamente tra la testa e la nuca, pettinandogli i capelli in avanti. Tremava tutto. Aveva la pelle d’oca. Intuii che l’acqua dovesse essere fredda. Lo shock iniziale durò una decina di secondi, durante i quali non riuscii letteralmente a fare nulla se non guardare tutta quella scena e rivedere flashback del mio passato. Quando mi ripresi allungai la mano verso la manopola e la girai, interrompendo il getto e bagnandomi la manica della giacca. L’acqua non era fredda. Era ghiacciata. “Jude, what are yo-“ cominciai a dire, ma poi mi interruppi. Al sentirmi pronunciare il proprio nome aveva alzato la testa e aveva fissato i suoi occhi nei miei. E in quel momento capii tutto. Io mi ero fermato di fronte alla porta del bagno. Lui si era accasciato contro il marmo della doccia. Reazioni diverse allo stesso sentimento. Provavamo le stesse cose. Avevamo paura.
I suoi occhi erano rossi. Ora l’acqua non scorreva più ma il suo viso era lo stesso bagnato. Le gocce che gli cadevano lentamente dai ciuffi dei capelli si mischiavano alle lacrime che continuava a versare. Ma nondimeno continuava a guardami. E quegli occhi mi stavano uccidendo, istante dopo istante. Dovevo fare qualcosa. Non sapevo che cosa. L’unica idea che mi venne la presi per buona, senza fermarmi un secondo ad analizzarla. Misi prima un piede e poi l’altro nella vasca, mi avvicinai a lui e mi sistemai al suo fianco, spostandolo leggermente più in là per crearmi lo spazio necessario. L’acqua si impadronì subito dei miei pantaloni, nel giro di un minuto li avevo fradici. Ma non ci diedi peso. Allargai il braccio vicino al suo corpo e immediatamente mi ritrovai il suo viso sepolto nel mio petto, le sue mani intorno al collo. Cominciai ad accarezzargli piano la spalla per cercare di tranquillizzarlo ma fallii miseramente. Continuava a tremare tutto. Lo strinsi a me e lui mi si avvinghiò ancora di più, serrando le braccia intorno alla mia nuca come se avesse paura che da un momento all’altro potessi scomparire davanti ai suoi occhi. Non sapevo che fare. Il mio cervello era come se si fosse spento, o se fosse andato in standby. Volevo dirgli qualcosa, ma sembrava che non avessi più parole dentro di me. Volevo dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma non ci sarei mai riuscito suonando credibile. Volevo dirgli che non aveva nulla di cui avere timore, ma avrei mentito anche a me stesso. Volevo dirgli che per me era la cosa più importante al mondo e la più bella che mi fosse mai capitata, e lo stavo per fare, ma mi anticipò. “Stay with me... please...” sussurrò lentamente, lo sguardo ancora nascosto tra le pieghe della mia maglietta ormai bagnata. Gli poggiai dolcemente un bacio tra i capelli e tutto quello che avrei voluto rispondergli sarebbe stato un semplice sì. Ma non ci riuscii, perché sapevo che sarebbe stata solo una bugia. Non sarei mai potuto rimanere con lui, per quanto potessi volerlo. Avevo una moglie, una donna che mi aveva salvato quando ero stato sul punto di buttarmi nel precipizio, che mi era rimasta accanto quando tutti rifuggivano la mia compagnia. Non le avrei mai potuto fare questo. Abbandonarla. Non sarei mai più stato capace di guardarmi allo specchio, dopo, senza provare l’impulso di sputare alla mia immagine riflessa. E parla uno che non ha una grande considerazione di sé stesso, quando si tratta della propria vita. “Hey...” gli dissi piano, la voce ridotta ad un bisbiglio, chinando la testa fino ad incontrare il suo sguardo “I’m not gonna leave you, Jude. Not today, not tomorrow. I’ll always be with you. I love you.” Posai le mie labbra sulle sue e lo baciai fin quando non mi rimase più fiato nei polmoni, sperando che capisse che stavo parlando sul serio. Non era uno scherzo, o un modo di dire. Quelle parole erano quanto di più puro la verità possa essere. Seppellì di nuovo la sua faccia nel mio petto e riprese a stingermi forte. Mi stava facendo male ma non me ne importava, perché quel dolore era il suggellamento di un patto d’amore. Appoggiai il mento sui suoi capelli e chiusi gli occhi. Mi accorsi di avere la faccia bagnata e capii che stavo piangendo.

   
 
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