Videogiochi > Final Fantasy VIII
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Autore: Abbykat    22/06/2010    2 recensioni
Un po' di filosofia dal membro della squadra probabilmente meno incline a pensieri profondi: Zell riflette su dove sta andando e in cosa si è cacciato.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Zell Dincht
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono proprietà Square-Enix, e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro: nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

A BULLET WITH YOUR NAME ON IT
scritta da Abbykat, tradotta da Alessia Heartilly

Non aveva mai del tutto afferrato il concetto di un proiettile con il proprio nome scritto sopra. Aveva sentito spesso questa frase - di solito in una risata, nei pressi dell'infermeria e dopo una missione. Fischiettando nel buio, fece ipotesi. Solo che non si era mai bevuto l'idea di un colpo che stava aspettando là fuori proprio lui.

Per come la vedeva lui, se si era bravi abbastanza non ci si doveva preoccupare di cose come quelle. Bisognava solo essere quel briciolo migliori - quel briciolo più veloci - e l'altro tizio non avrebbe avuto la possibilità di vincere, non importava che nome ci fosse sull'arma. Semplice.

Era molto, molto bravo.

Si inorgogliva della sua velocità; era il più veloce di uno qualunque di loro, anche più veloce a volte dell'estrazione dell'arma del cecchino, e quello era molto di cui inorgoglirsi, anche se non era esattamente lo stesso tipo di velocità. Con le sue due mani era un bel po' più pericoloso di quanto potessero esserlo molte persone con l'arma - poteva, a volte, schivare i proiettili, e l'aveva fatto. L'unico di loro che poteva lasciarlo regolarmente in mutande senza ricorrere alla magia era il loro leader, ma quello c'era da aspettarselo e basta, dato che per quanto lo riguardava quel tipo era imbattibile - lo si metteva ko e lui semplicemente si rialzava, ed era pure incazzato. Era una costante in una vita che era diventata dannatamente prevedibile.

Ed era questo il motivo per cui era stato un tale shock vederlo cadere.

L'aveva rivissuto nella sua mente un centinaio di volte, cercando lo scivolone, l'errore critico che aveva aperto quella guarda indistruttibile. Fece del suo meglio per razionalizzare la cosa: fatica, distrazione. Era vero, ma non abbastanza vero da soddisfare quella sensazione sgradevole che gli si era accovacciata nello stomaco e si rifiutava di andarsene. Non c'erano scuse, nulla a cui potesse dar risalto per spiegare l'accaduto; c'era stato solo il ritmo familiare della battaglia, il crepitio di una magia da un lato e l'abbagliante colpo di una spada luccicante dall'altro e lo scricchiolare bagnato dell'osso che si rompeva sotto ai suoi pugni, la soddisfazione scura che veniva con la consapevolezza che avevano già praticamente vinto. E poi il crepitio dello sparo e quella spada pesante aveva fallito, il suo possessore che barcollava e cadeva con un'espressione di sorpresa inebetita.

Allora erano successe tutte insieme una mezza dozzina di cose. La pistola aveva vacillato nella presa di un soldato pallido che doveva essere sorpreso almeno quanto loro, e poi si era stabilizzata di nuovo; c'era magia che prendeva vita e armi che venivano usate per resistere ma non abbastanza vicine, non abbastanza veloci, e tutto quello che aveva avuto erano le sue due mani e la sua velocità e aveva saltato - più veloce del crepitio della frusta, più veloce del grilletto del cecchino, più veloce della magia della strega - e un proiettile destinato a qualcun altro gli si era piantato dentro nel millesimo di secondo prima che quello che l'aveva sparato svanisse in uno spruzzo di sangue.

L'oggetto del suo impulso protettivo era stato insolitamente brusco per un po' di tempo dopo, e ripensando a tutta la faccenda si era trovato a non essere più del tutto sicuro di parecchie cose.

Se il migliore di loro poteva essere sconfitto, non nel bagliore della gloria ma con lo scoppio di un solo colpo di pistola e tonfo poco cerimonioso di un corpo che cadeva a terra, chiunque di loro poteva essere sconfitto allo stesso modo. Se essere il migliore non bastava, forse dopo tutto là fuori c'era un proiettile con il suo nome sopra, o una spada o un paio di artigli e denti - forse ce n'era uno per ognuno di loro. Dove stavano andando, forse ce n'era più di uno.

E quello, decise, andava bene.

Sarebbe semplicemente diventato più veloce, e avrebbe tenuto gli occhi aperti. Era il più veloce tra tutti loro, e poteva diventare ancora più veloce prima che loro arrivassero dove stavano andando. Avrebbe continuato a forzarsi, e avrebbe imparato a tenersi in guardia da quei colpi, per vedere quale avesse un nome sopra mentre arrivava.

Se fosse stato abbastanza veloce, forse avrebbe potuto afferrarli tutti.

   
 
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