Tra
Ieri e Oggi, Storia Dei Miei Primi Due Amori
Capitolo I
Tutto Nasce Da Un tema
Oggi
Le solite
quattro mura dell’aula mi circondano, sempre dello stesso deprimente color
giallo paglia e sembrano quasi beffeggiarsi di noi, povere anime pie che siamo
blindate lì dentro da ormai quattro anni, come sardine che non vedono l’ora di
uscire dalla loro stretta e angusta confezione, anche se sanno che ciò che le
spetterà sarà di ritrovarsi nello stomaco del consumatore che le ha acquistate.
Sempre meglio che passare una vuota e insipida esistenza lì dentro però, dico
io, anche perché c’è sempre il brivido dell’avventura quando ci si ritrova a
dover affrontare qualcosa che non si conosce. Certo, anche di paura, ma che
timore vuoi che provi una studentessa del quarto anno di liceo classico che per
quasi un lustro è riuscita a sopravvivere a traumi psicologici dettati dalla
inerme e depressa professoressa di inglese insieme alla pazzia e agli sbalzi
d’umore di quelli di matematica e latino e greco? Nessuno. Anzi, come dico io,
una volta finito “’sto liceo del cavolo” posso affrontare tutto.
Accanto a me,
Laura sbuffa e si sistema meglio contro lo schienale della sedia, fingendosi
interessata alle parole che la supplente di italiano sta dicendo.
“… Quindi credo
che resterò qui almeno tre settimane, stando a ciò che il vostro professore mi
ha detto prima dell’operazione. Bene, credo sia opportuno conoscerci prima un
po’, quindi facciamo l’appello…”.
Bionda platino,
con un viso truccato alla perfezione e tailleur blu, quella che si è presentata
come la professoressa Altieri ha tutta l’aria di essere una docente alle prime
armi, che non arriva ai trent’anni e crede che basti essere affascinante,
sorridente e utilizzare qualche cadenza del gergo giovanile come “sfiga” per
farsi apprezzare. In realtà non sa che alla fine chiunque può essere meglio di
Castaldi, colui che ora è in ospedale per un’operazione alla colecisti e che
per i primi due anni di superiori ci terrorizzava a morte, anzi, ci saremmo
accontentati di non avere nessun sostituto ovviamente.
La bionda prende
il registro e sta per dire il primo nome, il mio. Chiamarsi Amani Milena ha
fatto sì che sia alle elementari, che alle medie e alle superiori fossi la prima dell’appello, cosa non affatto
piacevole visto che ero sempre stata in bella vista per eventuali
interrogazioni oltre che la prima a essere interrogata agli orali degli esami,
ma ormai mi ci ero abituata- anche perché alla maturità si sceglie la prima
lettera per estrazione (cosa che ovviamente data la mia fortuna avrebbe fatto
sì che di sicuro anche in quell’occasione la sorte avrebbe scelto di far uscire
la A, tanto che l’avevo scommesso con le mie compagne di classe)- e la cosa che
più non tolleravo, invece, era il nome in cui i professori pronunciavano il mio
cognome. Amani. Scommetto che anche voi l’avete letto come “Amàni” e non
“àmani”, proprio come il novanta per cento degli insegnanti incontrati in
dodici anni di studi.
“Quanto ci
scommetti che ora sbaglia l’accento?” chiedo sarcastica a Laura, che nel
frattempo ha appoggiato la testa sul banco dopo aver sbadigliato sonoramente.
Seduta davanti a
noi, Alice si volta e ammicca in mia direzione. “Amàni” sussurra con un tono
altezzoso. “Io preparo già il coro di “àmani”,prof!” aggiunge.
Come la mia
rosea previsione, quindi, la Altieri si schiarisce la voce e dice: “Amàni
Milena!”.
Sospiro rassegnata,
mentre Laura, Alice e il resto della classe ridacchia e si diffonde il coro di
“àmani, non Amàni” guidato da me. E meno male che a inizio anno, stufa di
questa tarantella, avevo preso il
registro e avevo segnato l’accento sulla prima A dopo che la professoressa di
spagnolo- che per altro ci conosceva già dato che aveva insegnato da noi al
primo anno- aveva commesso il fatidico errore.
“Oh, scusami
Milena! Quindi, àmani…”.
“Ha anche
segnato l’accento, prof!” mette il dito nella piaga Maria dal suo primo banco.
Ora che ricordo, era stata lei a suggerirmi quella perspicace mossa, a
settembre.
La professoressa
imita un mezzo sorriso imbarazzato e prosegue l’appello, finchè il suono della
campanella non segna la fine dell’ora.
“Allora per la
prossima volta mi fate questo tema, ragazzi!” dice infine. “Me lo consegnerete
su un foglio così potrò portarlo a casa e leggerlo per conoscervi meglio, ok?
Scrivete…”.
Ci medita un po’
su, sotto lo sguardo un po’ scocciato e curioso di noi studenti che abbiamo già
il pensiero rivolto all’ora di fisica, dato che il professor Crescenzi è in
piena fase di interrogazioni particolarmente ardue e impossibili a cui
sottoporsi se il proprio intento è quello di sfiorare la sufficienza. Tema per
conoscerci meglio? “Me e la mai famiglia”, magari?
No, ma ci sono
andata quasi vicina. “Io e la mia classe.
Sono passati ormai quattro anni dall’inizio della scuola superiore, e di sicuro
ci sono state sia gioie che momenti particolari. Esprimi le tue considerazioni
al riguardo, soffermandoti su qualche periodo che più ti va di estraniare”. La
donna prende la borsa e fa per
uscire. “Me lo consegnerete giovedì! Arrivederci!” e così dicendo esce dall’aula,
facendo rumore con il ticchettio delle sue scarpe.
Dal primo banco
della fila centrale, seduta acanto a Gioia,Madda si gira e mi guarda sorniona.
“Lena, mi citerai nel tema? Dai, dopotutto sono undici anni che ti sopporto!”
domanda, facendo uno sguardo da cucciola.
Levo un
sopracciglio e assumo un’espressione da falsa malefica, fingendo di meditarci
su. “Mmmm, diciamo che forse ti citerò come protagonista dei momenti più
esilaranti!” concedo, quando, chissà perché, ho in mente tutt’altro. Non ci
avrei mai creduto, eppure quel tema mi ha improvvisamente incuriosita; ho una
grande voglia di pensare a ciò che devo scriverci, forse sarà colpa del tempo
che è volato così in fretta, senza darmi il tempo di riflettere e realizzare
che non sono più la quattordicenne di un tempo, ormai vicina alla maggiore età.
E, inevitabilmente, senza curarmi della paura che invade la classe per la
sicura imminente interrogazione e le due cavie che Cresenzi sceglierà, la mia
mente viene rapita dal ricordo di una calda giornata di settembre e di ciò che
ne è susseguito, in cui la protagonista è una Lena un po’ più bassa e ingenua,
ma che comunque invidio per il modo in cui si è messa in gioco…
Ieri
Dovevo davvero
essere matta, eppure era già dalla fine di luglio che non vedevo l’ora di
andare a scuola per iniziare il liceo. Da quando, quel fatidico trentuno
luglio, avevo saputo che anche la mia amica Maddalena- con cui andavo a scuola
insieme dalla prima elementare- aveva
cambiato sezione e si era iscritta a sua volta nella mia stessa classe, ero
ancora più impaziente di andare a scuola per poter vivere in sua compagnia i
cinque anni del liceo, che ero certa sarebbero stati indimenticabili per la sua
compagnia e quella delle numerose persone che avremmo conosciuto.
Da agosto avevo
iniziato la caccia ai vestiti da indossare quel caldo quattordici settembre
duemilasei, ma si può dire che ancor prima avessi iniziato a cercare uno zaino
adatto con tanto di diario e astuccio coordinato.
In realtà, però,
il motivo di tanto entusiasmo al mio ritorno tra i banchi di scuola era un
altro: mi ero iscritta al Liceo Classico, che si trovava nella stessa struttura
dove avevo frequentato le medie. Alle scuole medie, in quella che a breve
sarebbe stata la 3°B, conoscevo tanta gente. E tra quella gente c’era lui, Fabio,
per cui avevo una cotta colossale da due anni. Poco importava che fosse di
undici mesi più piccolo di me, dimostrava almeno quindici anni ed io lo adoravo
perché era l’unico ragazzo che fino a quel momento era riuscito a farmi
arrossire e palpitare il cuore con un minimo gesto di saluto.
“Lena! Sei già
pronta?! Ma sono le otto meno un quarto!”.
La voce
incredula di mia madre interruppe i miei
pensieri mentre ero intenta nello scrutarmi allo specchio per aggiustarmi il
cerchietto e il ciuffo che il giorno prima il parrucchiere mi aveva
pazientemente lisciato, lasciando il resto della chioma castana mossa dopo
averla accorciata di un bel po’, in modo che arrivasse solo un po’ oltre le
spalle.
“Si, tra un
quarto d’ora viene Lena giù, andiamo insieme a scuola” risposi.
Mamma mi guardò
confusa- evidentemente non aveva ancora bevuto mezzo sorso del caffè che si
trovava nella tazza che reggeva in mano- prima di annuire. “Ah, Maddalena vuoi
dire! Non capisco perché ti ostini a chiamarla Lena, anzi, non capisco perchè
ti fai chiamare così anche tu dopo che il tuo vero nome è un altro…” mormorò
con una mezza aria di rimprovero.
La guardai di
sbieco e tornai ad occuparmi dei capelli, sbuffando. “Lo sai che alle medie ci
facevamo chiamare così, e sai anche che Milena non mi è mai piaciuto molto” le
ricordai.
La nostra
conversazione fu interrotta dal sopraggiungere di uno gnomo di dieci anni
ancora in pigiama e con gli occhi cisposi. Alto poco più di un metro e
quaranta, mio fratello Francesco quel giorno avrebbe iniziato la quinta
elementare.
“Mamma, c’ho
fame” annunciò come tutte le mattine.
“Francesco! Ti
ho svegliato venti minuti fa, tra mezz’ora devi stare a scuola, vestiti!” urlò
in risposta mia madre, incitandolo ad entrare in bagno.
“Ma io ho
fame!”.
“E mangi dopo,
muoviti…! Oh, lo dicevo io, ogni anno a settembre inizia il solito guaio! Ma
quand’è che finite di andare a scuola, eh? Io già non ce la faccio più….”.
Fu con sollievo
che cinque minuti dopo, avendo accertato che la maglietta rosa non fosse troppo
aderente sulla pancia e che il mascara non fosse sbavato, scesi giù per
incontrare la mia amica, che trovai fuori al cancello del condominio dove
vivevo, radiosa e sorridente come suo
solito.
“Liceale!” la
accolsi, abbracciandola.
“Liceale!”
ripetè lei. Si allontanò e mi guardò. “Ma che ne hai fatto della Lena della ex
3°B?” chiese sarcastica. “Dove sono i tuoi capelli chilometrici e gli
occhiali?”.
“Parrucchiere e
lenti a contatto. Lena, non ce la facevo più ad essere “Lena la secchiona”,
voglio cambiare, anzi, voglio essere quella che sono veramente. Mi sento bene
così, mi sento libera e voglio che la classe mi conosca nella mia migliore
versione, non quella della tipa un po’ acida che non passa niente a nessuno.
Anche perché ho paura… E se non sono in grado di affrontare il liceo? Se è
tutto troppo difficile per me?” ammisi con un tono timoroso.
“Ma stai zitta!
Andrai bene e basta… E al liceo saremo sempre noi, solo che ora non abbiamo più
bisogno di truccarci di nascosto nei bagni” mi ricordò, accennando a quando,
poco più di sei mesi prima, avevamo preso l’abitudine di truccarci di nascosto
con matita azzurra e lucidalabbra trasparente.
Sorrisi al solo
ricordo e annuì. Iniziammo ad avviarci verso la scuola, e non so come il
discorso cadde sui nostri nomi.
“D’ora in poi,
però, ho deciso: tu sarai Lena ed io Madda!” annunciò.
“Oh! Ok! Ma lo
sai che proprio stamattina mamma mi ha chiesto perché continuavo a chiamarti Lena?”.
“Allora è
deciso…”.
“Si, Madda!”.
Schiacciammo il
cinque, ormai avanti la scuola, precisamente davanti al portone principale da
cui entravano sia le medie che le elementari. Volsi lo sguardo, alla ricerca di
qualche faccia amica, magari delle tante persone che avevo salutato il giorno
dell’esame con la promessa di rivederci presto, che un nodo informe e
gigantesco prese posto dallo stomaco in su, impedendomi di respirare per un
paio di secondi. Automaticamente strinsi forte il polso di quella che ormai era
Madda, tanto che lei mi guardò interrogativa.
“Ehi! Che c’è?”
domandò.
“F-Fabio è… E’
lì!” sussurrai, senza smettere di togliergli gli occhi di dosso. Portava lo
zaino su una spalla sola, bello come sempre, più alto di un bel po’ di
centimetri e abbronzato più che mai. Indossava i suoi soliti Ray Ban neri, e
stava salutando una della sua classe con fare cordiale. Può darsi che leggendo
ve lo stiate immaginando come il solito principino biondo occhi azzurri, ma
Fabio aveva i capelli castani senza cresta e via dicendo e gli occhi di un
semplice nocciola.
“Oddio! Cavolo,
vai lì, salutalo!” mi spronò Madda.
“No, no, io… Ho
ancora vergogna dopo quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti…”
confessai. Il solo ricordo mi fece sentire ancora di più in imbarazzo, ad
essere onesti. Ci eravamo visti l’undici luglio, dopo che lui mi aveva chiesto
un appuntamento.
Il fatto era che
ci eravamo conosciuti per bene durante un corso di teatro dove avevamo messo in
scena “Grease”- dove, scherzo del destino, eravamo una delle coppie, Marty e
Sonnie- e la sera della prima, dopo aver ballato un lento che nella trama
originale nemmeno esisteva, non ci eravamo nemmeno salutati visto che alla fine
dello spettacolo era dovuto correre via. Ci ero rimasta malissimo, avevo pianto
come una scema al solo pensiero che ormai con la fine del corso non avevo più
un pretesto per vederlo, e tutto si
raddoppiò quando iniziò a non farsi sentire anche perché aveva cambiato numero.
In tutto questo sostenni gli esami di terza media, cercai di andare avanti, di
dimenticarlo, ma fu inutile.
Tutto cambiò il
giorno del mio quattordicesimo compleanno, quando venni a sapere da Madda che
lo sentiva spesso, che massaggiavano per ore… Non potendone più, presi il
cellulare e decisi di fargli un ultimo squillo e restai sorpresa nel vedere che
mi rispose con un sms.
“Ciao Lena, è
stata Lena Amani a darti il mio numero? Perché lei mi diede il tuo qualche
settimana fa”.
Morale della
favola, aveva messaggiato per tutto quel tempo con Madda-che all’epoca si
faceva chiamare ancora come me- credendo fossi io. Quella fu una sera di
rivelazioni, perché ammise che io ero la “sua preferita” e alla fine si decise
ad ammettere il suo interesse per me.
Alla luce di
quella nuova consapevolezza mi sentivo morire. Non ci credevo. E quando mi
invitò ad un appuntamento accettai tutta gioiosa, fiera di avere il mio primo
appuntamento con un ragazzo. Anzi, il
ragazzo.
Quella sera era
andato tutto bene, tranne per il piccolo particolare che a fine serata lui
aveva cercato di baciarmi ma io- che di baci ne avevo visti solo nei film- ed
io non l’avevo capito perché si era sporto in un modo strano verso di me e non
avevo compreso nulla sul momento. Così mi aveva abbracciata e se ne era andato
dopo aver farfugliato un piccolo “Scusa”.
“Ma dai scema”
sussurrò Madda. “Che te ne frega…”.
“Me ne frega!
Pensa che dopo l’uscita mi ha mandato un sms dicendo che forse era meglio non
vederci per un po’ perché era convinto che “non volevo”!” ribattei.
“Eddai, devi…
Oh, cavolo, ti sta guardando!”.
“Eh?”.
Mi girai un po’
e lo vidi che sorrideva in mia direzione. E se stava guardando qualcun altro?
Dopotutto aveva sempre gli occhiali da sole!
Invece no.
“Ciao Lena, ciao
Lena” disse, a circa cinque metri di distanza.
“Oh, c-ciao
Fabio!” biascicai.
“Ciao, comunque
da oggi sono Madda, eh!” ribattè pimpante la mia amica.
Lui fece un
sorriso di assenso e dopo un ultimo cenno di saluto si girò e si avviò verso
l’entrata del portone.
“E ti pareva”
sbuffai.
“E ti pareva che
dovevi darti una mossa! Bacialo tu visto che la prima volta ci ha provato lui,
no?”.
“Ma che è, una
gara?” domandai, facendole segno di proseguire verso l’entrata del Liceo.
La mia amica
continuò i suoi incoraggiamenti ed io ero così presa dalla situazione che mi
resi conto di essere sul punto di varcare la soglia del Liceo Classico solo
quando mi ritrovai davanti alla sua struttura, un semplice palazzo di tre
piani.
Davanti vi erano
decine e decine di studenti che ridevano tra loro, si abbracciavano, urlavano
per la gioia di rivedersi dopo tre mesi. Li squadrai un po’, e lì capii che
tutti i progetti mentali che mi ero fatta sul fatto che ormai ero grande e andavo al liceo svanirono: ero
semplicemente l’ultima arrivata, e fino alla fine dell’anno avrei fatto parte
della categoria dei “mocciosi”.
Sospirai e presi
la mano di Madda tra le mie.
“Promettimi che
in questi cinque anni combatteremo insieme e ce la faremo” sussurrai, ansiosa.
Madda sorrise, e
mi fissò con i suoi occhi smeraldini. “Si, Lena, ce la faremo. Dopotutto la
nostra ex classe era una giungla, questa non può essere peggio”.
Annuii, più
convinta, proprio nel momento in cui suonò la prima campanella, quella delle
otto e venticinque.
Ero già sul
punto di recarmi verso l’entrata che notai che nessuno tra gli studenti si
muoveva. Capii che alla fine era come una festa: nessuno voleva arrivare per
primo.
Esitai, senza
sapere come fare, visto che avevo sempre avuto l’abitudine di essere una delle
prime ad entrare in classe.
“Entriamo, dai”
disse decisa Madda, infischiandosene, e nel momento in cui ci voltammo vedemmo
due ragazze bionde che parlavano animatamente mentre varcavano la soglia
dell’entrata, che poco dopo scoprimmo chiamarsi Gioia e Laura.
Non sapevo che Laura
con il corso del tempo sarebbe diventata ancora più “importante” di Madda. Ma
non sapevo nemmeno che qualche secondo prima di loro fosse entrato Emanuele, un
compagno di classe con cui, purtroppo per me, avrei avuto molto a che fare…
******************
Ciao a tutti.
So di avere un’altra
fic in corso e che dovrei aggiornare da più di un mese, ma questa storia l’avevo
in mente da circa sei mesi. C’è da dire che è puramente autobiografica, per
questo è ambientata nel duemilasei, anno in cui ho iniziato il liceo. Non mi è
mai piaciuto mettere il mio personaggio in mezzo alle mie fic, però mi è
capitato che spesso, raccontando le mie vicissitudini “amorose” di quattro anni
fa a qualcuno, spesso l’unico commento è stato “Wow, dovresti scriverci una
storia”.
E così eccomi
qui.
Sarà una storia
molto realista e spero abbastanza divertente, e credo che spesso ci saranno
delle parti delle “me” attuale, per questo il titolo “tra ieri e oggi”.
Ovviamente i
nomi dei personaggi sono modificati.
Detto ciò,
fatemi sapere con un commentino cosa ve ne sembra, perché se questa storia non
interesserà dubito che continuerò ad aggiornarla.
Per chi aspetta
il 6° capitolo di “Thinking of you” dico solo di avere un altro po’ di pazienza
^^
E se vi va di
dare un’occhiata ad una storiella comica che sto scrivendo nella sezione Harry
Potter:
Hermione Vs Le
Situazioni Sentimentali E Le Leggi Di Facebook La vostra milly92. |