Ispano's Essence
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Prologo-
“Descuento”
-O
Fanelia-
-O
Escaflowne-
L’anziano
ispano si ritenne soddisfatto. E allo stesso modo compiaciuto.
Quel
guymelef era proprio l’Escaflowne. Quasi quasi non ci
credeva, tante di quelle
copie che si erano visti per le mani in quei millenni.
Sospirò.
Poi
girò le spalle ai suoi compagni e si voltò verso
gli umani.
Attendevano
trepidanti, e quando arrivò di fronte a un esemplare maschio
con lunghi capelli
biondi e occhi blu e all’altro esemplare, una femmina,
semplicemente tese una
mano guantata verso di loro.
-Cinquanta
milioni-
La
sua voce metallica fece strabuzzare gli occhi blu del maschio, ora
stupito, ma
lui rimase irremovibile. Non era abituato a trattare con quella razza,
oramai
non commerciavano con loro da tanto tempo e aveva perso un
po’ la mano alle
emozioni umane, ma sinceramente aveva sempre preferito fare pochi
affari con
quei “terrosi” senza ali e senza alcuna grazia.
-Cosa?
Cinquanta milioni?-
-Questo
è il costo delle riparazioni-
Ribattè
immediato, mentre la sua unica lente si focalizzava sugli altri
esemplari lì
riuniti. Ce n’era uno steso a terra e tutto fasciato,
grondante sangue. In cuor
suo l’ispano capì immediatamente che doveva essere
il pilota dell’Escaflowne e
sentì quasi un moto di benevolenza, come se le viscere gli
si strizzassero per
un minuto. Poi passò immediato. Dannati sentimenti che,
purtroppo,
condividevano ancora con quella razza!
-..eh..?Una
cifra così alta..-
La
voce della femmina lo riportò quasi alla realtà,
lasciandolo irremovibile.
Anche se quello che doveva aver sentito qualche secondo prima era un
accenno di
pietà, di certo non avrebbe riparato l’Escaflowne
gratuitamente! Oramai quelle
sciocchezze come i sentimentalismi erano pressocchè aboliti
fra loro ispano. Si
erano così meritati il soprannome di “Popolo di
metallo”, meccanici e abili
costruttori, freddi ed efficienti quanto lo erano i loro marchingegni.
Oramai
l’unica cosa che importava loro era il guadagno. Oltre,
naturalmente, il
costruire sempre nuovi artefatti.
Fu
così che si ritrovò ad aggiungere sempre
insensibile a quella domanda.
-Se
non potete pagare, noi ce ne andiamo-
E
girò le spalle a quei mancati clienti.
-Sarò
io a pagare. Vi posso cedere la mia intera flotta. Pensate sia
sufficiente?-
L’ispano
sentì in quelle parole profumo d’affare ed
acconsentì silenzioso,
riavvicinandosi al piccolo branco di umani e
prendendo il contratto di cessione, appena firmato con un
sigillo di
ceralacca da quel maschio umano.
Si
diresse dunque verso i suoi compagni ancora radunati attorno
all’Escaflowne,
lasciando perdere i battibecchi e le voci di quegli umani e
annuì, unico cenno
che bastò affinchè questi si mettessero
all’opera.
Anche
lui li avrebbe presto raggiunti, ma prima doveva parlare col vecchio
Gadras,
perché effettivamente c’era una questione molto
più fastidiosa che quel
banchettino di umani disperati avrebbe potuto risolvergli.
***
-Onorevole
capo-meccanico Gadras.
Io, Roitu, umile meccanico responsabile della quinta squadra vi chiedo
udienza,
signore-
L’anziano
ispano chinò il capo davanti alla porta metallica socchiusa.
Dopo
qualche minuto una voce metallica e sottile, simile alla sua, gli
rispose con
cadenza impassibile.
-Entra
pure, Roitu. Cosa desideri
chiedermi, in questo momento, così ardentemente da lasciare
la tua squadra che
sta lavorando alle riparazioni di uno dei nostri più cari
guymelef?-
Contemporaneamente
la porta si aprì, scorrendo nella parete, senza alcun
cigolio, rivelando uno spazio
ampio e alto, ma invaso ai lati da marchingegni e cavi elettrici e tubi
metallici aggrovigliati, che lasciavano al centro solo una striscia
libera su
cui poter camminare, senza inerpicare in tutte quelle chincaglierie
meccaniche.
Roitu
avanzò su quella stretta stradina fra quei cumuli di roba,
guardandosi attorno
e cercando la figura di Gadras, che evidentemente non stava sul suo
seggio,
vuoto, in fondo a quel corridoio.
Lo
individuò sulla cima di una collinetta di cavi
ingarbugliati, che armeggiava con
chiavi inglesi e cacciaviti per smontare un qualcosa che si trovava
lì in cima.
-Saggio
Gadras! Perché non chiedete
al vostro vice di fare tali cose! Dovreste riguardarvi!-
Roitu
fissò la figura più minuta del vice
capo-meccanico Gorue guardare verso Gadras
e poi fissarlo per qualche minuto.
-Ho
impressione dovremmo
raggiungerlo lì sopra. Vi precedo, Roitu-
La
voce giovane ma ugualmente metallica di Gorue lo fece rimuginare sul
fatto che
lui stesso aveva una certa età e di certo non era energico
come poteva esserlo
il loro onorevole capo-meccanico.
Sospirò,
arrendendosi all’idea di arrampicarsi sulla collinetta,
mentre Gorue aveva già
raggiunto il suo superiore e cercava di fermarlo, dicendo e sostenendo
che
avrebbe fatto tutto lui.
Quando
giunse in cima, Roitu fissò sbalordito la scena del vecchio
Gadras seduto,
sorridente e sghignazzante, su uno scocciato e rassegnato Gorue che
già
prevedeva che la sua schiena sarebbe stato il posto preferito del suo
capo per
il resto della ricerca di pezzi.
-Oh,
suvvia, Roitu, visto che tanto
perdi già tempo, perché non ci aiuti?-
Gadras
esortò con voce gioviale, vedendo che il responsabile ancora
stava immobile a
fissarlo.
-Scusatemi,
onorevole, non era mia
intenzione apparire facinoroso ai vostri occhi. Volevo solo rimembrarvi
la
faccenda del “gavran”, visto che a bordo sono
presenti degli umani e..-
Roitu
si bloccò, vedendo come le facce -perché il
saggio Gadras e Gorue non indossavano
alcuna maschera protettiva, come facevano quasi sempre loro- avevano
cambiato
espressione, quella del vecchio induritasi e quella del giovane
lievemente
preoccupata.
-“Gavran”
rimarrà con noi ancora
per un po’, Roitu..-
-Ma
signore, avevo pensato
che..sapete com’è, affibbiandolo
all’Escaflowne avremmo..-
-..avremmo?-
La
faccia di Gadras stava divenendo lievemente scura, ora che era sceso
dalla
schiena del suo vice e si avvicinava con lenti passi a Roitu.
-..signore..sapete
come tutti gli
altri dell’Alto Consiglio la pensano, qui sulla nave non
è granchè un problema,
ma ogni volta che attracchiamo ai nostri porti è sempre un
pericolo..vi prego,
signore, pensateci..non potrà stare che bene con
l’Escaflowne e il suo
pilota..-
-Roitu,
voi forse non capite e non
comprendete; né io né il saggio Gadras
permetteremo mai che Gavran…-
-..Gorue..Roitu
ha ragione-
-Saggio
Gadras..?-
-Come
ti sono sembrati Roitu?
Questi umani e il pilota dell’Escaflowne? Affidabili?-
La
voce, così come i lineamenti del vecchio Gadras, apparvero
stanchi e in pena,
ad entrambi gli ispano lì presenti. Gorue puntò
gli occhi metallici sull’unica
lente di Roitu, incitandolo a rispondere. E a rispondere senza menzogna
alcuna.
Quell’argomento
era già motivo di sofferenza per Gadras…non
voleva procurargliene altra..
-Mio
signore, il pilota è un
discendente della stirpe degli uomini-draghi divini, mentre gli altri
mi sono
sembrati tutti molto in pensiero per questi..quindi posso presupporre
ci sia da
fidarsi..-
Lo
sguardo, quasi rovente, di Gorue lo aveva spinto a rispondere in modo
sincero,
comprendendo anche le sensazioni che minimamente aveva provato e di cui
mai
avrebbe voluto far parola con altri.
Ma
in fondo quei due erano alquanto strani, pur essendo degli ispano,
quindi non
occorrevano tante sottigliezze e attenzioni su quei dannati sentimenti,
che la
loro razza aveva dimenticato, eccetto pochissimi.
Gadras
portò le mani giunte dietro la schiena e girò per
un paio di volte fra Roitu e
Gorue, lanciando occhiate all’uno e all’altro.
Poi
sospirò, l’ennesima volta, poi una seconda e una
terza.
E
decise.
-..Non
posso fare a meno di
accettare la tua proposta Roitu..sarai tu a dirlo agli umani. Io
andrò a
prendere Gavran-
Così
si congedò e cominciò a scendere dalla
collinetta, seguito da un Gorue un po’
triste, lasciando Roitu senza parola alcuna, stupito che lui, semplice
responsabile di una squadra di meccanici, fosse riuscito a convincere
l’onorevole capo-meccanico Gadras su una questione
così spinosa e
martoriatamente combattuta qual’era
“Gavran”.
***
L’anziano
Gadras era giunto innanzi a quella soglia, lo stipite metallico
particolarmente
decorato a sbalzo, la porta annerita e vecchia, come se non venisse
aperta da
eoni.
Gorue
poggiò timoroso una mano su di una spalla del suo capo,
quasi ad infondergli
coraggio. E Gadras aprì la porta verso l’interno,
senza produrre nemmeno un
cigolio.
La
stanza era buia, piccola, silenziosa, solo una polverosa luce
rischiarava un
piano da lavoro.
Dietro
di esso, il fruscio dei muscoli e lo stridere del metallo individuarono
la
figura all’opera.
-Allora,
vecchio, mi hai trovato il condensatore o no? La tua sala è
così piena di roba
che mi stupirei grandemente se non vi fossi
riuscito…soprattutto perché so che
Gorue sgobberebbe per te anche un’intera settimana a
ruzzolare fra quei pezzi
vecchi. Allora, ce l’hai
o no?-
La
voce giunse dal nulla, senza che la lucetta potesse illuminare la fonte
da cui
veniva.
Gadras
si accostò al piano di lavoro, vicino al quale stava una
branda sfatta e vi
sedette. L’avvitare e il frusciare continuava imperterrito in
quel nuovo
silenzio, senza che nessuna delle due parti dicesse nulla.
Si
andò avanti così per dieci, venti, trenta,
quaranta minuti.
Poi
lo stridio metallico si stoppò e cominciò un
rumore simile a quello che viene
fuori dal rovistare fra oggetti di diversi materiali: un cozzare
metallico, un
frusciare di carta, uno strusciare di stoffa…
-..Gavran…vedi..Gadras
ha..-
-A
chi mi mollate?-
Quella
domanda venne fuori simultanea allo sgranchirsi delle ginocchia di
Gavran, che
s’alzò in piedi, raggiungendo Gadras, coprendo la
luce fioca con la propria
figura.
Non
degnò il vecchio di uno sguardo, né Gorue
potè vedere dove i suoi occhi fossero
direzionati. Era troppo buio.
-Suvvia..il
fatto che il vecchio sia così silenzioso, che tu, Gorue non
schiamazzi come un
colibrì di qua e di là, può
significare solo una cosa: si è presentata una
situazione per la quale non potete più dire di no
all’ordine che avete ricevuto
dieci anni fa, e mi mandate via-
Il
vecchio Gadras scostò lo sguardo a terra, quasi addolorato,
ma Gavran comunque
non lo vide, occhi puntati nel vuoto.
-..avanti,
avanti! Questo mortorio! Tanto lo sapevamo che sarebbe successo.
Mettetevi
l’animo in pace e addio, ecco! Grazie per avermi tenuto con
voi, ma non posso
chiedervi di rischiare ancora per me..-
-Sarai
sempre parte del popolo ispano, Gavran, ricordatelo, sarai sempre parte
della
mia ciurma, della mia famiglia…-
Questa
la voce tremolante del vecchio Gadras, alzatosi, di scatto quasi,
quando Gavran
aveva dato segno di cominciare ad incamminarsi, sacca rigonfia
già a tracolla.
In un fruscio aveva abbracciato, per l’ultima volta, la
persona più vicina ad
un figlio che aveva, e gli aveva messo al collo un localizzatore per il
richiamo.
Gorue
quasi pianse quando si rese conto che era lo stesso localizzatore che
Gadras
aveva affidato anche a lui: non un comune localizzatore, che avrebbe
richiamato
un qualsiasi ispano, ma uno di quelli che avrebbe richiamato Gadras,
solo
Gadras, e nessun altro.
***
Il
cielo era ancora buio.
Lo
aveva visto attraverso gli stretti oblò che aveva passato di
corsa, scivolando
sui tubi metallici atti a far circolare l’aria per tutta la
nave. Aveva sempre
adorato quelle scorciatoie; 1. erano le più veloci in
assoluto, 2. era a riparo
da occhi poco graditi. L’unico inconveniente era che erano
comode solo per la
discesa. Per salire aveva sempre usato tutti i più comuni
corridoi. Anche per
quello aveva sempre(sempresempre) indossato quel poncho rattoppato con
cappuccio e frange, lungo fino a terra e tanto grande da potervisi
avvolgere
anche tre o quattro volte.
Dunque
si mosse con calma, dondolandosi sui tubi in gomma che isolavano i
fasci di
cavi elettrici, passando ad arrampicarsi fra i cavi metallici che
pendevano dal
soffitto assieme ad altre chincaglierie di ogni genere.
Fu
così che giunse in vista della sala dove avevano portato i
“terrosi”.
Vi
vedeva un discreto movimento, mentre sotto la sua schiena, molti, ma
molti metri
più in basso, i suoi “compagni” ancora
lavoravano all’Escaflowne, ultimando le
riparazioni.
Fece
qualcun'altra delle sue acrobazie, senza farsi notare, e si
ritrovò in discesa
libera verso il pavimento metallico. Il poncho scuro che sventolava
attorno alla
sua figura pareva un pipistrello, che nei suoi ultimi attimi si
schianta a
terra.
Poco
prima di raggiungere il freddo e mortal metallo, lanciò
verso di questo una
lancia metallica, che si andò a conficcare per benino nel
duro materiale. E
Gavran, con grazia, invece di capitombolare a terra, atterrò
sulla lancia,
conficcata lievemente obliqua, in modo da permettergli appiglio su
tutta la sua
altezza.
Gli
altri ispano semplicemente voltarono le teste verso altre direzioni,
mentre
Gavran sradicava la lancia dal pavimento e si avviava verso la sala con
gli
umani.
Roitu
l’aspettava sulla soglia, chiusa.
Quando
vide la sua figura atterrare in quel modo così aggraziato,
ebbe quasi un moto
di stizza, poi si calmò, ripensando al fatto che gli ispano
avevano bandito i
sentimenti dalle loro vite.-eccetto
pochissimissimi.
Non
parlò, non disse niente, nemmeno quando Gavran gli si
avvicinò tanto da poter
sentire il suo respiro sotto il cappuccio tirato sul capo. Unicamente
tenne la
sua aria impassibile e aprì la porta con un tocco.
E
tutti gli occhi della sala si puntarono su loro due.
Infatti
gli umani si girarono simultaneamente, eccetto i tre che assistevano il
re di
Fanelia, che continuava a contorcersi per gli spasimi di dolore che
percepiva
dalle riparazioni.
I
loro sguardi interrogativi erano ben spiegabili: si ritrovavano davanti
un
ispano e una figura dall’altezza un po’insolita per
chi considerava gli ispano
un popolo basso e simile a talpe(se non propriamente uomini-talpa). E
forse,
sostanzialmente, ciò che più li impensieriva era
la lancia di quest’ultima..
Gavran
pensò che Roitu non avrebbe di certo perso tempo a spiegar
loro tutti i
dettagli sul loro popolo, anche perché ben sapeva
qual’era il comportamento
della maggior parte degli ispano nei confronti dei
“terrosi”..ma allo stesso modo,
lasciò che fosse lui il primo a parlare.
-Vogliamo
che ve lo portiate dietro. Qui non può più stare.
Non è nulla di pericoloso. E’
un esemplare della vostra razza, abbiatene cura…e
consideratelo come uno
sconto-
Fu
telegrafico e rapido, rapida anche la mano che restituì a
Dreiden un foglio in
carta bollata il cui contenuto rivendicava come pagamento per le
riparazioni
effettuate sull’Escaflowne solo i due terzi della flotta del
mercante.
Cosa
che, sostanzialmente, lasciò a bocca aperta anche i tre che
ancora tenevano giù
il ragazzo.
Gavran
sembrò scocciarsi di quella situazione immobile, in cui
l’unico rumore erano le
grida di dolore di quel ragazzo-il pilota dell’Escaflowne,
l’aveva capito
subito- e si incamminò verso quella branda sporca di sangue,
lasciando la
posizione accanto a Roitu. Il quale, quando Gavran era oramai in
ginocchio di
fianco la branda, aveva già lasciato la sala, lasciando gli
umani ancora più
sbalorditi.
Gavran
non sembrò farci caso più di tanto e fece per
allungare una mano guantata sulla
fronte del ragazzo.
Ma
un feroce “no” urlato e una salda presa da dietro
lo fecero desistere, stupito
più per quel rifiuto, che per l’impedimento in
sé per sé. In fondo..bhè, non
voleva proprio fargli nulla, a quel pilota!
-Non
toccarlo! Non fargli del male..!-
La
presa si strinse e una voce da ragazzina gli invase le orecchie,
rabbiosa.
Gavran
guardò da sotto il cappuccio un po’ i volti di
tutti e notò che sembravano
spaventati, in tensione…quasi come se si aspettassero
qualcosa di…male…?
Così
in uno scatto si alzò in piedi e fece un passo indietro,
alzando la mano libera
dalla lancia davanti
al petto.
-Ehi,
ehi, suvvia, chi pensate che io sia? Non vi voglio mica male! Non avete
sentito
l’ispano? Mi mollano a voi, di certo sarebbe stupido se
facessi del male a voi,
che siete ora i miei nuovi padroni, no?-
A
quelle parole, sentì la stretta-ora in vita, quindi
considerò che la ragazzina
doveva essere bassina- allentarsi un po’ e qualche volto la
guardò quasi storto.
-..oh..accidenti,
ragazzi! Non vi ho fatto nulla, volevo solo aiutare..non..-
-Chi
sei? Perché gli ispano ti “mollano a
noi”?-
Fu
sempre una voce femminile, infantile, ma non troppo.
Considerò dovesse essere
della ragazza vestita un po’ strana, quella coi capelli corti.
-Oh,
bhè, giusto. È un vero piacere conoscervi, io
sono Gavran-
Fece,
inchinandosi profondamente, una mano dietro la schiena-quella con la
lancia-,
una sul petto-liberandosi così anche della stretta
dell’altra ragazzina-.
Ma
anche dopo la presentazione quegli umani rimanevano lievemente basiti e
spaventati. E ancora aveva nelle orecchie le urla di quel poveretto..
-..sentite,
d’accordo, vi inquieto per un motivo che non riesco a capire,
ma, per favore,
vi prego, mi permettete di aiutare quel poveretto? Sta soffrendo di
brutto
sapete? Le riparazioni, per i piloti che hanno istaurato un contratto
di sangue
con un guymelef ispanico, sono molto molto molto, ma molto dolorose e
io posso
aiutarlo a sentirsi almeno un po’ meglio. Me lo permettete?-
Si
convinse che la sua voce era stata innocente e pura, tranquilla e
desiderosa
d’aiutare e sperò che ciò contribuisse
a convincere quei testoni di terrosi a
fidarsi.
Poiché
non risposero, Gavran s’avvicinò nuovamente alla
branda e vi si inginocchiò
accanto.
Poggiò
la lancia a terra, che rotolò di poco con rumore metallico e
poi sollevò il suo
poncho largo e scuro fino ad arrivare alla borsa, che portava sempre
legata in
vita. L’aprì e fece per estrarvi qualcosa, ma si
sentì tirare indietro il
cappuccio e fu colta di sorpresa, le mani impegnate per impedire che il
volto
venisse scoperto.
Quando
il fruscio del cappuccio si acquietò, Allen, Gades e la
principessa Millerna
furono i primi a poter guardare, chiaramente, il volto di Gavran. E
ciò li
lasciò ancora più stupiti.
Più stupiti perfino dello stupore che aveva invaso il volto della ragazza inginocchiata. Sì, perché Gavran, lo “sconto” proposto dagli ispano, era proprio una ragazza.
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Sera! O meglio notte! O forse, ancora meglio, buongiorno! Eh, già. Sarà la tensione per la terza prova di domani, ma proprio non riesco a dormire. E poichè Hegel ha rotto (e vi assicuro che prima di lui anche la tettonica delle placche, Seneca, Tacito, Joyce e Beckett lo hanno fatto) ho deciso di prendermi una pausa>.< Ma questo non penso vi interessi granchè, forse... Don't worry, sono io che ho fuso completamente i neuroni con lo studio! Vabbè.
Ispano's Essence. Suona strano, ma sì, dopo due anni e rotta che non mi sono fatta sentire, pubblico un capitolo di una fic nuova. Per questo mi scuso, so che chi seguiva le altre mie storie, forse, avrebbe desiderato piuttosto vedere un capitolo nuovo di una di quelle, ma Ispano's Essence è forse uno degli ultimi lavori che ho iniziato e mi sembrava carino portarlo all'attenzione di tutti quelli che aspettassero un mio aggiornamento. Anche perchè è sfizioso. Oh, sì. Parecchio.
Su Escaflowne ho avuto occasione di leggere poco, ma fino ad adesso non ho ancora messo gli occhi su nulla che riguardasse questo popolo abbastanza misterioso. Allora mi sono messa a spulciare bene l'anime e cercare di carpire quanto più possibile, per poi dare abbastanza spazio alla mia fantasia. E qui è nata Ispano's Essence. Quindi, sostanzialmente, la mia mente malata la fa da padrone. Giàgià...
Non voglio annoiarvi oltre. Spero la lettura di questo prologo vi abbia estasiato e incuriosito, tanto quanto mi sono divertita io a scriverlo!
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Shoji Kawamori e della Sunrise; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
You'll comment, if you want!
Vostra ColdFire§