Libri > Sherlock Holmes
Ricorda la storia  |      
Autore: samek    25/06/2010    2 recensioni
Il cielo era incendiato dai colori del tramonto, quando – dalla finestra della nostra camera alla Locanda della Corona – Watson ed io vedemmo giungere la carrozza del dottor Roylott.
(Per la June Challenge di holmes_ita)
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fandom: Sherlock Holmes;

Fandom: Sherlock Holmes;

Pairing: Holmes/Watson;

Rating: Pg1;

Genere: Generale.

Warning: Flash-fic, Missing Moment, Pre-Slash;

Beta: Acardia17;

Summary: Il cielo era incendiato dai colori del tramonto, quando – dalla finestra della nostra camera alla Locanda della Corona – Watson ed io vedemmo giungere la carrozza del dottor Roylott.

(Per la June Challenge di holmes_ita)

Note: Scritta per la June Challenge di holmes_ita, su prompt “L’avventura della fascia maculata”, contenuto in “Le avventure di Sherlock Holmes”. I dialoghi in corsivo sono tutti tratti dal racconto originale.
Partecipa alla challenge “A tutto campo!” del Marauders Archive.
Dedica: Erigerò un altare a fiorediloto, koorime e Acardia17, tre pie donne che mi hanno aiutato tantissimo, le prime due sopportando tutte le mia ansie ossessive-compulsive e l’ultima – ma non certo per importanza! – per essersi prestata a betare ‘sta cosuccia, dato che la mia Beta “ufficiale” si sta godendo le meritate vacanze.

DISCLAIMER: Tutti i personaggi delle saga di Sherlock Holmes non sono opera mia, bensì della mirabile penna di Sir Arthur Conan Doyle. Dato, però, che i diritti d’autore sono ormai scaduti, stappiamo tutti insieme lo spumante ed appropriamocene beatamente! XD Ah, ovviamente non mi paga nessuno, anche perché altrimenti il succitato autore si rivolterebbe nella tomba, poverello.

 

Alla Locanda della Corona

 

Le canzoni sono nei tuoi occhi
le vedo quando sorridi
ne ho avuto abbastanza degli amori romantici
mi arrenderei, si, mi arrenderei per un miracolo,
una droga miracolosa.
*

 

Il cielo era incendiato dai colori del tramonto, quando – dalla finestra della nostra camera alla Locanda della Corona – Watson ed io vedemmo giungere la carrozza del dottor Roylott. Potemmo persino udire il ruggito di quest’ultimo, destinato al povero ragazzo che guidava il veicolo, reo di avere avuto qualche difficoltà ad aprire il cancello.

Mi voltai all’indirizzo del mio amico, che fissava la lontana figurina del patrigno della nostra cliente con evidente ostilità; l’aveva avuto in antipatia sin dal momento in cui aveva scorto i lividi sul polso della signorina Stoner, opinione aggravatasi quando quell’energumeno si era permesso di far irruzione a casa nostra e minacciarmi.

Il sole morente incupiva i suoi occhi chiari di una tinta quasi indaco e marcava la piega già carica di disapprovazione in cui si erano storte le sue labbra carnose. Con disappunto, mi accorsi che mi stavo attardando ad osservarlo ben più del dovuto, proprio come mi era già capitato quella stessa mattina, quando ero entrato in camera sua per svegliarlo ed, invece di adempiere il mio intento, ero rimasto lì impalato ad ammirarlo, sino a che il mio sguardo doveva essere divenuto tanto bruciante da costringerlo ad aprire gli occhi.

«Sa, Watson», esordii poi, ripensando a quanto fosse oscura la faccenda in cui ci eravamo invischiati, «In verità ho qualche scrupolo a portarla con me questa notte. Esiste un pericolo ben preciso».

«Posso esserle di qualche aiuto?», mi domandò lui, sollecito.

«La sua presenza potrebbe essere preziosa», ammisi.

«E allora verrò certamente», replicò con determinazione.

Tra tutti i gentiluomini in cui avrei potuto imbattermi e dividere il mio appartamento, non credo che sarebbe potuto capitarmene uno più onesto e coraggioso del mio Watson. Mi stavo tragicamente abituando alla sua presenza costante accanto a me.

La mia mano si mosse per accarezzargli uno zigomo con il dorso delle dita, ma la ricondussi subito alla disciplina, e dissimulai lo scatto improvviso sfilando la pipa dalla tasca interna della giacca. «É molto gentile da parte sua», dissi, accennando un fugace sorriso.

Watson non fece mostra di aver notato alcuna esitazione nel mio gesto. «Lei parla di pericolo. Evidentemente in quelle stanze ha visto più di quanto abbia visto io», asserì, distogliendomi da quei pensieri.

Così lo invitai a riflettere su quanto entrambi avevamo notato a Stoke Moran: il finto cordone del campanello, l’inutile foro d’areazione – del quale confessai di sospettarne l’esistenza sin da prima d’averlo trovato, ricevendo in cambio il suo consueto «Ma mio caro Holmes!», che mi strappò un sorriso soddisfatto. Adoravo l’espressione che assumeva ogni qual volta esclamava quelle parole –, ma soprattutto lo indussi a meditare sul letto inchiodato al pavimento.

«Comincio vagamente a capire dove vuole andare a parare. Siamo arrivati appena in tempo per impedire un astuto e orribile piano», considerò quindi, e io non potei che concordare con lui.

«Dice bene; astuto e orribile. Quando un medico si da al crimine, diventa il peggiore dei criminali. Ha il sangue freddo e le cognizioni necessarie. Palmer e Pritchard furono tra i primi nel loro campo. Quest’uomo colpisce ancora più a fondo ma credo, Watson, che riusciremo a colpire anche più a fondo di lui. Comunque, prima che la notte sia trascorsa, dovremo assistere a eventi veramente orribili; per amor del cielo, fumiamoci tranquillamente la pipa e, per qualche ora, pensiamo a qualcosa di più allegro».

Il dottore annuì e replicò: «Ordinerò la cena, se non le dispiace», poi, dopo un mio cenno d’assenso, tirò il cordone del campanello. Qualche minuto più tardi, la moglie del padrone della locanda bussò alla porta e Watson ordinò per entrambi, benché non fosse necessario.

I piatti ci furono serviti sul tavolino accanto alla finestra e mi accomodai di fronte al mio amico nonostante non avessi alcuna intenzione di toccare cibo. Il mio coinquilino cercò di convincermi ad assaggiare qualcosa senza ottenere alcun successo; in quel momento il buon profumo di quel pasto non aveva per me alcuna attrattiva. Vorrei poter dire lo stesso per quanto riguarda Watson, ma i suoi gesti mi affascinavano in maniera quasi morbosa, forse perché teneva una postura militaresca e composta perfino in quel contesto. Quando il mio sguardo s’incatenò ad una goccia di vino scivolata sul suo mento e Watson arrossì accorgendosene, la situazione cominciò a farsi davvero paradossale e mi innervosì oltremodo. Non riuscivo in alcuna maniera a controllarmi, ed era una cosa che non potevo tollerare.

«Va tutto bene, amico mio? Si è incupito all’improvviso», mi fece notare Watson, toccando un nervo scoperto.

«É tutto a posto», risposi, forse più bruscamente del necessario.

«É preoccupato per il caso?», mi domandò allora e, benché trovassi seccante la sua insistenza, una parte di me fu grata della sua ingenuità.

«Ero solo sovrappensiero, ragazzo mio» lo rassicurai, liquidando il discorso, poi mi versai un bicchiere di vino e ne annusai il profumo vagamente fruttato.

«É ottimo», mi assicurò. «La padrona mi ha riferito che sono loro stessi a produrlo. Potremmo acquistarne qualche bottiglia da portare a casa» propose distrattamente, e in effetti era uno dei migliori vini caserecci che avessi mai assaggiato.

«Sarà perfetto per innaffiare i piatti della signora Hudson» concordai.

Continuammo a chiacchierare di argomenti senza peso, mentre il cielo imbruniva rapidamente e le prime stelle facevano la loro comparsa. Lasciammo che il buio calasse nella stanza, non curandoci di accendere la luce, e di conseguenza il nostro parlare si fece più fitto e sommesso. Quindi ci chinammo l’uno verso l’altro – in tutta onestà, non ricordo nemmeno di che discutemmo, questioni di poco conto – finché non mi ritrovai con la testa troppo vicina alla sua e mi interruppi bruscamente.

Perplesso, Watson cercò il mio sguardo, ma i miei occhi caddero sulle sue labbra socchiuse. C’era una piccola spaccatura su quello inferiore, seccato dal sole e dal vento. Detestavo come simili inezie riuscissero a rapire la mia attenzione. Avrei voluto succhiare quel taglio e poi lenirlo con la lingua, e mi ero di nuovo accostato a lui più del dovuto, quando fortunatamente scorsi un bagliore con la coda dell’occhio; la nostra cliente aveva posato una lampada sul davanzale della propria finestra.

«Ecco il segnale», esclamai, balzando in piedi per allontanarmi da lui, grato alla tempestività della signorina Stoner.

Afferrai una canna, che quella notte sarebbe stata la mia arma, ed un attimo dopo stavamo scendendo le scale per incamminarci verso Stock Moran. Da quel momento in poi, nient’altro, nemmeno – anzi, soprattutto – la vena pulsante di tensione sul collo di Watson, avrebbe dovuto distrarmi.

 

FINE.

 

*La strofa d’introduzione è tratta dalla bellissima e sherlockianissima canzone “Miracle Drug” degli U2.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Sherlock Holmes / Vai alla pagina dell'autore: samek