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Autore: Lady Snape    12/09/2005    6 recensioni
Salve! Questa è una storia dedicata ai romantici. Un personaggio improbabile in una situazione impossibile. Gojuin. Sì, proprio lui. E' la prima volta che scrivo qualcosa del genere, non me ne vogliate! Un pizzico di ironia e un po' di follia dalla vostra Lady Snape! ATTENZIONE: diabetici astenersi, altamente melensa e romantica!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Goujin
Note: Alternate Universe (AU), Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Another beat

Another beat

of

my heart

Ho deciso di scrivere questa storia. Ho deciso che per me è importante racchiudere questi ricordi in un diario.

Sono una ragazza asmatica. Sono sempre vissuta tra ospedali e medici, abituata all’odore del disinfettante.

Il mio nome è Asia Miyazawa. Buffo, no? Sono italo-giapponese, quindi sono diversa dalla maggior parte degli abitanti di Osaka. Sono sempre un po’ stata strana nell’aspetto, nel nome, nei miei problemi. Non ultimo il mio carattere menefreghista e strafottente. A detta di alcune mie amiche sono anche un po’ impicciona. Non nascondo che attacco facilmente bottone con chiunque! Mia madre dice che parlo anche con le pietre, ma, ovviamente, non credo di aver raggiunto tale livello di pazzia.

Ho deciso di scrivere per lasciare una traccia delle mie sensazioni e delle mie emozioni sbocciate due anni fa e che ancora accompagnano la mia vita.

Ogni incontro che facciamo lascia un segno negli anfratti più nascosti della nostra anima. Per noi, questo segno, può assumere grande importanza o possiamo anche non accorgerci del suo passaggio. Non siamo noi a deciderlo, ma il tutto è regolato da una strana alchimia. Alcuni la chiamano più freddamente “chimica”, ma posso assicurare che il nome non fa differenza. In ogni caso l’alchimia ci porta a ricordare le cose più strane: alle volte ciò che ci rimane più impresso di una persona può essere il suo profumo, quasi che fosse l’unica sensazione corporea che ci abbia lasciato. Un ricordo che può essere piacevole, ma anche sgradevole.

L’alchimia. L’alchimia mi porta a farmi gli affari altrui, a costringerli quasi a parlare con me, anche solo del tempo. Credo che tutto ciò, per quanto mi riguarda, dipenda dall’asma. Durante una crisi asmatica i polmoni si chiudono. L’aria non li attraversa più. In quel preciso momento l’unico pensiero che mi attraversa la mente è l’ossigeno. Il mondo intero perde la sua importanza. Per questo semplice motivo, quando il mio corpo è capace di respirare e non ha un unico pensiero in testa, io decido di pensare al mondo.

Vorrei conoscere ogni singolo abitante della terra, ogni bambino, ogni donna, ogni uomo perché il mondo, a volte, mi viene negato.

Il problema è che non sempre trovo qualcuno che sia disposto a parlare con me, anche solo di futili argomenti. Comunque, finché posso, io insisto.

Grazie alla mia insistenza due anni fa ho conosciuto una persona che ha cambiato la mia vita.

Solito noioso, stancante giorno di visite in ospedale. Il solito controllo. Il caso volle che il dott. Misugi non potesse ricevermi, come sempre, il martedì mattina. Così, incazzata nera, perché dovevo saltare il mio pomeriggio settimanale al cinema, fui costretta ad accettare un appuntamento il giovedì pomeriggio.

La sala d’aspetto era piena di gente che non conoscevo, a parte le infermiere. Fortunatamente la mia poltrona preferita, quella vicina alla finestra, era libera. Mi sono seduta in piena tranquillità con il mio lettore CD a tutto volume nelle orecchie. Non sentivo altro se non la musica. È bello vedere la gente muovere le labbra, ma non udire alcuna parola: sembra di assistere ad un film muto! L’unica mia paura, in quel momento, era di iniziare a canticchiare ad alta voce le canzoni che mi sparavo in testa.

Stanca di osservare la gente, iniziai a guardare fuori dalla finestra. Il giardino dell’ospedale era pieno di fiori colorati e gli alberi erano carichi di foglie verdi. Tutto era baciato dal sole caldo di maggio.

Ad un certo punto devo aver iniziato a cantare. Sì, decisamente. Se ci penso vorrei sprofondare!

Qualcuno ha tirato via dalle mie orecchie gli auricolari. Mi sono voltata di scatto e ho incontrato due occhi rossi fissarmi.

< Abbassa la voce! > ecco cosa mi hanno detto quegli occhi. Il loro proprietario non proferì parola.

Occhi rossi. Quelli erano tutto ciò che a primo sguardo era visibile. Tutto il resto del corpo del loro proprietario era rigorosamente bianco: la pelle, i capelli, i vestiti.

In un primo momento mi sembrava di avere davanti un fantasma, poi, essendo scettica riguardo questo argomento, sono riuscita a mettere a fuoco i contorni di un ragazzo che, dopo quello sguardo carico di significato, era ritornato alla lettura del suo libro.

< Ti chiedo scusa! > sussurrai per non disturbare oltre. Ma lo strano ragazzo non disse nulla. Stavo per rimettermi gli auricolari, quando un’infermiera chiamò ad alta voce:

< Ryuuou Gojuin! >

Sentii il ragazzo accanto a me chiudere di scatto il libro. Si alzò con lentezza ed eleganza. Era molto alto, non sembrava il classico giapponese. Mentre imboccava lo studio del dott. Katagiri notai una lunga treccia che copriva tutta la lunghezza della sua schiena.

Dopo la mia solita, stupida visita di controllo (ogni mese non faccio altro che fare la fila per soffiare in una cannuccia prima a dopo una stupida corsa sul posto) tornai a casa pensando a quello strano ragazzo.

In quel periodo scrivevo la mia tesi di laurea in lingue. Tutta la mia stanza era ricoperta di libri, fogli, appunti e il mio computer era perennemente collegato alla Rete. Mi sedetti davanti al suo schermo e cercai informazioni sugli albini. Quel ragazzo doveva essere necessariamente albino. I suoi capelli e la sua pelle non facevano che urlarlo a i quattro venti!

Ciò che mi tornava strano erano gli occhi. Non era la prima volta che vedessi un albino, ma gli occhi rossi erano una novità.

Eccolo qui! Il sito ufficiale dell’ospedale. Non era possibile, qualsiasi cosa facessi i camici bianchi mi perseguitavano… Solite notizie: assenza di melanina, capelli candidi, fotosensibilità, problemi alla vista e…sì, occhi rossi. Beh, tutto sommato sembrava normale. Sì, certo, secondo i miei canoni.

Quel ragazzo mi affascinava.

Fuori da qualsiasi mio comportamento, cominciai a bazzicare intorno all’ospedale ogni volta che potevo. Volevo rivederlo. Volevo parlargli! Non mi sarei mai fatta sfuggire una persona tanto particolare. Mi incuriosiva molto.

Inutile dire che non riuscii a incontrarlo nemmeno una volta! In compenso alcuni infermieri cominciarono a prendermi per una tossica…che mondo!

Erano ormai due settimane che tentavo l’incontro del destino. Stufa di perdere tempo ad aspettare una persona che non sapeva di avere un appuntamento con me, decisi di prendere la metropolitana. Era una cosa che facevo spesso: andavo in stazione e salivo sul primo treno in partenza. Tutte le direzioni andavano bene.

Lo feci anche quel giorno. Da Ikuno-ku arrivai a Naniwa-ku. Questa era una parte di Osaka che non frequentavo da anni. Tempo prima ci viveva uno zio di mio padre. Morto lo zio la zona era diventata sconosciuta. Girai per le strade senza una meta precisa. Era pomeriggio inoltrato. Il cielo cominciava a tingersi delle luci e dei colori del tramonto e la luna si intravedeva tra le nuvole.

Svoltato un angolo beccai un negozio di libri e musica. L’ideale per distrarmi. Entrai. Era molto grande con miriadi di libri su grandi scaffali. Lessi qualche titolo e, per curiosità, cominciai a girarlo tutto. Si disponeva su due piani. Salii al piano superiore. Un bel posticino ordinato.

Spulciando tra i vari libri, trovai una versione originale di “Dracula”. Una lettura interessante. Il libro, però, non aveva il tagliando con il prezzo. Dovevo chiedere a qualche addetto. Guardandomi intorno notai una freccia su un cartello che indicava il banco delle informazioni del piano superiore. Mentre mi dirigevo da quel lato cominciai a sfogliare il volume, leggendo qua e là qualche spezzone. Una volta arrivata al bancone, guardando ancora il libro, cominciai a formulare la mia domanda.

< Scusi, qual è il prez… > ma non la conclusi. Quando avevo sollevato lo sguardo aveva incrociato, per la seconda volta, due occhi di brace.

< Ciao! > dissi con entusiasmo < Sei il ragazzo dell’ospedale! Quello che mi ha tolto gli auricolari! >

Il suo sguardo, nonostante i suoi occhi fossero di un rosso talmente carico da sembrare infuocati e roventi, era tremendamente freddo. Glaciale. Da brivido.

< Cosa posso fare per lei? > mi chiese per tagliare corto. Una finta voce cortese. Ci rimasi male. Riproposi la domanda per la quale ero andata al banco e, dopo aver ricevuto la mia risposta (1300 ¥), mi voltai per andar via. Dopo tre passi, però, il mio lato impiccione e strafottente e la voglia di non dargliela vinta, mi portarono a fare marcia indietro.

< Il tuo nome è Ryuuou Gojuin? > chiesi.

< Sì, e allora? > il tono usato non lasciava trasparire emozioni, tranne, forse, il suo stato di irritazione che pian piano stava montando.

E fu così che dissi una delle cose più stupide della mia vita.

< Quando mi hai tolto gli auricolari, stavo cantando? >

Credo che se avesse potuto mi avrebbe ucciso.

< Sembrava di stare all’Opera di Parigi. > disse laconico.

< In questo caso scusami! > e piegai il capo in un leggero inchino. Approfittai della situazione e sparai il mio nome < Che maleducata! Non mi sono ancora presentata: il mio nome è Asia Miyazawa! Piacere di averti conosciuto! >

Decisi di togliere il disturbo. Meglio non tirare troppo la corda.

Durante il mio ritorno a casa riflettei su quel secondo incontro. Quel ragazzo aveva lineamenti dolci, delicati, ma allo stesso tempo netti, ben definiti. I suoi capelli cadevano morbidi sulla schiena e le sue mani sembravano ben curate e delicate. Mani da artista. Insomma, per dirla tutta, mi piaceva!

Da quel giorno, un paio di volte a settimana, andavo a curiosare in quella libreria. Ovviamente, più che guardare i libri, guardavo quel ragazzo strano.

Le settimane divennero mesi, finché arrivò dicembre.

Durante le vacanze di Natale anche quel negozio si riempì più del solito. Le mie abitudini rimasero le stesse: arrivavo al negozio e schizzavo al piano superiore. Mi posizionavo nella stanza in modo da poterlo vedere. Ogni volta che arrivavo in cima alle scale e mi scorgeva, mi lanciava uno sguardo interrogativo come per dire “Ancora qui?!” poi tornava al suo lavoro.

Nella settimana di Natale ci fu la svolta.

Avevo passato una pessima giornata al lavoro: un lavoro da interprete davvero snervante, con un tizio che parlava troppo, anche per i miei gusti!

Verso le 18.30 arrivai alla libreria. Salite le scale trovai un libro interessante. Quel giorno, per mia sfortuna, il ragazzo albino era molto impegnato: si muoveva con grazia infinita (!) da una parte all’altra della sala, assecondando le richieste dei clienti. Stufa di seguirlo, anche perché stavo dando un tantino nell’occhio, decisi di accomodarmi su una delle comode poltroncine al centro della saletta, iniziando la lettura del libricino che avevo in mano.

Il tempo passava e io mi annoiavo. La noia mi portò tra le braccia di Morfeo. Un leggero ticchettio sulla mia spalla mi fece aprire gli occhi. Davanti a me Gojuin mi fissava con aria strana.

< Buongiorno! > mi disse. Guardai l’orologio: le 21.34. il negozio a quell’ora era chiuso. Chiuso!? “Maledizione!”. Mi alzai di scatto senza dire nulla. La sala era deserta, a parte l’albino che metteva a posto alcuni libri.

< Non preoccuparti. Se aspetti ti faccio uscire dal retro, anche perché l’ingresso principale è già stato chiuso. >

Lo guardai e lo ringraziai. Riposi il libro che avevo ancora tra le mani. Non potevo più comprarlo, perché la cassa era chiusa.

< Perché vieni sempre qui? Mi stai pedinando, per caso? > chiese, mentre riordinava.

< In un certo senso. Vorrei avere la possibilità di conoscerti. Mi hai incuriosito quel giorno in ospedale. >

< Ti assicuro che incuriosisco chiunque. > disse, con chiara allusione al suo aspetto.

Non era difficile immaginarlo per strada: tutti che si voltano al suo passaggio per osservarlo meglio.

< Ti da fastidio, vero? > infondo, non poteva che essere così.

< Solo quando, oltre agli sguardi, piovono commenti. Il resto è abitudine. >

Già. Immaginavo quali potessero essere i commenti: poco lusinghieri e molto offensivi. La gente si voltava non per semplice curiosità, ma per paura del diverso. Il solito stupido razzismo, insomma. Un flagello difficile da debellare. Indubbiamente lui era a limite della diversità, ma non poteva certo nascondersi, perché gli altri ne erano spaventati! In fin dei conti per spaventare il prossimo ci vuole davvero poco.

< Immagino. Sei libero dopo la chiusura? > forse quella era la volta buona.

< Perché? >

< Ti offro una cioccolata calda! >

Accettò. Probabilmente perché non aveva assolutamente nulla da fare e poteva perdere del tempo con una svitata.

Usciti dal retro del negozio, imboccammo una stradina stretta, per sbucare sulla via principale. Molta gente con tanti pacchi colorati tra le braccia si affrettava per le ultime compere prima della chiusura dei negozi.

Il mio accompagnatore mi indicò una piccola caffetteria. Entrammo. Un piacevole tepore ci raggiunse. Ci accomodammo ad un tavolino accanto alla vetrata. Questa era stata decorata per le feste con nastri colorati e neve sintetica. Una cameriera dall’aspetto materno e un cappellino da Babbo Natale sul capo prese le nostre ordinazioni.

< Sono mesi che giochi alla piccola investigatrice. > disse lui, mentre zuccherava il suo caffè.

< Non lo nego! Ma se avessi voluto, avresti potuto mandarmi via! >

Ponderò la risposta.

< Eri un’ottima distrazione. > sentenziò, infine. Il suo sguardo era sempre distaccato. Non riuscivo a capire perché.

< Grazie! Io, ultimamente, non posso concedermele. Sono carica di lavoro! >

Mi guardò con aria interrogativa, così continuai.

< Lavoro per la Mistubishi. Sono un’interprete e mi occupo anche del controllo delle traduzioni delle istruzioni degli apparecchi elettronici. Un mestiere affascinante! > dissi con sarcasmo < Oh! Mi offro anche per traduzioni in lingua italiana, inglese, francese, spagnola e tedesca! > sembravo una pubblicità!

< Nient’altro? > chiese sarcastico a sua volta., inarcando un sopracciglio.

< Sto imparando cinese e russo! > poteva sembrare uno scherzo, ma non lo era!

< Come mai? Non sono troppe? >

< Affatto! Sono una persona estremamente chiacchierona! Credo che tutto abbia inizio dal fatto che…sono asmatica. L’asma mi ha precluso molte attività. Saltavo le ore di ginnastica a scuola, non potevo correre, ballare. Dovevo trovare qualcosa da fare, così mi sono data alla chiacchiera. Per evitare di restare a secco di parole… non ridere!…se mi trovavo di fronte a persone che non conoscessero né il giapponese né l’italiano, ho deciso di imparare più lingue possibili. >

< Conosci l’italiano? > chiese, dopo aver smesso con le sue risatine. Ero tanto comica?

< Sì. Mia madre è italiana. È innamorata dell’Oriente, non per niente ha sposato mio padre! Ma, come dire, a me l’Oriente non basta! Io voglio il mondo! > dissi ammiccando < Tu, invece? >

< Io? … lavoro a quella libreria da quattro anni. Leggo parecchio e dipingo…niente di speciale. Diciamo che anch’io, fin da piccolo, ho dovuto rinunciare allo sport e ad altre cose del genere. >

< Posso farmi gli affari tuoi? >

< Sono cardiopatico. Il vincitore del festival della sfiga! > una frase senza entusiasmo, tono piatto, sguardo fisso nel vuoto. Enigmatico.

< Potrebbe sembrare una pessima battuta, ma c’è di peggio! > dissi per riportarlo alla realtà.

< Ma io non avevo finito! Non ho mai conosciuto mio padre; so che è russo, ma nulla di più. Ultimamente ho litigato con mia madre: non ci parliamo da tre anni. > e sorseggiò il caffè.

< Ok, hai vinto! > era una ragazzo preoccupante. Ad un tratto disse una cosa che mi intristì molto, una cosa che un ragazzo, che neanche un vecchio dovrebbe dire.

< Odio la vita. >

Abbassò lo sguardo. Pensai che volesse piangere, ma forse, a suo tempo, aveva già versato tutte le lacrime che possedeva, fino a consumarle completamente.

Volevo rimproverarlo per l’assurdità che aveva detto, ma quella era soltanto la punta dell’iceberg. Infatti continuò:

< Sono stanco di vivere tra ospedali e medici. Per tutta la vita sono entrato e uscito da cliniche e studi medici. Dopo otto bay-pass credo di essere arrivato al limite! Non mi resta granché da vivere, forse neanche altri dieci anni. Mia madre…mia madre spera in un trapianto, ma, secondo me, è stupido e assurdo attendere che qualcun altro muoia per salvare la mia patetica vita… >

Non credevo alle sue parole…Non volevo credere che un ragazzo potesse pensare tali assurdità!

< Credi davvero nelle cose che hai detto? >

Mi guardò negli occhi.

< Lo sconforto può annebbiare l’animo di chiunque. Bisogna combattere, stringere i denti! >

< Che ne sai della mia vita? Che ne sai di quello che ho passato? Chi sei per dirmi cosa devo fare? > la rabbia lo stava avvolgendo.

< Assolutamente nessuno!…Se la pensi così, se disprezzi chi dona il proprio corpo a gente che non conosce perché ama la vita e desidera che altri possano vivere ancora, sei davvero uno stupido! > mi alzai dalla sedia < Pensavo fossi una persona migliore. Mi sono sbagliata. Piacere di averti conosciuto. > e uscii, lasciandolo solo, sperando che riflettesse su ciò che gli avevo detto.

Mentre tornavo a casa la neve cominciò a cadere. Non sapevo se avevo fatto la cosa giusta. Forse avevo esagerato o forse no. Fatto sta che mi aveva fatto innervosire sul serio! Un giovane uomo che voleva morire! Roba da matti! Più ci pensavo e più ero furiosa: con un pizzico di fortuna lui avrebbe potuto risolvere i propri problemi, io, invece, sarei rimasta asmatica a vita. Avrei voluto strozzarlo!

Passò Natale e Capodanno. Dalla sera alla caffetteria non passai più dalla libreria. A metà gennaio incontrai il ragazzo albino in ospedale. Aveva l’aria di aspettare proprio me.

< Ciao. > disse, le mani affondate nelle tasche del giaccone.

< Ciao! Non ci vediamo da un po’! >

< Non sei più passata dal negozio. Non rifilarmi la scusa della mancanza di tempo! >

< Non mi inventerò alcun tipo di scusa. Mi hai fatto davvero arrabbiare e ho preferito non vederti per un po’! >

< Scusami… > questa parola mi giunse inaspettata. Non credevo che si scusasse, anche perché, obiettivamente, non aveva fatto nulla nei miei confronti. Più che altro doveva delle scuse a se stesso.

< Non ce n’è bisogno! Mi fai sentire in imbarazzo! >

Camminammo un po’ per le strade della città, parlando del più e del meno. Verso l’ora di pranzo mi invitò a casa sua. Non dovevo lavorare, perché avevo chiesto n giorno libero per la visita di controllo in ospedale, così accettai.

Aveva un piccolo appartamento non lontano dal centro. Un posticino carino, pochi mobili e molte tele vergini e altre dipinte. Ordinammo qualcosa al ristorante cinese e intavolammo una discussione. Ad essere sincera non ricordo affatto di cosa parlammo. Ero troppo impegnata a guardarlo. Gesticolava pochissimo e sorrideva ancor meno, ma aveva l’abitudine di fissare negli occhi il proprio interlocutore, come per leggerci le reazioni alle sue parole. Quando ero io a parlare abbassava lo sguardo e annuiva.

< Mia madre mi ha chiamato. > disse ad un tratto < Ha fatto inserire il mio nome nella lista dei trapianti. >

< Mi sembra un’ottima idea! Era questo il motivo per cui non vi parlavate, ho indovinato? >

< Sì. L’ho lasciata fare. Credo che voglia provarle tutte per salvarmi. Lo farebbe qualunque madre per il proprio figlio. >

< Ne sono convinta. Sono contenta che tu abbia accettato. Cambiando discorso, posso vedere i tuoi dipinti? > proposi, battendo le mani.

< D’accordo, ma non sono ammesse risate. >

Non c’era nulla per cui ridere. Continuo a pensare che quei dipinti sono magnifici. Sono pieni di colori, di luce, di emozioni. Interamente sfocati, impressionistici con un solo particolare dipinto in modo netto, deciso e chiaro. Gli occhi di un volto, la finestra di una casa, un albero in una foresta, un fiore in un vaso, quasi che in quel particolare fosse racchiuso il senso della vita.

< Molte volte nulla ha un senso. > disse, dopo che gli ebbi comunicato la mia impressione.

Nulla di più vero. Il nulla.

< In me, in te…è nell’aria che respiriamo,

nella sabbia che calpestiamo,

negli sguardi spenti della gente,

nei sorrisi incerti dei bambini,

nelle frasi sussurrate senza convinzione da ragazze innamorate.

Il nulla ci circonda, denso, appiccicoso…

È qui!

Tutto quello che ruota intorno a noi,

le nostre illusioni,

le loro immagini riflesse dal velo sospeso

del nostro oblio,

un semplice suono distinto a stento

nel fragoroso frastuono del mio quotidiano

silenzio…

tutto questo è perso, finito…

come il sogno dei miei ricordi più intensi…

ora eccomi qui

a rincorrere i passi incerti

di un fantasma che non conosco

che pur mi terrorizza…[1] >

Finii di declamare questa poesia letta qualche tempo addietro.

Ryuuou si avvicinò ad un armadietto e ne aprì il primo cassetto. Tirò fuori un piccolo libricino azzurro e me lo porse.

< Questa poesia si trova in questo libro. È il libro che avevi in mano quando ti sei addormentata nel negozio! >

Fui sorpresa dal fatto che ricordasse questo particolare. Quei versi erano impressi nella mia mente da quel giorno, per uno strano scherzo del destino.

< Il giorno dopo il nostro litigio, l’ho comprato per te, ma non ho avuto occasione di dartelo. Qualche giorno fa, pensando che non ti avrei più rivista, l’ho letto. La ricerca di un bene superiore, che vada oltre il grigiore e il caos della nebbia. Una bella metafora della vita! > e accennò un sorriso.

Quando sorrideva mostrava tutta la sua fragilità. Non resistetti all’istinto di baciarlo. E il bacio, per quanto possa essere un piccolo gesto, fuse le nostre anime, giocando con le nostre emozioni. Il libro gli cadde di mano con un tonfo. Libero da quell’impiccio, Ryuuou posò una mano sulla mia guancia e si staccò da me. Per qualche istante ci guardammo negli occhi, scambiandoci parole silenziose. Tentai di baciarlo nuovamente, perché soffrivo: volevo possedere ancora le sue labbra e la sua bocca. Mi fermò. Il suo sguardo mi diceva che voleva qualcosa di più.

I nostri vestiti scivolarono sul pavimento, quasi che la forza di gravità volesse inghiottirli, quasi che la nostra pelle rovente non sopportasse più il contatto ruvido del tessuto. Carezze dolci e sensuali scorrevano sulla nostra pelle come brezza d’estate. Nella sua nudità, nel corpo e nell’anima, mi parve un angelo. La sua pelle nivea, quasi trasparente profumava di primavera. La delicatezza del suo corpo introduceva nella mia mente pensieri sacrileghi, non adatti a quell’angelo dolce e fragile. La sua fragilità. La sua fragilità mi spaventava: temevo che potesse spezzarsi tra le mie dita, perché quel ragazzo mi sembrava di puro cristallo. La seta dei suoi capelli sfiorava il mio corpo sotto di lui. Affondai le dita in quei fili adamantini, leggeri, soavi.

Era inspiegabilmente sensuale osservare il contrasto tra la mia pelle e la sua. Non è difficile immaginarlo, ma in quel momento appariva netto e definito.

< Sei stranamente bello… > gli sussurrai, la voce alterata dalle devastanti sensazioni.

Sorrise e quasi mi rimproverò in un sussurro.

< Devi parlare anche adesso? >

Non dissi più nulla. Ero troppo presa dai suoi gesti, che mi portavano oltre la barriera del cielo. Nulla rimase inviolato. Ogni centimetro della nostra pelle venne sfiorato, toccato e baciato.

I gesti di quella sera sono fuggiti dalla mia memoria. Le sensazioni sono rimaste. Non so quante volte rompemmo gli argini del piacere, quante volte nell’estasi invocai il suo nome, non conosco il numero dei baci, delle carezze, dei gemiti che sfuggirono alle nostre labbra…contarli sarebbe impossibile.

Albeggiava, quando stremati cademmo tra le coperte del suo letto. La treccia di Ryuuou si era sciolta nell’ultimo amplesso e i suoi lunghissimi capelli erano sparsi sul letto e sul cuscino. Ansimavamo ancora. Il silenzio avvolgeva le nostre anime.

Ryuuou si addormentò poco dopo. Rimasi per un po’ ad osservarlo. Una profonda cicatrice distruggeva la sua perfezione: il suo petto era segnato in modo indelebile dalla sua sofferenza.

Passarono i giorni, le settimane, i mesi. ci frequentavamo assiduamente e spesso finivamo a casa sua, nel suo letto.

Una domenica mattina decidemmo di cambiare la nostra vita. Una svolta decisiva, che avrebbe segnato la nostra esistenza.

Era ormai maggio e l’aria si era fatta calda e frizzante. Soffiava un vento leggero e fresco e il mare era lievemente increspato. Il porto era sgombro da qualsiasi presenza.

< È già un anno che ci conosciamo > esordì < Avrei una proposta da farti e spero che tu sia disposta ad accettarla. >

Non sapevo dove volesse andare a parare, così aspettai il seguito.

< Ho comprato una roulotte. Ho intenzione di andare in giro per il Giappone. Vuoi venire con me? So che non è il mondo, ma è pur sempre un inizio! >

< Un momento! > dissi < Dove hai preso i soldi per una cosa del genere? >

< Ho venduto le mie tele e ho dato fondo ai miei risparmi. >

< Sei impazzito? > ero sconvolta. Era una pazzia, un gesto folle! Ma perché?

L’ultimo periodo non era stato roseo: era stato male negli ultimi mesi; per due volte era stato ricoverato d’urgenza per principi di infarto.

< Sai bene che la mia vita non sarà mai lunga. Devo cogliere tutto ciò che posso! E subito! >

< Così non farai altro che accorciarla! E poi…un trapianto la potrebbe rendere lunga, no? >

< E se non arrivasse mai in tempo? >

Non ci avevo mai pensato. O meglio, avevo sempre allontanato questo triste pensiero dalla mia mente. Non avrei mai potuto accettare un evento simile. Sarei morta con lui piuttosto. L’amore che provavo forse era troppo o forse non era abbastanza. Possessiva o egoista?

Una morsa mi attanagliò nell’animo. Abbassai lo sguardo: la mia vitalità scomparve del tutto. Un’eclisse totale. Non volevo perderlo, non così. Avrei preferito vederlo con un’altra che vederlo morire.

< Voglio solo passare tutto il tempo che mi resta nel modo più piacevole possibile. Ti voglio al mio fianco, ma se non vuoi… >

< Certo che vengo con te! > non lo avrei mai lasciato solo.

Partimmo. Ryuuou lasciò il suo lavoro alla libreria. Io mi accordai con il mio capo per organizzare il mio impiego via internet.

La roulotte non era molto grande. Lo stretto indispensabile per due persone.

Viaggiavamo di mattina. All’ora di pranzo ci fermavamo da qualche parte. La nostra giornata si perdeva in visite nei luoghi più strani e belli, cercando ispirazioni per i quadri di Ryuuou. Quando si fermava a dipingere, io lavoravo sul mio portatile. Avevo aperto un sito a pagamento dove mi offrivo per traduzioni in lingua: un lavoro stranamente redditizio. Ryuuou, alle volte, si concedeva a piccole mostre, dove trovava parecchi acquirenti per i suoi dipinti.

I miei genitori mi chiamavano ogni giorno. Era comprensibile: la loro unica figlia aveva deciso di intraprendere un viaggio per il Giappone in compagnia di un uomo che non conoscevano. Avevano visto solo qualche fotografia, ma nulla di più.

Il giorno della mia partenza mio padre era molto tranquillo: si fidava della mia capacità di giudizio. Sapeva che se avevo scelto quel ragazzo avevo i miei buoni motivi.

< Ti fidi molto di lui! > disse con un sorriso.

In quel momento, sicura dell’appoggio e della comprensione che mi dimostrava, decisi di confidargli lo stato di salute del mio ragazzo di cristallo. Mi guardò un attimo preoccupato, poi mi guardò negli occhi:

< Rispetta le sue decisioni, qualsiasi esse siano! >

Sapevo bene che questa sarebbe stata la parte più difficile del viaggio che avrei intrapreso. Ryuuou è assolutamente inflessibile per quanto concerne le decisioni riguardanti la sua salute. Un autentico irriducibile! Non ascolterebbe nemmeno il Papa! Per me diventa difficile restare in silenzio e accettare le sue stramberie!

Il primo periodo di viaggio passò felice e spensierato, dove gli unici problemi che avevamo riguardavano il colore delle scarpe da comprare. Subito dopo abbiamo iniziato a litigare. Litigi veri, quelli dove volano i piatti e si dicono parole che sarebbe meglio tacere. Più di una volta sono andata a dormire sul sedile del guidatore.

Il viaggio in roulotte è molto faticoso: si guida per buona parte del giorno e dopo, per il ritmo di vita che avevamo assunto, c’era poco tempo per riposare. A risentirne di più era Ryuuou: aveva cambiato troppo la sua vita: da topo di biblioteca a viaggiatore consumato. Anch’io stavo mettendo a dura prova il mio fisico: un paio di crisi asmatiche più violente del solito mi avevano colto impreparata e tutto perché mi ero ostinata a voler imparare a lanciare il freesby!

Il mio ragazzo di cristallo cominciò a dormire più del solito. Un segnale preoccupante per un cardiopatico.

Fuori da qualsiasi comprensione, rifiutai di fare l’amore con lui più di una volta per quanto ero nervosa, guadagnandomi il suo disappunto e facendogli mettere il broncio. Non che mi piacesse rifiutarlo, ma temevo per la sua salute e non mi importava se si arrabbiasse con me.

Di notte cominciai a svegliarmi di soprassalto per paura che gli fosse successo qualcosa. Lo osservavo: di solito dormiva tranquillo. A volte, però, stringeva convulsamente una mano sul petto e questo gesto mi tormentava l’anima.

Un giorno tentai di convincerlo a fare un controllo in ospedale.

< Sto bene! > mi rispose perentorio, in un tono che non ammetteva repliche. Sapevo che non era vero e provai ad insistere.

< Asia, ma che ti prende? Non cominciare a farmi la predica, sai che non lo sopporto! >

< Solo un controllo, non ti chiedo altro! >

< Ho detto di no! >

< Perché sai benissimo che se vai in ospedale ti costringeranno a restarci per un po’! Ammettilo! >

< Sto bene, chiaro? >

< Come no! Ti vedo quando ti stringi il petto dopo anche un piccolo sforzo. Non mentire! >

< Ho deciso di non andarci! > sibilò con voce bassa e stizzosa. Sospirai: era inutile, anzi, decisamente controproducente farlo innervosire: l’ultima cosa che volevo era affaticarlo.

Quel giorno rifiutò le mie attenzioni e ogni mio tentativo di riappacificazione fallì miseramente. “Rispetta le sue decisioni!” le parole di mio padre mi tornarono in mente. Era difficile, troppo difficile. Si comportava da masochista e io dovevo anche accettarlo! Soffriva. Soffriva davvero. Il suo respiro si faceva sempre più pesante anche nel sonno.

Litigammo per l’ennesima volta. Solito discorso: la sua salute era pessima e faceva finta di niente. Per farmi sbollire la rabbia che provavo decisi di fare una passeggiata: dovevo schiarirmi le idee.

Le strade e la gente, quel giorno, per me non avevano colore. Tutto si presentava grigio ai miei occhi, come il mio umore e come il cielo: nuvole pesanti e cariche di pioggia si addensavano sopra la città. “Perché?” continuavo a ripetermi ad ogni passo. Mi imposi di non piangere: intuiva al volo se avevo pianto o no e io non volevo impietosirlo, non era per me che doveva provare pietà, ma per se stesso. Stava gettando la sua vita al vento. Era assurdo! Completamente assurdo! “Rispetta le sue decisioni!” ma come? In alcuni momenti mi assaliva la voglia di trascinarlo il ospedale contro la sua volontà, di peso. Non mi importava se mi avesse odiato, se non mi avesse mai più rivolto la parola: preferivo questo a vederlo soffrire!

Stava morendo. E io non potevo accettare questa situazione.

Tornai da lui. Era ormai sera inoltrata e non era piacevole restare fuori al freddo. Le giornate si erano fatte uggiose e corte. Le luci della roulotte erano spente. Entrai senza fare rumore. Un piatto era nel lavandino: almeno aveva cenato! Ci mancava lo sciopero della fame…

Ryuuou dormiva. Tentando di non fare alcun tipo di rumore mi cambiai e mi sdraiai accanto al suo corpo caldo. Mi dava le spalle. Coprii entrambi con una coperta pesante. Quella sera era molto fredda. Volevo un contatto con lui, così mi avvicinai pericolosamente al suo corpo e gli passai un braccio intorno alla vita. Respirai il suo profumo dolce, lasciandomi invadere da esso. Posai la fronte sulla sua schiena.

< Mi odi? > la sua voce risuonò nel silenzio.

< No… > dissi. Che domanda stupida! Gli angeli non si possono odiare…

< Non devi preoccuparti per me! >

< Non è semplice. Ti vedo soffrire e darei tutto per evitarlo. >

< Lo so… > si voltò per guardarmi negli occhi. Non so spiegare come fece, ma lesse nel mio sguardo lacrime nascoste, quelle che celavo nel cuore e che sarebbero venute fuori, prima o poi. < Promettimi che, qualunque cosa succeda, tu non piangerai per me. >

< È una richiesta assurda, non credi? > la mia voce era pericolosamente incrinata.

< Non voglio che tu pianga per me! >

< Allora non morire… >

La sua salute peggiorava a vista d’occhio, tanto che decisi di non muovermi dalla città dove eravamo giunti. Ormai passava la maggior parte del suo tempo a letto in compagnia di un libro o di fogli e matite. Anche se spesso passava intere giornate nell’oblio del sonno.

Volevo piangere. Non l’ho mai fatto davanti a lui. Di notte, però, alle volte ho lasciato che le lacrime bagnassero le mie guance. Mordere il cuscino era un ottimo metodo per fermare i singhiozzi che, altrimenti, lo avrebbero svegliato.

Tre giorni fa ho avuto paura. Un’angoscia che ancora adesso mi stringe il cuore.

Tre giorni fa sono uscita presto di casa. Avevo deciso di scaricare la tensione accumulata negli ultimi tempi con lo shopping e una passeggiata per le vie cittadine. Avevo lasciato Ryuuou a letto, ancora avvolto nel sonno; sembrava particolarmente tranquillo: respiro regolare.

Novembre era giunto. Il cielo era plumbeo; solo il giorno precedente una pioggia torrenziale aveva lavato le strade e aveva lasciato pozzanghere come segno del suo passaggio. Camminavo per le vie ancora bagnate. Le auto facevano schizzare l’acqua nei rigagnoli. Il mio umore era intonato a quello strano clima: tetro e uggioso.

Tensione. Nervosismo. Paura. Tutto questo attanagliava il mio animo, impedendomi anche di lavorare. Non riuscivo a concentrarmi. Perderlo. Non volevo nemmeno pensare ad una tale evenienza. Il mio cuore rifiutava un simile pensiero, nonostante potesse essere il pensiero più razionale di tutti, una probabilità non così lontana.

Mancai da casa solo poche ore. Erano circa le nove del mattino quando tornai alla roulotte. Infilai la chiave nella toppa e aprì.

All’interno…

Ryuuou era riverso sul pavimento. Un rivolo di sangue bagnava la sua tempia. Il mio cuore ha perso un battito. La mia mente si è congelata nella consapevolezza di quell’istante, dove le mie paure recondite si sono avverate. Mi sono chinata su di lui e ho chiamato l’ambulanza. Respirava a malapena e il suo ritmo cardiaco era irregolare.

“Non ti fermare. Non ti fermare. Non ti fermare!” continuavo a ripetere al suo cuore. Non doveva fermarsi, non doveva…

Non ricordo il viaggio in ambulanza. Tutto è confuso nella mia mente. Quello che ricordo è lo sguardo dei medici al nostro arrivo in ospedale. Sguardi cupi e rassegnati, scettici e pensierosi. “Questo qui non ce la fa!” ecco cosa dicevano. “Certo che ce la fa!”

È stato portato d’urgenza in sala operatoria. Mi sono seduta nella saletta antistante. Dalla roulotte avevo portato con me il suo cellulare. Ho scorso la rubrica e alla voce “Mamma” ho premuto il tasto di chiamata. Era giusto che lei sapesse ciò che stava succedendo a suo figlio.

Il giorno successivo una donna con un caschetto nero con qualche capello bianco è arrivata a passo affrettato nella sala d’aspetto dell’ospedale. Nei suoi occhi ho rivisto lo sguardo di Ryuuou. Era lei. Sua madre. Si è avvicinata a me e io mi sono alzata in piedi.

< Sei Asia, vero? > le ho fatto cenno di si.

< Come sta? > ha continuato.

L’ho fatta accomodare su una poltroncina. Certe notizie possono essere devastanti.

< Ryuuou ha un piccolo trauma cranico, dovuto alla caduta, ma non ha provocato danni al cervello. Il vero problema è il malore che lo ha colto. Il suo cuore sta cedendo, non resiste più….gli danno solo qualche giorno di vita…..se solo non fossi uscita così presto….se solo…fossi stata lì! > le lacrime erano sgorgate dai miei occhi senza che me ne accorgessi, per poi sfociare in due cascate salate che scendevano copiose sul mio volto.

La piccola signora posò una mano sulla mia spalla. Una mano calda e rassicurante.

< Non è colpa tua… > mi disse.

Era preoccupata, questo sicuramente, ma nel suo sguardo c’era una luce, una luce che possedeva la consapevolezza che suo figlio poteva ancora combattere, che fino a quando il suo cuore, benché malandato e stanco, batteva ancora tutto poteva succedere.

Qualcosa mi diceva di fidarmi di lei.

Il cuore di Ryuuou continuava a fare i capricci. I medici avevano stabilizzato le sue funzioni vitali, grazie al coma farmaceutico.

Tutto il personale medico non faceva che ripetere che solo un miracolo poteva salvargli la vita. Un miracolo. Niente di più difficile, improbabile, incredibile che potesse accadere.

Eppure…

Eppure è accaduto.

Distrutta dal dolore e dalla stanchezza passeggiavo per la sala d’aspetto: non ci permettevano di avvicinarci alla sua stanza. Era notte fonda. Scura, senza stelle né luna. Un infermiere è arrivato correndo, ci ha superato ed è entrato nell’ufficio del chirurgo. Pochi secondi dopo sia lui che il dottore sono usciti di fretta.

< Credete in Dio? > ci ha detto enigmatico.

Un cuore. Un cuore compatibile.

Ryuuou è in sala operatoria da ormai quattro ore. L’alba si avvicinerà tra poco e busserà a queste finestre. Non volevo addormentarmi, così ho deciso di tenermi sveglia scrivendo la nostra storia. Una storia strana e dolorosa, ma anche divertente e felice. Spero nel lieto fine, è chiaro.

La piccola signora si è addormentata accanto a me con uno strano ed enigmatico sorriso sulle labbra. È come se avesse sempre saputo che Ryuuou avrebbe avuto una possibilità. Una donna misteriosa, come suo figlio, d'altronde.

Chissà cosa penserai tu, Ryuuou, quando scoprirai di essere stato portato, senza il tuo permesso, in ospedale…

Il medico sta uscendo dalla sala operatoria…

È mattina. Sono nella sua stanza. Sua madre era troppo stanca per restare qui. Mi ha sorriso prima di andar via. Confida in lui e nella sua forza. Non la deluderà. Spero…spero che non mi lasci sola.

Mi ha raccontato qualcosa di lui prima di andare via. Mi ha parlato di suo padre: un militare russo fiero e autoritario, inflessibile, ma dolce e comprensivo. Come lui, in fondo!

Caro il mio testone…

L’intervento sembra essere riuscito. Non ha ancora ripreso conoscenza, ma i medici contano che succederà al più presto. Una mascherina aiuta la sua respirazione che ora sarebbe troppo faticosa.

Ho pettinato e intrecciato i suoi capelli. Fili di diamanti lucenti…

Apri presto gli occhi!

Vorrei consegnare a lui questo taccuino. Vorrei che leggesse tutto ciò che ho scritto pensando a lui…

Ma prima vorrei scrivere altre poche parole.

Questa mattina, mentre un tiepido sole si è insinuato tra le tende della sua stanza, portando un po’ di luce sulle pareti bianche, Ryuuou ha aperto gli occhi. Credo che si sia sorpreso nel comprendere dove si trovava.

Io ero persa nel sonno dopo l’ennesima notte di veglia. La sicurezza della riuscita dell’intervento aveva rilassato il mio corpo, permettendomi di riposare.

Dormivo su una sedia accanto al suo letto; la testa poggiata sulle mie mani che stringevano la sua. Un gesto stupido, votato quasi a trattenerlo lì, in modo che non potesse fuggire.

Ho sentito una mano delicata passare tra i miei capelli e scivolare lenta sul mio volto. Ho aperto gli occhi. Mi sono sollevata con uno scatto, credendo che la mia immaginazione mi avesse giocato un brutto tiro.

Ho incontrato i suoi occhi.

Occhi rossi.

E il suo sorriso, uno dei pochi che ha concesso al mondo.

< Ciao! > gli ho detto in un sussurro. La felicità mi bloccava il respiro pericolosamente.

Ho accarezzato la sua fronte e le sue guance, dove si era fatta strada la sua barba bianca.

Ryuuou si è sfilato la mascherina dal naso e dalle labbra. Voleva parlarmi.

< Alla fine….avevi ragione tu… > mi ha detto in un soffio. Poi il suo sguardo di fiamma ha implorato un bacio. Un contatto di anima, testa e cuore!

Mi sono chinata su di lui. Ho sentito i nostri respiri combattersi, i nostri profumi mischiarsi. Immobili a pochi millimetri di distanza, gli occhi socchiusi, tentando di fermare il tempo. Ha colmato le distanze in uno scatto. Temerario! Folle! Incosciente! Ho sentito le sue labbra poggiarsi sulle mie: morbide, delicate, profumate.

Le ha dischiuse leggermente, inumidendo con la punta della lingua le mie, cercando un intimo contatto. Accettando il suo voluttuoso e languido invito, ho lasciato scivolare la mia lingua nella sua calda e appassionata bocca. Una lotta sensuale, un gioco peccaminoso di carezze. Lento. Intenso. Profondo. Languido. Lascivo. Un bacio. Un bacio capace di far perdere di vista il proprio io, la propria intima essenza, perché questa si è fusa in un groviglio di sensazioni e di emozioni. Un bacio di fronte al quale l’universo intero sembra un piccolo granello della spiaggia dell’Amore. La musica delle galassie, suonata dalla stelle e dai pianeti è giunta alle nostre orecchie. Melodica. Sinuosa. Penetrante. Capace di creare nella nostra mente mille arabeschi dai mille colori.

Come la fenice rinasce dalle proprie ceneri, così le nostre anime, oscurate dalla sofferenza che ci aveva travolto nel suo turbine tagliente, hanno ripreso a volare nel cielo crisoelefantino delle profondità cosmiche.

Il bisogno troppo umano di respirare ci ha riportato alla realtà, separandoci dolorosamente.

In quel momento il mio udito ha colto un suono ritmico che mi aveva cullato nella notte, lasciandomi cadere nel regno di Morfeo. Un suono che ora era decisamente accelerato. Il suo cuore. Il controllo delle sue funzioni vitali tramite una fredda macchina aveva svelato le sue emozioni.

Il suo cuore batteva. E batteva forte.

THE END

Salve a tutti!!!

Eccomi qui tutta allegra e felice dopo aver compiuto la mia nuova impresa!

(Poveri noi! Nd Tutti)

Sempre a lamentarvi…

Bene bene… questa ff è dedicata ad un personaggio decisamente intrigante: Ryuuou Gojuin. Se penso che si rincarna in Hakuryu, mi sento male…

(Kyu! Kyu! Nd Hakuryu)

Non offenderti, però, scusa, da Gran Generale dell’Esercito del Mondo Celeste a draghetto motorizzato c’è una enorme differenza!

Passiamo oltre…

Ringrazio che ha recensito Real (è in fase di lavorazione un secondo cap, ma l’ispirazione è morta dopo 12 pagine di Word…tutta colpa del personaggio di Zenon! Sì, c’è anche lui e altre nuove entrate!) e Pensieri e parole.

Dedico questa ff a LadySnape che, poverina, mi segue ormai dappertutto, diventando una martire sotto le mie fucilate di ff insulse e a crazydoc: ho letto tutte le tue ff e, sinceramente, sono senza parole! Non ripeterò che sono bellissime e che il tuo modo di scrivere è affascinante e sublime. No, non lo ripeterò. Non so se leggerai mai questa ff, ma spero che un giorno il tuo mouse si muova di sua spontanea volontà e clicchi sul titolo di questo scritto, infine la sedia ti si appiccichi al corpo, costringendoti a leggere…

Prego Buddah per questo!

Namiamudabutsu!

(Se qualche buddista sta leggendo, prego di scusare il mio cervello consunto da notti insonni nella speranza di concludere questa ff).

Per una volta ho trascurato il quartetto protagonista, ma chi se ne frega!

(Come, scusa? Nd Sanzo)

Geloso?

(O////O Nd Sanzo)

Tranquillo Sanzuccio, sei sempre il numero uno!

Bene. Per oggi è tutto!

Baci

Lady Snape



[1] “Basial” , Pierluigi Capurso, Ed. Palomar, 2002, pagina 12.

   
 
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