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Autore: Ely79    28/06/2010    7 recensioni
Sirius è fuggito da Grimmauld Place, finendo al canile, e l'Ordine della Fenice ha mandato qualcuno a tirarlo fuori. Ma l'Animagus è più nei guai di quanto creda...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
- Questa storia fa parte della serie 'S&H'
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Una scelta difficile
Dalla finestrella si poteva vedere solo una lunga fila di montanti uniti da rete metallica. Nell’aria l’odore dei disinfettanti era quasi nauseante, stordente.
L’inserviente armeggiò con un grosso mazzo di chiavi. Lo stare a schiena curva era il mezzo più patetico e disgustoso che aveva per guardare le belle gambe seminascoste dalla palandrana nera della donna. La quale provava l'impellente desiderio di trasfigurarlo in un’enorme braciola di gomma. Visto il suo aspetto ed luogo sarebbe stato molto appropriato.
La porta si aprì su un muro compatto di latrati, abbai e uggiolii. Avanzò tra le gabbie, seguendo l’enorme schiena che le ingombrava la vista.
In ogni spazio, cani di ogni taglia, razza, colore ed età si appiccicavano alle recinzioni in cerca di uno sguardo d’affetto, di una carezza, di una speranza.
Hestia sentì stringersi il cuore alla vista di un malandato cagnetto, rintanato tremante in un angolo della gabbia. Gli mancava un occhio e tentava timidamente di accennare alla propria presenza, subito ricacciato indietro da un mastino bavoso e prepotente. In un'altra, una cucciolata guaiva festosa in un groviglio di  zampe, code e linguette rosee infilate tra le maglie metalliche.
Il dipendente del canile scartabellava con falsa foga alcuni fogli, i cui caratteri erano stampati ad una dimensione tale che persino Hestia riusciva a leggerli distintamente. Non le erano sfuggite le occhiatine furtive che quell’omone le rifilava, credendosi non visto. Stomachevole.
«Ah, sì» disse con una voce roca ed impastata, incredibilmente fastidiosa.
E svoltò senza preavviso in una corsia. Hestia aveva avuto quasi un moto di stupore, credendo d’averlo visto Smaterializzarsi. Riusciva a muoversi molto in fretta per la sua mole.
«Ecco qua, giudice» biascicò, mostrandole orgoglioso lo sportello.
«Giudice?» domandò lei, perplessa.
L’omone la squadrò da capo a piedi e non solo per sincerarsi di ciò che aveva detto.
«Beh, vestita così non è mica un giudice?»
Doveva riferirsi alla lunga mantella nera che indossava e che ricordava la toga dei giudici Babbani.
«Ah, ehm… no, non sono un giudice. Avvocato» corresse prontamente.
Quello annuì, tornando a studiarla con malsana insistenza. Cominciava a diventare irritante.
Hestia fece un passo avanti, affacciandosi.
Sul pavimento della gabbia era allungato un cagnone nero dal pelo ispido e sporco. Il muso lungo e segnato da graffi poggiava sulle zampe anteriori, distese in avanti.
«Signora, ma è sicura che sia sua questa bestiaccia?»
In risposta ottenne un sospiro rassegnato ed un cenno del capo.
Il cane sollevò il testone scodinzolando, la lingua penzoloni da un lato. Tentava di fare il simpatico.
«Senta, questo qui non è il cane per lei. Una signora così raffinata, così bella, così importante…» attaccò l’inserviente con tono che voleva essere suadente.
Hestia si domandò cosa la trattenesse dal convertirlo in un giocattolo con cui dare un po’ di gioia alle povere bestiole, che di certo lo sopportavano quanto lei.
«Perché non si porta via uno dei cuccioli che ho di là? Ho dei cockerini da far rabbia alla Disney» propose ammiccando.
«No, guardi…»
«Oppure dei bastardini che hanno due occhi così» insisté, facendogli segno di seguirla altrove. «Non c’hanno il pedigree, però sono un amore. Bianchi, neri, marroni, a macchie. Tutti quelli che vuole. E con una padrona come lei, verranno su una meraviglia. Sicuro come il Big Ben che batte l’ora!»
«Sul serio, non posso» ripeté poco convinta.
Si rendeva conto che quelle proposte erano infinitamente più allettanti che riportare a casa il fuggiasco, ma non poteva accettarle. E poi c’erano cani molto meno fortunati che meritavano una casa almeno quanto quei deliziosi piccolini.
«Ma su, lo guardi!» esclamò l’inserviente, additando il detenuto che prese istantaneamente a latrare. «È vecchio, sporco, isterico! Forse è pure malato, ha una brutta faccia. Meriterebbe un sacco di legnate»
«Ehi!» protestò Hestia, nutrendo il vago sospetto che dietro a quell’affermazione si nascondesse una prassi consolidata.
Il solo pensiero la fece rabbrividire.
«Scusi, ma quella bestiaccia ha cercato di mordermi. Due volte» spiegò, mostrando i pantaloni laceri ed un bendaggio alla mano sinistra.
«Mi dispiace, purtroppo ha la tendenza ad essere un po’… scalmanato. Odia stare recluso. Comunque sì, è lui. È il nostro Sirius» ammise a denti stretti, mentre il cane rispondeva al richiamo sedendo e scodinzolando come un forsennato.
Aveva un’espressione che avrebbe potuto avere solo l’allievo modello di una scuola d’addestramento.
«Vede, è il cane di mio padre e lui ci è molto affezionato» cominciò, recitando il monologo che aveva preparato alla notizia della missione di recupero. «Sa, è un uomo molto anziano e tiene a questo rand… cucciolone. È come se l’avesse cresciuto lui, una specie di figlio»
Aveva calcato sulla parola “figlio” per ribadire un sott’inteso al diretto interessato, che non si degnò d’apparire minimamente contrito.
L’uomo stava per replicare, probabilmente sciorinando un altro milione di motivi per cui quel cagnaccio dovesse essere ospitato a vita in quel canile, quando uno squillo nervoso e insistente si propagò nell’aria. Un coro di ululati si levò dai cani.
«Mi scusi. Arrivo subito»
Appena l’inserviente scomparve in fondo al corridoio, qualcosa batté sul fondo della gabbia.
Dove prima era il quadrupede, un uomo si rialzava mugolando, sgranchendo braccia e gambe. Quando ebbe terminato di sciogliere i muscoli contratti dalla lunga immobilità, tese le braccia in avanti, sfoderando un sorriso maliardo.
«Hestia! Hestia! Mia splendida Hestia dai capelli d’ebano e il cuore d’oro zecchino, è Merlino che ti manda!»
Lei ruotò gli occhi sul soffitto.
«Evita i convenevoli, Black. A mandarmi è Silente»
Ciocche di capelli neri ricaddero in avanti sugli occhi sgranati, seguendo il movimento repentino del capo di Sirius.
«Black? Come Black? Non sono il tuo meraviglioso nonché adorabile nonché amatissimo cucciolotto Sirius?» fece lui, mostrandosi sconvolto.
«No»
I metodi densi lirismo che usava esibire non la impressionavano. Li conosceva da Hogwarts e ne era ben immunizzata.
«Dai, su. Tirami fuori» disse, sfregando le mani pregustando la libertà.
Sirius aveva lasciato la bacchetta a Grimmauld Place quando era uscito a fare una corsetta nel misero parchetto davanti all’abitazione. E là era rimasta dopo la sua cattura e la botta in testa presa dall’accalappiacani, che l’aveva lasciato tramortito per un paio d’ore. Quando Molly si era accorta della sua assenza era scoppiato il finimondo.
«Hestia? Sbrigati» la richiamò, indicando il lucchetto.
La strega non pareva risolversi ad aprirlo. La bacchetta era ancora riposta nel mantello.
«Hestia!» ringhiò agitato cominciando a sbattere la recinzione. «Tirami-fuori-tirami-fuori-tirami-fuori!!!»
Lei gli rivolse uno sguardo di autentica commiserazione, incrociando le braccia sul petto.
«Dimmi perché dovrei farlo»
Black arretrò di mezzo passo, scrutandola con sospetto. D’accordo, doverlo venire a ripescare non doveva essere stata un’esperienza piacevole, se persino Remus aveva rinunciato a muoversi in prima persona. Voleva giocare con lui? Voleva sentirsi importante per ciò che stava facendo? L’avrebbe accontentata.
«Oh, ma perché tu sei una dolcissima, nobilissima, pazientissima e degna erede di Helga Tassorosso! Una santa strega che sta tentando in tutti modi e con infinita bontà di rimettere in riga questo fuggiasco scapestrato e distrutto fin nelle profondità del suo misero e tormentato animo» declamò, con la verve di un attorucolo di teatro di quart’ordine.
«Ripeto: perché dovrei tirati fuori di lì? Dopo tutto, la divisa carceraria ti dona…» ghignò.
Sirius si accigliò, mostrandosi mortalmente offeso. Da quando il suo lato mellifluo non aveva più effetto? Remus non gliel’aveva fatto notare, dannazione. Questa donna era forse fatta di ghiaccio? No, impossibile. Il fascino dei Black era un’indiscutibile arma di attacco.
«Non è carino da parte tua, Hestia, mortificarmi così» ed aggiunse uno sguardo languido mentre con la spalla si appoggiava alla rete che cigolò ribelle.
La donna sembrò muoversi a pietà, sporgendosi un poco verso di lui.
«Neppure cercare di infilarmi la lingua in bocca mentre sei ubriaco marcio, è carino» bisbigliò sarcastica.
Il mago sorrise, scostando una ciocca di capelli dagli occhi grigi.
«Andiamo, so che lo volevi anche tu» rispose, premendo le labbra sulla rete.
Hestia avvampò di rabbia all’istante.
«Di fronte all’Ordine al completo? Silente incluso e seduto ad un metro da me? Con i figli di Molly che origliano ed il tuo figlioccio Harry in arrivo? Come no!» elencò irritata.
Se non era morta di vergogna, c’era andata molto vicina. A poco erano valsi i rimproveri di Molly, i commenti sprezzanti di Piton e le battute di spirito di Silente, che tentava di appianare la cosa col solito indecifrabile tatto.
«Il tuo desiderio di avance era palese, mia bella guanciette di lampone» la stuzzicò.
Hestia socchiuse gli occhi, sorridendo. Un sorriso perfido, stonato nel suo viso tondo e dolce.
«Sai, Sirius? Non stai migliorando la tua posizione. Potrei decidere di lasciarti qui. In fondo, mi pare che tu sia in buona compagnia» e indicò la coppia di cagnette che scodinzolava nella gabbia accanto, palesemente estasiate dalla prestanza del vicino anche se bipede.
Black storse il naso, portandosi più lontano possibile dalle potenziali corteggiatrici.
«Non lo faresti mai. Non potresti mai lasciarmi qui dentro! Magari Lunastorta, o mia cugina. O Molly. O Mocciosus, ma non tu»
«E sentiamo, perché non dovrei fare un simile favore all’umanità? Che, tra l’altro, mi sarebbe grata per aver salvaguardato le scorte mondiali di Whisky Incendiario?»
«Ma perché sei buona-buona-buonissima come una torta di panna e fragoline! E soprattutto sei pazza di me»
Era impressionata. Quel piantagrane le stava tentando proprio tutte per convincerla. Mancavano giusto le suppliche fra le lacrime e il campionario sarebbe stato completo.
«Per favore… ma ti sei visto di recente?»
«Sono uno gran pezzo di mago»
«Che se la fa con un Ippogrifo…»
Lui sorvolò sulla bassa insinuazione. Aveva quasi messo le mani addosso al bisunto nasone per aver messo in giro una simile diceria, peccato che si fosse messo in mezzo il solito paladino del vermiciattolo, Remus. Sarebbe stata la volta buona per farlo fuori.
«Dai, Hestiuccia mia bella! Apri il lucchettino… da brava» tentò di blandirla nuovamente, infilando le dita fra le maglie cercando inutilmente di prenderle la mano.
Mossa falsa. Hestia Jones detestava con tutta sé stessa quei diminutivi ridicoli. Fece un passo indietro e Sirius perse le staffe.
«Hestia, maledizione! Apri questa porta! Subito!» latrò furioso, dando un vigoroso scrollone alla gabbia.
I cardini tintinnarono minacciosi e lei si chiese come mai, con tutta quella forza, non avesse fatto a pezzi quella misera barriera. Poi ricordò che lo stare a lungo nella forma di Animagus portava una debolezza diffusa, che impediva di attuare gli incantesimi di difficoltà medio-alta, tra cui quelli di Smaterializzazione. Il che spiegava perché avevano dovuto mandare qualcuno a ripescarlo. La botta in testa inoltre, non doveva aver aiutato i già poco lucidi ragionamenti del mago. E sarebbe rimasto in quello stato ancora per diverso tempo.
Stava per decidersi ad infilare la mano nel mantello, quando il coro di voci canine indicò l’inserviente che tornava. Rapido, Black tornò a quattro zampe e lei finse di giocherellare con una cucitura.
Ora doveva decidere e in fretta. Eseguire il compito affidatole da Silente, riportandolo a Grimmauld Place sano e salvo, per rischiare qualcosa di ben peggiore di un bacio alla francese non richiesto durante una riunione dell’Ordine della Fenice, oppure…

***

Tonks se ne stava cavalcioni sulla spalliera del divano, ciondolando una gamba nel vuoto.
«Non è un amore?» chiese Hestia, accarezzando la pelliccia bianca e marrone.
Il cagnolino spaventato che tentava di sfuggire al mastino ora sedeva sul sofà, uggiolando di gioia ad ogni carezza che riceveva.
«Oh, sì. Puzza anche meno di mio cugino» osservò divertita la donna.
«Ed è anche molto più educato. Guarda. Zampa?» domandò, tendendo la mano.
Prontamente una zampina si allungò sul suo palmo.
«Visto? È un genio!» esclamò estasiata.
«Beh, rapportato a Felpato chiunque è un genio…» fece eco Remus, sprofondato a debita distanza in una poltrona.
Avere un altro canide in casa lo metteva a disagio. Non si sentiva tranquillo. Era una sorta di invasione di campo, a cui però non poteva opporsi.
«E poi piace anche a Molly» sottolineò Tonks.
«Cosa non di poco conto» convenne il licantropo.
«Hai già deciso come chiamarlo?» disse, sporgendosi in avanti e rischiando di ruzzolare giù dall’anomala seduta.
Hestia annuì, sollevando il cagnolino di fronte a sé.
«One»
Il bastardino abbaiò festoso, quasi avesse compreso all’istante che quello era il suo nuovo nome.
«One? Perché ha un occhio solo?» chiese Tonks, riuscendo a far riunire i suoi in un unico grosso bulbo oculare.
Era un’immagine spaventosa ed Hestia distolse subito lo sguardo, concentrandosi sulla bestiola che se ne stava appoggiata contro le sue gambe in cerca di altre coccole. Sembrava farle l’occhiolino.
«Sarebbe stato meglio Ciclope, in quel caso» fece notare l’ex-professore, con l’aria di chi la sapeva lunga a riguardo.
«Potevi chiamarlo Malocchio, come Moody!» trillò Tonks, recuperando con fatica il precario equilibrio.
«Sì, come no. “Malocchio vieni, ti porto a fare la pipì!”. Ma ti immagini la reazione di Moody? Su, Tonks! Io voglio bene a questo frugolino!»
Per sottolineare la veridicità dell’affermazione, One abbaiò risentito verso l’Auror.
«No, non per quello. Cioè, non solo. One perché è il mio primo cane. Ho sempre sognato di averne uno. E poi lui è speciale, si vede! È unico nel suo genere. Mi sembrava giusto che lo sapesse»
«A proposito, Hestia. Si può sapere dove hai lasciato Sirius? Non sarà scappato di nuovo?»
L’assenza del compagno di scorribande era allarmante. Silente si era raccomandato di rinchiuderlo in casa, affatturandolo se necessario. Bisognava impedirgli di commettere altre sciocchezze.
«Oh, no. L’ho lasciato al canile» rispose semplicemente.
«Cosa?!?» strillarono in coro gli altri due.
Dora rischiò di franare nuovamente a terra, questa volta sull’altro lato del divano, mentre Remus era indeciso se scollarsi dalla poltrona o incassarcisi ancor più a fondo.
«Calmatevi. Ho solo usufruito del servizio sanitario nazionale» spiegò con la massima tranquillità.
«Hestia… che hai fatto a Sirius?» chiese preoccupato Remus.
Felpato si era cacciato in una marea di guai quando erano ragazzi, finendo anche allora al canile, ma all’epoca era toccato a Peter tirarlo fuori, senza passaggi intermedi. Una seduta nelle infermerie veterinarie di stato poteva rivelarsi una scelta poco saggia, conoscendo quanto poco Sirius amasse i medimaghi e quel che a loro era connesso.
«Non è che mi ritrovo con una cugina, eh?» s’informò Tonks, incerta se la cosa potesse farle o meno piacere.
La strega scosse il capo, sorridendo amorevole mentre aggiustava la medaglietta del cagnolino.
«No, niente di tutto questo. Ma sapete com’è! Stando in quelle gabbie, i cani prendono un sacco di parassiti. Anche One era pieno di pulci. Solo che a lui è bastato un buon incantesimo disinfettante. Vero, piccolo? Ora sei tutto pulito, come nuovo!»
Remus deglutì a vuoto, stritolando i braccioli della poltrona.
«Vuoi dire che Felpato…»
«Ah-ah» annuì lei, con un sorriso che emanava purissima perfidia femminile. «Ho chiesto che lo mettessero in ammollo per renderlo presentabile per il rientro a casa. Ho detto che per quando sarei passata a riprenderlo lo volevo lavato, tosato, profumato e, già che c’ero, sver-mi-na-to» scandì maligna.
I due membri dell’Ordine erano immobili e sconcertati.
«Probabilmente a quest’ora lo staranno preparando per il bagnetto» aggiunse, guardando la pendola del soggiorno con immensa soddisfazione.
Tonks e Remus si scambiarono un’intensa, silenziosa occhiata. Mai uno sguardo aveva detto tante parole tutte insieme in così poco tempo. Schizzarono in piedi, correndo nell’atrio, incuranti delle urla di Walburga.
«Ehi, dove andate?» urlò Hestia ai due che infilavano frettolosamente le giacche scontrandosi e rischiando di infilare le dita negli occhi dell’altro.
«Non posso perdermi il bagno di mio cugino! Rem, la macchina fotografica, sbrigati!»
«Macchina fotografica? Non c’era una videocamera nel sacco di Mundungus?»
Hestia li guardò sparire sul pianerottolo di Grimmauld Place.
Un pensiero corse rapidamente al condannato al bagno. Mai tentare di baciare di nuovo la ragazza a cui hai spezzato il cuore a Hogwarts.
   
 
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