Ciao a tutte come va? grazie mille per le vostre splendide recensioni che mi sono, come sempre graditissime ^^ grazie berry e grazie Kami che avete deciso di non abbandonarmi mai vi voglioi tanto bene ecco a voi un altro capitolo, ovviamente ringrazio anche tutti gli altri lettori che da bravi amiconi non recensiscono mai.. ___________________________________________________________
Il
sole splendeva alto nel cielo, un cielo azzurro
d’estate, privo di nuvole e che brillava accecante.
Le
strade d’asfalto bollivano balenando come sabbia sotto
i raggi dell’astro e la gente rideva scherzosa, le vacanze
erano alle porte.
Una
ragazza camminava silenziosa in mezzo alla folla, la
testa china, il sole che sembrava non scottare la sua pelle e il passo
svelto.
Amy
alzò lo sguardo verso quel cielo splendente e riprese
a camminare, i capelli neri che le si gonfiavano dietro la schiena e i
pensieri
che si mischiavano e si confondevano nella sua mente.
Qualcosa
l’assillava, sempre, da giorni, da quando si era
risvegliata nel suo letto dalla malattia.
Malata,
lo era stata davvero? I ricordi di quei giorni
svanivano sempre di più, come una carta ingiallita dal tempo
resa sempre più
illeggibile e che bruciava affondando nei meandri dei suoi ricordi e
morendo.
Già,I
ricordi, qualcosa le mancava, era da giorni che
provava quella strana sensazione.
Si
toccò con la mano lo scollo della maglietta, sentiva
come un vuoto nel petto, ma era un vuoto piacevole, che
l’alleggeriva e la
rendeva felice.
Ma
non era normale, ogni volta che ci pensava si sentiva
girare la testa.
Infatti
c’erano loro, flash, lampi fugaci, immagini che
le riempivano gli occhi per appena un attimo, visioni vivide, accese,
violente,
ma dimenticate subito, come se non fossero mai accadute.
Eppure
lei era sicura di aver visto qualcosa, come un
ricordo sbiadito, ma così recente.
Che
fosse solo frutto della sua immaginazione?
Sentiva
di aver lasciato dietro di se qualcosa di
terribile, ma cosa?
Qualcosa
le era stato strappato, trafugato, portato via
per sempre e lei si sentiva così tremendamente leggera,
svuotata.
Si
fermò davanti alla porta di casa sua, il giardino
verdeggiante che la salutava brillante sotto il sole, il tappetino che
le dava
il suo benvenuto festoso.
Infilò
le chiavi nella serratura della porta facendole
girare lentamente, stava forse impazzendo?
Abbandonò
lo zaino sul divano davanti al televisore e si
lasciò cadere anche lei su un morbido cuscino.
Sospirò
stanca e si stese, si sentiva così diversa, il
rumore dei battiti del suo cuore le pareva così rimbombante,
così solo, i suoi
pensieri le risuonavano silenziosi e i ricordi così
pochi…
Le
sembrava di averne visti così tanti, ma era
impossibile.
Fissò
il tavolo, dove il pranzo rimaneva silenzioso nella
pentola e un biglietto troneggiava con le istruzioni del babbo, come
sempre.
Sorrise
tra se e se, aveva fame dopotutto, si alzò dal
divano e si sedette a tavola, il foglio spiccava vicino alla pentola
dandole il
benvenuto a casa.
Sollevò
il coperchio, si versò un’abbondante porzione di
maccheroni e iniziò a mangiare in silenzio.
La
sua mente che vagava inutilmente alla ricerca di
quelle immagini dimenticate, ma era impossibile, forse aveva solo
sognato.
Solo
un terribile sogno,
si disse bevendo un sorso di acqua
gelata, niente più che un sogno.
Josh
era ancora a scuola, in attesa di qualcosa, di
qualcuno, le mani tenute incrociate al petto, lo sguardo rivolto verso
il basso
e la mente lontana.
Attendeva
silenzioso: Harry non era venuto a scuola, una
cosa che un tempo gli era sembrata normale, ma che ora non lo era.
Ora
anche Harry era in pericolo, probabilmente sempre sotto
il controllo di un qualche Cacciatore.
E
se l’avessero catturato?
L’immaginazione
di Josh vagò veloce e già lo vedeva
tornare lì, malfermo, ferito, sporco di sangue suo e di
decine di Dominatori.
E
un sorriso folle dipinto in volto, il sorriso di chi si
è vendicato, una risata malvagia che risuonava terribile e
le mani
insanguinate.
Le
mani di un assassino.
Scosse
la testa cancellando quell’immagine tremenda, eppure
continuava ad attenderlo lì, sicuro che potesse arrivare da
un momento all’altro.
Che
invece fosse stato ucciso?
L’immagine
di un corpo straziato dalle torture e reso
irriconoscibile riempì la sua immaginazione, un drappo nero
che copriva una
figura indistinta affogata in un lago di sangue e una mano che sbucava
dal
mantello protesa verso di lui.
Cancellò
anche quell’immagine continuando ad aspettare,
forse era sciocco rimanere lì, anzi lo era sicuramente.
Stava
per andarsene quando lì udì: passi frettolosi e
leggeri dietro di lui.
Si
voltò speranzoso e rimase pietrificato a osservare la
figura che si avvicinava a lui, era una ragazza minuta, dai lunghi
capelli
scuri e con un leggero vestitino bianco che ne sottolineava i dolci
fianchi.
-Sapevo
che era tardi- mormorò lei con il fiato pesante
fermandosi vicino a Josh.
-Tutto
bene?- chiese il giovane Cacciatore guardando
preoccupato la ragazza.
-Qualcuno
è rimasto allora!- esclamò lei ancora con il
respiro corto –posso avere un’informazione?
Il
moro annuì sorridendo alla ragazza –Conosci un
ragazzo
di nome Harry?
Josh
rimase immobile, il sorriso che si spegneva, una
Cacciatrice?
La
guardò negli occhi, entrambi castani, no,
l’avrebbe
riconosciuta, però poteva anche darsi che lo fosse, forse
era una Depuratrice o
addirittura un grado più alto a lui sconosciuto.
-So
solo che questa è la sua scuola, non so il suo
cognome- disse lei imbarazzata –Scusa se ti ho fatto una
domanda strana, ci
saranno decine di Harry in questa scuola…
-Se
non sono indiscreto, come mai sai la sua scuola?
-Vedi
è complicato…ma c’era la pagellina di
questa scuola
a casa sua.
Josh
tremò, era stata già a casa sua? Allora
perché non
lo aveva ucciso? Forse non era una Dominatrice, ma allora
perché avrebbe dovuto
cercarlo?
-Potresti
descrivermelo?- chiese, c’erano altri ragazzi
con quel nome in quella scuola, non c’era solo lui dopotutto.
-è
alto e porta i capelli castani lunghi- Josh sussultò e
ascoltò preoccupato il resto della descrizione –Ha
gli occhi di un colore
strano, grigi direi.
Era
lui, non c’erano dubbi.
-Non
conosco nessuno così- disse freddo Josh –Ti sarai
sbagliata,
mi dispiace.
Se
ne andò volgendole le spalle cercando di non mostrare
la sua insicurezza.
Strano, pensò
lei, in qualche modo le ricordava Harry, come due fratelli che non si
somigliano, qualcosa di molto più profondo della semplice
somiglianza fisica.
E
quando vide le sue spalle non poté fare a meno di
pensare al ragazzo che aveva conosciuto la sera prima, a quel salvatore
sconosciuto.
Il
cielo era di un azzurro inespressivo, vuoto.
Il
ragazzo osservava quell’unica nuvola bianca navigare
solitaria come una pecorella smarrita.
Harry
si appoggiò sul bordo della finestra, i suoi occhi
che si riempivano dell’immagine di lei, Nadia, gli era
apparsa come una stella
così luminosa in quella voragine oscura in cui si ritrovava.
Eppure
l’aveva dovuta scacciare, lontano da lui, dalla
perdizione, da un mondo fatto di odio, vendette, sangue, vite perdute,
mostri e
marionette.
Anche
lui era ormai diventato un personaggio di quel
terribile teatrino di burattini, anche se la mano della marionettista
ancora non
lo calzava, lui era un osservatore.
E
la burattinaia si avvicinava a lui sempre più come
un’ombra terribile e devastante che divorava lentamente pezzi
della sua vita
cancellandolo.
Ormai
da tempo sua madre gli pareva così distante,
cancellata.
Sapeva
di essere stato lui ad aver creato il muro che li
divideva, ma non voleva distruggerlo, solo quella sottile parete
separava
quella donna dalla morte.
E
ora Nadia.
Persa.
Abbandonata. Per sempre.
L’aveva
voluta salvare, ma lei sapeva troppo, era in
pericolo, e vederla ancora avrebbe solo peggiorato le cose, ma non
riusciva a
dimenticarla.
Tutto
ciò che vedeva in qualche modo gli ricordava lei e
i suoi occhi dolci, occhi di lince, color della nocciola che lo
guardavano con
quella dolcezza infinita.
Sospirò
continuando a osservare il cielo senza vederlo
veramente e a vagare nei ricordi degli unici attimi con lei.
Un
rumore lo distrasse, la serratura di casa scattò
rumorosa, passi, una borsa poggiata sul tavolo, la porta richiusa.
-Ciao-
sua madre lo saluto, sorrideva, il suo volto
ancora giovanile incorniciato da boccoli biondi e gli occhi color del
miele
felici.
-Ciao-
mormorò lui senza voltarsi, i loro incontri si
facevano sempre più freddi e lui voleva che fosse
così.
-Harry non mi
chiedi nulla?- lei si avvicinò e strinse il braccio del
ragazzo fra le sue mani
–Non vuoi sapere perché sono così
felice?
Harry
si voltò, lo sguardo spento e un’espressione
piatta
–Perché sei felice?- lo chiese cercando di
sembrare scocciato.
-Mi
hanno promosso!- esclamò lei –Capo reparto!-
saltello
attorno al figlio che non poté fare a meno di farsi sfuggire
un sorrisetto
soddisfatto.
-Hai sorriso-
disse la donna con voce affettuosa –Era da tanto che non ti
vedevo sorridere.-
la sua voce aveva un tono così malinconico che Harry
sentì il muro crollare
lentamente, mattone per mattone.
-Hai
un così bel sorriso- disse lei carezzandogli i
capelli come quando era piccolo –Dovresti mostrarlo
più spesso.
-Non
sono più un bambino- si lamentò lui cercando di
distanziarla.
La
donna sorrise materna –Per me sì.
Tre
semplici parole.
Le
parole più belle che Harry in quel momento potesse mai
udire.
Josh
tornò stancamente a casa e salì le scale che
conducevano alla sua stanza.
Dimenticò
presto la ragazza di poco prima, non doveva
essere poi un problema così grave se era già
stata a casa di Harry, e poi
troppi altri pensieri occupavano la sua mente e Amy ne era padrona.
Lasciò
cadere lo zaino sul letto e aprì la finestra
illuminando l’opprimente stanza nera.
Entrò
in bagno, si tolse la maglietta e si specchiò, la
ferita brillava cupa sulla sua spalla sinistra, sempre più
ampia.
Ormai
si guardava ogni giorno e lo vedeva chiaramente,
peggiorava, si deteriorava divorandolo lentamente verso la morte, il
dono
d’addio della Madre, qualcosa da non dimenticare: una morte
certa.
Presto
quella crosta sarebbe arrivata al gomito era
questione di poco più di una settimana, forse, per fortuna
avanzava lenta.
Appoggiò
le mani sul bordo del lavandino, sotto lo
specchio, e fissò il suo riflesso, occhi diversi
l’uno dall’altro incastonati
in un viso affilato e maturo, la sua pelle appariva cinerea, era alto e
le sue
spalle sembravano così larghe.
Socchiuse
gli occhi: chi era il vero lui?
L’essere
umano o il Cacciatore? La preda o l’assassino?
Appoggiò
una mano contro il vetro, quella che si
rifletteva aveva dita più sottili e scarne.
Si
infilo la maglia e uscì dalla piccola stanza
abbandonandosi sul letto.
Bugie.
Bugie. Nient’altro che bugie. La sua vita era solo
una bugia.
Mentiva
a se stesso, mentiva ad Amy, mentiva a tutti.
Viveva
da così tanto tempo in un’eterna menzogna che
ormai non sapeva neanche più chi era, nemmeno lui sapeva la
verità, la negava
anche a se stesso.
Premette
il volto contro il cuscino fino a soffocarsi,
non voleva piangere, troppo semplice come via di fuga, eppure tutto
quel dolore
gli stingeva il cuore in una morsa tremenda, avrebbe voluto qualcuno
con lui,
una persona qualsiasi, ma era solo, solo come lo era sempre stato.
Tra
lui e le altre persone vi era una specie di muro, una
parete invisibile, sottile, ma che sentiva premere contro di se e
allontanarlo
dalla normalità.
Si
stese di schiena, lo sguardo perso nel soffitto e le
braccia abbandonate lungo i fianchi.
Normalità.
Allungò
un braccio verso il soffitto quasi a voler
raggiungere qualcosa di visibile solo a lui.
Normalità,
una meta che non avrebbe mai raggiunto, mai,
il suo destino era un’altro, un destino che non si
può scegliere, un destino
scritto da altri e che lui doveva solo seguire come un attore seguiva
un
copione.
Chiuse
la mano sul nulla e la lasciò cadere sul letto
pesante, il suo copione era immodificabile, lo sceneggiatore lo aveva
già
costruito da troppo tempo ormai.
Un
tempo immemorabile.
Si
alzò, la testa tenuta premuta contro le ginocchia, gli
occhi socchiusi e i capelli a zazzera che lo contornavano
disordinatamente.
Sospirò
riempiendosi i polmoni d’aria, scacciando il
dolore.
La
recita della sua vita continuava e come un bravo
attore non doveva mancare alla prima del suo spettacolo.
Si
alzò dal letto, quella era la prima e l’ultima
volta
che si esibiva, niente repliche nella sua vita…
Procedeva
stancamente alzando i piedi a fatica,
strisciandoli sul pavimento producendo un sibilo sinistro ad ogni passo.
Continuava
ad avanzare, il volto rivolto a terra e dei
ciuffi ribelli che gli coprivano gli occhi.
-Muoviti!-
inveì contro Caen il Sacerdote tirando le
catene che stringevano i polsi del ragazzo segnandoli.
Caen
stinse i denti, il dolore era insopportabile, ma non
avrebbe dato segni di cedimento a quell’uomo, come poteva
dargli una simile
soddisfazione?
Le
catene gli segnavano i polsi fino a farli quasi
sanguinare, erano rossi, la carne viva era in mostra, grattata da
quelle
strette lastre di ferro.
Irea
l’avevano lasciata andare, non era lei ad aver letto
quel diario…
Lo
sentiva ancora, nascosto nel suo mantello, la sua
copertina di cartone nero che premeva contro il suo ventre e ad ogni
passo
traballava pericolosamente.
Per
fortuna quel Sacerdote non aveva visto quel libro,
sentiva che se l’avesse visto la punizione sarebbe stata
ancora peggiore.
Era
un segreto profondissimo, che distruggeva ogni sua
sicurezza e che gli mostrava per quale mostro lui aveva avuto tanta
dedizione
in quei lunghi anni.
Tutti
in quel luogo erano mostri, assassini, demoni.
Quant’era
stato sciocco a non accorgersene prima.
Per
anni era stato convinto che il suo modo di vivere
fosse il più giusto,l’unico possibile, forse
perché non conosceva altri modi.
Ogni
parola che sgorgava dalle labbra della Signora lui
la leccava come fosse miele e si lasciava cullare dal suono ipnotico
che
produceva quasi fosse una litania trasportante.
Sì,
una droga dolcissima, che confondeva i suoi sensi e
offuscava la sua mente rendendolo schiavo di una donna tremenda,
rendendolo un
semplice oggetto.
Incedette
ancora, strisciando i piedi e seguendo il
Sacerdode come se fosse uno stendardo bianco di salvezza.
Ma
il bianco del mantello non rappresentava il colore
dell’anima nera dell’uomo che tirava quelle catene
con forza.
Un’anima
affogata dall’odio e dal sangue, nera di morte.
Caen
sospirò, era la fine, non se l’era mai aspettata
così la sua morte, per mano della donna che per anni era
stata la sua guida più
grande.
Non
l’avrebbe mai immaginato, eppure pensava che fosse
giusto così, una specie di punizione che doveva meritarsi.
Però
doveva salvare il libro, quello era molto più
importante della sua vita, doveva salvarlo per Josh, perché
meritava di sapere
tutto.
Doveva
sapere tutto.
Ma
dove poteva nascondere il libro? Come poteva salvare
il diario?
Non
doveva andar perduto…
*Milli
Lin*