Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: LadyMorgan    29/06/2010    3 recensioni
«Oh!» esclamò lei con finta indignazione affibbiandogli un piccolo schiaffo sul braccio. «Ragazzaccio irrispettoso! Invece di prendermi in giro dovresti lasciarmi parlare, perché ti voglio presentare Albus!»
Per la prima volta, i brillanti occhi scuri di Gellert incontrarono quelli chiari di Albus. Ne seguì un attimo di silenzio, subito rotto dal primo che commentò raddrizzando la schiena: «Ah, è questo il tuo genio nascosto, zia?» Rise: aveva una risata così contagiosa che Albus si ritrovò automaticamente a sorridere. «Un momento che temevo molto: mia zia non fa che parlare di te da quando sono arrivato…»
«Non è affatto vero, ragazzo pestifero che non sei altro!»
«È verissimo, zia.» Le rivolse una delle sue occhiate ironiche, prima di rivolgersi nuovamente ad Albus: «Pensa, prima ancora di dirmi “Benvenuto”, o “Quanto sono felice di vederti” mi ha detto “Oh, Gellert, che fortunata coincidenza! Devo assolutamente farti conoscere una persona, sono sicura che vi intenderete subito!”.»
«Davvero?» chiese Albus sorridendo. [...]

Un significativo incontro nelle vite di due dei maghi più grandi riportati dalla saga della Rowling.
Mio primo tentativo di parlarne, dopo essermi appassionata a questi due per altrui merito.
E Godric ce la mandi buona.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'For the Greater Good'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

’Aκοσμία

Era curioso che, a luglio, facesse così freddo.

Dopotutto c’era un tempo per ogni cosa, uno per la stagione fredda e una per la calda, e luglio rientrava decisamente nella seconda categoria.

Eppure, il ragazzo inginocchiato di fronte ad una tomba di granito scuro sentiva solo freddo dentro e attorno a sé. Il sole era nascosto dalle nuvole e il tempo sembrava non promettere miglioramenti a breve termine.

Sospirò, quel ragazzo, continuando a guardare la tomba con sguardo appannato.

Quella tomba che non racchiudeva solo sua madre, ma anche tutto il suo futuro, la sua libertà. Morti entrambi insieme a lei. Ora aveva delle responsabilità, responsabilità verso altre persone…

Trattenne un gemito mentre pensava a cosa lo aspettava una volta a casa: Abeforth che, come sempre, lo avrebbe rimproverato anche per quell’ora scarsa passata fuori di casa, per quei pochi minuti di libertà che gli concedevano di conservare la sua sanità mentale, e Ariana, che lo avrebbe guardato senza neanche accorgersi se era lì o meno, che avrebbe pettinato la sua bambola e avrebbe causato qualche nuovo piccolo incidente che avrebbe dovuto coprire con nuovi incantesimi, futili e senza scopo. Inutili.

Il suo respiro si fece pesante mentre pensava che, in quanto accoglienza, sarebbe benissimo potuto restare fuori: tanto suo fratello sarebbe stato comunque arrabbiato e sua sorella sarebbe stata comunque inconsapevole. Tutto ciò a cui serviva lì era fare da balia a due ragazzini.

E per quanto, poi?

Poggiò la testa allo spigolo di granito, mentre lo prendeva lo sconforto. Ariana non sarebbe guarita, e Abeforth non gli avrebbe mai permesso di accompagnarla ad un ospedale dove sarebbe stata quanto minimo accudita. Era stato anche il desiderio di sua madre, dopotutto. E quindi?

Ariana aveva quattordici anni, e anche se era sempre stata un po’ malaticcia e di costituzione fragile non ci si poteva aspettare che morisse prima dei cinquanta. Altri trentasei anni da passare lì rinchiuso…

Si alzò di scatto, disgustato da sé stesso. Davvero stava desiderando la morte della sua unica sorella, di quella povera bambina così crudelmente offesa, a cui era stato sottratto il sorriso, la capacità di pensare, di controllarsi, di fare magie…?

Si disse che era quell’opprimente solitudine a farlo uscire di senno a quel modo. Il fatto di non avere nessuno con cui parlare, nessuno con cui confrontarsi, niente da fare, se non aspettare, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, che sua sorella combinasse qualche disastro che avesse richiesto il suo intervento, lo avrebbe ridotto alla pazzia.

Inoltre, i commenti entusiastici di Elphias, che aveva avuto la possibilità di girare l’Europa, lo frustravano. Teneva molto a quel viaggio, lo aveva programmato per tanto tempo, era rimasto in trepidante attesa del momento in cui avrebbe finalmente potuto visitare la Francia, l’Italia, la Grecia, l’Egitto… e invece era lì, solo, in un villaggio che conosceva come le sue tasche e che per di più non presentava niente di particolarmente interessante o mentalmente stimolante. Nessuna distrazione.

Sua madre era morta da meno di un mese e lui già non ce la faceva più. Lei era riuscita a reggere quella situazione per otto anni…

Si sentì in colpa: non aveva mai pensato che sua madre, dopotutto, aveva sprecato gli anni più belli della sua vita dietro quella bambina distrutta mentalmente e psicologicamente… nessuna possibilità di evadere, di uscire, di parlare con degli amici… doveva essere stato un inferno, e lui non ci aveva mai pensato…

Accarezzò il granito della tomba. «Scusami, madre» mormorò a fior di labbra guardando l’immagine di una donna giovane, di neanche quarant’anni, che gli sorrideva muovendo appena il viso. Non aveva mai fatto realmente caso alle profonde occhiaie che aveva, o alle rughe premature che le segnavano gli occhi, o ai fili grigi che si mischiavano al mogano dei suoi capelli. Era stato cieco. «Devo essere davvero un bell’egoista, come dice Abeforth, vero?» le chiese amaro, appoggiandosi alla sua estrema dimora. «Mi sorridevi sempre quando tornavo, mi tenevi lontano da tutto, dicevi di essere fiera di me… sono proprio cieco, vero?» Sospirò profondamente e si girò: avrebbe fatto del suo meglio per reggere quella situazione, lo doveva a sua madre, una madre che aveva buttato via la sua vita solo per poter stare appresso a sua sorella. Scacciò il fastidio che quest’idea gli provocava: era sempre stato bravo a nascondere, anche a sé stesso, i suoi impulsi. Li controllava, li mascherava: lo avrebbero reso vulnerabile, e lui non aveva intenzione di esserlo.

Uscì a passi lenti dal cimitero, cercando di sgombrare la testa, un esercizio di cui era diventato per giocoforza maestro: altrimenti avrebbe rischiato di affatturare il fratello almeno cinque volte al giorno. Imbrigliò ogni pensiero e lo appiattì, calmandosi progressivamente.

Fu addirittura in grado di ridere quando cominciò a piovere: senza nemmeno levare la bacchetta dalla tasca, eseguì un incantesimo non verbale che respinse la pioggia, concedendogli di camminare indisturbato e asciutto.

Era a poche centinaia di metri dalla sua casa quando si sentì chiamare: girandosi, vide una signora già avanti negli anni fargli un cenno amichevole con la mano, invitandolo ad avvicinarsi.

Più per cortesia che per altro, le andò incontro.

«Buonasera, signora Bath» disse educatamente quando la ebbe raggiunta.

Per tutta risposta, lei gli sorrise con affetto. «Albus, speravo proprio di incontrarti, oggi! C’è una persona che devi assolutamente conoscere, entra, voglio che…»

«Signora, temo di dover tornare a casa» disse con un sorriso stanco. «Mio fratello mi sta aspettando, e credo che cominci a farsi tardi, fra un po’ dovrò mettere a letto Ariana…»

«Oh, caro ragazzo, così responsabile… ma ci vorranno solo pochi minuti! Entra, su.» Lo prese gentilmente per i gomiti e lo pilotò nel piccolo ingresso, alzandosi in punta per levargli il mantello e appenderlo all’attaccapanni. «È appena arrivato, non mi aspettavo una sua visita ma puoi immaginarti quanto mi abbia fatto piacere…» Senza smetterla di ciarlare lo portò al piano di sopra, fino al salotto dove Albus si era trovato già altre volte per varie visite di cortesia.

Solo che quella volta il tavolo a cui abitualmente si sedeva era già occupato da un ragazzo press’a poco della sua età chino su una pergamena srotolata per metà e circondato da numerosi, grossi tomi di incantesimi.

Alzò la testa di scatto quando udì i passi e sorrise subito dopo. «Zia Batty, quante volte ti ho detto che dovresti fare i gradini più bassi?» In poche, ampie falcate raggiunse la zia e la sollevò senza alcuno sforzo in braccio, accennando ad alcuni vorticosi passi di danza con lei. «Rischierai uno scompenso respiratorio se sarai sempre costretta a fare quei gradini più alti di te!» esclamò rimettendola a terra e facendola ridere.

«Ragazzaccio!» esclamò gioiosa pizzicandogli affettuosamente le guance. «Dovresti smetterla di prendermi in giro!» Il tono adorante toglieva qualunque severità al rimprovero.

Albus era rimasto nel vano della porta, guardando quello spettacolo con un mezzo sorriso: era lampante che il giovane nipote della sua vicina, tale infatti appariva, aveva conquistato anima e corpo la benevola zia, che era dotato di un discreto savoir faire (quel misto di impertinenza e deferenza non poteva non piacere ad un’anziana strega come Bathilda Bath, tanto poco abituata alla compagnia di persone più giovani) e che era in grado di controllarsi bene (non aveva mostrato neppure un’ombra di irritazione quando lo avevano distolto dal suo lavoro, quale che fosse). Inoltre, lo poteva avvertire abbastanza chiaramente, la sua mente era ben protetta.

In sintesi, un soggetto potenzialmente interessante.

Quanto alla fine la strega la smise di vezzeggiare il nipote, si voltò nuovamente verso Albus, ancora silenzioso, e gli disse con un sorriso: «Albus, caro, vorrei presentarti Gellert, il figlio della figlia di mia sorella. È venuto a trovarmi proprio ieri direttamente da Durmstrang – ha studiato lì fino ad ora, sai? Ma lo hanno espulso, pensa un po’!» Mosse un dito ammonitore in direzione del ragazzo. «Pare abbia fatto troppa baldoria, laggiù…»

«Oh, zia, così mi fai apparire un pessimo soggetto!» Gellert sorrise maliziosamente. «È solo il vecchio Parruccone che aveva voglia di andarci giù pesante…»

«Dimentichi, mio cattivo scavezzacollo, che Fëdor Stepanovič Strešnëv era un grande mago già ai miei tempi…» lo redarguì la zia.

Il ragazzo le passò un braccio attorno alle spalle e le rivolse il suo abbagliante sorriso. «Be’, questo spiega tante cose, zia, non ti pare?» chiese in tono irriverente.

«Oh!» esclamò lei con finta indignazione affibbiandogli un piccolo schiaffo sul braccio. «Ragazzaccio irrispettoso! Invece di prendermi in giro dovresti lasciarmi parlare, perché ti voglio presentare Albus!»

Per la prima volta, i brillanti occhi scuri di Gellert incontrarono quelli chiari di Albus. Ne seguì un attimo di silenzio, subito rotto dal primo che commentò raddrizzando la schiena: «Ah, è questo il tuo genio nascosto, zia?» Rise: aveva una risata così contagiosa che Albus si ritrovò automaticamente a sorridere. «Un momento che temevo molto: mia zia non fa che parlare di te da quando sono arrivato…»

«Non è affatto vero, ragazzo pestifero che non sei altro!»

«È verissimo, zia.» Le rivolse una delle sue occhiate ironiche, prima di rivolgersi nuovamente ad Albus: «Pensa, prima ancora di dirmi “Benvenuto”, o “Quanto sono felice di vederti” mi ha detto “Oh, Gellert, che fortunata coincidenza! Devo assolutamente farti conoscere una persona, sono sicura che vi intenderete subito!”.»

«Davvero?» chiese Albus sorridendo.

«Oh, sì» rispose lui ignorando i versetti di disappunto della zia e dirigendosi verso di lui con la sua ampia falcata. «E tutta la cena è stato un Albus questo e Albus quello, ne dovrai parlare con Albus, devi assolutamente conoscere Albus… ho seriamente temuto che mi avesse rimpiazzato» concluse ridacchiando guardando la zia.

Lei gli affibbiò un nuovo schiaffo sulla schiena e si mosse a piccoli passi verso Albus. «Questo ragazzo si è appena diplomato a Hogwarts con dodici Eccezionale, ha vinto il Premio Barnabus Finkley per Incantesimi Eccezionali, la Medaglia d’Oro per il Contributo Innovativo alla Conferenza Internazionale del Cairo ed è stato Rappresentante Giovanile Britannico al Wizengamot…»

«Signora Bath, davvero sta…»

«Zia, così mi intimorisci! Aggiungi un altro di quegli altisonanti nomi e potrei sentirmi sopraffatto…» Incrociò lo sguardo di Albus e gli rivolse un occhiolino sopra la spalla della zia, notando il suo imbarazzo.

Quel gesto così famigliare spiazzò per un attimo Albus: abituato alla fredda cerimoniosità del padre conosciuto per poco tempo e alla scarsa presenza di una madre costantemente alle prese con la sorella, non ricordava che nessuno gli avesse mai rivolto un occhiolino in vita sua, nemmeno i suoi amici ad Hogwarts.

«È esattamente quello che ti meriti, visto che se ti fossi concentrato di più sulla scuola invece che sulle tue assurde scorribande probabilmente potresti averli vinti anche tu!» rispose intanto Bathilda pizzicandogli la mano nuovamente poggiata sulla sua spalla. «L’ho sempre detto a tua madre che se avesse avuto un po’ di buon senso avrebbe dovuto usare il bastone con te…»

«Be’, zia, allora sono contento che per una volta non ti abbia dato retta» commentò Gellert con un nuovo sguardo ad Albus, che diceva chiaramente “lasciamola chiacchierare, potremo discutere bene dopo”.

Nuovamente, Albus si trovò disorientato: non era abituato a essere trattato con tanta confidenza da perfetti, o quasi, sconosciuti. A Hogwarts le persone lo avevano sempre guardato da lontano, prima intimoriti dalla fama di suo padre, poi dalle sue straordinarie abilità. Le uniche persone con cui avesse istaurato un rapporto più o meno confidenziale erano Elphias e i professori, ma nessuno così in fretta e mai così informalmente.

«Oh, grande Agrippa, ragazzo, sapresti abbindolare anche il Ministro della Magia!» brontolò la zia cercando, con scarso successo, di guardarlo storto. «Comunque, ti ho presentato Albus perché credo che abbia bisogno di un po’ di compagnia, compagnia della sua età, intendo.»

Albus alzò la testa di scatto, gli occhi vigili, e stava per aprire bocca quando Bathilda, intercettando il suo sguardo, lo prevenne: «È inutile che protesti, Albus caro, ho visto come sei stanco e frustrato in questi giorni! Oh, sei bravo a nasconderlo, ovviamente, ma per quanto Abeforth sia un caro ragazzo e la piccola Ariana una bimba incantevole tu hai bisogno di qualcuno con cui parlare, e io, ahimè, sono troppo vecchia per poter essere la compagnia migliore per un ragazzo della tua età.» Troncando di netto le assicurazioni di Albus che la sua compagnia era sempre stata gradita e l’aveva aiutato molto, proseguì: «Ma Gellert qui è un ragazzo intelligente come te, ha press’a poco la tua età e sono certo che sarà felice anche lui di avere qualcun altro con cui parlare oltre me.»

Gli occhi azzurri incontrarono nuovamente quelli scuri dell’altro: c’erano tanti interrogativi in entrambi, da una parte quasi timorosi, dall’altra solo curiosi.

«Ma signora, non posso disturbare il signor…»

«Per la barba di Merlino, Albus, non cominciare a chiamarmi signore!» lo interruppe Gellert trattenendosi a malapena dal ridere. «Ho appena compiuto diciassette anni, se cominci a chiamarmi signore adesso quando ne avrò ottanta cosa farai? Inventerai un nuovo titolo apposta per me?» Ricambiò il riluttante sorriso nato sulle labbra del suo compagno e continuò: «Nessun disturbo, comunque: se sei anche solo la metà di quello che la zia Batty va dicendo credo che diventeremo ottimi amici…»

«Sii gentile con lui, Gellert!» lo ammonì la zia severamente. «Albus è un ragazzo d’oro, e non voglio che me lo guasti, sono stata chiara?»

«Sarò l’onestà fatta mago, zia» promise con esagerata solennità lui.

«Bene, allora vi lascio soli a parlare per un po’, così potrete conoscervi meglio» concluse l’anziana strega allontanandosi da Gellert e andando verso la porta e Albus. «Guardati da lui, Albus!» lo ammonì con finta gravità. «È in grado di affascinare chiunque, questo tipaccio qui, se non fosse che so il contrario direi che deve avere sangue di Veela da qualche parte…» E con quelle ultime parole uscì e chiuse delicatamente la porta dietro di sé, lasciando soli i due ragazzi.

Ci fu un attimo di silenzio prima che Gellert dicesse: «Se vuoi, posso fornirti un campione del mio sangue in modo che tu possa controllare se è realmente contaminato…»

Albus rise. «Credo che mi fiderò della parola della signora Bath… anche se non mi sembra molto imparziale» aggiunse con un mezzo sorriso.

L’altro rise fragorosamente. «No, credo che l’età e il romanticismo le stiano annebbiando il discernimento» commentò con perfetta irriverenza lasciandosi cadere su una sedia e afferrando al volo il calice colmo di un liquido rosso sangue poggiato sul tavolo.

Aveva i capelli biondi che gli scendevano sul dorso inanellati, stillanti di profumi, e negli occhi i lampi scuri del vino e le grazie languide di Afrodite.[1]

«Non vuoi sederti?» gli chiese indicandogli con il bicchiere una sedia vuota.

Lentamente, Albus si avvicinò e si sedette, incrociando le dita sul tavolo e fissando pensoso il suo compagno: era in maniche di camicia, perfettamente rilassato, con le gambe accavallate e stava ricambiando il suo sguardo attraverso il calice di vino.

«Ti aspettavo diverso» commentò alla fine, a sorpresa.

Albus sentì le sue labbra curvarsi in un sorriso. «Ah sì?» chiese educatamente.

Il ragazzo annuì facendo ruotare lo stelo del bicchiere fra pollice e indice. «Da quanto diceva la zia Batty ero convinto di trovare un secchione invecchiato prematuramente con gli occhiali e imbaldanzito dai suoi molti premi.» Rise mentre poggiava il calice accanto a sé.

L’altro lo guardò con un sorrisetto imperscrutabile. «E invece?» chiese sopprimendo la risata che sentiva nascergli in gola.

«Ah, invece mi trovo davanti un ragazzo della mia età, che dimostra la mia età, imbarazzato dai complimenti di mia zia, dai capelli color rame e lo sguardo di chi vorrebbe urlare per ore ma non può permetterselo» rispose lui piegando appena la testa per osservarlo meglio.

Albus sentì lo stupore nascergli dentro e sperò che il suo viso non lo riflettesse: era davvero così facile da leggere?

«Perché non puoi urlare, Albus, quando è così palese che è quello che vuoi fare?» gli chiese, stavolta restando serio.

Il ragazzo evitò di mordersi un labbro e disse alla fine soppesando ogni parola: «Perché… in questo momento ho troppe responsabilità per potermi permettere… debolezze.» Gli rivolse un sorriso stanco e ironico ad un tempo. «Immagino che la signora Bath ti abbia già introdotto alle mie vicende famigliari, giusto?»

Gellert riprese il bicchiere e lo avvicinò alle labbra, senza sfiorarlo. «No» disse a sorpresa. «No, non l’ha fatto. Mi ha detto solo che eri giù e che mi sarebbe piaciuto parlare con te.» Lo guardò con un sorriso. «Ti va di parlarne?»

E Albus si ritrovò a confessare a quel quasi sconosciuto della morte di sua madre, della ‘malattia’ di sua sorella, della irascibilità di suo fratello, della prigionia di suo padre, del suo desiderio di viaggiare, di vedere il mondo, di farsi delle esperienze prima di poter cominciare a lavorare… Non ricordava di aver sostenuto una conversazione del genere in tutta la sua vita: Gellert non lo interruppe mai, lo ascoltava con attenzione, bevendosi ogni parola; occasionalmente i suoi occhi si accendevano di comprensione, di frustrazione, di rabbia, a seconda dei casi. Nessuno lo aveva mai incoraggiato a parlare di sé senza remore, né in famiglia né a scuola, e si rese progressivamente conto di quanto quella pseudo-confessione gli fosse pesata suo cuore, per tutto quel tempo, appesantendolo e incupendolo.

Passò dalla sua situazione attuale ai suoi studi, alle sue ricerche, e per la prima volta conobbe l’estremo, rarissimo piacere di confrontarsi con un compagno che non solo conosceva ciò di cui stava parlando, ma aveva anche, sempre, qualcosa da aggiungere o da commentare a riguardo, nuove prospettive da esporgli, che se restava in silenzio era per rispetto verso lui che parlava, non per mancanza di argomentazioni.

Albus parlò, parlò come non aveva mai fatto prima e sentì che dentro di sé qualcosa si frantumava e lo liberava, rendendolo più leggero. Sentiva che avrebbe potuto parlare così per sempre e non si sarebbe mai stancato, che l’umorismo pungente di Gellert riusciva a divertirlo come non si sarebbe più aspettato di potersi divertire, che le sue idee erano tanto simili alle proprie da sentirle coincidenti…

Se si fermarono non fu per mancanza di desiderio, ma perché Bathilda venne ad informarli, con un sorriso raggiante di soddisfazione, che la cena era pronta e che potevano accomodarsi giù quando volevano.

Albus si sentì bruscamente ricatapultato nella realtà. «Cena… signora, che ore sono?»

«Sono passate le otto, Albus caro, ancora un po’ e avrei creduto che eravate andati via…»

«Le otto!» Scattò in piedi tanto rapidamente che la sedia grattò il pavimento con un rumore sgradevole, spingendo Bathilda a tapparsi le orecchie. «Mi scusi, signora, ma devo rifiutare, sarei dovuto essere a casa ore fa…»

«Suvvia, Albus, sono sicura che per una sera Abeforth sarà stato in grado di cavarsela…»

Il ragazzo scosse il capo senza dire niente. Si sentiva stordito: quelle due ore erano volate ad una tale velocità che si chiese che fine avesse fatto il tempo. Era cambiato, e lo sapeva: una diga costruita in tanti anni di segreti e bugie si era appena spezzata, e ciò lo faceva sentire più vulnerabile di quanto non si sarebbe aspettato di potersi sentire nuovamente.

«No, devo tornare» si sentì rispondere, come a grandissima distanza. Con un notevole sforzo mentale, si costrinse a tornare al presente ed a sorridere: «O credo che Abeforth mi farà una sfuriata per essermi dimenticato dei miei doveri di capofamiglia…»

«Se proprio insisti, caro…» Bathilda si strofinò le mani nel grembiule che portava e si rivolse al nipote, ancora seduto. «Tu, scansafatiche che non sei altro, accompagna Albus alla porta e poi raggiungimi, il tacchino si raffredda. E quanto a te, Albus, spero di rivederti presto.» E dopo avergli portato il viso alla sua altezza, probabilmente inferiore al metro e quaranta, gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia e uscì ciabattando dalla sala.

Gellert intanto aveva fatto il giro del tavolo ed ora era accanto all’altro. «Vieni, o l’illustre capofamiglia dovrà subire una guerra civile e sociale, e odio chi guerreggia a ora di cena…»

Suo malgrado, il ragazzo rise mentre scendevano le scale. Si infilò il mantello che Gellert gli porgeva ed uscì.

«Sai, davvero non capisco come tu faccia.» La voce del suo nuovo amico lo fece girare verso la porta, dove l’altro era appoggiato.

«A fare cosa?» chiese, leggermente confuso.

Lui tracciò un gesto ampio con la mano. «A sopportare tutto questo. Le responsabilità, i doveri, i capricci… tu sei nato per brillare, Albus, sei sprecato come baby-sitter…»

Quelle parole ricalcavano tanto quello che lui stesso pensava che si sentì quasi spaventato. Si ricompose velocemente. «Sono la mia famiglia» disse solamente, sperando che bastasse.

Gellert storse le labbra. «Nessuno lo mette in dubbio, ma si potrebbe trovare una badante per tua sorella e mandare tuo fratello a scuola, così almeno saresti libero per buona parte dell’anno…»

Sogni, sogni, sogni… quel ragazzo sembrava avere la particolare capacità di indovinare i sogni altrui e usarli come leva.

«Non posso, Gellert» disse alla fine. «Ariana… ti ho raccontato cos’ha. Sarebbe pericoloso lasciarla ad un estraneo.»

«Io credo che uno competente lo potremmo trovare» rispose lui con forza. «Un guaritore, magari…»

Albus rise senza allegria e si avvicinò a lui. «E come potrei permettermelo, Gellert? Io non lavoro, i miei non mi hanno lasciato una grande fortuna e ci sono i libri di scuola di Ab, le scorte per le pozioni…»

«Albus. Albus! Tranquillo, erano solo idee, avremo altro tempo per parlarne.» Gli sorrise, sincero. «Ci vediamo domani, allora?»

Lui annuì, sorridendo: non vedeva già l’ora.

 



[1] Le Baccanti, Eschilo – Primo Episodio, Penteo. [N.d.A.]



Angolo Autrice

Ordunque, confesso che non mi sono mai fermata a pensare a questa coppia fino a quando non mi sono imbattuta in alcune fiction su di loro scritte talmente bene che mi hanno invogliato. Questo è il risultato di tale novello amore, un tentativo che non so come potrebbe risultare in quanto, come ho già detto, non sono affatto esperta del campo e quindi potrebbe essere un orrore.

Il titolo, in greco “confusione”, ma anche “sregolatezza” e “semplicità”, è principalmente riferito ad Albus, di fatto voce narrante dell’episodio.

Ho cercato di dare la mia visione di come i due si potrebbero essere conosciuti e questo è quello che mi è venuto fuori, con un piccolo aiuto di Euripide (non me ne vogliano i grecisti autentici, ma quella frase pareva fatta su misura).

Per quanto riguarda il resto, non so se Bathilda Bath fosse realmente sposata e quindi fosse “signora”, ma dopo aver provato a chiamarla “signorina” mi sono detta che la cosa era irrilevante e quindi è rimasta signora. Allo stesso modo, non so se il grado di parentela fra lei e Grindelwald era quello di sorella della nonna materna, non mi pare che siano mai state date indicazioni specifiche al riguardo e quindi ho inventato.

E questo è quanto, spero.

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: LadyMorgan