Il
Fato non dimentica
Ancora
quella canzone.
Quella
maledetta canzone.
Anche
se ormai aveva gli occhi aperti, quel canto infantile continuava a
sussurrargli
nell’orecchio.
“Nel
buio tu verrai, perché molto
presto mi vedrai”.
Rabbrividì,
scalciando violentemente le lenzuola, e girò la testa per
controllare l’ora
sulla sua radiosveglia.
Erano le sette del mattino.
A momenti, sua
madre avrebbe bussato alla porta per svegliarlo.
Si
mise a sedere e chiuse gli occhi per ripercorrere con la mente
ciò che aveva
sognato.
Si
era ritrovato in una stanza buia, con le spalle che strusciavano le
pareti.
Quando aveva proteso le mani davanti a sé, quelle avevano
subito trovato un
ostacolo. Non ci aveva impiegato molto a capire: si trovava
all’interno di una
tomba.
E
quando giungeva a quella conclusione, partiva il canto. Non capiva
tutte le
parole, ma quelle che si ricordava, erano quelle che lo perseguitavano
da
sveglio.
Era
la terza notte che sognava sempre lo stesso incubo e questo non lo
metteva
certo di buon umore.
Un
rumore di passi in avvicinamento gli fece alzare la testa e il suo
volto fu
illuminato dalla luce che filtrava dalla porta appena aperta.
Sua
madre, la donna che gli era stata più vicina in quegli
ultimi anni, lo stava
guardando con un’espressione strana. Gli sembrava spaventata,
che lo costrinse
a chiedersi che aspetto avesse in quel momento.
“Dimitri?”
disse la donna sulla soglia.
“Sì,
mamma”.
“Hai
dormito?”.
La
domanda gli parve bizzarra. Perché gli chiedeva se avesse
dormito? Come se non
lo venisse a controllare tre volte a notte.
“Dimmelo
tu” ribatté con tono di sfida.
Sua
madre assunse un’aria ferita e non lo degnò di una
risposta. Si limitò
semplicemente ad abbassare lo sguardo e a richiudere la porta.
Dimitri
si lasciò cadere all’indietro. Avrebbe dovuto
chiederle scusa adesso. Ma poi,
scusa di cosa? Non era mica colpa sua se gli rivolgeva domande
estremamente
stupide.
Ma
è colpa tua se lei è costretta
ad alzarsi ogni notte per venirti a controllare,
gli suggerì una voce non molto diversa da quella che cantava
nei suoi incubi.
Dimitri
la mise tacere, portandosi le mani al volto. Erano passati mesi
dall’ultima
volta. Mesi! Non poteva concedersi quei pensieri. Lo avrebbero
trascinato di
nuovo in quel circolo vizioso. Trascinato verso quelle domande che gli
avevano
rovinato l’esistenza e la giovinezza. Domande nate, subito
dopo aver riaperto
gli occhi in quel letto d’ospedale, dove aveva appreso la
notizia della morte
di suo padre e di sua sorella.
Dio,
come gli mancavano.
Avrebbe
dato la sua stessa vita pur di vederli per un istante.
Invece
doveva accontentarsi di quella fotografia appoggiata al comodino, di
fianco
alla piccola lampada. Lì erano felici.
Ma nello stesso giorno in
cui era stata
scattata, lui aveva avuto la brillante idea di andare a pesca con quel
maledetto fucile subacqueo; di pregare suo padre di accompagnarlo con
il
gommone verso quell’affioramento di roccia, che le persone
del luogo
chiamavano: il Capo.
Lì,
aveva sentito, si trovavano i pesci più rari e
più strabilianti e lui voleva
vederli e catturarli, così finalmente avrebbe avuto una
bella collezione.
Suo
padre aveva ceduto con un gran sorriso sulle labbra.
“Certo
che ti accompagno Dimitri. Ma portiamo anche Gabrielle!”.
E
lui aveva protestato a gran voce. Non voleva la sua sorellina tra i
piedi, non
avrebbe fatto altro che intralciarlo e infastidirlo, ma suo padre,
l’uomo che
in un futuro prossimo sarebbe diventato il suo esempio e il suo
tormento, aveva
fatto orecchie da mercante. Gabrielle sarebbe venuta, non avrebbe
permesso
altre discussioni.
Quando
erano partiti, Dimitri era imbronciato e guardava la sua sorellina.
Gabrielle
aveva portato con sé la bambola, che gli avevano regalato
per il suo sesto
compleanno. Sembrava la sua copia in miniatura: carnagione color
porcellana,
grandi occhi azzurri e lunghi capelli mossi biondi.
Ci
stava parlando, raccontandole di quanto fosse felice di poter fare
qualcosa
insieme al suo fratellone.
Anche
se Dimitri aveva provato piacere sentendo quelle parole, non era
riuscito a scacciare
il fastidio che covava nei confronti della sua sorellina di sei anni.
Lui
aveva desiderato solamente di stare un po’ con il suo
papà, ma come sempre
c’era anche lei.
Non
avevano impiegato molto per raggiungere la loro meta. Quando erano
arrivati,
Dimitri aveva capito il motivo per il quale chiamavano quel luogo il Capo.
Un
volto emergeva dalla roccia frastagliata, austero e severo, e sembrava
fissare
proprio lui, un bambinetto di undici anni pallido e molto magro.
Dimitri
aveva distolto lo sguardo in gran fretta, suscitando
l’ilarità di suo padre.
“Vuoi
tornare indietro?” gli aveva chiesto in tono scherzoso.
Ma
il ragazzino aveva scosso la testa, anche se dentro di lui sentiva il
desiderio
di allontanarsi da lì il più velocemente
possibile.
“Ok,
Dimitri. Tuffati, io ti aspetterò qui con
Gabrielle”.
Dimitri
lo aveva fissato.
“Non
vieni con me?” aveva mormorato, conoscendo già la
risposta.
“Devo
stare con tua sorella. Ma non ti preoccupare, l’acqua
è limpida e tu non hai
intenzione di andare troppo in profondità,
giusto?”.
“No,
ma…”.
“Allora,
ti guarderò da qui!” aveva detto suo padre. Non si
era accorto dell’espressione
ferita del figlio perché, in quel momento, si era voltato
verso Gabrielle.
Dimitri
sapeva che era inutile insistere, così si era preparato per
immergersi. Grazie
a suo padre, che era stato un istruttore di nuoto, aveva imparato fin
da
piccolo a nuotare alla perfezione, tanto che da lì a non
molto avrebbe preso il
brevetto da sub.
Una
volta pronto, dopo aver indossato maschera e pinne, si era seduto sul
bordo del
gommone con la schiena rivolta verso il mare.
Aveva
detto a suo padre di passargli il fucile non appena fosse emerso, e si
era
tuffato.
L’acqua
era gelata e questo lo aveva rinvigorito, spazzando subito via la lieve
tristezza che lo aveva colpito al rifiuto di suo padre.
Era
affiorato dall’acqua, con i capelli castani inscuriti, e
aveva chiamato il suo papà.
Quest’ultimo gli aveva passato il fucile e Dimitri era
tornato nel luogo che
era diventato la sua seconda casa.
Ma
non sembrava la stessa. Avrebbe dovuto essere più luminosa.
Invece sembrava che
i raggi del sole, il quale splendeva alto nel cielo sgombro di nuvole,
non
riuscissero a dissipare quella cupa oscurità che la
avvolgeva.
Non
gli piaceva. Si era guardato intorno smarrito e provando anche una
viscida
sensazione di terrore. Non sarebbero mai dovuti venire lì.
Era freddo, malato e
popolato, non da pesci, ma da qualcos’altro di sinistro.
Aveva
fatto dietrofront, nuotando verso la boa di segnalazione che aveva
lanciato suo
padre vicino al gommone.
Fu
in quel momento che un’ombra nera era spuntata davanti a
Dimitri, sembrava
essere giunta dal fondo. Era veloce e informe e stava puntando
esattamente su
di lui.
Per
istinto, aveva messo in posizione corretta il fucile subacqueo e aveva
sparato
la fiocina. Aveva centrato il bersaglio veloce come un missile, ma
quando
l’aveva colpita, quell’ombra nera si era dileguata,
sostituita da una striscia
rossa.
Dimitri
si era chiesto cosa potesse mai essere e perché avesse
cambiato colore. Forse
l’aveva ferita, visto che quel rosso gli sembrava del sangue,
ma poi, quando
aveva visto da dove proveniva, tutta l’aria che tratteneva
nei polmoni era
uscita per via dell’urlo silenzioso che lanciò:
aveva colpito suo padre una
decina di centimetri sopra il rene sinistro.
La mancanza di ossigeno lo
aveva costretto a
riemergere.
Aveva
sputacchiato acqua e, con orrore, aveva pensato sul da farsi. Aveva
gettato via
il fucile, incredulo che fino a quella mattina lo considerasse un
prezioso
amico, e si era voltato verso il gommone. Sua sorella era ancora
sull’imbarcazione e non si era accorta di nulla.
In
pochissime bracciate aveva raggiunto suo padre e lo aveva aiutato a
stare a
galla. Era svenuto e l’acqua intorno a loro si stava
colorando di rosso.
“Aiuto!”
gemette terrorizzato.
Non
ce l’avrebbe mai fatta a issarlo sul gommone, era troppo
pensante.
“Aiuto!”
aveva ripetuto, ma la distesa d’acqua si stendeva infinita
verso l’orizzonte.
“Dimitri?”.
La voce di sua sorella era calma e dolce, come sempre. “
Dimitri, papà dorme?”.
“Sì,
papà dorme” aveva risposto il fratello,
già stremato dallo sforzo di nuotare e
tenere a galla suo padre.
Gabrielle
aveva riso e fu quello l’ultimo suono che Dimitri
sentì. L’ultimo suono che lo
avrebbe perseguitato per il resto della sua vita.
Anche
se erano passati anni, non riusciva a ricordarsi cosa fosse avvenuto
dopo. I
medici dicevano che la causa era lo shock e che era stato un miracolo
che lui
fosse ancora vivo.
I
pescatori che li avevano trovati, avevano dichiarato ai poliziotti, che
si
stavano occupando del caso, che quando li avevano raggiunti, avevano
visto il
ragazzino, svenuto sul gommone con il braccio serrato intorno al padre
ormai
morto. Quando gli agenti li chiesero poi che fine avesse fatto la
bambina, i
pescatori non avevano saputo rispondere.
Gabrielle era sparita.
Una
settimana dopo l’incidente, avevano ritrovato la sua bambola
che galleggiava a
parecchi chilometri di distanza e, grazie a quel ritrovamento, sui
documenti
ufficiali, era stato scritto che Gabrielle era morta per annegamento.
Quello
fu l’inizio del tormento di Dimitri.
Tormento
non ancora finito, che invece di scemare, era aumentato ogni singolo
giorno,
portandolo a com’era in quel momento, seduto circondato dal
buio della sua
stanza.
Si
passò una mano tra i capelli lunghi e disordinati e decise
di alzarsi, non
perché volesse, era solo questione d’abitudine.
Strisciando
i piedi, uscì dalla sua stanza e si diresse in cucina, dove
trovò sua madre
intenta a leggere il giornale con il volume del televisore al minimo.
Dimitri
andò ai fornelli, sciacquò la caffetteria e
preparò dell’altro caffè.
“Ne
vuoi un po’ anche tu, ma’?”
Sua
madre lo guardò con occhi spenti e annuì.
Mentre
aspettava che il caffè uscisse, aprì
l’armadietto marrone sopra al lavandino
per prendere le fette biscottate e i biscotti. Poi aprì il
frigorifero, prese
la marmellata d’arance, per la quale andava matto, e si mise
a preparare la sua
colazione.
Compiva
il tutto con gesti meccanici, non consentendo alla sua mente di vagare
tra i
suoi brutti ricordi. Non poteva soffrire le pene dell’inferno
anche quel
giorno, non lo avrebbe sopportato.
“Dimitri,
che cosa hai intenzione di fare oggi?”.
Eccola,
la domanda che gli dava il buongiorno ogni mattina.
“Il
solito”.
“Cioè,
niente?”.
“Esatto,
mamma”.
“Non
usare quel tono con me!” lo sgridò sua madre.
“Io voglio che tu oggi esca!”.
Dimitri
si bloccò. La caffetteria borbottava, ma nessuno dei due si
preoccupò di
spegnerla, erano troppo impegnati ad assorbire quelle parole.
“Vuoi
che io esca?” ripeté incredulo.
“Perché quale motivo dovrei uscire?”.
“I
tuoi dottori mi hanno detto…”.
“Lascia
fuori i dottori! Quello che mi dice lo psicanalista è una
cosa privata tra me e
lui! Tu non c’entri niente!” l’interrupe
bruscamente, con furia.
“Hai
ricominciato a fare degli incubi, vero?” lo prese in
contropiede sua madre.
Dimitri
non rispose, si limitò a fissare senza vederla la colazione
che aveva
preparato. Gli era del tutto passata la fame. Spense la caffetteria,
che ormai
protestava vivacemente, e uscì dalla cucina.
Voleva
tornare nel suo buio personale.
Sentì
dei passi dietro di lui e, controvoglia, si preparò ad
affrontare la litigata
giornaliera.
“Lo
sai che cosa ti succede quando ricominci ad avere degli incubi. E io
non sono
più giovane come una volta per riuscire fermarti!”.
“Come
sei tragica!” si lamentò Dimitri, con cattiveria.
“ Sono solo attacchi di
sonnambulismo, non faccio del male a nessuno!”.
“A
parte che tenti di suicidarti ogni volta!”.
Dimitri
arretrò come se lo avesse schiaffeggiato.
“Mi
stai dicendo che, la prossima volta, me lo lascerai fare?”.
Sua
madre sospirò.
“Dimitri,
non costringermi. Se continuerai così, dovrò
riportarti all’istituto”.
“Non
hai risposto alla mia domanda” le fece notare Dimitri,
ignorando le ultime
parole dette da sua madre. “Ti ho chiesto: me lo lascerai
fare?”.
“è
come se ci sperassi…”.
Dimitri
non si scompose. Non era la risposta che si aspettava, anzi, a essere
sincero,
non l’aveva proprio capita.
“Tu
vuoi che esca?” domandò infine, desideroso di
cambiare discorso.
“Sì,
non voglio un morto che gira per casa” confessò
sua madre, per poi mettersi una
mano sulla bocca, sconvolta. “ Dimitri,
io…”.
Ma
lui fece finta di niente. Le voltò le spalle,
entrò in camera e raccolse dei
vestiti puliti, per poi dirigersi in bagno. Prima di chiudere la porta,
guardò
nuovamente sua madre, che era rimasta ancora ferma in mezzo al
corridoio.
“Adesso
questo morto si laverà, si vestirà e
uscirà da casa. Poi, quando tornerà,
farà
le valigie e andrà all’istituto. Non è
certo colpa sua se non è il morto che
desideri veramente” le disse freddamente.
Chiuso
in bagno, Dimitri permise alle lacrime di scorrere dai suoi occhi
scuri. Non le
trattenne, ma cercò di soffocare i gemiti che altrimenti
sarebbero usciti dalle
sue labbra.
Gettò
una rapida occhiata allo specchio e il riflesso di un ragazzo magro,
pallido e
con profonde occhiaie rispose al suo sguardo.
“Che
cosa hai da guardare?” mormorò alla sua terribile
immagine. “ Non credevi che
saresti diventato così, vero?”.
Rise.
Una risata morta e secca.
All’improvviso,
fu colto dalla voglia di uscire immediatamente da quella casa. Si fece
una
doccia veloce, si vestì, si lavò i denti e si
legò i lunghi capelli con un
elastico nero trovato nel cassetto sotto il lavandino.
Fece
un respiro profondo e uscì dal bagno, aspettandosi di vedere
sua madre lì in
corridoio. Ma così non fu.
Leggermente
sorpreso, notò che la porta della cucina era chiusa e che il
televisore era a
volume così alto, che temette di perdere l’uso
dell’udito. Non se né diede
pensiero e se ne andò.
Solo
quando fu salito sull’ascensore, scendendo verso il
pianoterra, si rese conto
di quello che era successo. Lui, con le ultime parole che aveva rivolto
a sua
madre, le aveva detto addio.
Mentre
camminava sul marciapiede sporco, stando attento a non urtare i
ragazzini che
come lui si stavano dirigendo verso il piccolo parco di zona,
provò un immenso
dolore. Non solo aveva perso suo padre e sua sorella, anche sua madre
era
diventata una sua vittima.
Reagì
con forza a quel pensiero, scuotendo la testa da una parte
all’altra. Era
meglio così, si disse, adesso non c’era
più nessuno che potesse in qualche modo
infastidirlo; non c’era più nessuno che potesse
farlo sentire in colpa per
quello che aveva fatto; non c’era più nessuno,
fine.
Giunse
al parco e vide sulla sua sinistra una panchina vuota. Il suo verde
originale
era stato ricoperto da graffiti che andavano dai messaggi
d’amore alle minacce,
ma non perse tempo neanche a leggerne uno. La curiosità lo
aveva abbandonato da
tempo.
Si
sedette e alzò la testa per cogliere il calore del sole
primaverile, mentre le
risate dei bambini risuonavano intorno a lui, provenienti dal parco
giochi
costruito di fronte.
Quanto
avrebbe voluto tornare a quell’età. I problemi che
i bambini dovevano
affrontare erano così innocenti, rispetto a quelli degli
adulti.
Aveva
gli occhi chiusi e in un primo momento non si accorse di non essere
più il solo
seduto sulla panchina. Un cigolio glieli fece riaprire e lui si
ritrovò
accanto, un bambino con un enorme cono gelato in mano. Gli sorrideva,
ma il
sorriso non si allargava ai suoi occhi smeraldini. Il sole rendeva
più chiari i
suoi capelli dorati, talmente chiari che gli sembrarono per un istante
bianchi.
Il
bambino continuava a fissarlo sorridendogli e Dimitri
cominciò a sentirsi a
disagio.
Non
era capace d’interagire con le persone, soprattutto con i
bambini.
“Ciao”
biascicò, tentando di apparire naturale.
“Ciao
anche a te!”.
La
voce del bambino era stridula e sgradevole e gli procurò dei
brividi lungo la
schiena.
“Come
ti chiami?”.
Il
bambino ridacchiò. “Dimitri!”.
“Anch’io
mi chiamo così” disse Dimitri, ridendo anche lui.
Era da tanto che non lo
faceva.
“Lo
so”.
La
risata gli morì in gola e squadrò il bambino con
sospetto, mentre un campanello
d’allarme suonava in una parte non precisa e nascosta del suo
cervello.
“Mi
conosci?” gli domandò con tono apparentemente
calmo.
“Sì”
rispose il suo omonimo, “ da molto tempo”.
“Davvero?
E allora perché parliamo solo ora?”.
“Dimitri”
lo chiamò il bambino esasperato. “Tutti quei
farmaci ti hanno reso davvero
molto lento!”.
Dimitri
strabuzzò gli occhi e il bambino rise quando notò
la sua espressione stupefatta.
“Non
ci sei ancora arrivato?” proseguì il suo insolito
compagno di conversazione. “
è molto semplice il motivo!”.
“Sono
impazzito del tutto, vero?” domandò il ragazzo,
nascondendosi il viso tra le
mani. “Sì che lo sono. Se no, non starei parlando
con un’allucinazione!”.
Il
bambino rise di cuore, ma la sua risata era fredda e penetrante. A
Dimitri
venne la pelle d’oca sentendola.
“Scusa,
è molto maleducato da parte mia ridere di te. Gabrielle
aveva ragione, ti credi
tanto intelligente, quando invece non lo sei”.
“Gabrielle?”
ripeté Dimitri. Aveva la bocca asciutta e il respiro
cominciò a diventare più
veloce. “Che cosa c’entra mia sorella? Mia sorella
è morta anni fa!”.
“E
chi meglio di te può saperlo?” lo
provocò il bambino. “A proposito, hai mai
scoperto cosa è successo dopo che hai sparato a tuo
padre?”.
Sembrava
essere sinceramente interessato, ma Dimitri notò il guizzo
malevolo nei suoi
occhi.
“Conosci
già la risposta, visto che tu sei me, non è
vero?”.
“Bingo!
Ci sei arrivato, ma non hai ancora capito il motivo della mia venuta.
Dai,
piccolo Dimi, è semplice!”.
“Non
mi chiamare in quel modo!” urlò Dimitri balzando
in piedi e attirando gli
sguardi preoccupati delle mamme vicino al parco giochi.
Il
bambino assunse all’improvviso un’aria infantile e
il suo volto si fece più
fanciullesco. Anche la voce mutò, diventando dolce e
delicata.
“Scusa,
fratellone. Non lo farò mai più!”disse
con un perfetto broncio.
Dimitri
lo fissò a bocca aperta. Era sempre lo stesso, ma era anche
diverso.
“Senti,
siediti. Odio comportarmi in questa maniera, ma la nostra discussione
non è
ancora finita e non voglio che quelle pettegole vengano qua a
interromperci”
spiegò il piccolo Dimitri con la voce di prima, indicando le
donne che ancora
seguitavano a guardarli.
Il
ragazzo era tentato di scappare, ma se quel bambino davanti a lui era
una parte
di sé, rendeva la fuga inutile.
Tornò
a sedersi, tenendosi il più lontano possibile da lui.
“Non
mi chiamare più in quel modo!” ripeté
Dimitri.
Il
bambino ghignò. “Pensavo ti piacesse. Era
così che tua madre ti chiamava prima
dell’‘incidente’.
Ah, è vero. Ha smesso
dopo che le hai ucciso le persone più importanti della sua
vita!”.
“Smettila,
ti prego”.
“Supplichi?
Hai toccato veramente il fondo, allora” commentò
il bambino sereno.
Dimitri
lo osservò mangiare il gelato, che durante la conversazione
non aveva iniziato
a sciogliersi. E come poteva farlo. Non era reale, ma allora
perché quella
messinscena pochi minuti fa?
“Che
cosa vuoi?” gli domandò.
Il
bambino sospirò e scrollò le spalle.
“Io
desidero una cosa, ma sei tu quello che deve scegliere”.
“Devo
scegliere, cosa?”.
“Be’,
in effetti, né che tu abbia molto tra cui decidere.
Perdonami l’espressione, ma
tu hai fatto una vita di merda. Rinchiuso in istituto
d’igiene mentale a soli
dodici anni perché avevi tentato di ammazzarti.
Né che poi abbiano fatto un
gran bel lavoro, visto che ci provavi lo stesso anche lì,
mentre dormivi” disse
il bambino, con cipiglio pensieroso. “Comunque, dopo anni e
anni, ti hanno
fatto uscire e spedito a casa di tua madre, dove lì ti sei
rinchiuso in camera
tua. Capisci, sei passato da una prigione all’altra. Questo
non è vivere!”.
Dimitri
lo fissò per un istante e poi scoppiò a ridere.
La sua risata aveva un che di
folle, ma era sincera e veniva dal cuore.
“Che
cosa ci trovi di tanto divertente?” domandò il
bambino, sorpreso.
“Ecco,
vedi…”. Dimitri fece un profondo respiro per
calmarsi. “ è che non riesco a
credere che il mio subconscio si sia inventato te per dirmi che devo
cominciare
a darmi una mossa. È questo che vuoi che faccia, ho
indovinato? Tu vuoi che io
viva”.
Era
così assurdo, che riprese a ridere non appena concluse.
Il
bambino rise anche lui.
“
Oh, no! Io voglio che tu muoia!”.
Dimitri
s’immobilizzò e un freddo terrore lo avvolse.
“Come
scusa?”
“Ho
detto che io voglio che tu muoia!” ripeté il
bambino lentamente come se stesse
parlando con uno stupido. “Pensaci. Che cosa hai che ti
trattiene a questa
vita? Non hai più una famiglia, non hai mai avuto amici, non
hai delle
passioni, non hai dei motivi per alzarti alla mattina. In poche parole,
tu non
hai assolutamente niente! A parte la tua stessa vita che stai buttando
nel
cesso da anni. Fidati, di me. Scegli la morte, faresti un favore a
molte
persone”.
“No!”
esalò Dimitri con un sospiro. “No!”.
Si
alzò e cominciò a retrocedere guardando con
orrore quel bambino ancora seduto
sulla panchina, con quel gelato che non sembrava mai finire.
“No!”
urlò con forza nuovamente, per poi voltarsi e iniziare a
correre.
Doveva
tornare a casa. Aveva ragione quel diabolico bambino, lui non aveva
niente, ma
non gliel’avrebbe data vinta. Lui sarebbe sopravvissuto,
imparando a vivere.
Uscì
dal parco e si fiondò verso l’incrocio. Si
arrestò solamente quando notò che il
semaforo per i pedoni era sul rosso.
Cominciò
a ballare sul posto impaziente che il verde scattasse. Forse sarebbe
riuscito
fare pace con sua madre, le avrebbe chiesto di perdonarlo e di
credergli quando
le avrebbe detto che sarebbe cambiato. Non avrebbe mai avuto una vita
normale,
ma poteva sempre tentarci.
A
un tratto, con la coda dell’occhio, vide una bambina dai
lunghi capelli biondi
sfrecciare accanto a lui, subito seguita dal padre.
Tutto
avvenne molto velocemente.
Dimitri
vide arrivare l’auto che viaggiava a velocità
sostenuta per usufruire ancora
del verde; vide la bambina rannicchiarsi a terra per raccogliere la
bambola che
qualcuno aveva fatto cadere, vide suo padre correrle incontro e
mettersela in
braccio, mentre la macchina sfrecciava su di loro senza rallentare.
Una
forza dentro di lui lo fece scattare. Corse verso il centro della
strada e
spinse via il padre con sua figlia, mentre un pensiero continuava a
rimbombargli nella testa: non
un’altra
volta.
Era
talmente concentrato sulle persone che aveva appena salvato, che si
accorse
dopo del dolore lancinante che provò all’anca.
L’urto
con la macchina lo fece volare per parecchi metri e atterrò
pesantemente sulla
gamba destra, rompendosela in più punti.
Non
ebbe, però, neanche il tempo di gridare perché
quell’auto non aveva ancora
finito con lui.
Gli
passò sopra lo sterno sfondandoglielo, per poi arrestarsi,
dopo innumerevoli
testacoda, a un palmo del suo naso.
Sentì
grida ovunque. Qualcuno che chiedeva a voce alta se era morto e altri
che
urlavano di chiamare l’ambulanza, ma lui si preoccupava
solamente di quel padre
con la sua bambina.
Con
uno sforzo enorme, riuscì a muovere la testa. Gli sembrava
pensante come un
macigno e il movimento gli procurò delle vertigini e un
accesso di tosse. Non
si sorprese di sentire il sapore del sangue in bocca.
Non
provava dolore e questo gli fece pensare che non sarebbe riuscito mai
più a
muoversi, ma in quel momento non gli importava. Doveva assicurarsi che
suo
padre e Gabrielle stessero bene, perché questa volta era
riuscito a salvarli.
Li
vide. Erano ai piedi del marciapiede che lo fissavano spaventati e
sottoshock.
Tentò di dire che gli erano mancati tantissimo, ma accanto a
loro, c’era il
bambino della panchina.
Era
avvolto da un’ombra nera che lo copriva completamente, e una
volta sparita, era
comparsa una donna con un mantello nero e con il volto nascosto dal
cappuccio.
Dimitri
si ricordò all’improvviso ciò che era
successo tanto tempo prima.
Era
riuscito a portare suo padre sul gommone e stava per farlo partire
quando sua
sorella era caduta in acqua. Si era sporta dall’imbarcazione
perché gli era
sfuggita la bambola. Dimitri aveva lasciato perdere il motore e si era
tuffato un’altra
volta, ma l’ombra nera che aveva visto, era ritornata e avevo
afferrato sua
sorella portandola giù, nelle profondità del mare.
Aveva
cercato ovunque, rischiando lui stesso di affogare, ma alla fine aveva
dovuto
arrendersi.
Era
risalito sul gommone, aveva abbracciato stretto suo padre ed era
svenuto,
stremato dallo sforzo e dal terrore.
Ora
a distanza di anni, Dimitri seppe la verità. Lì
disteso nella pozza del suo
stesso sangue, guardava quella donna di nero vestita che gli aveva
rovinato la
vita.
Sulle
sue labbra salì una maledizione carica d’odio, ma
non riuscì mai a pronunciarla
perché la morte lo accolse.
Dimitri
aveva raggiunto il buio.