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Autore: lady hawke    30/06/2010    2 recensioni
A volte è proprio quando si pensa di essere passati dalla padella alla brace che si trova, finalmente, il tempo per riflettere.
- Yvaine, sei sveglia?
- Ora che mi hai svegliato sì.
- Ma non mi avevi detto che le stelle avevano problemi a dormire di notte? – chiese Tristan, perplesso.
Scritta per l'iniziativa "Il gioco dell' Oca" di Writers Arena
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Note_ Non ho niente da sperificare in particolare... se non Viva Capitain Shakespeare XDDD


Tristan cominciava a considerare ora la sua avventura sotto una luce diversa. Gli era sembrato semplice, all’inizio, poter conquistare l’amore di Victoria. Che doveva fare, in fondo? Scavalcare un muretto difeso da un novantenne artritico, seguire la traiettoria di una scia luminosa, recuperare una roccia cosmica e luminescente e riportarla a casa. Tutto sommato un lavoro a portata di un garzone come lui.
Fairie, però, era un posto troppo strano per trovare anche solo qualcosa di semplice. La stella era una delle ragazze più petulanti mai viste, zoppa, per giunta, e quel mondo era popolato da personaggi che definire stravaganti era poco. Chi avrebbe mai detto ad esempio che ora, dal suo oblò, poteva vedere una luna grande come la sua casa, mentre il veliero del Capitano Shakespeare veleggiava tranquillo? Che strambo tipo, quell’uomo… l’aveva davvero terrorizzato, quando entrambi, lui e Yvaine, erano stati catturati così brutalmente: l’epilogo della giornata era stato così insolito…

- Venite da Wall? State scherzando, forse? – aveva chiesto il capitano, passando da un tono burbero ad uno curioso.
- La conoscete? – aveva domandato Tristan, perplesso.
- Lo vorrei davvero! – aveva esclamato il capitano, cominciando a percorrere a grandi passi lo spazio della cabina. Sembrava, pazzo, come se di colpo avesse cambiato personalità. – Ascoltatemi un secondo, entrambi. – aveva poi bisbigliato con aria cospiratoria. – No, ragazza, non guardarmi con quegli occhi, mi struggo, altrimenti!
Ricordava ancora lo sguardo di Yvaine rivolto al capitano: se l’era visto rivolgere spesso in quei giorni, come se considerasse il suo interlocutore o molto scemo o molto pazzo.
- Non ho mai veramente ucciso nessuno dei miei ospiti… - continuò, prima di riprendere ad urlare frasi senza senso verso la porta che dava sul ponte – ma ai miei marinai piace che io abbia le maniere forti. Per cui, signor Tristan Thorne, mi servirebbero i suoi vestiti.
- E perché mai? – aveva sbottato lui, sconvolto.
- Per creare un diversivo. – aveva detto il Capitano, afferrando febbrilmente i capi che lui, sempre più perplesso, gli stava passando.
- Non ci posso credere. – aveva mormorato Yvaine, vedendo che il marinaio estraeva da un armadio un manichino.
- Ne ho sempre quattro o cinque di scorta. – aveva sorriso, prima di chiedere a Yvaine di aiutarlo a vestirlo, mentre lui, in mutande, fissava la scena attonito. – Ora fingerò di buttarla fuori, signor Thorne, e poi trascinerò questa adorabile fanciulla nella mia cabina, urlando cose orribili. Lei, Yvaine, dovrà stare al gioco; la credibilità è tutto.
- A urlare è brava. – aveva risposto Tristan, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della stella.
- Meglio così. Lei, Thorn, attraversi questo passaggio, e si ritroverà nella mia cabina. A tra poco, dunque! – aveva concluso, prima di aprire un boccaporto e buttare fuori il fantoccio. Tutto quello che era successo dopo l’aveva divertito molto: Capitan Shakespeare era una delle persone più a modo mai incontrate, sia a Wall che a Fairie, e aveva rappresentato per lui e Yvaine quel ristoro che avevano tanto desiderato nella locanda in cui erano stati così vicini alla morte. Aveva avuto un solo, lucido momento di panico quando sotto il pettine del marinaio i suoi capelli avevano raggiunto una lunghezza ragguardevole, ma la cosa, per la sua chioma, si era infine risolta pacificamente.

Proprio ora, mentre passava una mano tra i suoi nuovi capelli, si chiedeva che piega avrebbe preso la sua avventura adesso. Era come se in quel momento, in quel luogo, a quell’altezza, si trovasse più a suo agio che non a casa sua. Le parole di Yvaine nell’ora della paura erano state per una volta gentili, e sembravano veritiere. Forse non tutti i garzoni erano davvero nati per esserlo tutta la vita. Si voltò verso la stella…
- Yvaine, sei sveglia?
- Ora che mi hai svegliato sì.
- Ma non mi avevi detto che le stelle avevano problemi a dormire di notte? – chiese Tristan, perplesso.
- Se guarderai bene è quasi l’alba, e comunque mi sto abituando al ritmo sonno/veglia di qua. Almeno ci provo.
- Sveglia miei giovani compagni, è giunto il sole, l’ora dei marinai di scendere a vender fulmini. – la voce cortese di Capitan Shakespeare li raggiunse da dietro la porta della cabina che dividevano; un secondo dopo l’uomo era nella stanza.
- Mia giovane signora, voi potete riposare tranquillamente per il tempo che desiderate, il giovane signor Tristan, invece, dovrà uscire alla chetichella e incontrarmi casualmente al mercato, spacciandosi per il mio nipote di centoquarantesimo grado o simile, a te la scelta, caro. – spiegò l’uomo facendo un vago gesto con la mano che fece sorridere sia Tristan che Yvaine. – Forza ragazzo, su! Vestiti. Quanto a te, mia cara, la colazione è tutta pronta nella mia cabina. Mettiti il vestito blu per quando torneremo, mi raccomando!
Diede una vigorosa pacca sulla spalla a Tristan, la cosa più virile fatta in loro presenza da un bel pezzo, e sparì sopra coperta.
Yvaine rise. – Forza ragazzo, su! Togliti dai piedi, ti va?
- Non vorrai restare qui mentre mi cambio, spero! – esclamò il giovane, irritato.
- Stavo in cielo, Tristan, ho visto parecchie cose nella mia vita. – alluse la stella, con una smorfia. – Ma se ti scoccia tanto… - strinse con forza la cintura del suo accappatoio e si diresse verso la cabina di Capitan Shakespeare per mangiare.
Tristan attese che Yvaine se ne fosse andata per alzare gli occhi al cielo e cominciare a vestirsi frettolosamente, e fece appena in tempo, perché il capitano lo venne a recuperare poco dopo per farlo sbarcare di nascosto: Tristan già si immaginava quale miracoloso trucco avrebbe usato il suo nuovo amico, ma si ritrovò a dover passare per un boccaporto quasi come aveva fatto il fantoccio con le sue fattezze. Almeno non era precipitato da migliaia di metri d’altezza.
- Ci vediamo qui davanti alla nave tra mezz’ora, d’accordo? Non tardare, io mi sbrigherò velocemente con quel truffatore di mercante, non temere. – La testa di Shakespeare sparì alla vista di Tristan, ma non la sua voce, perché lo sentì mentre si rivolgeva ai suoi uomini urlando e imprecando di non fare idiozie in sua assenza e di non avvicinarsi per nessuna ragione al mondo alla sua cabina.
Yvaine quella mattina aveva una fame da lupi. In realtà si era svegliata prima che Tristan la disturbasse con il suo sproloquiare, e la ragione non era stata il suo bioritmo stellare sballato, ma la fame cieca che sentiva. Non l’avrebbe mai ammesso per una forma di rispetto nei riguardi della propria dignità personale, ma a parte tè e pasticcini il Capitano non aveva offerto chissà cosa e alla locanda non aveva mangiato affatto. Per cui era stato il suo stomaco brontolante a destarla in maniera molto poco soave. Dalle finestre della cabina riusciva a vedere il grande mercato dove Shakespeare avrebbe venduto i suoi fulmini: sperava che Tristan non si perdesse. Quell’incredibile personaggio attirava guai e sventura come poche altre persone, pensò, mentre prendeva una porzione di pancetta con le mani e la sgranocchiava avidamente. Guardò poi in alto, verso il cielo: nessuna delle sue sorelle era visibile, tutte dormivano ormai profondamente, ma poteva comunque sentirle ancora, pur da tutta quella distanza.
Ammesso e non concesso che sarebbe sopravvissuta a una strega psicotica che voleva strapparle il cuore dal petto, il suo futuro le appariva nitido e grigio: essere trascinata a Wall da quella Victoria che pareva simpatica come… non trovava un paragone al momento, il che era abbastanza significativo in ogni caso, non era la sua idea di futuro radioso. Nessuna candela di Babilonia l’avrebbe realmente riportata a casa: una stella caduta è persa, il cielo non le appartiene più. Questo la spaventava, perché la faceva sentire non protetta. Insieme alla sue sorelle, nell’armonia imperturbabile della notte, non aveva mai avuto alcunché da temere, ed era stata felice. Non rabbia, niente paura o angoscia… tutta colpa di uno stupido ciondolo con un topazio incastonato: oh, se avesse avuto a che fare con il responsabile della sua caduta! Se avesse potuto stritolarlo con le sue mani!
E intanto masticava, godendosi il sapore della carne e il profumo del succo d’arancia nella brocca vicino a lei. Tutte cose che nel suo cielo non c’erano mai state. Shakespeare era la persona più gentile che aveva incontrato sulla terra, e ne apprezzava i regali e i gesti cortesi: avrebbe potuto abituarsi a starsene in un mondo dalle prospettive tutte sbagliate. Anche le stelle sanno adattarsi, dopotutto. Finì il suo pasto e tornò nella piccola cabina dove aveva dormito per vestirsi e prepararsi, dopodiché non le resto altro che rimanere in attesa. Guardare era sempre stata la sua attività principale, ma ora avvertiva una forma di impazienza del tutto nuova…
Tristan, da parte sua, aveva bighellonato per la mezz’ora concordata senza allontanarsi troppo dal punto di ritrovo: non ci teneva ad essere la causa di guai, non un’altra volta. Anche se, a dire la verità, era Yvaine che si portava appresso i guai come se fossero stati inseparabili l’una dagli altri. Niente accadde, per fortuna, e fu un sollievo rivedere il burbero viso di Capitan Shakespeare attraversare baldanzoso la via principale della cittadina.
- Zio! – esclamò, fingendo una gioia spropositata nel vederlo.
- Tristan, nipote mio! Che ci fai da queste parti? – rispose il capitano, raggiungendolo a grandi passi. – Che bello rivederti, come stai gioia mia?
Il primo ufficiale che l’aveva seguito a terra si schiarì la voce.
- Volevo dire, grande evento rivederti! Come sta quella gioia di tua madre?
- Inossidabile come sempre. – fece il ragazzo, lasciandosi colpire ripetutamente la schiena da manate prodigiose. – Era da tempo che volevo imbarcarmi con te, me l’avevi promesso, ricordi? Ho saputo che saresti sbarcato qua e sono venuto a chiederti di tenere fede alla tua promessa!
- Ah ah! Certo ragazzo mio, ne sarò onorato! Ho giusto pescato qualcosa l’altra notte che potrebbe piacerti molto. Non è vero primo ufficiale? Che facciamo, ce lo portiamo sul nostro vascello?
Il primo ufficiale sospirò come chi sta assistendo ad una pagliacciata già vista e non particolarmente gradita. – Certamente, capitano. Avviso gli uomini! – e si incamminò per dar tregua allo spettacolo.
- Bene, signor Thorne, lei non ha granchè la stoffa dell’attore, è ancora grezzo, ma ce lo faremo bastare. Con un po’ di esercizio, magari… chi potrebbe mai dirlo... – Shakespeare gli mise un braccio sulla spalla e lo guidò verso la nave con passo baldanzoso. Riprese subito il suo cipiglio non appena si ritrovò a bordo.
- Marinai, avremo un uomo in più per la prossima pesca. Questo è Tristan, il figlio di mia cugina. Gli avevo promesso tempo fa, quand’era ancora un moccioso piagnone, che un giorno gli avrei fatto solcare i cieli con me, e dunque farà parte della nostra ciurma. Arrrrrrrrr!
- Arrrrrrrr! – risposero i marinai in coro.
- Ma prima gli presenteremo il gioiello pescato l’altra notte. Dopotutto non è stato sciupato troppo. – esclamò l’uomo, scoppiando a ridere in maniera abbastanza volgare, subito imitato dai suoi uomini. – Alla mia cabina, Tristan.
I marinai attesero che il capitano svanisse nella pancia della nave con il nipote, prima di commentare la scena.
- Non pareva quello che ha buttato giù dalla nave? – fece uno.
- Per me era lo stesso tizio. – rispose l’altro.
- E tutti quei fantocci che tiene nella stiva a che gli servono? – rispose un terzo, grattandosi la testa.
- Signori, forza, il capitano vuole salpare adesso! – urlò il primo ufficiale disperdendo i gruppetti di marinai pettegoli, che si misero a lavorare. Tristan e Yvaine rividero il ponte della nave solo quando questa veleggiava ormai in alto. Shakespeare aveva insistito per ricevere racconti dell’Inghilterra e selezionare gli aneddoti aveva richiesto un certo tempo.
- Non c’è niente di meglio una giornata con tanto sole sulla faccia, Tristan, per cominciare ad imparare le prime cose da marinaio. Bloom, fai vedere al ragazzo come deve tenere le vele, è quello che ci salverà le chiappe quando saremo in mezzo alla maledetta tempesta. Quanto a te, mia cara, prendi un po’ d’aria, hai l’aria stanca…
Di nuovo l’ufficiale dovette schiarirsi la voce.
- Quanto a te, dolcezza, vedi di riposarti, passerai un’altra notte infernale. Oh sì. Arrrrr!
- Arrrrr! – fecero i marinai, ridendo come iene.
  
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