Cet Amour
Maela sedeva alla scrivania della sua camera. Dalla finestra
aperta giungeva l’odore umido di una pioggia imminente. Guardava fuori, Maela,
ma in realtà non stava vedendo nulla. I pensieri scivolavano sui lunghi capelli
neri e se ne uscivano insieme all’aria che continuava a cambiare e che si
faceva via via più sferzante. La tempesta non si sarebbe fatta aspettare ancora
per molto. Ma dentro Maela la tempesta infuriava da tempo ormai. Una tempesta
che aveva voce e parlava attraverso i versi di quella poesia di Prévèrt che
tanto amava…
[…]Cet
amour
Si violent
Si fragile
Si tendre
Si désespéré
Cet amour
Beau comme le jour
Et mauvais comme le temps
Quand le temps est mauvais[…]
Com’era nato? Quand’era iniziato? Perché sembrava che facesse
parte di lei da sempre. Che fosse nato e cresciuto con lei, esploso quando su
una foto si ritrovò a fissare due occhi che le sembravano familiari. La
sensazione di déja-vu le aveva attanagliato lo stomaco. No, attanagliato non
rendeva l’idea. Era come se qualcuno avesse infilato una mano dentro il suo
ventre e stretto le sue viscere così forte da metterla in ginocchio, da farla
boccheggiare, da farla tremare. La didascalia recitava il nome Robert
Pattinson. Un volto per Cedric Diggory. Chiudeva gli occhi e rivedeva il suo
sorriso incerto, la sua mano tra i capelli. Mano dalle dita lunghe e
affusolate. E quella giacca di velluto rosso? Su qualsiasi altro sarebbe forse
parsa ridicola e anche un po’ frou-frou… Ma a lui stava che era una meraviglia.
E gli occhi. Quegli occhi che erano lo specchio di un anima che era sicura
aveva già conosciuto.
E il viso, a distanza di pochi anni, era meno scarno e le
spalle più larghe e il petto più consistente di quel fragile ragazzo dalle mani
d’artista in cui si era immersa. Ma ancora le mani torturavano quei capelli
senza dare loro tregua. Ancora quegli occhi erano capaci di attirarla. Di più
era stata in grado di innamorarsene davvero. E non per il ruolo del vampiro
buono che gli aveva portato la fama. In un modo che non capiva e che a volte
arrivava a detestare lei s’era innamorata di quell’anima che s’affacciava a
quegli occhi il cui colore assumeva tutte le tonalità possibili dell’azzurro e
del verde e del grigio. Che se lo guardavi nei diversi momenti della giornata e
sotto luci diverse le tonalità sfumavano l’una o nell’altra. A Maela piaceva
guardarlo soprattutto nelle foto fatte a Londra. Perché i suoi occhi
riflettevano i colori della sua città. E c’era il grigio liquido ma tenero che
rifletteva il cielo quando stava per piovere, proprio come in quel momento. E
c’era l’azzurro lapislazzulo intenso e vivo dei giorni in cui il sole splende.
E c’era quel verde acqua di quando il cielo è pieno di nuvole e si specchia
nelle acqua chete del Thames.
Maela si beava delle sue risate, delle sue battute. Coi suoi sorrisi
costruiva sogni e fiabe a lieto fine notte dopo notte. La voce delle poche
canzoni che di lui possedeva era la prima che ascoltava appena sveglia e l’ultima
prima di addormentarsi. Possedeva un piccolo quaderno. Ma proprio piccolo di
quelli che vinci alle pesche di beneficienza e di cui non sai mai che fare. Beh
lei aveva trovato un buon impiego rubando l’idea di un libro letto da
adolescente. Su ogni pagina la data, un buongiorno, un pensiero bello per lui,
e la buonanotte. Un giorno forse gliel’avrebbe fatto avere. Un giorno lui
avrebbe saputo che lei c’era sempre stata anche quando lui nemmeno sapeva che
in un quartiere di Londra una ragazza italiana lo stava amando. Così in
silenzio. Che l’Amore mica lo devi raccontare. Lo devi vivere e basta. Che
l’Amore mica si pone limiti come distanza e tempo. L’Amore è sempre e ovunque.
Solo che a volte l’essere (in) Amore non era sufficiente. A
volte aveva, sentiva un disperato bisogno di viverlo davvero quell’Amore. Di
possedere anche lui fisicamente, non solo inteso come andarci a letto, che poi
non sarebbe mai e poi mai stato solo quello. Ma di potergli stringere una mano,
accarezzare una guancia, sfiorare la punta del naso, stringersi forte, sentirlo
respirarle accanto, appoggiare l’orecchio sulla schiena e ascoltare il rimbombo
della sua voce nella gabbia toracica mentre stava parlando. Restare in silenzio
a guardarsi negli occhi dove trovare rifugio dalle tempeste che a volte ci si
abbattono addosso. Trovare la soluzione in quello sguardo, protezione, cura,
attenzione.
E una lacrima sfuggì dai begli occhi verdi di Maela. Una
lacrima sfuggì eppure le parve di zucchero piuttosto che salata. Perché lui non
era fatto per il dolore. Lui era fatto per le cose buone e semplici. Lui era
come le fragoline selvatiche nelle sere estive, more tardive in un tiepido
pomeriggio di settembre. Lui era vita che esplode. Lui era brezza che allieta.
Lui era segreti d’ amanti tra lenzuola sudate d’Amore, lui era lui e basta.
Molto uomo , poco star. Il sollievo di andarsene da un luogo in cui non si
vuole stare, di dire basta a quello che non sta bene, la libertà di dire sì
t’accetto o no non ti voglio. Lui era il mare d’estate e la montagna d’inverno.
Sabbia e neve. Lui era quello che voleva, che bramava, che anelava e quello che
molti chiamano chimera.
Il tuono rimbombò improvviso rompendo la tensione nella
stanza. O quella bolla, come lei amava definirla, in cui lei apparteneva a Robert e Robert apparteneva
a lei. In quella bolla in cui Maela creava mille possibili incontri, mille
possibili coincidenze che culminavano sempre con un abito bianco e due o tre
bimbini che trottavano allegri tra le gambe di mamma e papà. E non perché fosse mai stata troppo attaccata
al matrimonio. Ma con lui non poteva essere altrimenti. Dio se si sentiva
patetica. Patetica e ridicola. Ma non riusciva, non contemplava nemmeno a dire
la verità, l’idea di lasciare perdere. Voleva seguirla fino in fondo la strada
che aveva il suo nome.
Si avvicinò alla finestra lasciando che il vento s’insinuasse
tra i suoi capelli lunghi aggrovigliandoli, ingarbugliandoli, intricandoli
talmente tanto che poi sarebbe stato tutto un sacramentare districarli. Ma
confidava che quel vento l’aiutasse a rischiarare l’umore e che trascinasse
quell’unica lacrima fino sulle sue labbra. Fino alle labbra di Robert. Che già
quello sarebbe stato tanto. Che già quello sarebbe stato tutto. Che questo era
quello per cui lei pregava ogni sera. Un’occasione. Un’unica occasione. Una
possibilità. Piccola, minuscola. E non come fan. Perché lei mica era capace di
fare la fan. Altrimenti significava che era fan anche di quel ragazzo che a 15
anni prendeva il bus con lei. E lei lo sbirciava dal fondo o dal davanti o da
dietro un palo. Quel ragazzo che portava sempre le cuffiette e che era stato il
suo primo amore da adolescente. Per quel ragazzo aveva sospirato in silenzio,
pianto la notte, sorriso la mattina appena sveglia… E per Robert era lo stesso.
Come puoi sapere perché una persona ti attrae all’inizio, cosa scatta? Lei non
era mai stata brava in questo. Perché quando Maela amava non è che lo faceva un
po’, abbastanza, il giusto. Amava. Punto.
E Maela amava Robert.
Prese il quadernino e sotto
la data e il “Buongiorno Amore” scrisse:
‘[…]Notre
amour reste là
Têtu comme une bourrique
Vivant comme le désir
Cruel comme la mémoire
Bête comme les regrets
Tendre comme le souvenir
Froid comme le marble
Beau comme le jour
Fragile comme un enfant
Il nous regarde en souriant
Et il nous parle sans rien dire
Et moi je l’écoute en tremblant
Et je crie
Je crie pour toi
Je crie pour moi
Je te supplie
Pour toi pour moi et pour tous ceux qui s’aiment
Et qui se sont aimés[…]’
YAKETY- YAK
Che volete che vi
dica. A volte escono queste cose e io le butto giù. Per ora è una Os. Però boh…
faccio sempre in tempo a cambiare idea. Che qua tutto si trasforma. Anche
Chelsea Morning mi sta sfuggendo di mano e da sole scene che dovevano essere
sta seguendo una linea temporale… Boh. Ma voi non ve la prendete se io
sperimento vero? Un abbraccio. Lyo