Anime & Manga > Detective Conan
Segui la storia  |       
Autore: MelanyHolland e Akemichan    14/09/2005    8 recensioni
Volumi cinque/sei. Conan viene rapito dagli uomini dell'Organizzazione, i quali, si scopre, sono in realtà i suoi genitori travestiti. E se invece quella donna e quell'uomo fossero stati veramente due membri dell'Organizzazione, cosa sarebbe potuto accadere a Conan?
Genere: Azione, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
First chapter

 

First chapter

Conan percepiva un dolore forte al capo, pulsante, come se qualcuno si stesse divertendo a battere un martello contro il suo cervello. Si sentiva confuso e stanco, non sapeva dove si trovava, e l’odore che penetrava nelle sue narici era talmente sconosciuto da metterlo a disagio, così come il calore sul suo viso, per nulla confortante come avrebbe dovuto; ma, per qualche ragione, non se la sentiva ancora di aprire gli occhi. Aggrottò la fronte, cercando di penetrare la nebbia mentale che l’incoscienza gli aveva causato: ricordava di essere stato portato via dalla casa della sua amica d’infanzia Ran da una sconosciuta che diceva di essere sua madre; ricordava di aver cercato di scappare da lei, una volta scoperto che conosceva la sua vera identità, quella dello studente-detective Shinichi Kudo, e che quella donna faceva parte dell’Organizzazione degli Uomini in Nero che l’aveva avvelenato, facendolo regredire all’età infantile.; ricordava di aver cercato di mettersi in contatto con il suo amico fidato e vicino di casa, il dottor Agasa, e poi… Solo buio. Voci, suoni… Due persone che parlavano, di lui… Di ucciderlo. Ma era tutto così confuso, mescolato, assieme al dolore alla testa nel punto in cui lo avevano colpito. Si sentiva debole e fiacco, quasi febbricitante, perciò era certo che gli avessero somministrato qualche strana sostanza per farlo stare buono. Chissà adesso dove si trovava… Se volevano davvero farlo fuori, perché non l’avevano già fatto? E se non era quella la loro intenzione, che altro avevano in serbo per lui? Rabbrividì: per una volta tanto, non era sicuro di volerlo scoprire. Dopo qualche respiro profondo, sbatté le palpebre per mettere a fuoco la vista, non sentendo alcun rumore intorno. I suoi occhi vennero subito accecati dalla luce del lampadario proprio sopra la sua testa, perciò provò ad alzarsi, ma inutilmente. Il suo corpo venne sbalzato nuovamente giù, a contatto del materasso duro di quella barella sulla quale era sdraiato. Osservando meglio, si accorse di avere i polsi e le caviglie legate strettamente a quella specie di letto. Era in trappola.

Iniziò a guardarsi intorno, per scoprire un’eventuale via di fuga. Doveva trovarsi in una specie di laboratorio, come indicavano le numerose provette e le gabbiette piene di topolini bianchi, prigionieri come lui, sistemate ordinatamente sullo scaffale appoggiato alla parete destra. A sinistra, invece, vi era una scrivania, sulla quale erano sparpagliati disordinatamente vari fogli, i quali, a causa della confusione, finivano per scivolare a terra, disperdendosi per il pavimento di piastrelle bianche, le quali, assieme alle pareti bianche immacolate, davano un’idea di obitorio. Sulla lavagna appesa sopra la scrivania vi erano scritte varie formule chimiche. La vista non lo aveva rassicurato: dunque aveva avuto ragione, non volevano ucciderlo. Non ora, almeno. Non avrebbe avuto senso portarlo in quel posto, se non per sperimentare qualcosa su di lui. Evidentemente, pensò con l’ironia del panico e un sorrisetto a fior di labbra, lui era la loro cavia preferita.

Cosa vogliono farmi? Perché sono qui?

Il sorriso svanì nell’istante in cui era affiorato: non poteva nascondere a sé stesso di essere teso e spaventato, per quanto volesse convincersi del contrario. Era sempre stato un tipo coraggioso, che affrontava il pericolo senza riserve, riuscendo a cavarsela in ogni situazione; ma dopotutto, essere coraggiosi non significa non aver paura: significa solo saperla gestire, non lasciarsene sopraffare.

Sentì un rumore di passi e la porta di legno marcio iniziò ad aprirsi scricchiolando. «Non potevi non saperlo!» esclamò una voce tra l’incredulo e l’arrabbiato. «L’hai inventato tu, quel veleno!»

“Vodka!” riconobbe Conan. Immediatamente, chiuse gli occhi talmente stretti da sentire dolore, in modo da sembrare ancora addormentato. Non aveva alcuna intenzione di affrontare uno degli uomini che gli avevano rovinato la vita, costringendolo in quel corpo. Non ora.

«Invece dai miei esperimenti non era risultato nulla» replicò un’altra voce sconosciuta. Una voce totalmente priva di qualunque sentimento, ma inconfondibilmente femminile.

«Ma non sei stata tu a scrivere sulla lista che Shinichi Kudo era deceduto e non scomparso?» chiese Vodka, rimanendo sulla soglia.

«No» esitò solo un secondo l’altra voce. «Comunque, adesso controllerò»

«E’ tutto tuo, Sherry» Conan ebbe l’impressione di essere stato indicato, prima che Vodka chiudesse la porta e si allontanasse non proprio delicatamente nel corridoio.

A quei passi ne risuonarono altri all’interno, molto più aggraziati e delicati. Quando non sentì più nulla, Conan si decise a riaprire a fessura uno dei suoi occhi, per osservare la situazione. Voltata di spalle, proprio accanto al tavolino, si trovava una figura femminile, dai capelli biondi come le spiagge dorate della California, corti e mossi come le onde che lambiscono le stesse. Le lunghe gambe nude che spuntavano da sotto il camice bianco neve erano pallide come la luna. Da dietro, Conan poté notare sulla gamba destra, poco sopra il ginocchio, una leggera cicatrice dovuta probabilmente ad un proiettile.

La figura si voltò verso di lui, ma Conan non staccò gli occhi, ormai spalancati, da lei. Ne era come ipnotizzato e, quando finalmente la vide in volto, ne rimase ancora più scioccato. Non era una donna, ma una ragazza. Avrà avuto solo un anno più di lui, o poco più. Era veramente bella, alta e slanciata, con un seno prosperoso che si notava attraverso la scollatura del camice, coperto dal vestito rosso corto che indossava sotto. I lineamenti del viso erano delicati e dolci come quelli delle antiche statue classiche e la pelle sembrava morbida come la seta. Ciò che lo colpì maggiormente, tuttavia, furono gli occhi: occhi blu, bellissimi e profondi, che si guardavano attorno come se non vedessero nulla di ciò che li circondavano. Per questo motivo non ebbe timore a guardarla fissa, perché lo sguardo di lei era perso altrove, come immerso in un infinito senza tempo. Un infinito tristissimo, a giudicare dalla piega malinconica che prendevano ogni tanto le sue morbide labbra.

Lei si avvicinò al letto su cui era immobilizzato. «Sei sveglio» disse solo, con la stessa voce atona di prima. «Allora, possiamo iniziare»

Solo in quel momento le parole pronunciate da Vodka ebbero effetto sulla sua razionalità, come un antibiotico. Quella ragazza si chiamava Sherry. Era una di loro, una dell’Organizzazione. Per di più, era proprio lei l’inventrice di quel maledetto veleno, che rischiava di mietere vittime come se fossero stati scarafaggi. Era stato proprio sciocco a lasciarsi condizionare dal suo aspetto tanto solitario. Iniziò ad osservarla con occhi carichi di odio e rabbia, mentre agitava le gambe e le braccia nel tentativo di strappare le cinghie. La paura era stata spedita in un angolo recondito del suo animo, come sempre in quelle situazioni.

«Se continui così, ti farai male» commentò semplicemente lei, frugando nella larga tasca del camice e osservandolo quasi compassionevole, con l’occhio cinico e distaccato dello scienziato.

«Che t’importa?» replicò lui acido, la fronte aggrottata. «Tanto, quando avrai fatto tutti i tuoi begli esperimenti, mi ucciderai senza tanti problemi. Una ferita in più o in meno non farà differenza»

Sherry non gli rispose. Si limitò a estrarre della tasca un paio di guanti di lattice e iniziò ad infilarseli delicatamente, con sapiente precisione. Mentre eseguiva questa operazione, le maniche del camice scesero leggermente lungo il braccio, mostrando a Conan i lividi scuri che circondavano i suoi polsi, come se qualcuno vi avesse stretto attorno una corda.

«Quei guanti trattengono le impronte digitali» commentò lui quasi senza rendersene conto, girando il viso lateralmente, in modo da non fissarla più in quegli occhi blu ipnotici. «Non dovresti lasciare prove in giro»

«Per commettere un omicidio, nessuno userebbe dei guanti in lattice» assentì lei. «Mentre i medici non hanno bisogno di nascondere nulla»

«E tu ti diresti un medico?!» sbottò Conan. «Hai inventato un veleno per uccidere le persone!»

Accadde di nuovo. Lo sguardo di Sherry si oscurò come se una nuvola nera avesse coperto la luna in una notte stellata, e i suoi occhi iniziarono a fissare il vuoto, tristi. Non si riempirono di lacrime, perché altrimenti ci sarebbe stato troppo dolore. Si voltò e tornò verso il tavolo, aprendo uno dei cassetti. In quel momento, i topini bianchi iniziarono a squittire nelle loro gabbiette, protestando. Era come se cercassero di fargli capire che anche Sherry, fondamentalmente, era come loro, prigioniera in una vita che non le apparteneva affatto.

«Io non volevo inventare quel veleno» disse lei lentamente, come un sussurro di vento tra le foglie verdi. «Ma non vi è giustificazione per quello che ho fatto» lo anticipò, tornando verso di lui con in mano una siringa sterile ancora impacchettata. La vista dell’oggetto distrasse completamente la sua attenzione dal discorso: i suoi occhi blu fissavano pietrificati ogni suo movimento mentre la estraeva dalla confezione e toglieva la protezione sulla punta acuminata: la paura si impossessò di nuovo del suo corpo, provò un vuoto allo stomaco e una sensazione forte di nausea. Si rasserenò quando vide che non voleva iniettargli nessuna sostanza. Appena un po’, se non altro.

Sherry gli prese dolcemente il braccio, alzandogli la manica della camicia fino a sopra il gomito per scoprire la vena. Infilò la siringa nella carne, rapida.

Imponendosi la calma, la mente di lui ricordò ciò che lei aveva detto. Conan spostò lo sguardo dal proprio braccio di nuovo a lei, incerto se ritenerla vittima o carnefice, poi replicò con voce dura, agitando ancora il braccio «se non volevi farlo, perché adesso mi torturi?»

«Non agitarti, o rischi un’emorragia interna» replicò lei, ignorando la sua domanda. Gli occhi erano fissi sulla siringa, ma in quella siringa vedevano molto di più che un semplice ago succhiasangue. La estrasse ormai piena del suo carico rosso senza fargli male e si diresse ancora una volta verso il tavolo.

«E’ inutile raccontare frottole a te stessa» mormorò lui osservando una sottile goccia di sangue uscire dal buco prodotto e scivolare dolcemente lungo l’avambraccio. «Sei solo un’assassina!»

Con un piccolo rumore ovattato, la siringa che Sherry teneva ancora stretta in mano si spaccò, lasciando che i due pezzi s’infrangessero sul pavimento con un suono acuto di vetri rotti. Il sangue non suo iniziò a scivolare dolcemente lungo le dita affusolate, sporcando il pavimento. Conan era sicuro che i loro due sangue si stessero mescolando, perché la siringa non poteva essersi rotta senza schegge, schegge che probabilmente le si erano infilate nella carne della mano, superando i guanti.

Sherry, però, non emise alcun gemito. Si limitò a togliere i guanti, ormai inutili, e a gettarli nel cestino poco distante. Conan aveva visto giusto, poiché, nonostante il guanto, la sua mano sanguinava ancora. No, forse non era la mano a sanguinare. Ancora una volta, gli occhi di Sherry finirono per perdersi nel nulla, diventando due immense finestre sul profondo oceano. Lui non provò nemmeno a scostare lo sguardo, perché, nonostante se stesso e la situazione, nonostante sapesse chi era quella donna e fosse conscio di doverla odiare, adorava guardarli. Erano così blu, così belli, così tristi! Si era quasi innamorato di quei due occhi, che gli facevano dimenticare che lei, molto presto, lo avrebbe ucciso.

Sherry aprì il cassetto e estrasse con la mano sana un lungo coltello affilato. Alla vista della lama scintillante, la razionalità di Conan tornò ad avere il sopravvento. «Cosa ti prende? Hai paura a sentire la verità?»

«No» scosse la testa bionda lei, avvicinandosi. «Tu non hai… Non osare parlarmi così. Non sei migliore di me» Per la prima volta, la sua voce non era atona e fredda, ma leggermente incrinata. Afferrò il coltello in maniera diversa, quasi come se volesse infilarglielo dritto nel cuore. Conan ebbe un brivido. Adesso, gli occhi di lei erano freddi come il ghiaccio, molto simili a quelli di Gin, quando l’aveva visto per la prima volta. Si rimproverò per essersi lasciato abbindolare dal suo aspetto: non doveva dimenticare, mai, con chi aveva a che fare. Nessuna brava persona si sarebbe trovata nel laboratorio dell’Organizzazione. Almeno non a piede libero.

«Lo sono, invece» replicò freddamente, in un sussurro lento, gli occhi puntati nei suoi all’apparenza senza alcun timore. «Tu sei un mostro, una persona che non vale nulla» Fu quasi sorpreso dalla crudeltà stessa delle sue parole, ma non poteva perdonarle di aver inventato quel veleno, di averlo costretto nel corpo di un bambino delle elementari, di aver accettato di lavorare per Loro… E soprattutto, non poteva perdonarle di averlo ingannato con il suo aspetto triste e sconsolato. Gli sembrò, per un momento fugace, di aver visto passare un’ombra nei suoi occhi, di avervi letto dolore, dispiacere… Ma l’illusione sparì e adesso stentava a giurare che vi fosse stata veramente. Lei era tornata fredda e distaccata.

«E tu, allora? Credi di essere dalla parte dei giusti, vero? Di essere un eroe, che salva la gente… Apri gli occhi: il mondo non è bianco e nero. Hai le tue colpe, proprio come me» ribatté lei con voce lugubre, senza smettere di fissarlo minacciosa, avvicinandosi sempre di più a lui. «Io non sono l’unica ad avere dei morti sulla coscienza». La punta del coltello adesso era a pochi centimetri dalla sua gola: Conan poteva sentire la punta fredda e fatale sfiorargli la pelle calda e inerme. Ma non era quello che l’aveva colpito, bensì le sue parole.

«Che cosa intendi dire?» chiese in un mormorio lento, senza smettere di guardarla negli occhi: sapeva che se il suo sguardo avesse vacillato, se avesse mostrato debolezza, sarebbe stata la fine. La fine di quella conversazione e forse… Sì, anche della sua vita.

Sherry rimase in silenzio per un tempo interminabile, durante il quale Conan sudò freddo, temendo che lei decidesse di non rispondere alla sua domanda, di farla finita con lui ficcandogli il coltello su per la gola, lasciandolo a morire dissanguato su quel lettino, imbrattando la superficie immacolata su cui era disteso. La sua mente viaggiò quasi senza rendersene conto verso la sua amica d’infanzia, il più grande amore della sua vita: la rivide, quegli occhi color fiordaliso così puri e profondi, la pelle candida, i capelli scuri che le ricadevano sempre sulle spalle con distratta eleganza, le labbra, su cui si formava quel sorriso meraviglioso che aveva imparato ad amare. Ran, così bella, così dolce… Non poteva pensare di non rivederla mai più, non voleva nemmeno immaginare quel viso così bello contratto dalla disperazione, gli occhi pieni di lacrime, se fosse venuta a sapere della sua scomparsa. Non voleva che soffrisse, per nulla al mondo, né voleva morire senza prima aver avuto l’occasione di dirle quanto era speciale, quanto avesse reso felice ogni momento della sua vita da quando l’aveva incontrata, quasi sedici anni prima. Qualcosa strinse il suo cuore in una morsa dolorosa, ma il suo sguardo rimase fermo e deciso, blu che si perdeva nel blu. Poi lei parlò, e il suo corpo si rilassò riempiendosi di sollievo.

«Dovresti averlo capito. Tu non salvi delle vite… Ti limiti a punire gli assassini, arrivando a delitto compiuto e smascherandoli. La tua fama deriva da tutto il sangue che è stato versato da altri, dal sacrificio di molte persone. Ma a te cosa importa? Risolvi il caso, sorridi beato ai giornalisti, tutti ti ritengono un genio, ma poi che ti importa se una ragazza un giorno legge il giornale e viene a sapere che l’unica persona che le abbia mai-» Si bloccò, voltandosi dall’altra parte, stringendo le labbra e respirando profondamente. Prima che lei sfuggisse al suo scrutinio, Conan aveva notato che i suoi occhi si erano di nuovo riempiti di tristezza e dolore incalcolabili. Ma quando tornò a guardarlo, erano di nuovo freddi e distaccati, come il suo tono di voce: «Tu vivi a costo della vita altrui proprio come me, Kudo».

Gli diede le spalle e si allontanò, posando di nuovo il coltello e inginocchiandosi per raccogliere i frammenti della siringa in un sacchetto. Conan rimase allibito: le parole che aveva detto l’avevano colpito nel profondo, lasciandolo senza parole. In quei pochi istanti che lei aveva lasciato cadere la sua maschera d’indifferenza, si era accorto di quanto fosse vulnerabile e… disperata. Il dolore che aveva scorto nel freddo oceano dei suoi occhi era qualcosa che aveva già visto, purtroppo, molte volte in passato. Nonostante il turbamento del suo animo, la sua mente logica cominciò quasi senza che se ne rendesse conto a formulare deduzioni, che lo portarono a chiedere, con voce flebile:

«Chi era?»

«Chi era chi?» replicò lei stancamente, senza voltarsi.

Conan sospirò. «La persona che non ho salvato. La persona che è stata così importante per te» spiegò in un sussurro, fissando la sua schiena. La vide irrigidirsi mentre la sua mano si bloccava, tenendo fra le dita un pezzetto di vetro. Poi udì una risatina stanca, priva di allegria.

«Che importanza ha, ormai?»

«Ne ha per me. E anche per te, lo so» La guardò deciso, lei si voltò, fronteggiandolo di nuovo, scrutandolo con quegli occhi gelidi e inespressivi, cercando forse di penetrare dentro di lui, di leggergli dentro.

«Akemi Miyano»

Sherry pareva in attesa di una sua qualche reazione. Purtroppo però, per quanto cercasse di ricordare, aggrottando la fronte e facendo lavorare il cervello furiosamente in quei pochi secondi, non riusciva davvero a ricordare chi fosse la donna che lei aveva appena nominato, e che presumibilmente era morta durante una delle sue investigazioni. Sul viso di Sherry si formò un sorriso sardonico. «Proprio come pensavo» concluse asciutta.

«No, aspetta! Io…» Ma non trovò proprio nulla da aggiungere. Che avesse ragione lei? Davvero non gli importava nulla delle persone che gli morivano intorno? Insomma, aveva completamente rimosso questa Akemi Miyano, per quanto gli sembrasse incredibile. Già, incredibile, perché ricordava distintamente tutte le persone che aveva visto morire, i loro occhi vuoti e privi di luce, la pelle esangue, i corpi rigidi e freddi, privati per sempre del calore delle emozioni umane. Era consapevole che mai avrebbe potuto cancellare quelle immagini, né quel sentimento pesante e terribile che lo opprimeva, né i martellanti Se avessi fatto questo, se fossi arrivato prima, forse, magari, probabilmente sarebbero ancora vivi. Sapeva che quei volti, quei dubbi, l’avrebbero accompagnato per il resto della sua vita, perché non poteva dimenticare che quelli non erano solo cadaveri, erano persone, con una famiglia, con dei sentimenti…montagne di possibilità che erano state strappate loro dagli assassini che lui aveva il compito di fermare. Era il prezzo del suo lavoro, che pure adorava tanto…

Il senso di colpa.

Pressante, soffocante, doloroso…

Qualcosa con cui aveva imparato a convivere. Non ad accettare, no. Non credeva sarebbe stato possibile.

Adesso però era tornato a consumarlo da dentro, dolorosamente, perché se davvero questa ragazza era morta per colpa sua, e lui l’aveva completamente dimenticata… Che razza di persona era diventata? Cinica e fredda come molti ispettori che aveva incontrato durante la sua vita? Qualcuno così abituato a vedere corpi straziati da considerare l’omicidio una cosa normale, di tutti i giorni, priva di interesse?  Forse fra qualche anno i volti e i nomi delle vittime si sarebbero mescolati insieme nella sua testa, e li avrebbe considerati tutti solo carne fredda?

Rabbrividì, mentre la sensazione di pesantezza si fece più greve: non voleva diventare quel tipo di persona, mai e poi mai. Il suo lavoro non doveva togliergli la sua umanità: la morte violenta non è una cosa a cui ci se deve abituare, per nulla al mondo. Sarebbe stato come darla vinta agli assassini stessi, essere al pari di loro. Terrificante.

Era così immerso in quei pensieri che non si accorse che Sherry aveva estratto un’altra siringa, e la stava riempiendo con un liquido trasparente preso da una provetta. Conan strabuzzò gli occhi, ricominciando a divincolarsi e a strattonare le cinghie di pelle, stringendo i denti. Sherry si volto verso di lui, la siringa fra le mani: «Quello che sto per fare non puoi impedirlo in alcun modo, Mr. Detective, ma se collabori e ti rilassi, farò in un attimo e non sentirai quasi nulla. Se invece continui ad agitarti, potrò farti molto, molto male»

Conan la guardò con rabbia, dimentico per un attimo delle sue riflessioni. Smise di divincolarsi, ma non di fissarla torvo, mentre lei infilava l’ago nella carne tenera del braccio e gli iniettava la sostanza sconosciuta.

«Bravo bambino» mormorò lei ironica, poi suoni e luci si fecero sempre più vacui e lontani, e prima che l’oscurità prendesse il sopravvento, vide davanti a sé l’immagine di una ragazza sconosciuta, avvolta nella nebbia.

Poi solo buio per un bel po’.

 

Note di Akemichan (e MelanyHolland):
Le scrivo io perchè ho pesto l'incarico di pubblicare la fiction per entrambe... Questa storia è il round robin presentato al concorso da me e da MelanyHolland... Non so bene come, ma siamo arrivate prime ^^'' Io ho cercato di correggere tutti gli errori che Erika ha detto di aver trovato, se così non fosse segnalatamelo ^^
In tutto sono quattro capitoli, e anche se sono praticamente già pronti, non so quando riuscirò a pubblicare il prossimo. Comunque, cercherò di farlo la settimana prossima, sempre di mercoledì. Spero di farcela.
Grazie a tutti per averla letta ^^

  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: MelanyHolland e Akemichan