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Autore: Blas    04/07/2010    1 recensioni
Una storia d'amore districata in un tempo mai scorso e in un Inghilterra governata da un sovrano mai esistito. Una nobiltà corrotta e sfruttatrice. Una congiura che sfocerà nel sangue e nella morte. Una corte inglese che nasconde misteri orribili e irremissibili peccati. Questa è la storia d'amore tra una marchesa e un duca. Tra una nobile donna e uno sregolato principe. Tra la brillantezza e la ribellione. Tra ciò che è giusto e ciò che non lo è.
Genere: Romantico, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA MARCHESINA VANERS

 

 

 

 

I territori sotto il potere della marchesa Vaners si estendevano per chilometri e chilometri verso nord, fin quasi al confine con la Scozia.

Si trattava forse del territorio più vasto sotto il diretto controllo di una nobile.

Il suo meraviglioso castello era stato costruito anni prima sulle campagne dello Shershire ed ospitava non solo la famiglia della marchesa ma tutta la sua servitù e tutti i suoi collaboratori.

Ma se c’era una cosa per cui la marchesa era famosa non era certo per il suo castello o per la sua schiera di servi. Se lo era, lo era per la bellissima creatura che aveva dato alla luce.

Il suo nome era Serena e da molto tempo ormai veniva preparata ad amministrare quello che un giorno sarebbe stato suo.

Il popolo dello Shershire la ammirava soprattutto per la sua foltissima chioma castano chiara, quasi bionda a dire il vero. Sembrava perennemente mossa da un vento che rendeva la persona della marchesina ancora più attraente.

Gli occhi erano azzurri come lapislazzuli e il suo viso era piccolo e perfetto.

Aveva una pelle soffice e chiara ed un fisico snello e molto sportivo, date le ore che aveva passato a cavalcare il suo destriero. Frances, lo aveva chiamato.

La mattina in cui il Re emanava l’emendamento secondo il quale non era più possibile attraversare il confine con i territori scozzesi sotto il dominio inglese senza aver prima preso accordi con la marchesa, lady Serena passeggiava tranquilla e spensierata per le campagne inglesi, avvolta nel suo abito verde smeraldo e nel cappotto di velluto nero.

“My lady” la salutò qualcuno alle sue spalle, facendola voltare.

L’uomo, che si era inchinato, alzò il capo e la marchesina lo riconobbe.

“Sir Tomaso” lo salutò con un impercettibile cenno del capo “Qual buon vento la porta su queste combattute lande?”.

Sir Tomaso rise di gusto, avendo appena colto la citazione da uno dei libri che lui stesso aveva scritto.

Era uno scrittore, un intellettuale molto conosciuto alla corte della marchesa Vaners.

Era un uomo alto e robusto, con pochi capelli in testa ma dotato di un’eleganza fuori dal comune.

“Sono qui perché speravo di incontrarla. Ho scorto infatti il suo destriero e la sua scorta, al limitare della foresta”.

“E le hanno consentito di raggiungermi?” gli chiese Serena, utilizzando l’arma che la madre le aveva sempre consigliato di utilizzare in presenza di un uomo affascinante e colto. La prudenza.

“Si” rispose Tomaso, facendo un passo in avanti verso lady Serena “Vostra madre si fida di me e la vostra scorta mi conosce meglio di quanto lei creda, lady Serena”.

La donna lo guardò per qualche istante, chiedendosi perché avesse desiderato incontrarla proprio quella mattina.

“Il vostro desiderio di incontrarmi a forse qualcosa a che fare con l’emendamento di sua maestà il Re?”.

Tomaso la scrutò, curioso e stupito al tempo stesso.

Lady Serena non era solo un’interessante donzella di buona famiglia. Era colta, intelligente, preparata, sognatrice, donna di grandi ideali, studiosa, sempre attenta, furba e persuasiva.

“No, my lady” rispose Tomaso “Sono qui perché il mio caro amico mi ha chiesto di consegnarvi una lettera”.

Qualcosa nel cuore di lady Serena fece un salto nel vuoto. Per un attimo si sentì arrossire alla sola idea che qualcuno avesse potuto scriverle una lettera.

Era bella e dannatamente attraente, ma ogni uomo dello Shershire era intimorito dal suo potere e dalla sua posizione.

“E chi sarebbe questo vostro amico?” chiese, mascherandosi di curiosità e cercando di far decelerare i battiti del cuore.

“Il suo nome è Daniel O ’Gary, duca di Frendonmen”.

Serena si stupì. Non aveva mai sentito quel nome, nemmeno durante il grandissimo banchetto fatto poche settimane prima in onore della visita della principessa Eleonor.

No. Non conosceva nessun Daniel O ’Gary.

“E per il signor duca risultava troppo faticoso consegnare personalmente questa lettera?”.

Tomaso la guardò attentamente e sorrise malizioso.

“Non mi dirà che è questa la prima cosa a cui ha pensato quando…”.

“Mi dia la lettera” lo interruppe la donna, fingendosi autoritaria “E torni a casa”.

Tomaso obbedì, anche lui impaurito dalle minacce che la marchesa Vaners era solita rivolgere a chi contrastava lei o qualsiasi membro della sua famiglia.

Le diede la lettera e quando lei la ebbe riposta nella tasca del cappotto, Tomaso si inchinò e se ne andò, sparendo oltre le alte siepi alla destra di lady Serena.

Quest’ultima, notando che non avrebbe fatto in tempo ad appartarsi per leggere la lettera, decise di tornare presso la propria scorta e di salire a cavallo del suo Frances, pronta per tornare al castello, cenare, chiudersi nelle proprie camere e leggere la lettera in santa pace.

In cuor suo sperava davvero che un uomo di alto rango si stesse interessando a lei e desiderava con tutta se stessa che non si trattasse di uno stupido scherzo di qualche povero furfante in cerca di guai.

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La sala da pranzo del castello era una delle più grandi dell’intero edificio.

Era arredata richiamando lo stile barocco, il più amato dalla marchesa e dal povero marito oramai defunto.

Intorno alla grande tavola imbandita al centro della sala erano seduti in quattro: lady Serena, la marchesa Vaners, il marchesino Math e la tutrice del marchesino, ombra perenne di quest’ultimo.

“Allora, Serena” esordì la marchesa, seduta ritta ed elegante su una delle sedie d’alabastro “Com’è andata la vostra passeggiata nei campi? Incontrato qualcuno di spiacevole?”.

Serena, che stava mangiando, per poco non soffocò, presa alla sprovvista da tale interessamento.

“No, madre” rispose prontamente, continuando a non pensare ad altro che alla lettera “Diciamo piuttosto che è stata una passeggiata rilassante e meditativa”.

“Puah” esclamò Math, sputando nel piatto una porzione di cibo che aveva appena masticato.

“MATH!” gli urlò contro la madre, sferrandogli uno schiaffo “Domani lavorerai con lo stalliere”.

Il marchesino la guardò esterrefatto e iniziò a sferrare sotto al tavolo calci contro la sorella, in cerca di sostegno.

“Madre, ha undici anni. Non credo sia un crimine così grave aver sputato del cibo che in effetti non è dei migliori”.

Lo sguardo della marchesa Vaners si catapultò sulla giovane fanciulla.

Se di solito era gelido come la morte, quel giorno pareva ancora più ultraterreno.

Melinda Vaners era sempre stata una donna attraente, se solo non fosse stato per i suoi occhi gelidi e mortali.

Aveva un viso dai lineamenti spigolosi ma femminili. Una pelle chiara e una foltissima chioma di capelli neri e ricci.

Aveva un fisico non più snello come quello di una volta ma imponente e autoritario, perfettamente adatto ad una marchesa la cui fama pareggiava quella di un tiranno.

“Hai detto qualcosa, Serena?” chiese alla figlia continuando a guardarla in maniera terrificante.

Ma lady Serena era abituata a tale sguardo e oramai non gli affibbiava alcun tipo di peso.

Si alzò, determinata a non darla vinta alla madre. Si voltò e fece per andarsene.

“Serena, torna subito qui!” le urlò dietro Melinda, non movendo nemmeno un dito ma solo le sue pupille infernali.

Serena non l’ascoltò. Si incamminò imperterrita verso la porta in quercia che l’avrebbe portata nel grande androne.

Quando se la chiuse alle spalle sentì gli insulti che la madre le rivolgeva, urlando a squarciagola.

Se c’era una cosa che la marchesa Vaners non sopportava era la maleducazione, ma almeno si sarebbe concentrata su Serena e non avrebbe più torturato il piccolo Math.

Salì la grande scalinata che partiva dall’androne e quando arrivò in cima svoltò a destra, verso le proprie camere.

Una volta raggiunta la principale, quella in cui un elegantissimo letto a baldacchino la faceva da padrone, venne aiutata da lady Maria, la sua dama di compagnia, a svestirsi e ad indossare gli abiti notturni.

Quando la camicia da notte bianca le fu comodamente adagiata addosso, da sola Serena entrò dentro al suo letto e appoggiò la schiena allo schienale, tenendo stretta tra le mani la lettera che Tomaso le aveva consegnato.

“Lady Serena” la chiamò lady Maria, seduta al suo capezzale e intenta a rassettare i vestiti appena tolti.

Serena si voltò a guardarla, sorridente più che mai.

Maria non era solo una dama di compagnia, e quindi una serva. Era innanzitutto un’amica e Serena, nonostante la madre che il Signore le aveva dato, era sempre cresciuta dando un importantissimo valore all’amicizia.

“Dimmi, Maria. Qualcosa non va?”.

“In effetti si” rispose Maria abbassando lo sguardo sulle proprie mani, intrecciate sul grembo.

Si fissò per qualche istante la pancia e attese che Serena captasse ciò che aveva da dirle.

Più Maria si guardava lo stomaco, più Serena capiva cosa stesse cercando di farle comprendere.

Sul suo viso apparve un’espressione stupita e anche un po’ contrariata. Le labbra si spalancarono e gli occhi si sgranarono.

“Siete incinta?” chiese sussurrando, per evitare che qualcuno sentisse.

Maria iniziò a piangere. Un pianto senza freni, che le scuoteva tutto il corpo e la rendeva piccola e indifesa. Molto più piccola dei sedici anni che in verità aveva.

“Vieni qui, Maria, vieni qui” la esortò Serena, allargando le braccia.

Maria scosse la testa, consapevole che tra servi e nobiltà non ci sarebbe mai potuta essere quella confidenza, quell’intimità,.

“È un ordine” aggiunse Serena, sorridendole dolcemente.

Infine Maria si fece convincere e si intrufolò nel letto della marchesina, aggrappandosi a lei e bagnandole la camicia da notte di lacrime.

“Tranquilla” le sussurrava Serena, accarezzandole il capo dai capelli biondo platino “Troveremo una soluzione, Maria. La troveremo”.

Continuò ad accarezzarla per molti minuti ancora, finché Maria non si addormentò tra le sue braccia, esausta dal troppo pianto e dai troppi pensieri che le offuscavano la mente.

Si era cacciata in un bel guaio.

Se il padre del bambino era colui a cui lady Serena stava pensando, per Maria non ci sarebbe stato scampo.

Non appena la marchesa lo avesse scoperto, lei sarebbe stata subito mandata al patibolo.

Ma Serena non lo avrebbe permesso, almeno che sua madre non fosse capace di rimanere impassibile davanti all’immagine della figlia che saliva gli scalini del patibolo insieme alla sua più fidata amica.

Scosse la testa lentamente, cancellando quegli orribili pensieri, e tornò a concentrarsi sulla lettera, che fortunatamente teneva nella mano che non avvolgeva Maria.

Quest’ultima, intanto, respirava profondamente e si agitava nel sonno.

Serena svuotò la mente e aprì la lettera, col cuore che batteva a mille e la speranza che non l’aveva mai abbandonata.

 

“Marchesa Serena Vaners di Shershire,

sono un umile servitore di nostra maestà e ho sentito molto parlare di voi, della vostra bellezza, della vostra anima pura.

Ma non ho mai avuto l’onore di potervi incontrare e mi sento in dovere di confidarvi che è forse questo il mio più grande sogno.

Qui a Londra si parla spesso della meravigliosa figlia della marchesa Melinda Vaners e la nostra curiosità è stata più volte saziata grazie a dei ritratti della vostra persona che sono certo non rendano merito a ciò che la natura via ha voluto donare.

Quando leggerete questa lettera io sarò in viaggio verso lo Shershire e dato che nostra maestà ha ordinato a chiunque passi i confini della Scozia di trattare con la marchesa, spero che questo intoppo ci conceda di conoscerci e di far nascere quella che, ne sono certo, potrebbe trasformarsi in una meravigliosa amicizia.

Rendo omaggio a voi e alla vostra innaturale bellezza, marchesa Serena Vaners di Shershire.

                                                                   Con ammirazione, duca Daniel O ’Gary di Frendonmen, Londra”

 

Quando ebbe finito di leggere la lettera l’espressione di Serena era stralunata, estraniata.

Si vedeva già sposa di questo affascinante e, a quanto era evidente, colto duca londinese. Si vedeva già madre dei suoi figli, amministratrice degli affari mondani della sua tenuta.

Con fare sognante e con in viso un sorriso ebete, Serena appoggiò la testa allo schienale del letto e chiuse gli occhi.

Quella notte sognò di un uomo sconosciuto che bussava alla sua porta e che la portava via in sella al suo cavallo bianco.

 

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Il giorno seguente, quando ancora il cielo non aveva preso il suo colore abituale, Serena si svegliò di soprassalto, scossa dai movimenti di Maria, la quale si era accorta di dove si fosse addormentata e si era subito alzata per mettersi all’opera.

“Lezione di francese, lady Serena” esordì salterellando in giro per la stanza, rassettando e mettendo a posto ciò che aveva lasciato in giro la sera prima.

Serena la seguiva con lo sguardo, stupita da un così veloce cambiamento.

La sera prima piangeva a dirotto e adesso saltellava felice.

Sarebbe rimasta volentieri tra le coperte a parlare con lei, a chiederle spiegazioni, ad affrontare il suo problema; ma non poteva. Monsieur Horan la stava aspettando in giardino, per la solita lezione di francese sotto il gazebo bianco.

Scese dal letto e Maria l’aiutò a vestirsi.

Indossò un abito semplicissimo: una veste nera ornata da decorazioni dorate e argentate, sul colletto e sui polsini. Raccolse i capelli in uno chignon e Maria si dedicò al suo viso, rendendolo presentabile per la mattinata.

Dopodiché scese di sotto a fare colazione con la madre e il fratello, entrambi in assoluto silenzio, e infine uscì in giardino, diretta al gazebo sotto l’ombrellino parasole che Maria sorreggeva al suo fianco.

“Sai per caso di cosa parlerà la lezione?” chiese Serena, sperando di iniziare una conversazione che potesse portarla all’argomento della serata appena trascorsa.

Maria scosse la testa.

“No” spiegò “So solo che Horan ha in serbo una lezione diversa dalle altre”.

Serena alzò gli occhi al cielo, ripensando a quanto fosse troppo scherzoso il carattere del tutore.

“E tu, invece?” chiese fermandosi e guardando la dama di compagnia dritta negli occhi.

“MARIA!” urlò la marchesa dal castello “Rientra subito qui. Devo parlarti!”.

Serena maledisse mentalmente la madre per averle interrotte e aver dato a Maria una via di fuga.

Quest’ultima infatti si inchinò e si voltò, incamminandosi a passo troppo svelto per tornare al castello.

Serena invece proseguì attraversando il vasto giardino e finalmente arrivò al gazebo bianco.

Più che di un semplice gazebo si trattava di una pedana enorme sulla quale si trovavano svariate panchine ed un meraviglioso tavolo di marmo. Il tutto era ricoperto da un gazebo, la cui stoffa pregiata proveniva direttamente dalle lontane Indie.

Serena prediligeva quel posto per le proprie letture evasive ed era il posto in cui avevano luogo tutte le sue lezioni e i suoi incontri di svago con amiche o parenti.

Monsieur Horan l’aspettava come al solito in piedi davanti al tavolo.

Quella mattina indossava abiti chiari, bianchi e azzurri. Aveva tirato i lucenti capelli rossicci all’indietro e li aveva legati in un elegantissimo codino.

Aveva la pelle abbastanza scura e due profondi occhi castani.

Il fisico era quello di ogni intellettuale che dedicava più tempo alla mente che al corpo.

“Bonjour, mademoiselle Vaners” la salutò con la sua voce dal tipico accento del sud.

Serena si inchinò mentre ancora percorreva i gradini per salire sulla pedana.

“Bonjour à vous, monsieur Horan”.

La sua pronuncia non era certo delle migliori ma stava imparando e ogni giorno si notavano nuovi miglioramenti.

“Alors, lady Serena. Avete esercitato abbastanza il vostro francese, ultimamente?”.

Serena arrossì, colpevole di non averlo fatto.

“Mi dispiace, sir Horan. Ho avuto altro da fare e ho abbandonato un po’ le mie esercitazioni quotidiane. Me ne rammarico e le assicuro che mi eserciterò il doppio la settimana che verrà”.

Horan la guardò di sottecchi, come se sapesse qualcosa che in teoria non avrebbe dovuto sapere.

“La vostra mente non sarà stata forse troppo impegnata a pensare ad un certo spasimante londinese?”.

Il cuore di Serena ebbe un sussulto e il viso arrossì ancora di più.

Come diamine faceva a sapere dello spasimante?

Horan era un uomo di origini londinesi, ma non poteva certo aver conosciuto il duca in questione, in quanto monsieur Horan aveva lasciato Londra all’età di otto anni.

“Di che spasimante state parlando, monsieur Horan?”.

La voce della marchesina si fece tremante e titubante.

Horan la guardò maliziosamente.

“Suvvia, non faccia la timida, lady Serena. Lo spasimante che le ha scritto quella lettera romantica!”.

Più l’insegnante parlava più il battito del cuore di Serena accelerava.

Si sentì violata, spogliata, scoperta, colpita.

Quell’uomo sapeva qualcosa che in teoria solo lei e quel duca avrebbero potuto conoscere.

Almeno che…

“Quel est votre prenom, monsieur Horan?” chiese imponendosi di tranquillizzarsi e di apparire il più disinvolta possibile.

Horan aveva la tipica espressione di chi è pronto a ribattere a qualcosa che si era aspettato gli venisse domandata.

“Daniel, lady Serena. Il mio nome è Daniel Horan”.

La fissava con gli occhi furbi di un bambino e con l’espressione compiaciuta di un uomo vittorioso.

Serena assunse un ‘espressione esageratamente indignata, spalancò la bocca e sgranò gli occhi, tirandosi su il vestito e scendendo le scale al contrario.

“Come avete potuto?” chiese quasi urlando, mentre monsieur Horan iniziava a sghignazzare “Vi siete presi gioco della mia innocenza, farabutto! Avete giocato con i miei sentimenti! Avete rotto il vostro patto di professionalità!”.

Era rossa in viso e piena di rabbia.

Daniel Horan rimase immobile davanti al tavolo, ridendo a crepapelle e godendosi quello spettacolo imbarazzante. Per lady Serena, almeno.

“Andate all’inferno” urlò quest’ultima all’uomo, prima di girarsi e incamminarsi a passo spedito verso il castello, sempre tenendosi i lati del vestito con le mani.

“Ah” esclamò poi, voltandosi di qualche centimetro “Le nostre lezioni di francese terminano oggi!”.

La sua camminata si trasformò in una corsa spaventata.

Quell’uomo era più robusto di lei e avrebbe potuto stenderla al suolo con un solo spintone.

Se si era finto un potente duca per burlarsi di lei, significava probabilmente che era pronto a tutti pur di riuscire nel suo intento, ovvero vederla star male.

Aveva giocato col suo cuore, con la sua fama di donna sola e incapace di avere una relazione stabile con chiunque valesse la pena di frequentare.

Si sentiva una stupida. Ferita e arrabbiata, ma pur sempre una stupida.

Mentre risaliva i gradini d’ingresso al castello, una lacrima rigò il suo viso.

Probabilmente non avrebbe mai incontrato il principe che figurava nei suoi sogni.

O forse si; ma se una cosa era certa, era che quel principe non sarebbe mai potuto essere Daniel Horan.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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