“Il bello è qualcosa di
essenziale Ikakku. Se sei circondato da cose belle, è ovvio
che ci
si senta più appagati e felici”
“Oh certo! Come se
basare la propria vita a fare il fighetto, fosse una cosa appagante
come maneggiare una spada”
“Sai... non sono
sorpreso che uno come te dica queste
cose...”
Alle sei e mezza della
sera, quei due ci stavano ancora dando dentro con irrisolvibili
discussioni iniziate già alle prime luci dell'alba. Senza ne
capo ne
coda, se non erano questioni serie allora si parlava unicamente di
cose che il capitano Zaraki davvero non comprendeva.
Alle volte ci si poteva
davvero chiedere dove Ikakku e Yumichika trovassero il tempo di
polemizzare per ogni santissima cosa.
Sulla veranda della
caserma dell'undicesima divisione, il capitano e i suoi luogotenenti
stavano attendendo l'arrivo della sera pulendo le armi e fumando
tabacco dalle lunghe pipe d'avorio.
Con l'arrivo della
stanchezza dopo una giornata di estenuanti pattugliamenti, missioni e
cazzi vari,
anche l'uomo più
duro alla fine si sfiancava, tramutandosi per quello che era in
realtà. Non un guerriero puro, ma un semplice essere umano
fatto di carne e pensieri.
Allora
ecco che il volto perfetto di Ayasegawa si segnava di occhiaie e si
faceva più pallido, quello dell'instancabile Madrame
mostrava rughe
di profonda stanchezza, e il volto del capitano Kenpachi mostrava
impietoso l'età avanzata di un guerriero non più
nel fiore degli
anni.
Persino
Yachiru era sempre provata dopo una giornata di lavoro. E tutta la
sua iperattività si stemperava, mostrando solo la voglia di
giocare
con un pezzetto di carta vecchio e consunto, accovacciata accanto al
suo capitano preferito.
Da
parte di Kenpachi invece, solo la voglia di gustarsi il
sopraggiungere della sera fumando tabacco velenoso con la pipa
cesellata finemente, e nient'altro. Un “regalo”
pescato nelle
tasche di un cadavere giù nel vecchio quartiere dove un
tempo
bazzicava, lasciando che il vento fresco della sera rinfrescasse
l'atrio e calmasse i bollenti spiriti.
“...
Sei un bifolco quando ti ci metti sai? Poi non mi stupisco che tu non
abbia frotte di donne adoranti ai tuoi piedi”
“A-ancora
con questa storia? Guarda che io me ne sto bene da solo!”
“Certo,
allora perchè sei invidioso di me?”
Stavano
iniziando ad alzare la voce quei due, e quando facevano così
i
poveri nervi di Zaraki andavano sempre a farsi benedire.
Se non
fosse stata per la stanchezza che gli prendeva tutto il corpo,
avrebbe preso i due a sciabolate – non necessariamente di piatto
– per farli stare zitti e fumare in santa pace.
Invece
si limitò a sbuffare piano esalando così del fumo
dalle labbra
dischiuse. Gesto esasperato che attirò l'attenzione della
sua
piccola luogotenente, prossima a farsi scappare una piccola risata
divertita.
“Li
trovi così divertenti?!”
“Sono
stupidi! Per questo sono divertenti!”
Yachiru
con le sue piccole mani, stava tentando di dare una forma concreta a
quel foglio di pergamena, senza però avere molto successo.
La gru di
carta sembrava più che altro una specie di montagnola
indistinta,
piuttosto che un reale origami ben fatto. Per quanto non lo desse a
vedere, anche la bambina era troppo stanca per concentrarsi per bene.
Chi
invece non mostrava stanchezza erano quei due presunti
adulti
ormai prossimi a darsele di santa ragione come due mocciosi. Il
tutto, sempre e comunque, per motivi che erano sempre e solo quelli.
Lo
stanco capitano, scostò gli occhi dal paesaggio fornito
dallo
spartano giardino della divisione, per guardare i due parlare ad alta
voce e gesticolare come due vecchie contadine.
Costantemente,
si finiva col toccare i soliti argomenti. Fino allo stremo, fino alla
noia. E si che non erano due ragazzi stupidi...
Prima
si iniziava a parlare del lavoro, poi si smetteva di lamentarsi di un
po' di tutto e si parlava di cose futili. Misteriosamente Yumichika
riusciva sempre ad infilare il suo narcisismo ovunque, ed ecco che la
situazione lentamente degenerava, dato che il suo compare Madrame
aveva sempre e comunque la stessa pazienza di uno scorpione pestato
accidentalmente.
Ossia
nulla.
Quindi
la prima cosa che i due iniziavano a rinfacciarsi a vicenda
riguardava gusti personali e lo stile di vita, poi si arrivava a
parlare di donne – e per quanto possa essere un argomento di
discreto interesse pure per il loro capitano – il tutto si
riduceva
al solito ad una cosa così infantile che i due di
consuetudine
alzavano la voce e finivano col invocare il nome di una sola
persona...
“Capitano!”
Ecco
appunto, lui.
In
coro quelle due comari camuffate da shinigami
invocarono
l'attenzione di Zaraki, che tuttavia arrivò a scoppio
ritardato.
Sbuffando
una nuvola di fumo grigiastro e aromatico, il capitano
dell'undicesima brigata voltò lentamente il capo verso i
suoi uomini
fulminandoli con lo sguardo.
“Cosa?”
volle sapere a bruciapelo.
Il
silenzio cadde improvviso come una tormenta di neve tra i due,
ritrovandosi a deglutire nell'incertezza di dare risposta. Alle volte
finivano col rimanersene zitti e lasciare che il capitano desse loro
una veloce strigliata ad alta voce, altre volte come in quel caso
specifico, qualcuno tra l'indignato e il piagnucoloso iniziava a
lamentarsi.
Fu il
caso del luogotenente Madrame.
“Capitano!
Quest'insolente – indicò senza guardare il
compagno che già se la
rideva – continua a dubitare delle mie doti di
seduttore!”
“Chiamiamole
pure doti il tuo importi come una scimmia in calore
davanti
alle donne...”
Yumichika
era preda della ridarella per quanto tentasse di trattenerla in tutti
i modi, e per tale motivo aveva le lacrime agli occhi. A stento
riusciva a trattenere la mano destra sulla bocca.
Di
tutt'altro parere era Ikakku, che ormai rosso come il sole al
tramonto aveva tutta l'aria di esplodere.
Ma tu guarda te se
questi dovevano mettersi a parlare di cose simili proprio in quel
momento, con una bambina nei paraggi per di più.
“Per
tua informazione... La locandiera del quarantesimo distretto non le
pensa allo stesso modo!”
“Vorrei
ben vedere! Siete della stessa razza! Anche se lei è
più pelosa
di te...”
Stavolta
si era toccato il fondo, tanto che l'offeso Ikakku borbottando
ingiurie verso l'amico, si preparava ad estrarre la propria zanpakuto
dal fodero.
Fu in
quel momento pieno di scintille, in quell'istante di pura adrenalina
generata in un momento inopportuno che il capitano se ne
uscì con
una sparata assai più grossa.
Nata
non tanto per fare scalpore, quanto per mettere la parola fine ad una
discussione noiosa che gli stava distruggendo i nervi.
“Beh
allora? Qual è il problema?! Io una volta ho baciato
una
donna senza neppure sapere il suo nome”
Silenzio
in sala.
Se il
capitano si aspettava un facile attenuarsi degli spiriti virili dei
suoi luogotenenti, rimase a dir poco deluso. Per quanto non volasse
una mosca dopo le sue incredibili parole, i volti dei due uomini
erano pressoché sconvolti, mentre quello della piccola
Yachiru era
contratto dalla curiosità.
“Hai
baciato una donna senza sapere chi era?! Che cosa buffa, dai
è
troppo strana!”
“Già...
È strana...”
La
piccola non poteva capire certi comportamenti tipici degli adulti.
Poteva comprendere solo alcuni aspetti, perchè tanto ingenua
non
era, ma mai Kenpachi si era adoperato ad insegnarle quel tipo
di comportamento. E ci teneva che almeno un po' innocente ci
rimanesse senza che certi idioti parlassero di cose che ancora non la
riguardavano.
E
forse, fu spinto da tali motivi che congedò la piccola,
imponendole
il ritiro nelle proprie stanze. Ossia andando a nanna.
Ordine
che non venne in nessun modo contestato, ma solo accolto da uno
sbadiglio di Yachiru che si apprestava a lasciare quel luogo
insolitamente freddo. Stranamente ubbidiente, forse per via della
stanchezza, lasciò i tre uomini al loro più
totale silenzio.
Yumichika
se ne rimaneva a braccia incrociate e con sguardo neutrale verso il
capitano silenzioso, mentre il compare Ikakku mostrava scetticismo in
volto con una alzata di sopracciglio. Senza nulla togliere alla
tensione che si stava facendo sempre più palpabile.
“Ah...
Lei intende...”
“Era
una fanciulla Madrame, chiariamoci subito”
Kenpachi
per quanto si ricordasse, non si era mai accompagnato con una
prostituta di nessunissimo distretto.
Erano
i vigliacchi che si compravano la felicità con pochi
spiccioli, per
questo lui la sua passione l'aveva sempre stemperata nella battaglia.
Attualmente, l'unica femmina che toccava come il più rozzo
degli
amanti era solo la sua spada malandata.
Ad
ogni modo, non era una puttana quella che lui tanto tempo fa aveva
baciato, e per tale motivo volle ben specificarlo ai suoi
luogotenenti.
“Una
fanciulla...? Cioè, voglio dire...”
“...Come
ha fatto?” Concluse la domanda Ayasegawa con tono placido a
differenza dell'impacciato amico.
Anche
se non era tenuto a dare spiegazione ai suoi uomini, la frittata era
fatta e non era corretto tenere tutto all'ombra. Anche se la cosa gli
seccava alquanto, Zaraki dette la sua rapida spiegazione.
“È
successo molto tempo fa, quando ancora bazzicavo nell'ottantesimo
distretto. Li ci si ammazzava davvero per poco... Era come regredire
a bestie”
Sospirò
il capitano a quei lontani ricordi, che ancora gli ricordavano quale
sapore avesse il sangue nella bocca, e il fetore di tanti corpi
sventrati da sciabolate micidiali.
Rilassandosi,
sbuffò piano il fumo dalle labbra, come un drago che esala
il suo
ultimo respiro, prima di continuare il suo breve racconto ai due
soldati silenziosi.
“Fu
su un campo di battaglia che la trovai. Vestita di bianco, e sporca
come un vitello appena nato di sangue, non sembrava esattamente il
più forte dei guerrieri li in mezzo”
Era
strano rimembrare quei ricordi seppelliti sotto il peso di anni
incalcolabili, e di altri ben più terribili ricordi che
ancora lo
perseguitavano nonostante il suo essere capitano.
Scrollò
le spalle quasi con noia prima di concludere tutto il racconto.
“La
baciai sulle labbra per consolarla e null'altro. Poi se ne è
andò
via senza dire una parola”
Per i
dei due shinigami, il racconto del capitano sembrava quasi una favola
alle loro orecchie tutt'altro che ingenue.
Yumichika
e Ikakku si dettero rapide occhiate quasi scettiche a quel racconto,
ma poi si ricordarono che Zaraki non era uomo da raccontare fandonie.
A modo suo la verità la diceva sempre, e lo faceva spesso
senza
filtri.
“Era
bella?”
Sembrava
che il luogotenente Ayasegawa fosse l'unico ad aver voglia di fare
domande li in mezzo, ma lo fece con tono morbido e non scettico.
A
risposta ricevette solo un prolungato silenzio di un capitano assorto
a guardare le prime lucciole danzare nel giardino, accompagnato
infine da un breve cenno della testa a mo di “si” e
nient'altro.
Kenpachi
era uomo di poche parole, e più propenso ai fatti. Quindi
quella
piccola chiacchierata l'aveva messo a forte disagio davanti ai suoi
uomini, per quanto non lo avesse dato in nessun modo a vedere.
Era
riuscito a zittire quelle due cornacchie, e questo gli bastava. E per
quanto Madrame e Ayasegawa sospettassero che il loro capitano non
avesse detto del tutto la verità, non stettero li ad
insistere su
quello che sembrava a tutti gli effetti un passato triste e scomodo.
Ma non
era delle ferite dell'amore che Kenpachi si ritrovava a sospirare
quasi con colpevolezza, come erroneamente credettero i due uomini che
decisero di ritirarsi pure loro nelle proprie stanze.
No...
Era qualcosa di più incredibile e scabroso ciò
che venne omesso in
quella loro discussione.
Certi
ricordi con il tempo si fanno flebili, altri invece, si fanno pesanti
come macigni.
Quello
di Zaraki era un ricordo che pesava come una montagna sulle sue
spalle piene di cicatrici, il cui peso era calcolabile alla frenesia
che alle volte lo coglieva durante la battaglia o per strada, se
incontrava una donna simile a quella che aveva incontrato anni prima.
Si, ci
era stato davvero in quel campo di battaglia.
Un
luogo di morte bagnato dalla tiepida nebbia mattutina, con la rugiada
che copriva i corpi smembrati di disgraziati e predoni che avevano
avuto la sfortuna di incrociarlo.
Nel
folto di quella nebbia umida e calda, che ti si appiccicava alla
pelle come una fastidiosa pellicola, vi era un nemico che nella furia
della battaglia non era caduto assieme agli altri.
Con la
notte spesa a fare la guerra – amore – con la
propria spada, a
tanti nemici pieni di rancore che di vero intento omicida, la vista
di Kenpachi era offuscata dalla troppa adrenalina e dal sangue degli
avversari schizzato su di lui a fiumi.
Le
ciocche di capelli d'ebano, incollati alla fronte dal sudore misto al
sangue nemico, lo portarono ad osservare confuso chi si stagliava
davanti a lui al suo lento avanzare sul campo di battaglia.
La
figura non si muoveva, ma ciò non lo fece desistere dal
tenere
puntata in avanti la lama devastata.
Avanzando
su quei corpi straziati a piedi scalzi, bagnandosi ancora di umori
impronunciabili, giunse carico di euforia repressa verso l'unico
individuo rimasto ancora in piedi nonostante la sua mattanza.
Se ne
stupì di trovarsi di fronte quella che a prima vista era una
fanciulla.
Zaraki
ai suoi uomini non aveva mentito, ma si era semplicemente limitato ad
omettere certi aspetti di quell'incontro.
Non
disse a nessuno che lo sguardo di quella femmina non era timoroso
della presenza spaventosa del guerriero. Non fece confidenza che la
sua mano destra era armata di spada quanto quella
del
guerriero, e che i fragili abiti di lino bianco erano sporchi di
sangue fino a diventare trasparenti.
Aveva
omesso quale ardente passione aveva provato alla vista di quella
creatura così divina – blasfema – da
tentarlo in modo viscerale.
Il suo
non fu un gesto consolatorio, non fu con intento di stemperare la
paura di un'anima innocente quello che lo consumò quel
giorno.
Avanzando
piano e attento, con il solo respiro a riempire quell'innaturale
silenzio, il guerriero avanzò verso la creatura fino a
ghermirla.
E il
lieve bacio sulle labbra del racconto effimero, si stemperò
alla
realtà dei ricordi, che lo volle vorace come un leone che
divora
l'agnello.
Famelico,
l'avvolse in un abbraccio stretto e morboso, mordendo le sue labbra
come affamato di carne da anni di astinenza, avvertendo sempre
più
l'adrenalina che misteriosa saliva a vette sempre più alte.
Quel
bacio sapeva di sangue. Sapeva di strazio, e aveva il sapore della
più sfrenata lussuria che mai un guerriero assetato di
battaglie
avrebbe potuto provare.
Provò
uno strano formicolio nel petto per tutto il tempo che
consumò
quell'oltraggio assieme alla più sporca
delle creature
esistenti. Una sensazione primordiale che gli attanagliò il
petto e
portava il suo cuore a pompare sangue bollente per tutto il corpo.
Per
quanto disturbante fosse, quel formicolio era oltremodo piacevole da
provare, e nella sua mente offuscata parve fosse la fanciulla stessa
a scatenare in lui tutta quella confusione.
La
cosa più incredibile di quel giorno, è che non
avrebbe ricordato
alla perfezione ogni singolo dettaglio di quella donna sconosciuta.
Non
avrebbe ricordato di che colore fossero stati i suoi capelli, forse
biondi dato che provava una strana sensazione ogni qual volta vedeva
una donna con tali capelli.
Non
avrebbe mai rimembrato il suo volto in ogni dettaglio, giusto le
labbra e la sua lingua affamata, ma nulla era in confronto allo
scombussolamento che la sua anima provò al bacio della bestia.
A
stento ricordava alcuni dettagli peculiari di quel volto solo in
apparenza innocente, ma ricordava la strana durezza di una maschera
dentata al contatto con la sua guancia. E poi la prova di quella
spada insanguinata, bella e letale quanto la sua padrona.
Non
ricordava i dettagli, ma ricordava il momento. Questo si.
Tutti
dettagli che all'epoca si fecero più confusi quando lei lo
spintonò
via soddisfatta di quel facile pasto, e ridendo si dileguò
come uno
spirito della foresta, lasciando un guerriero ancora confuso e
sconvolto.
Avrebbe
ricordato la sua risata a lungo, soddisfatta e con una punta di
malizia nel timbro, prolungata tra quelle fronde infinite di alberi
freschi di rugiada e sangue. Ma oltre quello, l'istinto lo
portò a
rimuovere buona parte di quel pericoloso incontro.
Lo
avrebbe saputo solo più tardi cosa aveva realmente
incontrato in
quel luogo di morte, e ciò in parte non lo stupì
del tutto.
Gli
Hollow nella Soul Society erano una rarità, ma un Vasto
Lorde era un
qualcosa che si poteva leggere solo nelle favole. Eppure,
ciò che
vide in quella radura tanti anni prima di quella spiacevole
chiacchierata fatta con i suoi commilitoni, non poteva che essere una
di quelle creature tanto leggendarie quanto temute. Che cosa ci
faceva li in mezzo ad una terra per lei aliena, questo mai lo avrebbe
saputo, e mai francamente lo avrebbe interessato più di
tanto.
Non
era uomo che si poneva quel tipo di problemi.
Tracciate
di malvagità inaudita, era strano per lui constatare quanta
affinità
si trovava a possedere con tali creature. O questo almeno era
ciò
che gli passava per la testa ogni qual volta si ritrovava a pensare a
quel giorno strano e buio.
Se era
così intenso baciare una di quelle creature –
avendo quasi il
sentore di avvertire la furia delle anime loro schiave – come
sarebbe stato combattere contro una di loro?
Lui,
Zaraki Kenpachi, colui che mai era caduto a terra durante un
combattimento, sorrise a quel pensiero tanto blasfemo quanto genuino.
E per quanto quel ricordo oscuro gli portasse spesso turbamento in
corpo, poiché quasi gli ricordava ogni volta la bestia
dentro
la sua anima, non poteva fare a meno di fantasticare su ipotetici
scenari futuri.
Pur
restando consapevole, che nessun suo commilitone o superiore, avrebbe
mai dovuto sapere ciò che lo coinvolse quel dì
con tanta foga e
accondiscendenza.
Sbuffò
ancora fumo dalle labbra rovinate dal tempo, smorzando ben presto il
sorriso inopportuno che aveva accompagnato quel suo ultimo pensiero,
mentre la notte era ormai calata del tutto nel giardino della sua
divisione.
In lui
c'era una bestia che dormiva, e che al momento opportuno si scatenava
a discapito dei tanti capitani altezzosi che ben si guardavano dal
compiere e pensare gesti così sporchi
come i suoi.
Perchè
la bestia fa paura. Ma attira.
Perchè
la bestia è una autentica allegoria di quel che lui
rappresenta da
sempre, eppure non le si può negar fascino.
Ma per
il momento, si sarebbe limitato a seppellire quei ricordi sotto il
peso di una montagna, estraendoli solo quando la battaglia avrebbe
gridato il suo nome.
Metto
le note a fine pagina anziché sopra.
Un
racconto piuttosto nosense questo, ma mi andava di scrivere qualcosa
su Kenpachi e no, non è da considerare una Zaraki x Nuovo
Personaggio. O almeno io non la considero come tale.
Consideratela
appunto come una allegoria del suo essere. Ho voluto dare una
“forma”
gravosa della sua furia in battaglia, dandole una forma di arrancar.
In principio volevo fare qualcosa di molto più etereo, e in
parte
l'ho fatto dato che la figura femminile non viene decritta in ogni
suo particolare, ma la mia idea era quasi di mostrare il suo lato
più
feroce e istintivo.
Zaraki
come personaggio mi piace, e mi piace la sua filosofia di vita
nonché
la ferocia in battaglia. Non mi da assolutamente l'idea di uno
stupratore o di uno psicopatico, e questo ho voluto ben chiarirlo
nella storia.
Per il
resto, se avete letto tutto e siete arrivati sino a qui vi faccio i
miei complimenti. Spero che vi sia piaciuta! Fatemi sapere cosa ne
pensate!