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Autore: ElderClaud    06/07/2010    5 recensioni
“Beh allora? Qual è il problema?! Io una volta ho baciato una donna senza neppure sapere il suo nome”
Perchè la bestia fa paura. Ma attira.
Perchè la bestia è una autentica allegoria di quel che lui rappresenta da sempre, eppure non le si può negar fascino.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ayasegawa Yumichika, Kusajishi Yachiru, Madrame Ikkaku, Zaraki Kenpachi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Il bello è qualcosa di essenziale Ikakku. Se sei circondato da cose belle, è ovvio che ci si senta più appagati e felici”
“Oh certo! Come se basare la propria vita a fare il fighetto, fosse una cosa appagante come maneggiare una spada”
“Sai... non sono sorpreso che uno come te dica queste cose...”

Alle sei e mezza della sera, quei due ci stavano ancora dando dentro con irrisolvibili discussioni iniziate già alle prime luci dell'alba. Senza ne capo ne coda, se non erano questioni serie allora si parlava unicamente di cose che il capitano Zaraki davvero non comprendeva.
Alle volte ci si poteva davvero chiedere dove Ikakku e Yumichika trovassero il tempo di polemizzare per ogni santissima cosa.
Sulla veranda della caserma dell'undicesima divisione, il capitano e i suoi luogotenenti stavano attendendo l'arrivo della sera pulendo le armi e fumando tabacco dalle lunghe pipe d'avorio.
Con l'arrivo della stanchezza dopo una giornata di estenuanti pattugliamenti, missioni e cazzi vari, anche l'uomo più duro alla fine si sfiancava, tramutandosi per quello che era in realtà. Non un guerriero puro, ma un semplice essere umano fatto di carne e pensieri.
Allora ecco che il volto perfetto di Ayasegawa si segnava di occhiaie e si faceva più pallido, quello dell'instancabile Madrame mostrava rughe di profonda stanchezza, e il volto del capitano Kenpachi mostrava impietoso l'età avanzata di un guerriero non più nel fiore degli anni.
Persino Yachiru era sempre provata dopo una giornata di lavoro. E tutta la sua iperattività si stemperava, mostrando solo la voglia di giocare con un pezzetto di carta vecchio e consunto, accovacciata accanto al suo capitano preferito.
Da parte di Kenpachi invece, solo la voglia di gustarsi il sopraggiungere della sera fumando tabacco velenoso con la pipa cesellata finemente, e nient'altro. Un “regalo” pescato nelle tasche di un cadavere giù nel vecchio quartiere dove un tempo bazzicava, lasciando che il vento fresco della sera rinfrescasse l'atrio e calmasse i bollenti spiriti.
“... Sei un bifolco quando ti ci metti sai? Poi non mi stupisco che tu non abbia frotte di donne adoranti ai tuoi piedi”
“A-ancora con questa storia? Guarda che io me ne sto bene da solo!”
“Certo, allora perchè sei invidioso di me?”
Stavano iniziando ad alzare la voce quei due, e quando facevano così i poveri nervi di Zaraki andavano sempre a farsi benedire.
Se non fosse stata per la stanchezza che gli prendeva tutto il corpo, avrebbe preso i due a sciabolate – non necessariamente di piatto – per farli stare zitti e fumare in santa pace.
Invece si limitò a sbuffare piano esalando così del fumo dalle labbra dischiuse. Gesto esasperato che attirò l'attenzione della sua piccola luogotenente, prossima a farsi scappare una piccola risata divertita.
“Li trovi così divertenti?!”
“Sono stupidi! Per questo sono divertenti!”
Yachiru con le sue piccole mani, stava tentando di dare una forma concreta a quel foglio di pergamena, senza però avere molto successo. La gru di carta sembrava più che altro una specie di montagnola indistinta, piuttosto che un reale origami ben fatto. Per quanto non lo desse a vedere, anche la bambina era troppo stanca per concentrarsi per bene.
Chi invece non mostrava stanchezza erano quei due presunti adulti ormai prossimi a darsele di santa ragione come due mocciosi. Il tutto, sempre e comunque, per motivi che erano sempre e solo quelli.
Lo stanco capitano, scostò gli occhi dal paesaggio fornito dallo spartano giardino della divisione, per guardare i due parlare ad alta voce e gesticolare come due vecchie contadine.
Costantemente, si finiva col toccare i soliti argomenti. Fino allo stremo, fino alla noia. E si che non erano due ragazzi stupidi...

Prima si iniziava a parlare del lavoro, poi si smetteva di lamentarsi di un po' di tutto e si parlava di cose futili. Misteriosamente Yumichika riusciva sempre ad infilare il suo narcisismo ovunque, ed ecco che la situazione lentamente degenerava, dato che il suo compare Madrame aveva sempre e comunque la stessa pazienza di uno scorpione pestato accidentalmente.
Ossia nulla.
Quindi la prima cosa che i due iniziavano a rinfacciarsi a vicenda riguardava gusti personali e lo stile di vita, poi si arrivava a parlare di donne – e per quanto possa essere un argomento di discreto interesse pure per il loro capitano – il tutto si riduceva al solito ad una cosa così infantile che i due di consuetudine alzavano la voce e finivano col invocare il nome di una sola persona...
Capitano!”
Ecco appunto, lui.
In coro quelle due comari camuffate da shinigami invocarono l'attenzione di Zaraki, che tuttavia arrivò a scoppio ritardato.
Sbuffando una nuvola di fumo grigiastro e aromatico, il capitano dell'undicesima brigata voltò lentamente il capo verso i suoi uomini fulminandoli con lo sguardo.
“Cosa?” volle sapere a bruciapelo.
Il silenzio cadde improvviso come una tormenta di neve tra i due, ritrovandosi a deglutire nell'incertezza di dare risposta. Alle volte finivano col rimanersene zitti e lasciare che il capitano desse loro una veloce strigliata ad alta voce, altre volte come in quel caso specifico, qualcuno tra l'indignato e il piagnucoloso iniziava a lamentarsi.
Fu il caso del luogotenente Madrame.
“Capitano! Quest'insolente – indicò senza guardare il compagno che già se la rideva – continua a dubitare delle mie doti di seduttore!”
“Chiamiamole pure doti il tuo importi come una scimmia in calore davanti alle donne...”
Yumichika era preda della ridarella per quanto tentasse di trattenerla in tutti i modi, e per tale motivo aveva le lacrime agli occhi. A stento riusciva a trattenere la mano destra sulla bocca.
Di tutt'altro parere era Ikakku, che ormai rosso come il sole al tramonto aveva tutta l'aria di esplodere.
Ma tu guarda te se questi dovevano mettersi a parlare di cose simili proprio in quel momento, con una bambina nei paraggi per di più.
“Per tua informazione... La locandiera del quarantesimo distretto non le pensa allo stesso modo!”
“Vorrei ben vedere! Siete della stessa razza! Anche se lei è più pelosa di te...”
Stavolta si era toccato il fondo, tanto che l'offeso Ikakku borbottando ingiurie verso l'amico, si preparava ad estrarre la propria zanpakuto dal fodero.
Fu in quel momento pieno di scintille, in quell'istante di pura adrenalina generata in un momento inopportuno che il capitano se ne uscì con una sparata assai più grossa.
Nata non tanto per fare scalpore, quanto per mettere la parola fine ad una discussione noiosa che gli stava distruggendo i nervi.
“Beh allora? Qual è il problema?! Io una volta ho baciato una donna senza neppure sapere il suo nome”

Silenzio in sala.
Se il capitano si aspettava un facile attenuarsi degli spiriti virili dei suoi luogotenenti, rimase a dir poco deluso. Per quanto non volasse una mosca dopo le sue incredibili parole, i volti dei due uomini erano pressoché sconvolti, mentre quello della piccola Yachiru era contratto dalla curiosità.
“Hai baciato una donna senza sapere chi era?! Che cosa buffa, dai è troppo strana!”
“Già... È strana...”
La piccola non poteva capire certi comportamenti tipici degli adulti. Poteva comprendere solo alcuni aspetti, perchè tanto ingenua non era, ma mai Kenpachi si era adoperato ad insegnarle quel tipo di comportamento. E ci teneva che almeno un po' innocente ci rimanesse senza che certi idioti parlassero di cose che ancora non la riguardavano.
E forse, fu spinto da tali motivi che congedò la piccola, imponendole il ritiro nelle proprie stanze. Ossia andando a nanna.
Ordine che non venne in nessun modo contestato, ma solo accolto da uno sbadiglio di Yachiru che si apprestava a lasciare quel luogo insolitamente freddo. Stranamente ubbidiente, forse per via della stanchezza, lasciò i tre uomini al loro più totale silenzio.
Yumichika se ne rimaneva a braccia incrociate e con sguardo neutrale verso il capitano silenzioso, mentre il compare Ikakku mostrava scetticismo in volto con una alzata di sopracciglio. Senza nulla togliere alla tensione che si stava facendo sempre più palpabile.
“Ah... Lei intende...”
“Era una fanciulla Madrame, chiariamoci subito”
Kenpachi per quanto si ricordasse, non si era mai accompagnato con una prostituta di nessunissimo distretto.
Erano i vigliacchi che si compravano la felicità con pochi spiccioli, per questo lui la sua passione l'aveva sempre stemperata nella battaglia. Attualmente, l'unica femmina che toccava come il più rozzo degli amanti era solo la sua spada malandata.
Ad ogni modo, non era una puttana quella che lui tanto tempo fa aveva baciato, e per tale motivo volle ben specificarlo ai suoi luogotenenti.
“Una fanciulla...? Cioè, voglio dire...”
“...Come ha fatto?” Concluse la domanda Ayasegawa con tono placido a differenza dell'impacciato amico.
Anche se non era tenuto a dare spiegazione ai suoi uomini, la frittata era fatta e non era corretto tenere tutto all'ombra. Anche se la cosa gli seccava alquanto, Zaraki dette la sua rapida spiegazione.
“È successo molto tempo fa, quando ancora bazzicavo nell'ottantesimo distretto. Li ci si ammazzava davvero per poco... Era come regredire a bestie”
Sospirò il capitano a quei lontani ricordi, che ancora gli ricordavano quale sapore avesse il sangue nella bocca, e il fetore di tanti corpi sventrati da sciabolate micidiali.
Rilassandosi, sbuffò piano il fumo dalle labbra, come un drago che esala il suo ultimo respiro, prima di continuare il suo breve racconto ai due soldati silenziosi.
“Fu su un campo di battaglia che la trovai. Vestita di bianco, e sporca come un vitello appena nato di sangue, non sembrava esattamente il più forte dei guerrieri li in mezzo”
Era strano rimembrare quei ricordi seppelliti sotto il peso di anni incalcolabili, e di altri ben più terribili ricordi che ancora lo perseguitavano nonostante il suo essere capitano.
Scrollò le spalle quasi con noia prima di concludere tutto il racconto.
“La baciai sulle labbra per consolarla e null'altro. Poi se ne è andò via senza dire una parola”
Per i dei due shinigami, il racconto del capitano sembrava quasi una favola alle loro orecchie tutt'altro che ingenue.
Yumichika e Ikakku si dettero rapide occhiate quasi scettiche a quel racconto, ma poi si ricordarono che Zaraki non era uomo da raccontare fandonie. A modo suo la verità la diceva sempre, e lo faceva spesso senza filtri.
“Era bella?”
Sembrava che il luogotenente Ayasegawa fosse l'unico ad aver voglia di fare domande li in mezzo, ma lo fece con tono morbido e non scettico.
A risposta ricevette solo un prolungato silenzio di un capitano assorto a guardare le prime lucciole danzare nel giardino, accompagnato infine da un breve cenno della testa a mo di “si” e nient'altro.
Kenpachi era uomo di poche parole, e più propenso ai fatti. Quindi quella piccola chiacchierata l'aveva messo a forte disagio davanti ai suoi uomini, per quanto non lo avesse dato in nessun modo a vedere.

Era riuscito a zittire quelle due cornacchie, e questo gli bastava. E per quanto Madrame e Ayasegawa sospettassero che il loro capitano non avesse detto del tutto la verità, non stettero li ad insistere su quello che sembrava a tutti gli effetti un passato triste e scomodo.
Ma non era delle ferite dell'amore che Kenpachi si ritrovava a sospirare quasi con colpevolezza, come erroneamente credettero i due uomini che decisero di ritirarsi pure loro nelle proprie stanze.
No... Era qualcosa di più incredibile e scabroso ciò che venne omesso in quella loro discussione.

Certi ricordi con il tempo si fanno flebili, altri invece, si fanno pesanti come macigni.
Quello di Zaraki era un ricordo che pesava come una montagna sulle sue spalle piene di cicatrici, il cui peso era calcolabile alla frenesia che alle volte lo coglieva durante la battaglia o per strada, se incontrava una donna simile a quella che aveva incontrato anni prima.
Si, ci era stato davvero in quel campo di battaglia.
Un luogo di morte bagnato dalla tiepida nebbia mattutina, con la rugiada che copriva i corpi smembrati di disgraziati e predoni che avevano avuto la sfortuna di incrociarlo.
Nel folto di quella nebbia umida e calda, che ti si appiccicava alla pelle come una fastidiosa pellicola, vi era un nemico che nella furia della battaglia non era caduto assieme agli altri.
Con la notte spesa a fare la guerra – amore – con la propria spada, a tanti nemici pieni di rancore che di vero intento omicida, la vista di Kenpachi era offuscata dalla troppa adrenalina e dal sangue degli avversari schizzato su di lui a fiumi.
Le ciocche di capelli d'ebano, incollati alla fronte dal sudore misto al sangue nemico, lo portarono ad osservare confuso chi si stagliava davanti a lui al suo lento avanzare sul campo di battaglia.
La figura non si muoveva, ma ciò non lo fece desistere dal tenere puntata in avanti la lama devastata.
Avanzando su quei corpi straziati a piedi scalzi, bagnandosi ancora di umori impronunciabili, giunse carico di euforia repressa verso l'unico individuo rimasto ancora in piedi nonostante la sua mattanza.
Se ne stupì di trovarsi di fronte quella che a prima vista era una fanciulla.

Zaraki ai suoi uomini non aveva mentito, ma si era semplicemente limitato ad omettere certi aspetti di quell'incontro.
Non disse a nessuno che lo sguardo di quella femmina non era timoroso della presenza spaventosa del guerriero. Non fece confidenza che la sua mano destra era armata di spada quanto quella del guerriero, e che i fragili abiti di lino bianco erano sporchi di sangue fino a diventare trasparenti.
Aveva omesso quale ardente passione aveva provato alla vista di quella creatura così divina – blasfema – da tentarlo in modo viscerale.
Il suo non fu un gesto consolatorio, non fu con intento di stemperare la paura di un'anima innocente quello che lo consumò quel giorno.
Avanzando piano e attento, con il solo respiro a riempire quell'innaturale silenzio, il guerriero avanzò verso la creatura fino a ghermirla.
E il lieve bacio sulle labbra del racconto effimero, si stemperò alla realtà dei ricordi, che lo volle vorace come un leone che divora l'agnello.
Famelico, l'avvolse in un abbraccio stretto e morboso, mordendo le sue labbra come affamato di carne da anni di astinenza, avvertendo sempre più l'adrenalina che misteriosa saliva a vette sempre più alte.
Quel bacio sapeva di sangue. Sapeva di strazio, e aveva il sapore della più sfrenata lussuria che mai un guerriero assetato di battaglie avrebbe potuto provare.
Provò uno strano formicolio nel petto per tutto il tempo che consumò quell'oltraggio assieme alla più sporca delle creature esistenti. Una sensazione primordiale che gli attanagliò il petto e portava il suo cuore a pompare sangue bollente per tutto il corpo.
Per quanto disturbante fosse, quel formicolio era oltremodo piacevole da provare, e nella sua mente offuscata parve fosse la fanciulla stessa a scatenare in lui tutta quella confusione.

La cosa più incredibile di quel giorno, è che non avrebbe ricordato alla perfezione ogni singolo dettaglio di quella donna sconosciuta.
Non avrebbe ricordato di che colore fossero stati i suoi capelli, forse biondi dato che provava una strana sensazione ogni qual volta vedeva una donna con tali capelli.
Non avrebbe mai rimembrato il suo volto in ogni dettaglio, giusto le labbra e la sua lingua affamata, ma nulla era in confronto allo scombussolamento che la sua anima provò al bacio della bestia.
A stento ricordava alcuni dettagli peculiari di quel volto solo in apparenza innocente, ma ricordava la strana durezza di una maschera dentata al contatto con la sua guancia. E poi la prova di quella spada insanguinata, bella e letale quanto la sua padrona.
Non ricordava i dettagli, ma ricordava il momento. Questo si.
Tutti dettagli che all'epoca si fecero più confusi quando lei lo spintonò via soddisfatta di quel facile pasto, e ridendo si dileguò come uno spirito della foresta, lasciando un guerriero ancora confuso e sconvolto.
Avrebbe ricordato la sua risata a lungo, soddisfatta e con una punta di malizia nel timbro, prolungata tra quelle fronde infinite di alberi freschi di rugiada e sangue. Ma oltre quello, l'istinto lo portò a rimuovere buona parte di quel pericoloso incontro.
Lo avrebbe saputo solo più tardi cosa aveva realmente incontrato in quel luogo di morte, e ciò in parte non lo stupì del tutto.
Gli Hollow nella Soul Society erano una rarità, ma un Vasto Lorde era un qualcosa che si poteva leggere solo nelle favole. Eppure, ciò che vide in quella radura tanti anni prima di quella spiacevole chiacchierata fatta con i suoi commilitoni, non poteva che essere una di quelle creature tanto leggendarie quanto temute. Che cosa ci faceva li in mezzo ad una terra per lei aliena, questo mai lo avrebbe saputo, e mai francamente lo avrebbe interessato più di tanto.
Non era uomo che si poneva quel tipo di problemi.
Tracciate di malvagità inaudita, era strano per lui constatare quanta affinità si trovava a possedere con tali creature. O questo almeno era ciò che gli passava per la testa ogni qual volta si ritrovava a pensare a quel giorno strano e buio.
Se era così intenso baciare una di quelle creature – avendo quasi il sentore di avvertire la furia delle anime loro schiave – come sarebbe stato combattere contro una di loro?
Lui, Zaraki Kenpachi, colui che mai era caduto a terra durante un combattimento, sorrise a quel pensiero tanto blasfemo quanto genuino. E per quanto quel ricordo oscuro gli portasse spesso turbamento in corpo, poiché quasi gli ricordava ogni volta la bestia dentro la sua anima, non poteva fare a meno di fantasticare su ipotetici scenari futuri.
Pur restando consapevole, che nessun suo commilitone o superiore, avrebbe mai dovuto sapere ciò che lo coinvolse quel dì con tanta foga e accondiscendenza.

Sbuffò ancora fumo dalle labbra rovinate dal tempo, smorzando ben presto il sorriso inopportuno che aveva accompagnato quel suo ultimo pensiero, mentre la notte era ormai calata del tutto nel giardino della sua divisione.
In lui c'era una bestia che dormiva, e che al momento opportuno si scatenava a discapito dei tanti capitani altezzosi che ben si guardavano dal compiere e pensare gesti così sporchi come i suoi.
Perchè la bestia fa paura. Ma attira.
Perchè la bestia è una autentica allegoria di quel che lui rappresenta da sempre, eppure non le si può negar fascino.
Ma per il momento, si sarebbe limitato a seppellire quei ricordi sotto il peso di una montagna, estraendoli solo quando la battaglia avrebbe gridato il suo nome.



Metto le note a fine pagina anziché sopra.
Un racconto piuttosto nosense questo, ma mi andava di scrivere qualcosa su Kenpachi e no, non è da considerare una Zaraki x Nuovo Personaggio. O almeno io non la considero come tale.
Consideratela appunto come una allegoria del suo essere. Ho voluto dare una “forma” gravosa della sua furia in battaglia, dandole una forma di arrancar. In principio volevo fare qualcosa di molto più etereo, e in parte l'ho fatto dato che la figura femminile non viene decritta in ogni suo particolare, ma la mia idea era quasi di mostrare il suo lato più feroce e istintivo.
Zaraki come personaggio mi piace, e mi piace la sua filosofia di vita nonché la ferocia in battaglia. Non mi da assolutamente l'idea di uno stupratore o di uno psicopatico, e questo ho voluto ben chiarirlo nella storia.
Per il resto, se avete letto tutto e siete arrivati sino a qui vi faccio i miei complimenti. Spero che vi sia piaciuta! Fatemi sapere cosa ne pensate!

   
 
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