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Autore: metisket    06/07/2010    2 recensioni
Le varie ragioni del perché Kanda e Allen possono avere esattamente la stessa opinione di una persona ed essere capaci di litigare lo stesso.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Yu Kanda
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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NdT: volevo solo dirvi che per i nomi ho usato le traslitterazioni scelte dall’autrice : D Per il resto, non avendo con me i volumetti, spero di aver azzeccato la terminologia italiana andando a memoria xD
Oh, e a un certo punto ho dovuto modificare una citazione della traduzione italiana del manga per seguire la fic originale. Non dovrebbe essere difficile intuire il momento da cui sono prese, però, e questa è la cosa importante :D

NdA: La domanda sempre intrigante del perché Kanda e Allen siano spettacolosamente incapaci di andare d’accordo si è appena fatta un po’ più intrigante. È come se si trovassero agli estremi opposti dello stesso problema e si gridassero a vicenda stai sbagliando tutto.
Sono carini nel loro fail. :D
Spoiler per la backstory di Kanda. DGM non mi appartiene. Appartiene alla Hoshino, una donna assai più malvagia.
Grazie a zephy_magnum per il betaggio! ^_^


Growing Up by Accident ~ Crescere per caso





Mana era malato.

All’inizio non era sembrato nulla di che. Un colpo di tosse qua e là. Forse era un po’ pallido, forse dormiva un po’ più a lungo del solito. Solo un raffreddore, pensava Allen.

Non era solo un raffreddore, ed erano settimane che Mana non si alzava in piedi da solo. La sua pelle era ora come un foglio di carta giallo accartocciato, come se qualcosa gli stesse franando dentro. Certi giorni sembrava che dovesse far appello a tutte le sue energie solo per continuare a respirare.

“Allen, oggi papà come sta?” chiese Daniela al panificio.

“Credo stia migliorando,” mentì Allen, raggiante, perché la verità l’avrebbe intristita. “Forse sarà in piedi tra un paio di giorni. Te lo porterò qui!”

“Hm.” Lei gli porse una borsa di panini, pagnotte e cose dolci.

“Oh, grazie. Quanto…?”

“Oggi offro io. Di’ a papà, ha detto Daniela che faresti meglio a rimettersi presto in piedi.”

“Grazie mille, Daniela!”

Era stata una buona idea non far intristire Daniela. La gente triste, ovvero le persone che avevano già rinunciato a te, non regalava cose da mangiare con la stessa frequenza di chi pensava che donandotene avrebbe potuto fare del bene.

Secondo lui le persone non erano tendenzialmente cattive. Di solito volevano rendersi utili, e la mano te la davano, finché avevi l’accortezza di agevolarli nell’impresa. Era questo che non aveva capito quand’era più piccolo. Aveva reso le persone tristi impedendo loro di aiutarlo, e perciò se l’erano presa con lui. Un malinteso, niente di più. A parte Cosimo: lui era stronzo e basta.

Eseguì il resto delle commissioni. Comprò quasi tutto ciò di cui avevano bisogno, ma oltre al pane ricevette gratis anche le mele, degli strani pezzi di pollo, e una coperta che il macellaio non voleva.

Il giorno dopo avrebbe potuto evitare in toto di andare a fare la spesa. Era stata una bella giornata.

Salì di corsa i gradini dell’ostello diroccato in cui alloggiavano, ma si fermò di fronte alla soglia per la ramanzina, il mantra che si ripeteva sempre prima di varcare la soglia.

Non conta quello che vuoi tu. Tu non hai niente che non va.

È Mana quello che sta male, non tu.

L’unica cosa che conta è ciò di cui ha bisogno Mana.

Tu non conti adesso. Tu non conti.

Tu sarai tutto ciò di cui lui avrà bisogno.


Aprì la porta.

Per un attimo pensò che Mana fosse già morto, tanto era immobile. Ma poi inspirò, un terribile rantolo boccheggiante. Avevano superato un altro giorno.

Mana riusciva a badare a se stesso ogni giorno di meno, ma non importava. A quello poteva rimediare Allen. Mana non aveva bisogno di fare niente, poteva concentrarsi solo su come riprendersi

—a qualunque costo—

ché lui si sarebbe occupato del resto.

L’uomo aprì gli occhi, e per un secondo, fu chiaro che non sapesse nemmeno dove si trovava. Allen aveva voglia di urlare.

Ma invece sorrise. “Buongiorno, Mana.”

Mana capì gradualmente dov’era. Dopo essersi preso un momento per esaminarlo, si ricordò pure chi era Allen, e corrugò la fronte. “Allen. Sei insolitamente dolce. È un brutto segno?”

Allen non era proprio capace. “Avevo pensato di confonderti per farti mangiare delle cose salutari con l’inganno mentre tu eri distratto.”

Mana ricambiò il sorriso. Punto per Allen. “Avrebbe potuto funzionare, ma poi hai rovinato tutto aprendo la bocca…”

Si interruppe per tossire. Tossiva e tossiva e non riusciva a respirare, e anche quando riuscì a respirare, stava male. Allen lo sentiva con le sue orecchie quanto gli faceva male. E non c’era niente, niente che Allen potesse fare a parte posare la spesa e sedersi accanto a lui a pensare cose totalmente inutili come, Mana, io ho tanta aria. Prendi la mia.

Stupido. Non era così che funzionava.

“Scusa,” ansimò Mana quando fu finalmente finita, emettendo una risata ansante. “E proprio mentre stavo facendo lo spiritoso, per giunta.”

Allen sorrise ancora e si sentì allo stremo, distrutto ed esausto; non gli era rimasto più niente da dare. Da quanto tempo erano così? Gli sembrava un’eternità. Il ricordo di Mana che stava bene non sembrava neanche più reale, troppo bello per essere vero, un sogno. Ma no, era solo… un anno? Sì. Sì, perché aveva cominciato a stare male subito dopo aver dichiarato i suoi nove anni, e secondo i calcoli di Mana adesso ne aveva dieci.

Solo un anno ma Dio, Allen era tanto stanco. Era stanco di guardare Mana che stava male, stanco della pietà della gente, stanco di fingere che tutto andasse bene quando in realtà andava tutto malissimo, quanto faceva incubi ogni notte e ogni giorno era così

Per Mana era più difficile. Era molto più difficile, per Mana. Allen doveva ingoiare il rospo, perché questo non era nulla in confronto. Non era lui quello che stava male. Lui funzionava alla perfezione.

Smettila subito.

“Mana, tu non ce la fai ad essere davvero spiritoso,” disse, sbattendo velocemente le palpebre perché i suoi occhi idioti stavano iniziando a pungere. “Forse è meglio se non ci provi affatto.”

“Piccola peste,” mormorò Mana. “Pensavo che sarei riuscito a non farti comportare più da peste, ma evidentemente mi sbagliavo.”

Quel tono malinconico non gli piaceva neanche un po’. “Antonio mi ha regalato una coperta e dei pezzi sparsi di pollo che non era riuscito a vendere. Daniela mi ha regalato il pane e mi ha detto di dirti che devi rimetterti. Paulo mi ha regalato le mele. Nessuno di loro pensa che io sia una piccola peste. Loro pensano che io sia dolce, simpatico e bla bla bla.”

“Beh, li hai imbrogliati per bene, eh?” commentò Mana con affetto, tendendogli una mano. Allen la prese. “Allen, ringraziali per me la prossima volta che li vedi.”

“Va bene.”

“Non so cosa farei senza di te,” bisbigliò lui, quasi come se si sentisse in colpa. Allen rispose con un sorriso fermo.

Io sono tutto quello che tu hai bisogno che io sia.



“Per la gloria di Dio,” disse Levellier.

Kanda non sapeva per cosa si fosse invocata questa gloria di Dio perché aveva smesso di ascoltare seriamente una decina di minuti prima, e ogni tanto stava attento e si ridistraeva a caso.

“L’Ordine Oscuro è l’unica cosa su cui tu possa fare affidamento.”

Lui portò gli occhi al cielo e poi li puntò fuori dalla finestra, rifiutandosi di guardare l’uomo. Affidarsi all’Ordine Oscuro sarebbe stato un suicidio. Con tutti i suoi segreti, le bugie e i tradimenti, era più pericoloso per i suoi agenti di un qualunque akuma. Nulla era ciò che sembrava. Le informazioni venivano accumulate, tramutate in armi e prigioni.

Tutti sapevano come stavano le cose; era inutile che Levellier mentisse al riguardo. Tutti stavano comunque al gioco perché non credevano ci fossero alternative.

Tutti tranne Kanda, che sapeva che erano tutte stronzate e si rifiutava di averci niente a che fare. Già aveva perso almeno una volta a questo gioco, non vedeva ragioni per rientrare in gara. Tanto non aveva mai avuto molta pazienza per i giochi. Per quello che riusciva a ricordare.

“È inaccettabile che un esorcista resista alla volontà dell’Ordine Oscuro, che è la volontà del Vaticano, la volontà di Sua Santità il Papa!”

Gli stava dando una strigliata perché permetteva a Lenalee di nascondersi in camera sua. In teoria avrebbe dovuto impedirglielo, perché a quanto pareva era un—

“Eresia!”

—un’eresia, giusto. Oltretutto blasfema, non ne dubitava. Blasfemo, un po’ come se qualcuno avesse costretto l’Innocence a sincronizzarsi con delle persone non compatibili o avesse mescolato i morti con i vivi e li avesse fatti crescere in delle tinozze di liquido.

Hmmmm.

“Kanda Yu, spero che tu abbia capito quello che ti ho appena detto. Non tollererò alcuna forma di disobbedienza.”

Cos’avrebbe dato per sapere cosa credevano di potergli fare per destare il suo stupore, a questo punto. Era abbastanza sicuro di essere già stato torturato fino ai limiti dell’immaginazione dell’Ordine, e ehi. Era ancora in piedi o no.

Certo, anche le persone dallo sguardo più acuto tendevano a guardare Kanda e vedere solo un ragazzino giapponese nella pubertà. Persino lui dimenticava la verità, a volte. I ricordi della sua vita precedente erano piuttosto discontinui, mentre le richieste del corpo erano immediate. Di tanto in tanto, si ritrovava a comportarsi come un ragazzino dell’età che dimostrava. Nascondeva le ferite, cercava di fare il duro. Fantasticava, s’imbronciava. Le puttanate degli adolescenti.

Forse era per questo che generalmente si disapprovava la resurrezione: confondeva troppo tutti quanti.

Di più, era surreale. Per fare un esempio: al momento della sua morte, probabilmente tra lui e Levellier non c’era stata la grande disparità di età che c’era ora. Magari si conoscevano, anche se Kanda non riusciva a ricordarlo. Sospettava di riuscire a ricordare solo le cose che aveva considerato più importanti, perciò non c’era da stupirsi se aveva rimosso Levellier. Chissà in che rapporti erano stati la prima volta.

Gli piaceva pensare che si fossero odiati a vicenda.

“Tieni a mente quello che ti ho detto. Riferisci direttamente a me ulteriori infrazioni della disciplina. Rompi le righe.”

“Io a lei non riferirò un bel niente,” lo informò Kanda, in tono chiaro e lento, in modo che non ci fossero equivoci. Poi chinò il capo e se ne andò, i passi che risuonavano nel silenzio stupefatto di Levellier. Arrivò fino alla fine del corridoio prima che lo richiamasse. Continuò a camminare. Aveva già sprecato abbastanza tempo.

Ma che cazzo di scherzo era? Seppure Kanda avesse subito un cambiamento radicale della personalità e avesse deciso in fin dei conti di giocare i giochi dell’Ordine, non si sarebbe messo in combutta con Levellier, la prova vivente del perché fare il lavaggio del cervello ai bambini con la religione militante era una pessima idea.

Comunque fosse, la sua personalità non era mutata negli ultimi tempi. Quindi fanculo i loro giochetti.

Tutti mentivano? Lui non avrebbe mentito. Fanculo le menzogne. Le loro bugie non gli avevano fatto alcun bene; avrebbe preferito crepare piuttosto che infliggere la stessa crudeltà a qualcun altro.

Se tutti prendevano nota di ogni parola proferita, allora Kanda non avrebbe parlato a meno che non fosse stato assolutamente necessario. Se volevano torturare a morte Lenalee, lui l’avrebbe nascosta. Se volevano che lui vivesse per sempre, si sarebbe tolto la vita di proposito. Se volevano che dimenticasse il passato, si sarebbe stretto a quei frammenti di memoria con tutte le sue forze.

A loro non doveva niente, e da loro non voleva niente. Non poteva ancora scrollarseli di dosso, ma poteva assicurarsi che il massimo a cui arrivassero era coesistere.

Le cose sarebbero cambiate non appena avesse trovato la persona che stava cercando. Fino ad allora, non c’era motivo di agitare le acque. Che pensassero pure di averlo convertito in un esorcista relativamente obbediente (per la seconda volta). Che pensassero pure quello che diamine volevano. Lui non avrebbe mentito, ma non avrebbe fornito informazioni di sua spontanea volontà.

Non avrebbero avuto più niente, da lui. Gli avevano estorto molto più del dovuto.



La gente ci sapeva fare quando si trattava di plasmare le abitudini per caso. Quello che con Mana aveva fatto andare tutto a gonfie vele era molto meno efficace se applicato a tutte le persone che gli piacevano adesso, ma ormai, Allen non sapeva come altro comportarsi. Non sapeva se la cosa dovesse impensierirlo o meno.

Qualunque cosa di cui hai bisogno.

Aveva scoperto, col trascorrere degli anni, che non era sempre sicuro di quello che voleva per se stesso, o dei suoi desideri in generale. Di solito impiegava il tempo a tentare di capire cosa i suoi cari volessero che lui volesse. Non sapeva cosa ne avrebbe pensato Mana. (È questo che Mana avrebbe voluto?)

Però una cosa bisognava dirla riguardo a questo modo di pensare: lo aveva fatto andare avanti. Lo aveva portato fino a questo punto.

“Non ho la più pallida idea di cosa dovrei fare.”

“Basta che tu sia te stesso, Allen,” gli spiegò Lenalee. Chissà perché le persone dicevano sempre frasi del genere quando nessuno ci credeva. Sapeva perfettamente com’era fatto. Sapeva che tenendo questa nozione per sé faceva un favore a tutti. Su che base Lenalee supponeva che stesse sbagliando?

“Beh, è un inizio,” rispose, perché a una bugia educata si risponde con una bugia educata. “Ma cos’è che dovrei dire?

“Che dobbiamo aspettare per capire con cosa abbiamo a che fare,” disse lei, con saldo ottimismo.

Sotto normali circostanze, sarebbe stato lavoro dei Finder calmare i civili dopo un attacco degli akuma. Quello di questa volta, tuttavia, era capitato proprio alle porte di Edimburgo, e c’erano dunque molte più persone che volevano essere calmate. Così erano stati chiamati gli esorcisti.

A volte non sapeva cosa frullasse nella testa di Komui. Proprio non lo sapeva.

Lavi e Bookman erano andati per conto proprio, e che Dio aiutasse chiunque avrebbe dovuto farsi consolare da loro. Miranda e Marie erano insieme; non avrebbero avuto problemi. Allen era con Lenalee, e ci poteva stare, e con Kanda, e qui si sprofondava nel ridicolo.

Kanda aveva molti talenti, Allen gliene rendeva atto. Ma già solo l’idea di lui che consolava qualcuno era più squilibrata di Komurin, degli intrugli demenziali e delle bambole a forma di Komui che cantavano ninnananne messi insieme. Sarebbe stato impossibile, Lenalee avrebbe dovuto imbavagliarlo, e ad Allen sarebbe toccato parlare per tutti. Sempre che Kanda non fosse riuscito a sfuggire alla vigilanza di Lenalee e avesse aperto la bocca, perché in tal caso…

Era stanco solo a pensarci.

Andarono nella prima casa. L’uomo all’interno era l’unico superstite; pareva che il resto della sua famiglia fosse morta mentre cercava di correre verso casa. Allen era pronto ad avere molta compassione.

Ma nel giro di trenta secondi divenne evidente che non sarebbe riuscito a racimolarne di vera; e che, anzi, avrebbe dovuto dare il meglio di sé anche solo per fingerla. Quell’uomo era una creatura sottile e mingherlina. Camminava gobbo, come se vivesse nel timore costante di un calcio nello stomaco. Aveva l’abitudine nervosa di torcersi le mani e di leccarsi le labbra ogni volta che qualcuno gli rivolgeva la parola.

E fin qui sarebbe andato tutto bene, se non fosse stato che poi si era messo pure a parlare.

“Come mi proteggerete?” piagnucolò. “Come farete a scacciare quelle cose? Restate con me!”

Era terribile, pensò, quanto quest’uomo fosse affranto dalla perdita della moglie e dei figli.

Era solo la loro prima casa, e doveva appartenere a un uomo che non potevano cambiare, non potevano sfruttare, e di cui non potevano tollerare la presenza. Ovviamente.

“Signore, non si preoccupi. Agli akuma non piace tornare due volte nello stesso luogo.”

Kanda sbuffò, e perfino Lenalee inarcò un sopracciglio. Già, era una sfacciata bugia. E allora? La verità non avrebbe aiutato quest’uomo, li avrebbe soltanto trattenuti più a lungo nella casa. L’idea non lo entusiasmava.

Non vedeva perché a Lenalee dovesse importare qualcosa, poi. Non aveva mai manifestato interesse di alcun tipo per gli estranei. E proprio Kanda avrebbe dovuto fare tutto ciò che era in suo potere per incoraggiare la loro rapida fuga, senza emettere borbottii fine a se stessi che prolungavano la recita dolorosa.

“Mi abbandonate?!” strillò l’uomo.

“Certo che no,” mormorò Allen. “Un paio di Finder rimarranno qui, nel caso in cui le occorra di nuovo il nostro aiuto.” Tanto sarebbero rimasti per una settimana o giù di lì. Era una mezza verità. Con la coda dell’occhio, vide Lenalee posare una mano sulla spalla di Kanda per contenerlo. Allen pregò che rimanesse in silenzio. “Ora come ora non c’è nulla che potremmo fare per aiutarla? La sua casa è stata danneggiata? Le serve del cibo?”

Di certo a quell’uomo piaceva essere viziato e ricevere regali.

“Ho avuto paura di guardare! Ho pensato che forse erano ancora da qualche parte—”

“Se ne sono andati,” garantì, compiaciuto della totale veridicità di quell’affermazione. “Lo so per certo.”

L’uomo annuì, irritabile, ma era difficile capire se ci avesse creduto o no. “È stato orribile, voi non capite.” Allen non era molto d’accordo. “Quelle… quelle cose sono venute in strada, e in un secondo—in un secondo, io ho capito—ho capito che sarei morto!

Kanda si lasciò scappare un suono basso e disgustato. Aprì la bocca e Allen si sentì precipitare il cuore. “È la prima volta in vita mia che arrivo troppo presto da qualche parte.”

Ora, perché aveva dovuto dire quella frase? A che scopo? Non avrebbe dovuto sforzarsi più di tanto per essere gentile. No, nemmeno—gli sarebbe bastato non parlare. Allora perché? Perché fare lo sforzo di comportarsi da stronzo?

Allen era completamente d’accordo con lui, in questo caso in particolare, eppure chissà come, con un’ardita prova di autocontrollo, era riuscito a non spiattellare la sua opinione a tutti i presenti. Perché qualunque deficiente avrebbe capito che non sarebbe servito a niente e avrebbe anzi reso più complicato il tutto. Che diamine di problema aveva? Questa cosa doveva fargliela ogni singola volta?

Io non te lo farei mai.

“Sta’ zitto, Kanda.”



Kanda aveva rinunciato pressoché a tutto, e le cose erano riuscite a funzionare. Contava una cosa sola, il resto era irrilevante. Una volta che avesse trovato la persona che stava cercando, avrebbe chiuso con questa vita. Era con un piede fuori.

C’erano persone che provavano a trattenerlo, a vincolarlo. Marie ne era l’esempio peggiore, ma c’erano altri che si erano avvicinati di soppiatto mentre lui era distratto. In qualche modo, nascondere Lenalee era passato da un vaffanculo all’Ordine a… una cosa che faceva per evitare che lei fosse infelice. E lì era iniziata la valanga. Zhu. Theodore. Daisya. Komui.

Dio, Komui. Voleva talmente tanto bene a Lenalee che il suo affetto si era riversato su tutti gli altri esorcisti, e per la prima volta, l’Ordine Oscuro era diventato un luogo che poteva essere frainteso per una casa. Per la prima volta, era possibile credere che qualcuno li vedesse come qualcosa di più di un’arma.

Kanda rispettava Komui, ma Komui non poteva cambiare il Vaticano, e finché il Vaticano avesse dettato legge, alla resa dei conti questo lavoro avrebbe continuato ad essere una merda. I giorni dei fiori di loto erano finiti. Rispettava Komui, ma non era sufficiente. Era ancora un piede fuori. Komui gli faceva la cortesia di rispettare la sua decisione.

Tutti la rispettavano.

E poi spuntò un idiota con i capelli bianchi che si rifiutava di rispettare alcunché.

“Molto piacere,” disse l’idiota, porgendogli la mano. Un sorriso irresistibilmente nervoso. Negli occhi qualcosa che tradiva la sua espressione.

Kanda pensò, io già ti conosco.

L’aveva capito nell’istante in cui aveva visto quel volto a forma di luna capovolta, e desiderò di avere avuto una buona ragione per ucciderlo seduta stante. Perché era così che sarebbe andata a finire. Quell’idiota avrebbe tentato con tutto se stesso di tenere viva la speranza al punto da impazzire; avrebbe conquistato tutti giusto in tempo per la sua autodistruzione. Oh, eccome se Kanda lo conosceva.

Alma. Allen. Dio era un gran figlio di puttana.

“Io non stringo la mano a un maledetto.”

Non era discriminazione, era amara esperienza. Quel primo giorno, Kanda capì esattamente cosa pensare di Allen Walker.

Entro la fine del secondo, non ne aveva idea, e la cosa lo irritava.

Kanda aveva cercato di fare un favore a uno stupido Finder dicendogli le cose come stavano. I fatti della vita all’Ordine: adattati, e muori lo stesso. La verità brucia, idioti. Andate via finché siete in tempo.

La mammoletta aveva visto Kanda sfiorare le sue vette massime di altruismo, e l’aveva interpretato come un attacco. Non era quello il problema.

Se Alma avesse pensato che Kanda stava attaccando qualcuno ingiustamente si sarebbe messo in mezzo a loro, avrebbe fatto una battuta, lo avrebbe trascinato via. Non lo avrebbe attaccato. A meno che Kanda non lo avesse attaccato prima lui.

Era tutto sbagliato. E col tempo non fece che peggiorare.

“Io non muoverò un dito per salvarti,” gli disse, e il significato era, io non salvo mai nessuno; non ci ricasco. Non cadrò di mia spontanea volontà.

Allen non aveva ascoltato. Non ascoltava mai, era un deficiente. E poi Kanda venne smentito dalle sue stesse azioni, legittimando Allen a credere di fare bene a non ascoltarlo.

Le cose non andavano secondo i suoi piani. Marie trovava che fosse divertente, e come se non bastasse Komui era dello stesso parere. Era così che era venuto in essere il disastro di Edimburgo.

“Come mi proteggerete?” chiese questo tizio a cui teoricamente avrebbero dovuto – boh, distribuire sorrisi e felicità, mica era chiaro. Come se avessero abbastanza sorrisi e felicità per se stessi, figurarsi gettarne a un verme del genere. Kanda era venuto solo perché Lenalee lo aveva guardato storto.

“Come farete a scacciare quelle cose? Restate con me!”

Squadrò l’uomo e si ritrovò a pensare alle linee che si potevano tracciare su un corpo umano per meglio saggiare l’arrotatura di una lama. Non aveva mai testato Mugen in quel senso. Non Mugen nella sua forma attuale.

Doveva allontanarsi da quel tipo prima che gli venisse la tentazione di sperimentare. Tanto già lo sapeva che Mugen aveva un’affilatura superlativa.

“Quelle… quelle cose sono venute in strada, e in un secondo—in un secondo, io ho capito—ho capito che sarei morto!

Quanta commozione per la morte di moglie e figli avvenuta davanti ai suoi occhi. Ma finché viveva lui, chi se ne fotteva, giusto? Poteva trovarsi una nuova moglie, farsi dei nuovi figli.

Kanda si chiedeva spesso fino a che punto l’umanità meritasse davvero di essere salvata.

“È la prima volta in vita mia che arrivo troppo presto da qualche parte.” sbottò, perché questo tizio se l’era cercata.

E Allen si voltò verso di lui come un serpente, gli si aizzò contro come se valesse la pena proteggere quel coglione. “Sta’ zitto, Kanda.” sibilò.

Ma. Che cazzo.

Non era assolutamente possibile che ad Allen fregasse qualcosa di questo tizio: era l’anti-Allen. Quindi perché inscenare gentilezza con quell’imbecille? Perché incoraggiare una persona così indegna? Perché doveva incazzarsi con Kanda perché non stava al gioco? Perché mentiva sempre?

Io non ti mentirei mai.

“Vaffanculo, mammoletta.”

“Ragazzi,” disse Lenalee. “Non litigate.”
   
 
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