Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi
Ricorda la storia  |       
Autore: Padmini    07/07/2010    0 recensioni
è una storia che ho scritto tanti anni fa. L'anno scorso l'ho ripresa in mano e l'ho riscritta migliorandola e inserendo particolare molto interessanti. Spero che vi piaccia...
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1.Steve

Il bar era deserto e silenzioso. A Goldlake era una bella giornata di sole, ma le finestre di vetro scuro del locale filtrvano la luce, dando al locale un aspetto buio e poco rassicurante. Il ventilatore del soffitto girava lentamente e non riusciva a placare il caldo di quella giornata di fine estate. Quella mattina aveva piovuto e l'aria era ancora più calda, ma ormai il cielo era sereno.

I tavolini, sparsi qua e là, sembravano sfocati e lontani, nel buio. Solo il bancone era lievemente illuminato. Quattro lampadine fioche davano luce al piano, dove in bella mostra stavano ciotole vuote di patatine, due contenitori di salviette e una ciotola piena di bustine di zucchero, scadute chissà da quanto tempo. Nessuno ordinava mai un caffè lì. Ne un cappuccino. Ormai quello zucchero era solo una decorazione, a memoria che, in fin dei conti quello era pur sempre un bar. Ma Steve non comprava nemmeno più il caffè. Ne aveva un barattolo di quello solubile, per le “emergenze”. Era capitato che un turista, non trovando altri bar aperti, fosse entrato per chiedere un'informazione e... un caffè. Il cliente ha sempre ragione. Quella volta lo aveva perso, quel cliente, troppo per bene per sostituire a un caffè una birra alle nove del mattino. Ugualmente quel barattolo di caffè solubile era ricoperto di polvere, abbandonato e dimenticato in un angolo, insieme ad alcune bustine di tè (sempre per le emergenze). Le quattro lampadine illuminavano poi le uniche motivazioni che spingevano un essere umano ad entrare in quel luogo poco ospitale: le bottiglie di superalcolici e la spina della birra.

Steve, guardando malinconico fuori dalla finestra, osservava il lago. Venti anni prima il suo bar, il CLUBSTAR, era uno dei più famosi bar della città. Era ben frequentato perchè si trova a pochi passi dal lago e, dai tavolini che un tempo erano disposti anche fuori, si potevano vedere le sue acque, increspate solo dal passaggio di qualche barca a remi. Giovani e non più giovani, innamorati e studenti, avvocati e giudici, scrittori e operai, tutti passavano di lì.

Ormai, gli unici esseri umani che attraversavano quella minacciosa soglia erano i soliti ubriaconi che Steve conosceva bene. Era capitato che qualche turista entrasse a chiedere informazioni, ma ormai nemmeno questo. Appena si apriva la porta, si sentiva subito un'atmosfera cupa e poco rassicurante, che faceva scappare a gambe levate anche il più temerario.

Steve era magro, stempiato. Il suo viso appuntito sembrava colpire come una spada i suoi clienti, giudicandoli senza pietà. Ubriaconi, ecco cosa siete. Li guardava con disprezzo che loro, annebbiati dai fumi dell'alcool, nemmeno sentivano.

Però, quando gli capitava di dover prendere una birra in bottiglia e di doversi chinare fin sotto il bancone, arrivava a vedere quel segno nel marmo. Un segno verticale. Si ricordava bene di quel segno. Era stato proprio per quello che i suoi affari avevano cominciato ad andare male.

“Signore, mi dispiace, sono scivolato... le ripagherò i bicchieri rotti e le bottiglie di succo di frutta con il mio stipendio...”

Steve, però, non ci vedeva più. Aveva bevuto bene, la sera prima e ancora ne sentiva gli effetti. Aveva mal di testa e ogni rumore, anche il più soffocato, gli martellava il cervello. Quella domenica il bar era pieno. Famiglie, gruppi di amici, fidanzatini... tutti si fermarono a guardarlo quando estrasse il coltello. Lo alzò e diede un colpo così forte al bancone che riuscì a scheggiarlo. Guardò il suo cameriere con occhi indemoniati. Nessuno si aspettava ciò che fece poi. Il cameriere fece per scappare ma lui estrasse il coltello dal marmo e lo lanciò a casaccio verso di lui. Lo mancò. Colpì invece un ragazzo di 24 anni che era lì con i suoi amici che non fece in tempo a scansarsi.

Il ragazzo morì dissanguato poco dopo in pronto soccorso. Steve si fece quindici anni di prigione. Gli riconobbero che in quel momento non era capace di intendere e di volere, ma ormai era fatta.

In quei quindici anni il suo bar rimase abbandonato e chiuso. I ragazzini forzavano le porte perchè ritenevano che fosse infestato dai fantasmi. Ormai la vita sulle rive del lago si era spostata sull'altra sponda. Nessuno più frequentava quella parte del lago perchè il CLUBSTAR era l'unico bar in zona e nessuno, dopo quell'episodio, volle aprire lì la sua attività.

La mente di Steve era immersa in cuei cupi ricordi e gli parve che il suo locale diventasse ancora più buio e inospitale.

“Ho bisogno di un po' di luce” si disse e, accesasi una sigaretta, uscì a contemplare il sole che ormai tramontava. Si appoggoò al muro, incrociò le braccia sul petto e chiuse gli occhi. Si abbandonò totalente per dimenticare, almento per la durata di una sigaretta, i suoi guai. Il sole gli illuminava gli occhi e lo riscaldava come una stufa benevola.

Tutto ad un tratto, però, quella luce dorata svanì. Di colpo, Steve sentì un vento gelido che lo fece tremare. Aprì gli occhi e vide che il cielo si era improvvisamente oscurato. La sigaretta gli scivolò di bocca e andò a spenersi su una pozzanghera. Steve se ne accorse e imprecò ma non riuscì a staccare gli occhi dallo spettacolo che aveva di fronte. Grandi e minacciose nuvole nere, cariche di temporale, incombevano sulla città. Si guardò intorno, spaventato e, sentendo che il freddo aumentava, trovò più saggio rientrare nel bar.

Chiuse la porta e vi si appoggiò con tutto il corpo, spaventatissimo. Ormai non toccava un goccio di alcool da anni, ma si ricordò che nemmeno durante le crisi più gravi si era sentito così male.

Panico. Panico puro. Si voltò verso la finestrella della porta e quel che vide lo raggelò.

Una figura scura, alta, si avvicinava con passo solenne. Il buio lo avvolgeva e non si vedeva il volto, ma si poteva intuire che era avvolto da un pesante mantello nero.

Steve si voltò di scatto verso l'interno, gli occhi sbarrati che vedevano una cosa sola: il fucile che teneva dietro il bancone. Da quando un cliente ubriaco lo aveva minacciato perchè lui non gli dava più birra, aveva ritenuto buona regola tenere un'arma a portata di mano.

Corse verso quello che gli sembrava l'unico modo di difendersi e quando si rialzò lo vide.

Era imponente, nero, incappucciato in quella stoffa nera e pesante. Nemmeno ora riuciva a vederne il volto, ma riuscì a intravedere un luccichio sul petto e i suoi occhi, occhi di un azzurro così chiaro da sembrare bianco. Per un tempo che a Steve sembrò una eternità i due si guardarono. Gli occhi dello sconosciuto bucavano il suo animo come un pugnale. Lui era lì, in piedi che tremava come un bambino. Le mani stringevano incerte il fucile e un liquido caldo e puzzolente cominciò a bagnargli i pantaloni.

Improvvisamente, con disinvoltura, lo straniero si voltò e con estrema eleganza fece volteggiare il suo maestoso manto davanti agli occhi sbigottiti di Steve, che lo guardò allontanarsi lentamente e sparire dietro la porta. Dopo un momento di smarrimento, lo seguì, aprì la porta con il fiatone e vide, con sua grande sorpresa, che il cielo era tornato dorato. Il sole ormai tramontava sulle acque placide del lago  e si vedeva in lontananza già l'apparire di qualche timida stella.

Rientrò, ancora più sconvolto. Non capiva cosa fosse successo e si sentiva smarrito e impotente. Quando si accorse che si era pisciato addosso imprecò forte e si avviò verso la porta dietro il bancone, per trovare un paio di pantaloni con cui cambiarsi e fu in quel momento che lo vide.

Era un biglietto. Un semplice biglietto ingiallito su cui c'era scritto, con una grafia strana

LIBERTY BRIDGE ORE 21,00

Lo raccolse tremante. Non sapeva perchè, ma quel biglietto aveva un che di ipnotico. Soiltamente se ne sarebbe fregato, ma non quella volta.

 

Erano le nove meno un quarto, quando decise di andare all'appuntamento. Come al solito, i suoi clienti stavano ciarlando bevendo bicchere dopo bicchiere di birra. Decise di essere gentile.

“Per favore, dovete andarvene. Oggi il bar chiude prima!”

Come risposta ottenne fischi e risate sprezzanti. Se non aveva funzionato la gentilezza, avrebbe cambiato metodo. Estrasse il fucile da sotto il bancone e, con voce melliflua, gli disse
“Dovete andarvene, per favore!”

Capita l'antifona, i pochi clienti posarono lentamente la birra che stavano bevendo e sempre guardando la canna del fucile puntata su di loro, indietreggiarono intimoriti. Una volta che l'ultimo ubriacone fu uscito e la porta fu chiusa, Steve sospirò. Appoggiò il fucile alsuo posto e prese il suo fedele coltello a serramanico.

Chiuse frettosolamente la porta del bar e si avviò, imbacuccato nella sua vecchia giacca, verso il luogo dell'appuntamento. Nonostnte durante il giorno avesse fatto molto caldo, quella sera il venticello proveniente dal lago era molto fresco.

Quando arrivò al ponte lo trovò deserto. Guardò l'ora, irritato. Le nove e tre minuti. Odiava i ritardatari, forse perchè in tutta la sua vita non c'era stata una sola volta che fosse arrivato puntuale.

I lampioni, che illuminavano abbondantemente il ponte, si spensero. Improvvisamente, nel silenzio di quella sera, rotto solo dalle onde del lago che, sospinte dal vento, andavano ad abbracciare i piloni del ponte, sentì un suono che non si aspettava.

Era il rumore di un respiro. Un respiro affannoso di un qualcosa che avanzava verso di lui dal buio. Non era il respiro di un essere umano. Più si avvicinava e più si rendeva conto che quello che aveva davanti era... un cane. Sospirò, trnanquillizzandosi. Un cane! Come avere paura di un cane? Ma, proprio mentre la sua paura scemò, il cane iniziò a ringhiare e ad avanzare minaccioso. Mostrò i denti bianchissimi e affilati e, dopo qualche passo, iniziò a correre in direzione di Steve. Lui, senza ragionare, cominciò a correre. Tornò indietro verso la strada con il cane sempre dietro. Non avrebbe mai fatto in tempo a trovare le chiavi e ad aprire il suo bar in tempo, e senza sapere dove stava andando, corse verso la riva del lago. Imboccò l'argine e corse ma l'erba era bagnata e scivolò sulla china. Quando rialzò il volto per guardarsi intorno e ripendere la sua corsa, sentì l'alito affannoso e caldo del cane sopra di lui. I suoi occhi furono pervasi dal terrore, mentre capì che era troppo tardi.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Fantasmi / Vai alla pagina dell'autore: Padmini