Fanfiction partecipante all’Iniziativa: 2010: a year together, indetto
dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight
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Uno scarobocchio rosso su un foglio
celeste – 8 Luglio
Lo guardavo compiere il suo piccolo rito tutte le mattine. Io ero
appoggiata al mobile vicino al frigo nel cucinotto della sede del CBI e lui,
poco distante da me, immergeva ritmicamente la bustina del the nella sua tazza
preferita: quella che gli avevo regalato per Natale.
«Allora
Lisbon?» interruppe i miei pensieri «c’è qualcosa che vuoi chiedermi?» mi
chiese puntando infine i suoi penetranti occhi su di me. Sapeva mettermi sempre
in soggezione quell’uomo.
«Cosa
ti fa pensare che io voglia qualcosa da te?» ribattei subito sulla difensiva.
Parlarci ultimamente era diventato molto stressante, sempre con il timore che
potesse capire troppo di quello che pensavo, di quello di volevo, o peggio: vedermi
per quella che ero.
Sollevò
le spalle in segno di disinteresse, ma ormai conoscevo i suoi trucchi e non sarei caduta nella sua
trappola «Mah così... sai quel tuo tic quando sei nervosa oggi si nota più del
solito » disse sorseggiando il the.
Prima
che potessi lanciargli un’occhiataccia, il cellulare squillò interrompendo, come
su un ring, il combattimento psicologico, che molto probabilmente avrei perso.
Risposi con il mio solito tono neutro “Lisbon” e subito girai le spalle a Jane.
Tre
parole: faccia, rosso e cadavere e in pochi secondi, lui subito mi si accostò
«È lui, John!» affermò con gli occhi vividi dalla bramosia di nuovi indizi,
prove, collegamenti. Un’altra casella nel
loro folle gioco di scacchi.
«Jane
spostati» quasi urlai. Jane mi si era avvicinato improvvisamente mentre cercavo
di capire le indicazioni del comando di polizia che aveva risposto alla
chiamata. Mi sentii soffocata, come in trappola, e avvertii Jane diverso. Mi
spaventava ogni volta che mostrava quel suo volto piegato dalla vendetta e
dall’istinto omicida.
«Si»
rispose alzando le mani e allontanandosi da me. Istintivamente avevo appoggiato
la mano sull’impugnatura della mia semiautomatica. Me ne accorsi solo quando
Jane mi rivolse lo sguardo addolorato per quel mio gesto.
Cercai
di dissimulare il mio gesto e di ignorare quell’incidente, ma la sensazione di
angoscia mi accompagnò per tutta la giornata.
In
macchina, sul luogo del delitto, Jane non si rivolse più a me. Quel silenzio mi
stava abbattendo più del solito. Era successo altre volte, ma sapevo in cuor
mio che questa volta la colpa era quasi interamente mia, ma proprio non ero
riuscita a controllarmi.
Van Pelt, Rigsby e Cho non chiesero nulla, vedendoci arrivare nel più assoluto
distacco.
Salite le scale che portavano alla camera da letto della vittima,
senza volerlo immaginai il momento in cui Jane, dopo quella terribile
trasmissione, trovò la lettera di John il Rosso attaccata alla porta. Immaginai
la consapevolezza e subito l’orrore di ciò che c’era oltre quella porta
biancastra. Vidi con la mente Jane conscio di aver ucciso con le sue mani, la
moglie e la figlia.
A quel pensiero non riuscii a trattenere le lacrime, così mi
fermai lasciando gli altri precedermi e mi rifugiai nel bagno.
«Tutto bene, capo?» parlò Van Pelt
bussando timidamente. Risposi di sì e lei si allontanò. Mi guardai schifata
allo specchio. Piangere per una cosa successa anni prima, dopo aver quasi
sparato a Jane poche ore prima. Che ipocrita!
Dopo essermi rinfrescata tornai dagli altri, cercando in tutti i
modi di non incrociare lo sguardo di Jane. Come un colpo allo stomaco, la
faccia sanguinante sul muro mi guardava quasi divertita nel vedermi disgustata
da quel macello.
«Capo, Jane è sicuro che sia opera di John» asserì Cho con la sua voce bassa che mi parve estranea e lontana,
come tutto ciò che era in quella camera. Guardai il corpo insanguinato e mi
parve muoversi, anzi si muoveva tutto, le voci si confusero, i muri mi si
restrinsero addosso. Sapevo che stavo per cadere, ma non senti alcun rumore e provai
dolore. Solo qualcuno che chiamava il mio nome.
*
Mi svegliai in una stanza
di ospedale. Sola, con una flebo attaccata al braccio. Subito controllai se
qualcuno mi avesse spogliato e messo quel stupido camice per pazienti, ma
fortunatamente no. Li odiavo, anzi odiavo gli ospedali. Stesa lì, fissando
inebetita le pale ruotanti sul soffitto, pensai a mia madre, a mio padre e a
come diavolo avessi finito per innamorarmi di un truffatore.
Stanca di quei pensieri angosciosi, decisi di alzarmi e di
andarmene. Probabilmente gli altri li avrei trovati al CBI sul caso di John,
con Jane tutto preso. Sperai mentalmente che non avesse già combinato qualcosa.
Cercando di staccare la flebo, non mi accorsi che Jane era entrato
nella stanza, per colpa del suo passo silenzioso. Mi guardò scontento di
vedermi alzata «Già in piedi, Lisbon?» disse irritato. Non capivo se fosse
irritato perché ero svenuta, o perché era lì con me invece che essere a scovare
John.
Risposi, infastidita anch’io « Si, mi spiace per il contrattempo»
ribattei indossando la giacca «ora sto bene, possiamo tornare al CBI» e cercai
di superarlo, ma lui si contrappose tra me e la maniglia della porta.
Scosse la testa, come quando si rimprovera un bambino birichino «Il
medico a detto che devi rimanere in osservazione 24 ore»
Il fastidio per quella situazione aumentava «E allora? Io ti dico
che S-T-O B-E-N-E, ora andiamo!» ribadii cercando di spostarlo con una
spallata, ma quel movimento mi fece venire un capogiro e se non fosse stato per
Jane, sarei caduta un’altra volta.
Esasperato mi rimproverò subito «Lo vedi, Lisbon che non stai
bene? Devo costringerti con la forza ad ascoltarmi?».
Quando lo guardai negli occhi, lessi vera preoccupazione e senso
di colpa, così sentendomi stupida tornai a sedermi sul letto dell’ospedale, ma
cocciutamente fissai la finestra e guardando il cielo della California, pensai
cosa dirgli per scusarmi.
Prima che potessi dire qualcosa, lui parlò «Lisbon, mi dispiace
per quello che è successo questa mattina» disse cercando di catturare la mia
attenzione, toccandomi lievemente il braccio, ma senza forzarmi. Come al solito
lui sapeva sempre come fare in casi come quelli. Sospirai e lo guardai.
Sapevo che era sinceramente dispiaciuto. Non stava recitando, non
poteva. Non su quello.
«Ho avuto paura» dissi, sapendo di ferirlo. Infatti subito vidi
qualcosa scuotersi e riflettersi nei suoi occhi, ma non ero una brava sensitiva
e non seppi decifrarlo. Continuai a pugnalare, ma ad ogni parola crudele, sentivo
un nodo sciogliersi nel mio stomaco.
«Quel tuo sguardo bramoso, mi ha spaventato» incominciai
prendendogli una mano per fargli capire che ero serena e sincera. Dovevo
esserlo per lui, ma soprattutto per me.
«Stamani ho capito che il Jane che conosciamo è solo una facciata,
un ruolo che interpreti per non turbarci, e che il vero Jane è tormentato, anzi
è ossessionato dal pensiero di vendetta» dissi stringendo la sua mano più forte
«Ho avuto quella reazione istintiva, perché ho avvertito una minaccia, un
desiderio morboso che mi schiacciava!»
Jane si alzò di scatto, forse per scappare. Invece si avvicinò
alla finestra per darmi le spalle, forse perché non aveva bisogno dei suoi
trucchi da sensitivo per capirmi «Sai, quando mi sono svegliata ho finalmente
capito. A volte ho desiderato che John smettesse i suoi omicidi e sparisse,
perché così saresti sempre stato con me» terminai di dire, pronta alla sua
reazione.
A quelle parole, Jane si girò inorridito «Non puoi dirlo sul serio»
gracchiò guardandomi male «lui ha ucciso mia moglie e mia figlia e molte altre persone»
mi sputò addosso quelle parole come veleno.
Sorrisi e abbassai lo sguardo «Lo so benissimo!» poi mi alzai «te
l’ho detto solo perché ho paura di perderti Patrik, è
così strano per te?» domandai affrontandolo.
Eravamo l’uno davanti all’altro. Io lo guardavo pronta a sentirmi
rifiutata «Lisbon…»
Come immaginavo. Lo interruppi subito. Speravo che mi chiamasse
per nome, ma evidentemente non era destino.
Senza lasciargli modo di fermarmi, scappai veloce dalla camera e
camminai con le mani sul volto per nascondere le lacrime. Jane rimase
impietrito solo nella stanza.
Quando decise di andarsene, si accorse di un foglietto in tasca.
Lo aprì. C’èra uno scarabocchio rosso su un foglio celeste, e la scritta
recitava: lei è la prossima.
Sul volto di Jane, dopo lo sgomento iniziale, emerse sul suo volto
un sorriso «John hai fatto la tua ultima mossa».