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Autore: Elaintarina    07/07/2010    1 recensioni
“Sono il vampiro di me stesso
Un derelitto a eterno riso
Dannato, a cui mai è concesso
Di poter provare il sorriso”
Storia partecipante al contest: "Sangue e Inchiostro" indetto da Scrittoridellanotte
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Je suis de mon coeur le vampire

 

Capita a tutti, almeno una volta nella vita, di guardarsi intorno e chiedersi: che ci faccio io qui? Dove sta andando la mia vita, qual è il mio scopo? Chi sono io, veramente? Elizabeth Lawayer si poneva queste domande da almeno un mese. E non aveva ancora trovato riposta. Se lo domandava anche adesso, mentre aspettava l’autobus nella strada deserta, le braccia strette attorno al corpo nel tentativo di conservare un po’ di calore.

“Che ci faccio io qui?”

Garrendail. Una cittadina sperduta in Scozia, a nord dell’Inghilterra, antica e pittoresca, come i suoi abitanti. Elisabeth, o Lizzie, come la chiamavano i suoi genitori, era lì da quasi due settimane ormai. Tuttavia, non aveva ancora conosciuto nessuno, fatta eccezione per la vecchina taciturna che le aveva affittato il monolocale dove viveva e il suo scorbutico datore di lavoro. Con entrambi, non aveva scambiato più di cinque o sei brevi frasi e pur non essendo mai stata un’amante della compagnia, Lizzie cominciava a sentirsi un po’ sola. Era venuta a Garrendail nel tentativo di dare una svolta alla sua vita, di fare qualcosa di nuovo, fuori dagli schemi. Voleva dimostrare una volta per tutte che anche lei sapeva cavarsela da sola. Trovare un nuovo lavoro, affittare una casa, costruirsi una nuova vita lontano dalla soffocante presenza della sua famiglia. Per questo, benché adesso si sentisse molto infelice, non aveva intenzione di chiedere aiuto a nessuno, men che meno ai suoi genitori.

Faceva sempre più freddo, stava scendendo la notte. Elisabeth chiuse le mani a coppa e ci alitò sopra, nel tentativo di scaldarsi un po’. Alzò lo sguardo per vedere se l’autobus stava arrivando, ma la strada era deserta. Dall’altra parte, faceva bella mostra di sé una fila di negozi angusti e sgangherati. Un’alimentari, chiuso, un calzolaio, e un negozietto buio, che aveva tutta l’aria di essere una libreria. La ragazza controllò ancora una volta se l’autobus era in arrivo, ma ovviamente non c’era. Faceva sempre più freddo e, come succedeva quasi tutte le sere, si stava alzando un po’ di nebbia. Lizzie sbuffò, poi alzò gli occhi al cielo e, presa una decisione, si diresse verso l’entrata della libreria, sperando di trovarvi un po’ di calore.

 

Il campanello appeso sopra la porta tintinnò quando Lizzie la aprì.

“È permesso?”

Il negozio era piccolo e scuro e non aveva l’aria di essere molto frequentato. Lungo le pareti erano allineati gli scaffali pieni di libri, la maggioranza con il risvolto scuro, nero o rosso, mentre sul fondo c’era il bancone. Dietro di esso però, non c’era nessuno.

Lizzie si tolse il capello e diede un’occhiata in giro. I volumi erano polverosi, come se non fossero stati toccati da molto tempo. Chissà come faceva a sopravvivere un negozio come quello a  Garrendail…

Cominciò a scorrere i titoli. Molti erano semi-cancellati e incomprensibili, sembravano libri molto antichi. Quelli che riuscì a leggere tuttavia, non le piacquero per niente.

Alla fine, fu sollevata nel vederne almeno uno che conosceva: “I fiori del male”, di Charles Baudelaire, da sempre uno dei suoi poeti preferiti. Lo prese in mano e ne fece scorrere la pagine: come ogni altra cosa lì dentro, sembrava vecchio di mille anni. Lo sfogliò per un po’, poi fece per rimetterlo nello scaffale. Quando si voltò però, si accorse che c’era un uomo, in piedi dietro il bancone, dove fino a un istante prima, ne era sicura, non c’era niente. Trasalì per la sorpresa e il libro lo scivolò di mano, cadendo sul pavimento con un tonfo.

“Buonasera” disse l’uomo “Non volevo spaventarla”

“N-non mi ha spaventata” balbettò Lizzie “Mi scusi, non l’avevo vista”

L’uomo la fissò, senza batter ciglio. Era molto alto e stranamente giovane. Lizzie si aspettava che il proprietario di un negozio simile avesse almeno sessant’anni, mentre il nuovo venuto non ne dimostrava più di trenta. Aveva i capelli e gli occhi neri che creavano uno strano contrasto con la pelle incredibilmente pallida… o forse era solo un effetto della penombra.

“Io…” fece Elisabeth cercando di rompere il silenzio “Stavo solo dando un’occhiata in giro”

“Faccia pure” rispose l’uomo con una smorfia, vagamente simile a un sorriso “Capita così di rado di avere clienti, ormai”

Le sia avvicinò e si chinò a raccogliere il libro sul pavimento “Cosa stava guardando? Ah, ‘I fiori del male’”

Sfogliò il libro rapidamente. “Una lettura molto interessante, non trova?”

“Sì, infatti” concordò Elisabeth

Bellezza, tu cammini sui morti che sbeffeggi

Tra i tuoi tanti gioielli affascina l’Orrore

L’Assassinio tra i ciondoli che più tu privilegi

Sul tuo orgoglioso ventre balzella con amore”

declamò l’uomo.

La guardò negli occhi. “Versi di una potenza sconcertante, vero?” chiese poi, senza mutare espressione.

Elisabeth gli sorrise. Conosceva quella poesia, era una delle sue preferite.

“Baudelaire aveva un’anima nera unita a un grandioso talento. Pochi hanno saputo eguagliarlo”

“Sono il vampiro di me stesso

Un derelitto a eterno riso

Dannato, a cui mai è concesso

Di poter provare il sorriso”

recitò a sua volta.

L’uomo sembrò stranamente colpito. Scosse la testa “Il vampiro di me stesso…” mormorò

Chiuse il libro di scatto.

“Mi chiamo Victor Frasail. Libraio. Onorato di fare la sua conoscenza signorina…”

“Elisabeth. Elisabeth Lawayer.”

“Elisabeth…” ripeté l’uomo stringendole la mano.

Le sue mani erano gelide, notò Lizzie con un brivido.

 

Alcune settimane dopo, la libreria era diventata il suo posto preferito lì a Garrendail. Victor era gentile e istruito, chiacchierare con lui era così piacevole che Lizzie si accorgeva a malapena del tempo che passavano assieme. Era cominciato tutto con un invito a cena, un po’ sfacciato forse, ma dopo che lei era entrata nel suo negozio quella sera e avevano cominciato a parlare di Baudelaire, il tempo era volato, e quando alla fine lei aveva guardato l’orologio, si era resa conto di aver perso anche l’ultimo autobus.

“Può fermasi a cena qui, se vuole. Più tardi posso riaccompagnarla a casa con la mia macchina”

Elisabeth ci pensò su. Sua madre diceva sempre di non accettare inviti dagli sconosciuti e non andare in macchina con chi non conosceva.

Sorrise. “Se non è di troppo disturbo, mi farebbe molto piacere”

 

Più tardi, quella sera, era emerso anche il fascino e il carisma di Victor. Era un gran conversatore: arguto, divertente, penetrante. Avevano parlato di tutto, dalla letteratura (avevano in comune molti autori apprezzati, benché i gusti di Victor virassero sempre un po’ più sul noir), al lavoro di Lizzie, ai motivi che l’avevano spinta a Garrendail.

“Essere indipendente è sempre stata un po’ un utopia per me, il mio sogno irrealizzabile. Poi ho deciso che era giunto il momento di farlo diventare realtà, per questo me ne sono andata di casa”

Victor sorrise. “Realizzare i propri sogni non è mai facile. Pochi ci riescono davvero, tanto più che l’animo umano è estremamente volubile e portato a cambiare idea”

Eisabeth bevve un goccio di vino. Rosso, scuro e corposo, aveva un sapore inebriante.

“E tu?” disse, posando il bicchiere. Victor l’aveva pregata quasi subito di dargli del tu, e lei non se l’era fatto ripetere. “Come mai sei finito in un posto sperduto come Garrendail?”

Victor parve rabbuiarsi. Elisabeth aveva già notato questi suoi improvvisi cambiamenti d’umore: pareva capace di trasformarsi in un attimo.

“È una lunga storia…” disse “Ed è tardi. È ora che ti riaccompagni a casa”

Lizzie non si era opposta, ma poi, più tardi nel letto, si era domandata il perché di quella risposta evasiva.

 

Adesso lei e Victor si vedevano praticamente tutti i giorni. L’ufficio di Lizzie era poco lontano dalla libreria e così tornando a casa la ragazza si fermava spesso per un saluto.

Una sera, mentre rincasava dopo una serata passata con Victor a parlare dei vari aspetti della poesia romantica (si erano trovati entrambi d’accordo sul fatto che Byron fosse un maestro, un po’ meno nel decidere quale dei suoi poemi fosse il migliore) Lizzie trovò la sua padrona di casa che l’aspettava davanti alla porta.

“Oh, buonasera signora Mcburdock!” era infatti questo il nome dell’anziana signora “Come sta? Vuole entrare, posso offrirle qualcosa?”

“No, no, non entro. Sono venuta a metterla in guardia” sibilò la vecchia, fissandola in modo inquietante, come se fosse un insetto disgustoso.

Elisabeth stava cercando le chiavi giuste nel mazzo, ma a quelle parole alzò gli occhi.

“In guardia? E da cosa?”

“Sembra che lei abbia cominciato a frequentare gente strana. Gente… pericolosa”

Lizzie la guardò, stupita. Di cosa stava parlando?

“Non capisco”

“Non mi sorprende. Evidentemente l’ha già incantata con le su belle moine. Ma le voci corrono mia cara, e qualche volta è meglio dargli ascolto” La signora serrò le labbra in una smorfia di disapprovazione.

“Signora Mcburdock, ma di che cosa sta parlando?”

“Sto parlando, signorina, della sua assidua frequentazione alla libreria. Non ha sentito le dicerie che corrono su quel posto e…” abbassò la voce “…sul suo proprietario?”

“No, e francamente non ne vedo il motivo” ribatté Elisabeth, che stava cominciando a seccarsi.

“Eh, eppure ve ne sarebbe… si dicono cose strane in giro. Lo sapeva che, novant’anni fa, il signor Frasail era già qui?”

“No, non lo sapevo. Credevo che suo padre venisse da fuori, a guardarlo Victor non sembra scozzese”

“Oh, ma io non sto parlando del padre. Sto parlando di lui, di Victor Frasail”

“Ma come, non è possibile. Non deve avere più di trent’anni, non poteva essere qui novant’anni fa”

“Eppure c’era. Ed anche allora circolavano strane voci: segreti, sparizioni…” abbassò ancora di più la voce, finché non divenne un sussurro “...omicidi”

Scosse la testa, come se volesse scacciare il pensiero. “Poi se ne andò prima che le voce trovassero conferma. E cinque anni fa, eccolo di nuovo tornare. Ovviamente lui negherà di essere già stato qui in passato e non ci sono testimoni a confermarlo. Ma io ricordo quello che diceva mia madre su di lui. E le consiglio di darmi ascolto e stare in guardia”

Fece un ampio gesto con la mano “Se ne vada, finché può!”

Elisabeth pensò che la vecchia signora fosse pazza.

“La ringrazio…” borbottò, mentre si affettava ad aprire la porta ed entrare “…per i suoi preziosi consigli. Mi saranno molto utili. Beh, ora buonanotte!”

Fece per chiudere la porta dietro di sé, ma la donna la bloccò. “Si fidi! Lei è in pericolo!”

“Sì, sì, certo!” fece Lizzie, poi chiuse definitivamente la porta, lieta di essersi liberata di quella scocciatrice.

 

“Sai, la vecchia signora McBurdock deve essere pazza” commentò il giorno seguente con Victor.

“Non mi sorprende” replicò lui. Erano entrambi seduti sul divano a casa di Victor e, almeno fino a qualche minuto prima, stavano leggendo ad alta voce dei brani da Dracula di Bran Stoker. Poi, senza che quasi se ne accorgessero, il libro era scivolato sul pavimento e Lizzie era scivolata sempre più tra le braccia di Victor. Ora lui stava giocherellando con i suoi capelli, arrotolandone delle ciocche fra le dita. “Ad ogni modo, come mai lo dici?” chiese.

“Ieri è venuta a mettermi in guardia. Da te” Elisabeth si sollevò sui gomiti le lo guardò in faccia.

“Dice che circolano strane voci sul tuo conto e che tu eri già qui novant’anni fa. Da pazzi vero?”

“Novant’anni, addirittura? Mi consideravo più giovane” scherzò Victor. Lizzie sorrise.

“Sai Victor, sono davvero contenta di averti incontrato. Da quando ti conosco, la mia vita sembra avere finalmente una direzione.” Sorrise di nuovo. “Non ho più paura”

Victor rimase in silenzio per un po’.

“Io ho paura invece” disse alla fine

“Perché?” replicò Lizzie sorpresa. “Non hai nulla da temere”

“Ho paura di quello che potrebbe succedere. Di quello che potrei fare” Victor era scuro in volto, il suo tono era basso e distante. Per un attimo, a Lizzie parve uno sconosciuto.

“Non può succederci nulla di male” disse tuttavia, cercando di rassicurarlo. Gli accarezzò una guancia. “Siamo insieme. È questo l’importante.”

Victor non rispose, ma la sua espressione parve distendersi. Poi tornò a guardare Elisabeth e la fissò con intensità, come la prima volta che si erano incontrati.

“Lizzie… io…” cominciò a dire, ma la ragazza lo zittì.

“Shhh”

Si avvicinò sempre di più e lo baciò sulle labbra. Dopo un istante di esitazione, Victor ripose al bacio.

 

Capita a tutti, almeno una volta nella vita, di guardarsi attorno e chiedersi: che cosa ci faccio io qui? E capita a tutti, almeno una volta, di sentire di essere esattamente dove si dovrebbe essere, nel posto fatto apposta per noi. Elisabeth Lawayer provò proprio quella sensazione tra le braccia di Victor, poi, un istante dopo, sentì il sapore del sangue sulle labbra. E poi il nulla.

   
 
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