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Autore: sango_79    08/07/2010    2 recensioni
Nella foresta, il Principe che si è perso incontra il Drago che ha perso tutto.
Genere: Malinconico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si erano incontrati per la prima volta dieci anni prima, quando erano ancora entrambi dei cuccioli.
Ariel era un piccolo principe di dieci anni. Si era perso nel bosco durante una lezione sulle erbe che il suo istitutore aveva deciso di svolgere fuori dalle sicure mura del castello. Era basso e magro, con una folta chioma di capelli dello stesso colore dell’oro ed enormi occhi verdi. A vederlo, sembrava anche più piccolo di quello che era in realtà.
Shardan era un giovane drago. Era scampato al massacro del suo clan da parte degli uomini, avvenuto pochi giorni prima, e da allora aveva continuato a muoversi, nonostante le brutte ferite al fianco e all’ala destra, spinto unicamente dall’istinto di sopravvivenza.
Quando Ariel si era ritrovato davanti il drago, in quella piccola radura, si era bloccato terrorizzato. Lui voleva solo trovare quell’erba con quel nome assurdo che l’istitutore gli aveva ordinato di cercare per poi potersene tornare al castello, e invece si era ritrovato in una parte del bosco che non conosceva e con tutta probabilità sarebbe stato sbranato da quel drago che lo guardava digrignando le zanne. Aveva provato a indietreggiare lentamente, nella speranza i riuscire ad arrivare agli alberi dietro di lui: la foresta era fitta, in quel tratto, e per il drago sarebbe stato difficile inseguirlo se lui si fosse messo a correre. Ma appena aveva portato indietro il piede destro la bestia davanti a lui aveva ringhiato e si era sollevata sulle zampe.
Il piccolo l’aveva guardato, se possibile, ancora più spaventato. Gli avevano raccontato un sacco di storie spaventose sui draghi. Di come si divertissero a distruggere tutto ciò che incontravano sul loro cammino e di tutte le persone che avevano mangiato. Lui non aveva mai visto un drago vero, prima di allora, e suo padre gli aveva detto che nel loro regno non se ne vedevano da secoli, ma le illustrazioni che aveva visto nei libri che l’istitutore gli faceva leggere raccontavano di bestie crudeli e di uomini massacrati. E lui non voleva, davvero, non voleva morire. Voleva tornare a casa da suo padre, e voleva raccontargli quello che aveva imparato a lezione, e voleva ascoltarlo mentre gli parlava della diga che aveva fatto costruire...
Era rimasto immobile per molto tempo, tanto che le gambe avevano iniziato a fargli male per la troppa rigidità. Ma il drago non si era mosso, e in realtà non sembrava intenzionato a farlo. Ariel l’aveva guardato stupito, e raccogliendo tutto il suo coraggio aveva provato a parlargli.
“Ti prego, non mangiarmi…”
Certo, ad un principe non si addiceva implorare un nemico, ma Ariel riteneva che la sua giovane età potesse essere una giustificazione sufficiente, e che lo fosse anche per la sua voce tanto esile.
Shardan aveva alzato la testa e lo aveva guardato con occhi di brace. Avrebbe voluto avvicinarsi, per sembrare ancora più pauroso, ma le ferite gli impedivano di muoversi; così si era limitato a rivolgersi a lui con il tono più profondo che era riuscito a dare alla sua giovane voce.
“Perché non dovrei mangiarti? Se ti lasciassi andare tu correresti a chiamare gli altri uomini e cerchereste di uccidermi.”
“No! Non dirò a nessuno che ti ho visto!” gli assicurò il piccolo principe, scuotendo il capo.
“E dovrei crederti? Voi uomini non sapete cosa sia l’onore. Non mi fido delle tue promesse.”
Il drago si era mosso, incurante del dolore, avvicinandosi al cucciolo di uomo. Ma in questo modo aveva permesso al bambino di vedere il sangue che colava dal suo fianco e dalla sua ala.
Il piccolo aveva spalancato ancora di più gli occhi. Ma il terrore era stato sostituito da stupore, curiosità e preoccupazione. Quelle ferite sembravano gravi, e dolorose, e a lui non piaceva vedere qualcuno soffrire. Anche se quel qualcuno era un drago. Tutto preso dai suoi ragionamenti, aveva fatto qualche passo avanti, fissando il fianco della bestia, fino a quando questa non si era mossa ancora, ringhiandogli contro.
“Sei ferito.” gli sussurrò angustiato “Ho dell’acqua e delle erbe medicinali. Se aspetti un po’ preparo un unguento da spalmarci sopra.”
Senza preoccuparsi della reazione del drago, Ariel aveva già iniziato a trafficare con la sacca che aveva sulle spalle, impegnato a ricordare quali erbe avrebbe dovuto usare per curare il drago.
Shardan, invece, sembrava sempre più infuriato.
“Pensi che ti permetterò di avvicinarti? Vuoi forse uccidermi con del veleno perché sai di non potermi battere in uno scontro?” aveva urlato.
“No, io… Volevo solo aiutarti…”
“Te l’ho già detto: non mi fido di te. Non mi fido di nessun uomo. Voi siete solo capaci di portare morte e distruzione ovunque andiate. Esseri senza onore e senza cuore, che vivono solo di sterminio!”
“Non è vero!”
Ariel sembrava aver dimenticato tutta la sua paura e ora guardava il drago indignato, i pugni stretti e una luce combattiva negli occhi.
“Gli uomini non sono così! Sono i draghi come te che distruggono tutto, e mangiano le persone. E io volevo solo aiutarti e…”
“I Draghi non distruggono!” lo aveva interrotto Shardan “Noi non mangiamo gli uomini! Volevi aiutarmi, eh? Come mi hanno aiutato gli altri uomini? Vuoi sapere cosa hanno fatto? Vuoi sapere come hanno distrutto e ucciso? Vuoi sapere come si sono divertiti?”
Il giovane drago era avanzato verso Ariel, infuriato, e il principe era indietreggiato, spaventato dalla sua ira. Scuoteva il capo, incapace di credere a quello che gli stava dicendo.
“Non vuoi saperlo? Ma io te lo dirò lo stesso. È giusto che tu lo sappia, prima di morire. Che sappia cosa gli uomini hanno fatto al mio clan. Ci hanno scoperto per caso, sai? Perché nessuno di noi si era avventurato fuori dai confini della nostra terra da secoli. Nessun uomo sapeva che eravamo lì, ma loro ci hanno trovato. E sono tornati con il loro esercito. Con le loro spade, e le loro frecce, e le loro reti. E i loro maghi. Hanno attaccato di notte, quando stavamo dormendo. Hanno massacrato tutti, maschi e femmine, anziani e cuccioli. Senza un motivo, solo perché eravamo draghi. E hanno distrutto le uova, tutte, una per una. Ridevano mentre le frantumavano, sai? Hanno ucciso vite non ancora nate per il solo gusto di farlo. E quando hanno finito la loro carneficina, i maghi hanno dato fuoco a tutto quanto. Non è rimasto più nulla del mio clan, nemmeno le ossa sulle quali piangere. Questi sono gli uomini. Esseri senza onore e senza…”
Ma Shardan si era interrotto. Davanti a lui, quel cucciolo di uomo era crollato in ginocchio e piangeva disperato. Muoveva le labbra, pronunciando sempre le stesse parole, ma lui si era dovuto avvicinare di più per riuscire a sentirle.
“Mi dispiace, perdonami…”
Ariel non riusciva a smettere di piangere. Quello che il drago gli aveva raccontato, il dolore che aveva visto nei suoi occhi, gli avevano straziato il cuore. Come era possibile che esistessero uomini simili? Come era possibile divertirsi uccidendo? Anche se non aveva fatto niente di male, si sentiva in colpa per il solo fatto di essere un uomo come quelli che avevano sterminato il clan di quel drago. Voleva fare qualcosa, qualsiasi cosa, per cercare di fare ammenda e per fargli capire che non tutti gli uomini erano così, ma sapeva che non aveva molte possibilità. Lui era troppo piccolo, e se avesse detto a qualche adulto di quel drago probabilmente si sarebbe spaventato e lo avrebbe ucciso. E lui non voleva. Non era giusto, ecco!
“Puoi… puoi uccidermi se vuoi. Per vendicarti, se vuoi. Io… mi dispiace, per la tua gente, e vorrei aiutarti, ma sono un bambino e non so come fare. Però, se uccidermi ti farà stare meglio… allora…”
Non era riuscito a continuare, la voce spezzata dai singhiozzi.
Shardan lo guardava sorpreso. Possibile che quel bambino fosse sincero? Prima si era offerto di curarlo, poi di farsi uccidere per pagare il male che avevano fatto altri. E ora se ne stava davanti a lui a singhiozzare disperato per la morte di esseri che nemmeno conosceva.
Alla fine, Shardan aveva permesso al piccolo uomo di medicarlo, Ariel aveva smesso di piangere e aveva convinto il drago a seguirlo. Lo aveva portato in quello che considerava il suo posto segreto: delle vecchie rovine non troppo lontane dal castello. Il giovane drago non sembrava molto convinto, ma gli alberi nascondevano bene i ruderi, e le grotte sotterranee potevano essere un ottimo rifugio per lui, almeno fino a che non si fosse ristabilito.
Ma Shardan non se ne era mai andato. Per tutti gli anni che seguirono aveva continuato a vivere lì, lontano dai suoi simili ma vicino ad Ariel. Il principe, nonostante con l’avanzare dell’età avesse sempre più impegni, trovava sempre un po’ di tempo da passare con il suo amico. Parlavano, giocavano, a volte stavano semplicemente in silenzio, vicini. Altre volte si mettevano in mostra: Shardan gli dimostrava quando era forte, Ariel gli faceva vedere quanto era diventato bravo con la spada. Ma qualunque cosa facessero, la consapevolezza di essere insieme, anche quando erano lontani, non li abbandonava mai.

 

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Quel giorno erano di nuovo l’uno di fronte all’altro, a dieci anni esatti dal loro primo incontro. Ma quella volta era diverso. Perché per la prima volta non erano soli: c’erano i cavalieri di Ariel e il re del regno confinante, di cui il suo amico gli aveva parlato per settimane con un entusiasmo mai mostrato prima, con la sua scorta.
Ma ciò che più di tutto rendeva il loro incontro diverso, era che Ariel stava rigido davanti a lui, con la spada sguainata, pronto a combattere.
Shardan lo aveva intuito subito, appena aveva visto i cavalieri comparire da dietro gli alberi. Se non si fosse addormentato avrebbe potuto nascondersi, ma ormai era troppo tardi. Lo avevano visto e avevano deciso di allietare la loro giornata con una caccia al drago.
Stavano discutendo per decidere chi sarebbe stato il fortunato ad avere l’onore di ucciderlo, come se qualcuno di loro fosse stato abbastanza forte per farlo, quando Ariel era smontato di sella, rivolgendo uno strano sguardo a quel re che gli cavalcava affianco, e aveva sguainato la spada.
Shardan lo aveva guardato, un dolore sordo all’altezza del cuore, la disperazione che scendeva come un manto su di lui. Finché non lo aveva guardato negli occhi.
In quel preciso momento aveva capito. Che sarebbe morto. Perché per nessuna ragione al mondo avrebbe potuto fare del male ad Ariel. Aveva ricordato quel bambino che gli aveva offerto la sua vita, e aveva capito che quel giorno le parti si sarebbero invertite. Per salvare la vita di Ariel lui si sarebbe fatto uccidere.
Mentre il principe si avvicinava a lui, aveva pensato che in fondo non poteva chiedere morte migliore: sarebbe spirato tra le braccia di colui che amava più di chiunque altro al mondo.
Quando ormai Ariel era davanti a lui, e aveva assunto la sua tipica posizione da combattimento, Shardan aveva spiegato le ali e aveva fatto un unico passo in avanti. Era pronto, davvero, e se avesse avuto le labbra di un umano in quel momento avrebbe sorriso.
Grande era stato il suo stupore quando Ariel gli aveva voltato le spalle e si era rivolto al re.
Il principe stava implorando quel re a cui tanto si era affezionato. Di cosa, con precisione, non lo sapeva nemmeno lui.
“Questo drago si chiama Shardan. È mio amico e spero che possa esserlo anche vostro. Ma voglio che sia chiara una cosa: chiunque voglia fargli del male dovrà prima passare sul mio cadavere.”
Aveva distolto lo sguardo dal suo solo per un breve momento, per guardare i suoi cavalieri che alle sue parole avevano abbassato le armi, anche se lo guardavano allibiti e rivolgevano occhiate guardinghe al drago alle sue spalle. Poi aveva piantato di nuovo gli occhi nei suoi. Sperava… sperava davvero che quell’uomo così forte, e bello, e saggio, potesse capire.
Immensa era stata la gioia di Shardan, quando Ariel si era voltato per un attimo verso di lui, con un sorriso luminoso, prima di girarsi a fronteggiare nuovamente gli uomini armati con espressione decisa, anche se con un’ombra di tristezza negli occhi. Con il suo più caro amico che era avanzato fino a raggiungere il suo fianco, pronto a combattere accanto a lui.

   
 
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