Capitolo
0 1
City
of Angels
Di
nuovo solo!
Non
erano bastati gli ultimi cento anni di disperazione e solitudine? Cento
lunghissimi interminabili anni. Allora aveva davvero toccato il fondo. Vagando
per l’Europa, prima, e nel Nuovo Mondo poi, solo in compagnia di se stesso e del
pianto di dolore delle sue vittime. Quel pianto ora, era anche il suo, e sarebbe
durato per sempre. Aveva vagato dal vecchio al nuovo continente, tra la vita e
il sonno, tra la luce e il buio in balia di un anima che non aveva chiesto.
Solo! così come lo era adesso. Perché era successo a lui? Perché doveva sentire
così presente il suo terribile passato? In ogni aurora, di quegli
ultimi cento anni, aveva dovuto rivivere tutto il dolore che lui stesso aveva
causato. Lo sentiva presente e vivo. All’alba, quando i sensi lo avvertivano che
doveva riposare, chiudeva gli occhi ed ecco che tornava vivido il ricordo di ciò
che lui era stato. I suoi incubi non erano delle semplici immagini mentali, come
accade nei sogni notturni. NO!. I suoi incubi erano vivi, erano reali. Lui, con
i cinque sensi in allarme, sentiva tutto lo strazio delle sue vittime. Lo
sentiva con il corpo, con la mente, e con l’anima. I suoi incubi erano T R I D I
M E N S I O N A L I.
Corpo - Psiche - Anima.
Non
poteva sfuggire a tutto quel dolore. Non poteva far finta che non esistesse. Non
poteva trovare riparo in alcun luogo. Non poteva scappare da se
stesso.
Non
lo disse mai a lei. Lei però sapeva.
Gli
zingari, quando lo maledissero, sapevano bene quel che
facevano.
Ogni
fibra del suo essere percepiva gli avvenimenti del suo passato, come se, ad uno
ad uno, le sue vittime prendessero
possesso del suo corpo e lo tormentassero con il loro pianto. Poteva percepirne
i pensieri, i loro progetti per il futuro, quel futuro che lui, uccidendoli,
aveva negato loro. Poteva sentire il dolore fisico su di sé, il lacerarsi della
pelle al suo morso e il frantumarsi delle ossa, quando con voluttà spezzava loro
il collo.
Poteva
sentire le loro suppliche. Non tutti imploravano con la voce, alcuni restavano
in silenzio, chiedendo pietà con lo sguardo. Occhi increduli per lo stupore
della morte che gli accoglieva. Risentiva il loro odore. L’odore della paura.
Sentiva il loro sapore e il piacere che provava nel vedere la loro vita scivolare via lentamente dalle sue
braccia. Allora e solo allora, li lasciava cadere pesantemente a terra. Ormai
erano solo pallidi e inutili involucri vuoti. Si allontanava, non ancora sazio,
ansioso di cercare nuovo piacere. L’ebbrezza della caccia era diventata oramai
la sua unica ragion d’esistere, una fonte inesauribile di voluttuoso
appagamento.
Era
diventato un esteta del male.
Avvolto
nell’oscurità della sua nuova casa, tentava, con non molta convinzione, di
trovare una sistemazione alle poche cose che aveva voluto portare con sé e che
solo pochi giorni prima erano appartenute al suo recente passato. Aveva già
svuotato la valigia e i suoi abiti, tutti rigorosamente scuri, erano appesi con
meticolosa precisione, ordinatamente nell’armadio. Amava l’ordine, gli dava un
senso di apparente sicurezza, in contrasto con il caotico andirivieni dei suoi
pensieri. In quel momento sapeva di avere poche certezze e stare fra le sue cose
gli dava un leggero senso di pace, quegli oggetti parlavano di lui e si sentiva
rassicurato da essi. Dalla valigia
prese l’ultimo maglione rimasto, infilandolo in mezzo agli altri nel cassetto.
Dando le spalle all’armadio, si diresse di nuovo verso la valigia ormai vuota.
Si fermò di scatto, come se avesse avvertito la presenza di qualcuno nella sua
camera, come se sapesse di non essere più solo. Rimase per alcuni istanti fermo
in mezzo alla stanza, cercando di capire. Si voltò nuovamente a fissare
l’armadio con le ante e i cassetti ancora aperti. Riprese in mano il maglione
che aveva conservato poco prima e allora capì. Lo stropicciò delicatamente e se
lo portò sul viso, annusandolo. Con un leggero sorriso, maledisse il suo olfatto
super sviluppato che in quel momento gli era nemico. Chiuse gli occhi, e si
lasciò trasportare dall’emozione dei ricordi che quell’odore avevano così
inopportunamente evocato. Sorrise ancora!
Era
l’odore di lei.
Lei era lì con lui.
Gli
sorrideva e lo accarezza dolcemente.
Gli
diceva di stare tranquillo.
Gli
diceva che presto avrebbe capito.
Fuori
il sole era alto, mancavano ancora molte ore al tramonto e doveva tenersi
occupato per non sentire il peso di ricordi così dolorosamente presenti e
soprattutto non voleva cedere alla tentazione di chiamarla. Sapeva che prima o
poi avrebbe dovuto farlo, almeno per rassicurarla, per dirle che stava bene e
che aveva trovato una casa e che… si anche per…
Per
sentire la sua voce.
Rimise
a posto il maglione e chiuse velocemente ante e cassetti. Dirigendosi verso il
letto, chiudendola, conservò la valigia ormai vuota, sistemandola in un baule
che stava ai piedi del letto. Sollevò uno scatolone da terra e poggiandolo su
una sedia, iniziò a riordinare dischi e libri. I suoi amati libri, fedeli
compagni di lunghe giornate passate davanti al grande camino acceso, mentre
attendeva che lei uscisse da scuola e passasse da casa sua per allenarsi, oppure
per leggere insieme antiche poesie o solo per parlare. Gli piaceva ascoltarla e
gli piaceva vederla ridere, perché magari, come era capitato il giorno del suo
ultimo compleanno, non capiva il linguaggio antico di quelle poesie d’amore
ormai fuori moda.
“Virtude e Pulzella”
Ora
il sorriso di Angel si addolcì, ma era profonda malinconia.
Lui amava leggere, anche se era una passione che aveva sviluppato nella sua seconda vita. Quando era ancora umano, amava altri passatempi, forse non così nobili ma non per questo meno piacevoli. Era strano come seguendo la linea dei ricordi, questa lo conducesse a rivedere luoghi e persone così lontane fra loro.
Ma erano poi davvero così lontane?
Nella
sua famiglia, erano state sua madre e sua sorella ad amare i libri. Poteva
ricordare ancora come sua madre coltivasse questa passione quasi di nascosto. A
Galway nel XVIII secolo,
una donna che voleva nutrire il proprio bisogno di conoscenza, non era affatto
ben vista. Non da suo padre!. Lei leggeva nei momenti in cui lui non c’era.
Ricordava ancora però, di come sua madre non nascondesse i libri, quasi a
sfidare il marito. Era una mutua ribellione, ma non li leggeva mai davanti a
lui. Aspettava sempre che lui fosse fuori per i suoi affari. Ricordava benissimo
quando, in certi pomeriggi estivi, con il sole troppo alto e l’afa che non
rendeva piacevole uscire all’aperto, loro tre trovassero ristoro nello stare
insieme, nel fresco della loro grande cucina. Sua madre e sua sorella a
ricamare, ma più spesso a leggere. Talvolta chiedeva a Kathy di leggere a voce
alta. Gli piaceva ascoltarla, mentre si scambiavano sorrisi complici, godendo
entrambi della momentanea pace dovuta all’assenza di loro padre. Allora lui
prendeva dei grandi fogli e
sedendosi accanto a lei, giocava con il carboncino, tracciando profili,
dando vita a volti di donne che infiammavano la sua fantasia. Si, amava
disegnare ritratti e questa era una cosa che aveva conservato anche nella sua
seconda vita. Sua madre era la prima ad interrompere la lettura, dedicandosi
alla cucina. Era un ottima cuoca e sebbene avessero una governante, lei amava
preparare di persona il cibo per la cena. Lui la seguiva, gironzolandole intorno
e a volte l’aiutava. Aveva imparato da lei a cucinare. Anche se adesso, quella
abilità non le sarebbe servita a molto. La sua dieta era composta di soli
liquidi. Di un solo liquido.
Per
chi avrebbe dovuto cucinare?
Finì
di conservare i dischi in un piccolo mobiletto, per i libri doveva trovare
ancora una sistemazione. Le ore di quel tardo pomeriggio sembravano non
finire mai. Si sedette sulla poltrona. Chiuse gli occhi.
…………
………… …………
Di
nuovo solo!
Una
nuova città, una nuova casa, una nuova vita.
Quante
volte era morto?
Quante
vite aveva vissuto?
Ora,
come non mai, il peso del suo passato
lo tormentava e gli incubi erano diventati ancora più feroci. Da quando era
ritornato dall’inferno, il dolore si era fatto più acuto e vivido. Lei Lo aveva
aiutato. Ritrovare un po’ di equilibrio, dopo che era stato tormentato per
secoli in una dimensione infernale, non era stato facile, e ancora non poteva
dire di esserci del tutto riuscito. Ma vicino a lei era stato più semplice.
Quanta forza aveva dovuto avere lei allora. Quella piccola ragazza minuta, lo
aveva incatenato, temendo che di lui fosse rimasto solo il demone. Ancora una
volta, si era messa contro tutto e tutti per proteggerlo, per salvarlo dalla
morte che lei stessa gli aveva inflitto. Anche quando non sapeva ancora se lui
fosse stato come lo ricordava, o fosse invece diventato una feroce e irrazionale
bestia sputata dall’inferno. Lei aveva capito subito che lui non si era
trasformato in un animale senza coscienza, sordo alla ragione e all’amore. Ma
come poteva dirlo agli altri? Loro non avrebbero capito. Allora lo aveva curato,
le era stata accanto vegliandolo. Lo aveva semplicemente amato, nascondendolo a
tutti e mentendo ai suoi amici. Perché lei era così. Era forte, coraggiosa e
fiera.
Potevano
anche farle del male, ferirla, spezzarla, umiliarla, non le sarebbe importato,
ma
nessuno doveva toccare il suo ragazzo. Lui era l’amore della sua
vita.
La
sua sola presenza era sufficiente per farlo stare meglio. Accanto a lei poteva
sopportare tutto, e lentamente aveva ricominciato ad esistere nel
mondo. Adesso non le era più accanto a e all’antico dolore del male inflitto
alle sue vittime, si aggiunse la disperazione dell’incessante bisogno di lei.
Ora era solo, come allora, cento anni prima, quando aveva vagato per il mondo,
cercando invano una direzione, cercando perdono, cercando un motivo per cui
vivere.
Vivere?
Beh,
nel suo caso, “vivere” era una parola grossa. Lui era morto. Un non
morto per la precisione. Un Nosferatu. Lui era un Vampiro! Oh si certo
aveva un anima, e allora? A chi sarebbe importato? Quanti erano i grado di
apprezzarne la sostanziale differenza?
Lei!
Si! Lei lo aveva capito subito che lui era diverso.
Ha
un anima adesso, è buono! aveva urlato a Kendra.
Quante
volte era morto?
Sulle
sue labbra comparve un leggero sorriso. Quando sorrideva in quel modo, la sua
bocca si piegava di lato, e storceva le labbra verso l’alto. Era un sorriso
amaro quello, un sorriso storto. Il sorriso di chi sapeva, che ancora
una volta, aveva perso tutto. Avrebbe voluto chiudere con il mondo, niente più
amore, niente più dolore, niente più demoni. Oh si! Avrebbe davvero voluto
finirla lì, ma dentro sé, insieme all’urlo del demone, risuonava un altra voce.
Una dolcissima voce, che fra le lacrime, gli diceva che non doveva smettere di
credere nella lotta. Quella voce gli diceva, che essere forte voleva dire
lottare. Gli diceva che era difficile, ed era doloroso, che ogni giorno sarebbe
stata dura, ma che, per quelli come loro, quella poteva essere l’unica
scelta possibile. "se tu morissi adesso
saresti stato solo un mostro"
-
Quella volta, aveva avuto paura di vivere -
Quella voce. La
sua!!
L’avrebbe
mai più risentita?
-Almeno
qualche volta? No, non rivederla. Solo sentire ancora una volta la sua
voce –
Disse,
sussurrando debolmente a se stesso.
Si
alzò di scatto dalla poltrona in cui era seduto, come a voler scacciare quel
ricordo.
La
tristezza stava diventando più acuta.
Si
diresse verso la cucina, prendendo dal frigorifero un contenitore trasparente e
versando un po’ del contenuto in un bicchiere. Uhm! Anche il cibo non
era una consolazione e si chiese quando mai si sarebbe abituato a quel surrogato
di vita.
In
fondo, quel cibo, poteva rappresentare, in qualche modo, la metafora
della sua esistenza.
Già!
La sua Vita! Una farsa, una grottesca farsa, un fenomeno da baraccone, un numero
da circo. E sentii ancora la voce
di Lei e in lui tornò il ricordo di un alba,
che
quella volta non arrivò.
Quella volta aveva iniziato a nevicare.
Un
miracolo, come il miracolo del loro amore.
In
quel momento seppe, con una certezza che sfiorava l’illuminazione, che il
ricordo di lei non lo avrebbe mai abbandonato. Ne fu spaventato.
Come
poteva continuare a vivere senza lei accanto?
Mai più e Per Sempre, anche quelle parole erano
diventate ricorrenti nelle sue non-vite.
Quante
volte era morto? L’ultima volta era stato pochi giorni prima, quando l’aveva
guardata per l’ultima volta, per poi voltare le spalle e andare via per sempre
avvolto nella nebbia. In quel momento era morto di nuovo. Stare con lei era
vita. Ora c’era solo morte nel suo cuore.
Mentre
si dirigeva nuovamente verso la poltrona, ancora quel suo sorriso
sghembo, ritrovandosi a pensare a quante analogie fossero presenti in
tutte le sue morti, e a quanto esse fossero
simili.
Furono
due donne ad uccidergli l’anima. Anche loro, come le sue morti, si
somigliavano.
Due
donne di corporatura minuta in contrasto alla loro forza fisica. Carnagione
chiara, come la luna la prima e come la luce del sole la
seconda. Due donne bellissime, quasi gli stessi occhi verdi e quei loro
capelli color del grano maturo. Loro gli avevano preso l’anima. Avevano avuto il
potere di svegliare il demone che era in lui.
Chiudi gli occhi, gli avevano detto. Con la
curiosità nel cuore, lui fiducioso lo aveva fatto. Era rimasto così, in silenzio
davanti a loro, in attesa di qualcosa di indefinito e poi quel dolore acuto a
risvegliarlo. Lo stesso sguardo di sorpresa nei suoi occhi. La speranza aveva
lasciato posto allo stupore e all’orrore. Riaprendo gli occhi si ritrovò all’
inferno. Tutte e due le volte.
Cosa era diventata la sua vita con Darla, se non un continuo secolare inferno quotidiano? Con lei era stato solo morte e distruzione! Senti il demone ruggire dentro lui. Si! quella nuova vita che lei, la vampira, gli aveva promesso, alla fine era basata solo sull’uccidere, niente altro che questo. Sangue ! Morte ! Follia. Perché questo fu. Follia. Una folle corsa, in lungo e in largo per l’Europa, durata 150 anni! Poi più niente. Un rumore secco e cupo fermò quel tempo. Il demone fu abbattuto, così come si abbatte un cavallo selvaggio che non vuol farsi domare. Lui, non più demone, ma non ancora uomo, cadde in ginocchio davanti al gitano che rideva, schiacciato dal peso del rimorso. Fu un attimo, un solo attimo di pura disperazione e comprese che la sua corsa era finita per sempre.
Ora
aveva un anima! e lo divorava da dentro. Darla non lo volle più con sé.
Così
quel mondo crollò, si accartocciò su se stesso e svanì in un istante.
Sorrise
ancora amaramente, cogliendo beffarde similitudini.
Un
solo attimo di pura disperazione aveva permesso ai gitani di imprigionare il
demone.
Un
solo attimo di pura felicità lo aveva liberato di nuovo.
Ancora
il suo pensiero andò a lei, a Buffy, e non poté non notare come i pensieri, in
quel caldo pomeriggio losangelino, fossero tutti rivolti alle donne più
importanti della sua vita.
Buffy,
sua madre, sua sorella, Darla e ancora Buffy. La più importante di tutte.
L’unica che avesse mai amato. Nei suoi lunghi 250 anni di vita non aveva mai
amato nessuna come lei e non si era mai sentito così amato da nessun’altra. Non
così come lo aveva amato lei.
La
pensava già al passato?
No,
non era così e lui lo sapeva bene. Fra loro era finita non certo perché avevano
smesso di amarsi. Anzi, fra loro non era affatto finita, e sapeva bene anche
questo, ma non potevano stare vicini. Si amavano troppo, era questo il motivo
della loro separazione.
Non
per mancanza d’amore, ma per troppo amore. Il loro era un amore
maledetto.
Lei
lo aveva fatto sentire di nuovo vivo. Stare con lei era stato come svegliarsi
dal torpore del sonno e del buio, ed era andato verso la vita, verso la luce.
Nessun’altra mai prima di allora lo aveva amato così. Lei vedeva solo lui nel
suo futuro e a lui era sufficiente averla accanto per sentirsi finalmente un
uomo. La prima volta che l’aveva vista, aveva sentito qualcosa dentro sé che
chiedeva di essere ascoltato. Comprese immediatamente che aveva trovato
finalmente una direzione, una luce da seguire, uno scopo. Dopo cento anni di
tenebre, si accendeva di nuovo la speranza ed era stata lei a dargliela. Era
riuscito subito a sentirla intimamente, vedendo semplicemente il suo cuore.
Quella notte a Los Angeles, guardandola attraverso i vetri della finestra del
suo bagno, pianse insieme a lei.
Sentii su di sé la sua sofferenza e desiderò da subito di poterla stringere per
proteggerla, per salvarla da una vita che lei non avrebbe voluto. Non la
conosceva ancora, non era ancora la cacciatrice, ma lui l’amava già. Lei
piangeva per i continui litigi dei suoi genitori e senti la sua solitudine.
Allora lui viveva ai margini del mondo, era arrivato davvero a toccare il fondo,
più in basso di così non si poteva scendere. Era giusto così. Lui era stato un
mostro e doveva pagare. Lei no!! Cosa poteva aver fatto di così tanto terribile
per meritare quel dolore? Era poco più che una bambina. Perché era già così sola
?
Come
era stato facile desiderare di poter proteggere il suo cuore. Temeva che venisse
ferito o lacerato e voleva tenerlo accanto al suo per poterlo scaldare. Lui
conosceva bene il freddo della solitudine. Invece fu proprio lui a ferirla con
il suo amore. Ma questo ancora non poteva saperlo.
Per ucciderla la Devi amare
Anche
il demone era attratto da lei. Disegnando il suo viso, quella notte, tracciò sul
foglio, come fosse una carezza, il contorno ovale di lei e fu colto
dall’irrefrenabile voglia di baciarla. Lei dormiva e lui silenzioso come un
ratto, le aveva scostato una ciocca ribelle dal viso. Quanta tenerezza in quel
piccolo gesto. Fu la prima volta che il flagello d’ Europa accarezzò quel
sentimento a lui sconosciuto, che
molti chiamano amore. Ma non fu certo l’unica. Se Spike e Drusilla l’avessero
visto adesso, avrebbero certamente pensato che fosse tornato Angel.
Ma
così non era. Era sempre lui, Angelus, non più maledetto.
Rimase
lì a guardarla fino all’alba. Anche lui l’amava.
Angel
tornò con la mente al ricordo della prima volta che la vide. Era sola e
fragile.
Dio come era bella!
Al
cantastorie rispose con un SI, quel SI era per lei.
Era
una promessa muta e ancora informe. Era già Amore.
Era
quel genere di SI che sarebbe durato per tutta la vita. Per
Sempre.
Come
fosse di fronte all’altare, disse SI con la stessa emozione di
uno sposo innamorato.
Ci
sono momenti che possono determinare
il
corso di un’intera esistenza.
A
volte durano frazioni di secondo.
A
volte no.
E
la sua vita era cambiata. In una frazione di secondo, tutto si fece chiaro.
Quella
nuova vita adesso aveva un nome… il suo.
E
sempre lei, ora, lo aveva condotto lì in quella nuova città, in quella nuova
casa, verso un nuovo cambiamento, ancora un altro! Ma se, quando l’aveva vista
per la prima volta, aveva sentito di avere finalmente una direzione, adesso lì,
seduto in quella poltrona sentiva di nuovo l’oscurità farsi più densa, più
consistente pronta a riprenderlo con sé.
La
malinconia, lentamente ma inesorabilmente, stava lasciando il posto alla cieca
disperazione.
Chiuse
gli occhi e pianse.