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Autore: lafatablu    09/07/2010    1 recensioni
Angel ha appena lasciato Sunnydale, trasferendosi a Los Angeles. Deve iniziare una nuova vita e sente, ora come non mai, il peso del suo passato. Buffy, anche lei sola, decide di passare l’estate a Sunnydale e non sa darsi pace per la partenza di Angel. Deve davvero rassegnarsi a tutta quella tristezza senza combattere? Decide che andrà a trovare suo padre a Los Angeles. Racconterò di loro. Pensieri ed Emozioni di Anime che si cercano.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angel
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 0 1

City of Angels

 

Di nuovo solo!

Non erano bastati gli ultimi cento anni di disperazione e solitudine? Cento lunghissimi interminabili anni. Allora aveva davvero toccato il fondo. Vagando per l’Europa, prima, e nel Nuovo Mondo poi, solo in compagnia di se stesso e del pianto di dolore delle sue vittime. Quel pianto ora, era anche il suo, e sarebbe durato per sempre. Aveva vagato dal vecchio al nuovo continente, tra la vita e il sonno, tra la luce e il buio in balia di un anima che non aveva chiesto. Solo! così come lo era adesso. Perché era successo a lui? Perché doveva sentire così presente il suo terribile passato? In ogni aurora, di quegli ultimi cento anni, aveva dovuto rivivere tutto il dolore che lui stesso aveva causato. Lo sentiva presente e vivo. All’alba, quando i sensi lo avvertivano che doveva riposare, chiudeva gli occhi ed ecco che tornava vivido il ricordo di ciò che lui era stato. I suoi incubi non erano delle semplici immagini mentali, come accade nei sogni notturni. NO!. I suoi incubi erano vivi, erano reali. Lui, con i cinque sensi in allarme, sentiva tutto lo strazio delle sue vittime. Lo sentiva con il corpo, con la mente, e con l’anima. I suoi incubi erano T R I D I M E N S I O N A L I. Corpo - Psiche - Anima.

Non poteva sfuggire a tutto quel dolore. Non poteva far finta che non esistesse. Non poteva trovare riparo in alcun luogo. Non poteva scappare da se stesso.

 

Non lo disse mai a lei. Lei però sapeva.

 

Gli zingari, quando lo maledissero, sapevano bene quel che facevano.

Ogni fibra del suo essere percepiva gli avvenimenti del suo passato, come se, ad uno ad uno, le sue  vittime prendessero possesso del suo corpo e lo tormentassero con il loro pianto. Poteva percepirne i pensieri, i loro progetti per il futuro, quel futuro che lui, uccidendoli, aveva negato loro. Poteva sentire il dolore fisico su di sé, il lacerarsi della pelle al suo morso e il frantumarsi delle ossa, quando con voluttà spezzava loro il collo.

Poteva sentire le loro suppliche. Non tutti imploravano con la voce, alcuni restavano in silenzio, chiedendo pietà con lo sguardo. Occhi increduli per lo stupore della morte che gli accoglieva. Risentiva il loro odore. L’odore della paura. Sentiva il loro sapore e il piacere che provava nel vedere la loro vita  scivolare via lentamente dalle sue braccia. Allora e solo allora, li lasciava cadere pesantemente a terra. Ormai erano solo pallidi e inutili involucri vuoti. Si allontanava, non ancora sazio, ansioso di cercare nuovo piacere. L’ebbrezza della caccia era diventata oramai la sua unica ragion d’esistere, una fonte inesauribile di voluttuoso appagamento.

Era diventato un esteta del male.

Avvolto nell’oscurità della sua nuova casa, tentava, con non molta convinzione, di trovare una sistemazione alle poche cose che aveva voluto portare con sé e che solo pochi giorni prima erano appartenute al suo recente passato. Aveva già svuotato la valigia e i suoi abiti, tutti rigorosamente scuri, erano appesi con meticolosa precisione, ordinatamente nell’armadio. Amava l’ordine, gli dava un senso di apparente sicurezza, in contrasto con il caotico andirivieni dei suoi pensieri. In quel momento sapeva di avere poche certezze e stare fra le sue cose gli dava un leggero senso di pace, quegli oggetti parlavano di lui e si sentiva rassicurato da essi.  Dalla valigia prese l’ultimo maglione rimasto, infilandolo in mezzo agli altri nel cassetto. Dando le spalle all’armadio, si diresse di nuovo verso la valigia ormai vuota. Si fermò di scatto, come se avesse avvertito la presenza di qualcuno nella sua camera, come se sapesse di non essere più solo. Rimase per alcuni istanti fermo in mezzo alla stanza, cercando di capire. Si voltò nuovamente a fissare l’armadio con le ante e i cassetti ancora aperti. Riprese in mano il maglione che aveva conservato poco prima e allora capì. Lo stropicciò delicatamente e se lo portò sul viso, annusandolo. Con un leggero sorriso, maledisse il suo olfatto super sviluppato che in quel momento gli era nemico. Chiuse gli occhi, e si lasciò trasportare dall’emozione dei ricordi che quell’odore avevano così inopportunamente evocato. Sorrise ancora!

Era l’odore di lei.

 

Lei era lì con lui.

 

Gli sorrideva e lo accarezza dolcemente.

Gli diceva di stare tranquillo.

Gli diceva che presto avrebbe capito.

 

Fuori il sole era alto, mancavano ancora molte ore al tramonto e doveva tenersi occupato per non sentire il peso di ricordi così dolorosamente presenti e soprattutto non voleva cedere alla tentazione di chiamarla. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo, almeno per rassicurarla, per dirle che stava bene e che aveva trovato una casa e che… si anche per…

 

Per sentire la sua voce.

 

Rimise a posto il maglione e chiuse velocemente ante e cassetti. Dirigendosi verso il letto, chiudendola, conservò la valigia ormai vuota, sistemandola in un baule che stava ai piedi del letto. Sollevò uno scatolone da terra e poggiandolo su una sedia, iniziò a riordinare dischi e libri. I suoi amati libri, fedeli compagni di lunghe giornate passate davanti al grande camino acceso, mentre attendeva che lei uscisse da scuola e passasse da casa sua per allenarsi, oppure per leggere insieme antiche poesie o solo per parlare. Gli piaceva ascoltarla e gli piaceva vederla ridere, perché magari, come era capitato il giorno del suo ultimo compleanno, non capiva il linguaggio antico di quelle poesie d’amore ormai fuori moda.

 

“Virtude e Pulzella”

 

Ora il sorriso di Angel si addolcì, ma era profonda malinconia.

 

Lui amava leggere, anche se era una passione che aveva sviluppato nella sua seconda vita. Quando era ancora umano, amava altri passatempi, forse non così nobili ma non per questo meno piacevoli. Era strano come seguendo la linea dei ricordi, questa lo conducesse a rivedere luoghi e persone così lontane fra loro.

 

Ma erano poi davvero così lontane?

 

Nella sua famiglia, erano state sua madre e sua sorella ad amare i libri. Poteva ricordare ancora come sua madre coltivasse questa passione quasi di nascosto. A Galway nel XVIII secolo, una donna che voleva nutrire il proprio bisogno di conoscenza, non era affatto ben vista. Non da suo padre!. Lei leggeva nei momenti in cui lui non c’era. Ricordava ancora però, di come sua madre non nascondesse i libri, quasi a sfidare il marito. Era una mutua ribellione, ma non li leggeva mai davanti a lui. Aspettava sempre che lui fosse fuori per i suoi affari. Ricordava benissimo quando, in certi pomeriggi estivi, con il sole troppo alto e l’afa che non rendeva piacevole uscire all’aperto, loro tre trovassero ristoro nello stare insieme, nel fresco della loro grande cucina. Sua madre e sua sorella a ricamare, ma più spesso a leggere. Talvolta chiedeva a Kathy di leggere a voce alta. Gli piaceva ascoltarla, mentre si scambiavano sorrisi complici, godendo entrambi della momentanea pace dovuta all’assenza di loro padre. Allora lui prendeva dei grandi fogli e  sedendosi accanto a lei, giocava con il carboncino, tracciando profili, dando vita a volti di donne che infiammavano la sua fantasia. Si, amava disegnare ritratti e questa era una cosa che aveva conservato anche nella sua seconda vita. Sua madre era la prima ad interrompere la lettura, dedicandosi alla cucina. Era un ottima cuoca e sebbene avessero una governante, lei amava preparare di persona il cibo per la cena. Lui la seguiva, gironzolandole intorno e a volte l’aiutava. Aveva imparato da lei a cucinare. Anche se adesso, quella abilità non le sarebbe servita a molto. La sua dieta era composta di soli liquidi. Di un solo liquido.

Per chi avrebbe dovuto cucinare?

 

Finì di conservare i dischi in un piccolo mobiletto, per i libri doveva trovare ancora una sistemazione. Le ore di quel tardo pomeriggio sembravano non finire mai. Si sedette sulla poltrona. Chiuse gli occhi.

………… ………… …………

 

Di nuovo solo!

Una nuova città, una nuova casa, una nuova vita.

Quante volte era morto?

Quante vite aveva vissuto?

 

Ora, come non mai, il peso del suo passato lo tormentava e gli incubi erano diventati ancora più feroci. Da quando era ritornato dall’inferno, il dolore si era fatto più acuto e vivido. Lei Lo aveva aiutato. Ritrovare un po’ di equilibrio, dopo che era stato tormentato per secoli in una dimensione infernale, non era stato facile, e ancora non poteva dire di esserci del tutto riuscito. Ma vicino a lei era stato più semplice. Quanta forza aveva dovuto avere lei allora. Quella piccola ragazza minuta, lo aveva incatenato, temendo che di lui fosse rimasto solo il demone. Ancora una volta, si era messa contro tutto e tutti per proteggerlo, per salvarlo dalla morte che lei stessa gli aveva inflitto. Anche quando non sapeva ancora se lui fosse stato come lo ricordava, o fosse invece diventato una feroce e irrazionale bestia sputata dall’inferno. Lei aveva capito subito che lui non si era trasformato in un animale senza coscienza, sordo alla ragione e all’amore. Ma come poteva dirlo agli altri? Loro non avrebbero capito. Allora lo aveva curato, le era stata accanto vegliandolo. Lo aveva semplicemente amato, nascondendolo a tutti e mentendo ai suoi amici. Perché lei era così. Era forte, coraggiosa e fiera.

Potevano anche farle del male, ferirla, spezzarla, umiliarla, non le sarebbe importato,

ma nessuno doveva toccare il suo ragazzo. Lui era l’amore della sua vita.

La sua sola presenza era sufficiente per farlo stare meglio. Accanto a lei poteva sopportare tutto, e lentamente aveva ricominciato ad esistere nel mondo. Adesso non le era più accanto a e all’antico dolore del male inflitto alle sue vittime, si aggiunse la disperazione dell’incessante bisogno di lei. Ora era solo, come allora, cento anni prima, quando aveva vagato per il mondo, cercando invano una direzione, cercando perdono, cercando un motivo per cui vivere.

 

Vivere?

 

Beh, nel suo caso, “vivere” era una parola grossa. Lui era morto. Un non morto per la precisione. Un Nosferatu. Lui era un Vampiro! Oh si certo aveva un anima, e allora? A chi sarebbe importato? Quanti erano i grado di apprezzarne la sostanziale differenza?

Lei! Si! Lei lo aveva capito subito che lui era diverso.

Ha un anima adesso, è buono! aveva urlato a Kendra.

 

Quante volte era morto?

Sulle sue labbra comparve un leggero sorriso. Quando sorrideva in quel modo, la sua bocca si piegava di lato, e storceva le labbra verso l’alto. Era un sorriso amaro quello, un sorriso storto. Il sorriso di chi sapeva, che ancora una volta, aveva perso tutto. Avrebbe voluto chiudere con il mondo, niente più amore, niente più dolore, niente più demoni. Oh si! Avrebbe davvero voluto finirla lì, ma dentro sé, insieme all’urlo del demone, risuonava un altra voce. Una dolcissima voce, che fra le lacrime, gli diceva che non doveva smettere di credere nella lotta. Quella voce gli diceva, che essere forte voleva dire lottare. Gli diceva che era difficile, ed era doloroso, che ogni giorno sarebbe stata dura, ma che, per quelli come loro, quella poteva essere l’unica scelta possibile. "se tu morissi adesso saresti stato solo un mostro"

- Quella volta, aveva avuto paura di vivere -

 

Quella voce. La sua!!

L’avrebbe mai più risentita?

 

-Almeno qualche volta? No, non rivederla. Solo sentire ancora una volta la sua voce

 

Disse, sussurrando debolmente a se stesso.

 

Si alzò di scatto dalla poltrona in cui era seduto, come a voler scacciare quel ricordo.

La tristezza stava diventando più acuta.

Si diresse verso la cucina, prendendo dal frigorifero un contenitore trasparente e versando un po’ del contenuto in un bicchiere. Uhm! Anche il cibo non era una consolazione e si chiese quando mai si sarebbe abituato a quel surrogato di vita.

In fondo, quel cibo, poteva rappresentare, in qualche modo, la metafora della sua esistenza.

Già! La sua Vita! Una farsa, una grottesca farsa, un fenomeno da baraccone, un numero da circo.  E sentii ancora la voce di Lei e in lui tornò il ricordo di un alba,

che quella volta non arrivò.

Quella volta aveva iniziato a nevicare.

Un miracolo, come il miracolo del loro amore.

In quel momento seppe, con una certezza che sfiorava l’illuminazione, che il ricordo di lei non lo avrebbe mai abbandonato. Ne fu spaventato.

Come poteva continuare a vivere senza lei accanto?

Mai più e Per Sempre, anche quelle parole erano diventate ricorrenti nelle sue non-vite.

 

Quante volte era morto? L’ultima volta era stato pochi giorni prima, quando l’aveva guardata per l’ultima volta, per poi voltare le spalle e andare via per sempre avvolto nella nebbia. In quel momento era morto di nuovo. Stare con lei era vita. Ora c’era solo morte nel suo cuore.

 

Mentre si dirigeva nuovamente verso la poltrona, ancora quel suo sorriso sghembo, ritrovandosi a pensare a quante analogie fossero presenti in tutte le sue morti, e a quanto esse fossero simili.

 

Furono due donne ad uccidergli l’anima. Anche loro, come le sue morti, si somigliavano.

Due donne di corporatura minuta in contrasto alla loro forza fisica. Carnagione chiara, come la luna la prima e come la luce del sole la seconda. Due donne bellissime, quasi gli stessi occhi verdi e quei loro capelli color del grano maturo. Loro gli avevano preso l’anima. Avevano avuto il potere di svegliare il demone che era in lui.

Chiudi gli occhi, gli avevano detto. Con la curiosità nel cuore, lui fiducioso lo aveva fatto. Era rimasto così, in silenzio davanti a loro, in attesa di qualcosa di indefinito e poi quel dolore acuto a risvegliarlo. Lo stesso sguardo di sorpresa nei suoi occhi. La speranza aveva lasciato posto allo stupore e all’orrore. Riaprendo gli occhi si ritrovò all’ inferno. Tutte e due le volte.

Cosa era diventata la sua vita con Darla, se non un continuo secolare inferno quotidiano? Con lei era stato solo morte e distruzione! Senti il demone ruggire dentro lui. Si! quella nuova vita che lei, la vampira, gli aveva promesso, alla fine era basata solo sull’uccidere, niente altro che questo. Sangue ! Morte ! Follia. Perché questo fu. Follia. Una folle corsa, in lungo e in largo per l’Europa, durata 150 anni! Poi più niente. Un rumore secco e cupo fermò quel tempo. Il demone fu abbattuto, così come si abbatte un cavallo selvaggio che non vuol farsi domare. Lui, non più demone, ma non ancora uomo, cadde in ginocchio davanti al gitano che rideva, schiacciato dal peso del rimorso. Fu un attimo, un solo attimo di pura disperazione e comprese che la sua corsa era finita per sempre.

 

Ora aveva un anima! e lo divorava da dentro. Darla non lo volle più con sé.

Così quel mondo crollò, si accartocciò su se stesso e svanì in un istante.

 

Sorrise ancora amaramente, cogliendo beffarde similitudini.

 

Un solo attimo di pura disperazione aveva permesso ai gitani di imprigionare il demone.

Un solo attimo di pura felicità lo aveva liberato di nuovo.

 

Ancora il suo pensiero andò a lei, a Buffy, e non poté non notare come i pensieri, in quel caldo pomeriggio losangelino, fossero tutti rivolti alle donne più importanti della sua vita.

Buffy, sua madre, sua sorella, Darla e ancora Buffy. La più importante di tutte. L’unica che avesse mai amato. Nei suoi lunghi 250 anni di vita non aveva mai amato nessuna come lei e non si era mai sentito così amato da nessun’altra. Non così come lo aveva amato lei.

 

La pensava  già al passato?

 

No, non era così e lui lo sapeva bene. Fra loro era finita non certo perché avevano smesso di amarsi. Anzi, fra loro non era affatto finita, e sapeva bene anche questo, ma non potevano stare vicini. Si amavano troppo, era questo il motivo della loro separazione.

Non per mancanza d’amore, ma per troppo amore. Il loro era un amore maledetto.

 

Lei lo aveva fatto sentire di nuovo vivo. Stare con lei era stato come svegliarsi dal torpore del sonno e del buio, ed era andato verso la vita, verso la luce. Nessun’altra mai prima di allora lo aveva amato così. Lei vedeva solo lui nel suo futuro e a lui era sufficiente averla accanto per sentirsi finalmente un uomo. La prima volta che l’aveva vista, aveva sentito qualcosa dentro sé che chiedeva di essere ascoltato. Comprese immediatamente che aveva trovato finalmente una direzione, una luce da seguire, uno scopo. Dopo cento anni di tenebre, si accendeva di nuovo la speranza ed era stata lei a dargliela. Era riuscito subito a sentirla intimamente, vedendo semplicemente il suo cuore. Quella notte a Los Angeles, guardandola attraverso i vetri della finestra del suo bagno,  pianse insieme a lei. Sentii su di sé la sua sofferenza e desiderò da subito di poterla stringere per proteggerla, per salvarla da una vita che lei non avrebbe voluto. Non la conosceva ancora, non era ancora la cacciatrice, ma lui l’amava già. Lei piangeva per i continui litigi dei suoi genitori e senti la sua solitudine. Allora lui viveva ai margini del mondo, era arrivato davvero a toccare il fondo, più in basso di così non si poteva scendere. Era giusto così. Lui era stato un mostro e doveva pagare. Lei no!! Cosa poteva aver fatto di così tanto terribile per meritare quel dolore? Era poco più che una bambina. Perché era già così sola ?

Come era stato facile desiderare di poter proteggere il suo cuore. Temeva che venisse ferito o lacerato e voleva tenerlo accanto al suo per poterlo scaldare. Lui conosceva bene il freddo della solitudine. Invece fu proprio lui a ferirla con il suo amore. Ma questo ancora non poteva saperlo.

 

Per ucciderla la Devi amare

 

Anche il demone era attratto da lei. Disegnando il suo viso, quella notte, tracciò sul foglio, come fosse una carezza, il contorno ovale di lei e fu colto dall’irrefrenabile voglia di baciarla. Lei dormiva e lui silenzioso come un ratto, le aveva scostato una ciocca ribelle dal viso. Quanta tenerezza in quel piccolo gesto. Fu la prima volta che il flagello d’ Europa accarezzò quel sentimento  a lui sconosciuto, che molti chiamano amore. Ma non fu certo l’unica. Se Spike e Drusilla l’avessero visto adesso, avrebbero certamente pensato che fosse tornato Angel.

Ma così non era. Era sempre lui, Angelus, non più maledetto.

Rimase lì a guardarla fino all’alba. Anche lui l’amava.

 

Angel tornò con la mente al ricordo della prima volta che la vide. Era sola e fragile.

 

Dio come era bella!

 

Al cantastorie rispose con un SI, quel SI era per lei.

Era una promessa muta e ancora informe. Era già Amore.

Era quel genere di SI che sarebbe durato per tutta la vita. Per Sempre.

Come fosse di fronte all’altare, disse SI con la stessa emozione di uno sposo innamorato.

 

Ci sono momenti che possono determinare

il corso di un’intera esistenza.

A volte durano frazioni di secondo.

A volte no.

 

E la sua vita era cambiata. In una frazione di secondo, tutto si fece chiaro.

Quella nuova vita adesso aveva un nome… il suo.

E sempre lei, ora, lo aveva condotto lì in quella nuova città, in quella nuova casa, verso un nuovo cambiamento, ancora un altro! Ma se, quando l’aveva vista per la prima volta, aveva sentito di avere finalmente una direzione, adesso lì, seduto in quella poltrona sentiva di nuovo l’oscurità farsi più densa, più consistente pronta a riprenderlo con sé.

La malinconia, lentamente ma inesorabilmente, stava lasciando il posto alla cieca disperazione.

 

Chiuse gli occhi e pianse.

 

   
 
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