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Autore: Urdi    10/07/2010    4 recensioni
"Shikamaru cercò di nuovo le sigarette.
“So che sembra squallido, ma è una fottuta dipendenza.” Disse, mettendosi seduto con la schiena appoggiata alla testiera di legno del letto.
Itachi, che si era portato a pancia in giù, ridacchiò nascondendo il viso sul materasso.
“A me parli di dipendenza?” 
L’altro ragazzo sorrise. Non era un argomento divertente, ma di certo non avrebbero drammatizzato.
Shikamaru aveva notato i buchi sulle braccia dell’altro, i lividi che si erano formati a causa delle ripetute iniezioni, ma li aveva completamente ignorati. Chi era lui per giudicare?"
Una storia che parla di dipendenza da sostanze e non...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Itachi, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la serie
- Questa storia fa parte della serie 'Di noia, cotte e altre sostanze'
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Note iniziali: Questa fanfic fa parte della SERIE "Di noia, cotte ed altre sostanze". Avevo detto che quella raccolta avrebbe contenuto i pair più assurdi, tuttavia segue lo stesso un filo conduttore, che in questo caso è stato spezzato. Nella raccolta (così come nella storia in generale, il filo conduttore che dicevo), questa coppia non troverebbe assolutamente il suo spazio, perché penso che sia impossibile che Ino e Shikamaru possano essere in competizione amorosa. Se conoscete l'altra fanfic capirete, se non la conoscete, poco importa: potete leggerla lo stesso senza alcun problema. A causa dell'argomento trattato, questa fanfic è consigliata ad un pubblico maturo, anche se non è così esplicita da meritare il rating rosso.. Buona lettura!

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Questa fanfic è tutta dedicata alla mia amica slice (ali!), per il suo compleanno e per dirle che le voglio tanto bene. Come dice il prologhetto, io so che ci sono persone che compaiono e scompaiono nella nostra vita. Diciamo che più che altro ti mollano, anche se hai dato loro tutto e preteso niente. Molte volte mi è capitato di avere un ottimo feeling, ma poi, alla fine, mi hanno dimenticato con uno schiocco di dita. Ora, sarà che ho visto Lilo e Stitch da poco, ma io non dimentico nessuno. E sinceramente spero che la nostra sia una di quelle amicizie che durano, perché sei una persona che mi capisce benissimo e sto tanto bene con te! Se non ci fosse ali non saprei proprio come fare, per cui, mogliettina mia, goditi la lettura (se puoi… a me non piace molto, ma giuro che mi sono impegnata ç_ç) baciottino rotolante, ti adoro! P.s. Il titolo non so quanto abbia senso, ma volevo ci fosse slice :)

Nali


DI NOIA, COTTE ED ALTRE SOSTANZE (2.0)


Ci sono persone che nonostante abbiano fatto parte della nostra vita in periodi significativi (infanzia, adolescenza, maturità), poi spariscono. Compagni di scuola, insegnanti, colleghi. Non le incontriamo più, se non ogni tanto. Roba da una volta ogni dieci, quindici anni. Roba che è assurdo riuscire ancora a riconoscersi.
Passano su di noi talmente tante cose, talmente tante persone, che diventiamo come montagne scavate dal tempo. Nulla ci ridarà quella parte di roccia andata via con l’età. Nulla ci ridarà i rapporti ormai allentanti, sfumati.
Tuttavia, da qualche parte nel mondo, nel nostro paese, nella nostra città, c’è chi, invece, compare e scompare a intermittenza, con superficialità. Sembra che queste persone siano lì per caso. Una volta al supermercato, una volta al semaforo, una volta alle poste, una volta in un vicolo mentre guardi qualcuno morire d’overdose. Ed è in quell’ultimo posto, così pessimo, così maleodorante, così triste, che ricompare. Eccolo! La mente, da sola, elabora l’immagine e capisce. Lo ha già visto, ma dove? 
"Il tuo amico sta per crepare"



SLICE OF EROINE AND NICOTINE
Di Urdi






La luce dell’ospedale dava un senso di nausea a Itachi. I suoi occhi, troppo sensibili, non riuscivano a rimanere completamente aperti. Gli sembrava che oltre a ferirgli lo sguardo, il colore bianco abbagliante di quel corridoio facesse risaltare tutto rendendolo artificiale, finto come una scenografia mal costruita.
Il ragazzo, venticinque anni, stava appoggiato alla parete e fissava il pavimento azzurrino. Non pensava a nulla di particolare, se non dettagli insignificanti su ciò che avrebbe dovuto fare dopo.
Fu in quell’istante che nel suo campo visivo entrò una divisa da paramedico. Alzando lo sguardo vide quel ragazzo, quello che era comparso nel vicolo per aiutarli e ora lo fissava con aria assonnata.
“Abbiamo portato il tuo amico dai migliori, non dovresti preoccuparti.”
Preoccuparsi? Era l’ultima cosa che avrebbe fatto. Non avrebbe mai potuto provare qualcosa come la preoccupazione. Non più per lo meno, ormai era troppo distante. Itachi, ne era certo, aveva solo un grande vuoto dentro. L’unico sentimento che lo animava era un’apatia solida che lo portava a vedere belle solo le cose pratiche della vita (la fisica, per esempio).
Come lui, il giovane paramedico portava una coda, ma i capelli erano saldamente legali all’in su, mentre quelli di Itachi ricadevano morbidamente sulla schiena ed erano più lunghi. Il taglio degli occhi invece era particolare, non ne aveva mai visti di simili. C’era qualcosa di tipicamente orientale in lui, ma oltre a questo, una sfumatura di… noia.
“Grazie.” Sussurrò Itachi, abbozzando un debole sorriso. L’altro ragazzo alzò le spalle affondando le mani nelle tasche, prima di appoggiarsi a sua volta al muro.
A un suo sbuffo seguì un sonoro sbadiglio, che il paramedico non si curò di coprire con la mano.
“Che noia.” Bofonchiò ancora…Shikamaru Nara, questo era il nome che lesse Itachi sulla targhetta attaccata alla divisa.
Forse avrebbe dovuto dire che la condivideva, ma avrebbe destato dei sospetti. Una persona normale in quella situazione non avrebbe parlato di ‘noia’, ma di ansia. Itachi però non provava nulla, non perché non gli importasse di Kisame, lo considerava l’unico amico che ancora avesse in vita, ma perché non era proprio capace. Aveva provato a sentirsi vivo in tanti modi durante la propria esistenza, ma non aveva ancora trovato qualcosa che lo aiutasse concretamente a farlo. E l’eco dei ‘non più’, sembrava volergli ricordare che un tempo era stato vivo anche lui. E lui odiava sentire quel brusio, per questo aveva deciso che lo avrebbe coperto con qualcos’altro, un altro suono o nessun suono.
Quando ricominciava a sentire, capiva che era il momento di ricominciare.
Il tempo stava quindi per scadere?
Odiava dover perdere il controllo.
Se solo lo avesse saputo prima di cadere in quel baratro senza fine.
L’astinenza era una fame che lo logorava all’improvviso, ma i ricordi erano peggio. Lui lo aveva giurato: non voleva più sentire. Per questo c’era l’eroina.

Shikamaru, in quell’istante, si voltò lentamente verso il ragazzo moro e i loro sguardi si incrociarono. Si erano visti un talmente tante volte, anche se di sfuggita, che era quasi come se si conoscessero. Eppure in tutte quelle occasioni, che di norma comprendevano qualcuno che veniva raccattato dall’ambulanza in stato semi comatoso, non si erano mai rivolti la parola.
“Scusa, capisco non sia un buon momento…” aggiunse Shikamaru. Non era particolarmente interessato al fatto di sembrare insensibile nei confronti del ragazzo che aveva davanti, quanto più dalla sfuriata dei suoi superiori che continuavano a dirgli che era troppo svogliato e non aveva il minimo tatto nei confronti di parenti e amici di chi raccattavano per strada.
“E’ stata una serataccia anche per noi e ho assolutamente bisogno di un caffè.”concluse, scostandosi dal muro e cercando nelle tasche il pacchetto di sigarette.
“Beh, buona notte.” Salutò senza neppure voltarsi.
Itachi lo fissò , finché non si accorse dell’arrivo di Kakashi. Lo vide in fondo al corridoio accanto a Yamato, camminavano senza parlarsi, scuri in volto e andavano proprio verso di lui.
Si staccò quindi dalla parete e raggiunse Shikamaru.



Il giovane paramedico alzò lo sguardo dal bicchierino di plastica, attirato dal nuovo arrivato.
“Avevo bisogno anche io di un po’ di caffeina.” Ammise Itachi, cercando delle monetine da inserire nel distributore. Caffeina, caffeina, caffeina. Doveva concentrarsi su una sola parola, per scostare da sé la crisi. Eppure la mano che doveva infilare la moneta nel distributore aveva già iniziato a tremare.
Shikamaru mordicchiò un paio di volte il bastoncino sporco di caffè, prima di sputarlo direttamente nel cestino dei rifiuti.
Non si dissero altro. Rimasero in quel piccolo angolo di ospedale, in piedi, a sorseggiare caffè.
Non avevano argomenti e tantomeno voglia di chiacchierare, ma condividevano una fitta matassa di pensieri contorti che non si districavano mai. Era molto meglio ignorarli.

Shikamaru si stiracchiò, avrebbe voluto andare a casa, ma mancavano ancora un paio d’ore alla fine del suo turno. Che seccatura. Perché diavolo si era lasciato convincere a fare un lavoro simile? Non lo sapeva. Sarebbe stato molto meglio stare tutto il giorno spalmato sul divano, ma poi chi l’avrebbe sentita sua madre? Se voleva togliersi da quella casa avrebbe dovuto lavorare e quando Ino gli aveva proposto di andare con lei, l’aveva seguita senza pensarci su troppo.
Si grattò la nuca, sbadigliò un’ennesima volta e poi si lasciò cadere su una delle panchine di plastica della saletta d’attesa.
Itachi lo imitò, solo in modo più ordinato. Si sedette e accavallò le gambe, continuando a sorseggiare il suo caffè.
“Non so te, ma io odio aspettare.” Shikamaru si rigirò il pacchetto di sigarette vuoto tra le dita.
Fanculo, erano finite anche quelle!
“La vita è fatta di attese, per cui…”
“Già, bah, fosse per me non sarei neanche qui.”
“E allora perché non te ne vai?”
“Il mio turno scade tra… - guardò l’orologio – poco meno di due ore.”
“Non dovresti essere in ambulanza?”
“I miei colleghi hanno detto che mi avrebbero raggiunto per un caffè e di aspettarli. Tanto se ci chiamano abbiamo il cercapersone.”
“Che vita movimentata.”
“Bah.” Shikamaru si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia dietro alla testa.
Itachi abbozzò un sorriso, un piccolo accenno e Shikamaru si ritrovò a pensare che fosse incredibilmente fine. Era solo un movimento minimo, ma aveva cambiato completamente l’espressione seria dell’altro.
“Io, ho finito il mio caffè e si è fatto tardi, per cui…”
Itachi si alzò, buttò via il bicchierino di plastica e mosse piano la mano in segno di saluto.
“Buonanotte.”
Questa volta fu Shikamaru a seguirlo con lo sguardo.
Sì, si erano visti un sacco di volte, ma era la prima in cui si incontravano davvero. Era stato uno strano scambio di… di cosa? Non si poteva neppure dire che avessero parlato. Eppure si erano ritrovati a condividere il tempo dell’attesa. Quello morto, sonnolento, inutile. Quel tempo che faceva pensare di essere soli in un punto dell’universo, seduti con un caffè in mano.


Itachi affondò le mani nelle tasche dei jeans scuri, aumentando il passo e attraversando la strada.
Il nervosismo che lo stava assalendo era tipico dell’astinenza. Aveva provato a cambiare, a resistere, ma non ce la faceva. Era come se in quello stato fosse un’altra persona.
Però preferiva così, se lo era ripetuto un milione di volte. Finalmente, avrebbe annientato se stesso.
Oppure… oppure avrebbe cercato qualcosa per distrarsi da quella fame… e proprio mentre tale pensiero si materializzò nella sua mente, una mano gli sfiorò la spalla.
“Ehi!” era quel tizio… Shikamaru Nara. La divisa catarifrangente brillò per un istante al passaggio di un'auto e Itachi socchiuse gli occhi.
“Hai perso questo.” E dicendolo, il giovane paramedico porse un portafogli logoro all’altro.
“Ah. Grazie.” E sorrise in quel modo discreto e straordinario, che quasi Shikamaru non rimase imbambolato a guardarlo. Avrebbe avuto voglia di chiedergli dove stava andando o se aveva un posto dove tornare, ma rimase zitto.
Itachi, invece, capì come dimenticare per un po’ la sua fame.
“Ti va di mangiare qualcosa insieme?”
Non seppe mai se lo aveva chiesto davvero.




Shikamaru si mise in bocca una sigaretta, per poi cercare a tentoni l’accendino sul comodino.
L’unico suono che arrivava in quella stanza lontana dal mondo, era quello di alcune auto che sfrecciavano in strada.
Itachi si mise seduto sul letto, lasciando che il lenzuolo scivolasse sui suoi addominali.
L’altro gli dedicò una rapida occhiata, per poi tornare a fissare il fumo della sigaretta che si allontanava, salendo verso il lampadario.
Se quella serata era cominciata in modo strano, beh… stava continuando in maniera sempre più irreale. Gli sembrava di essere in un sogno.
Lui e Itachi.
Inspirò a fondo nicotina.
L’altro si guardò attorno, registrandone piccoli particolari: maree di libri in pile disordinate e polverose erano accatastati sul pavimento, così come vestiti, volantini pubblicitari e cd. Un disordine, dove era sicuro, Shikamaru riusciva a trovare tutto.
Eppure sentiva ancora la fame corrodere piano.
Iniziava a essere stressante. Non voleva che l’amante lo vedesse con i sintomi dell’astinenza. Era orribile, era anormale. Ma tu SEI anormale, gli disse la sua mente.

Shikamaru non fece in tempo a finire la sigaretta che si ritrovò a ricambiare un bacio passionale.
Itachi gli si era portato letteralmente addosso e aveva appoggiato le proprie labbra a quelle del paramedico. Si strinsero forte sotto il lenzuolo, che ormai li copriva solo per metà, e ricominciarono a fare l’amore, cedendo a una passione sconvolgente. Era quella che si accendeva quando si faceva sesso con uno sconosciuto, senza remore, senza pensieri.
Itachi sospirò di piacere, abbassandosi su Shikamaru per baciarlo sul collo e poi sulle labbra. Il sudore gli scivolava lento sulle tempie, ma non sapeva dire se fosse per lo sforzo fisico o l’astinenza che avanzava dentro di lui. Non gli importava, voleva solo annullare il frastuono del passato che cercava di assordarlo.
Lo facevano silenziosi, ma con foga crescente. Era strano. Non che non avessero esperienza, ma di certo non avevano mai provato una cosa simile, così totale e appagante.
I muscoli tesi nell’atto, lo sfregarsi sensuale delle loro labbra e dei loro bacini, l’incrocio delle loro gambe, le dita premute sulla pelle. Già la pelle… calda, bollente, salata…
Shikamaru morse piano il collo dell’amante, passando le dita fra i lunghi capelli corvini e scendendo con l’altra ad accarezzargli il fianco.
Avrebbero voluto che tutta quell’intensità durasse all’infinito, perché era una sensazione troppo bella per svanire in una sola notte.

Dopo l’orgasmo, stremati e sdraiati uno accanto all’altro, i cuscini ormai abbandonati sul pavimento, rimasero entrambi a fissare il soffitto con il battito accelerato.
Da quando avevano messo piede in quella stanza non si erano detti niente, se non quando Itachi aveva chiesto di usare il preservativo con una certa insistenza.
Per il resto, nulla.
Ma cos’avevano da condividere?
Shikamaru cercò di nuovo le sigarette.
“So che sembra squallido, ma è una fottuta dipendenza.” Disse, mettendosi seduto con la schiena appoggiata alla testiera di legno del letto.
Itachi, che si era portato a pancia in giù, ridacchiò nascondendo il viso sul materasso.
“A me parli di dipendenza?”
L’altro ragazzo sorrise. Non era un argomento divertente, ma di certo non avrebbero drammatizzato.
Shikamaru aveva notato i buchi sulle braccia dell’altro, i lividi che si erano formati a causa delle ripetute iniezioni, ma li aveva completamente ignorati. Chi era lui per giudicare?
Itachi sapeva che il paramedico aveva capito, i segni dell’eroina erano fin troppo evidenti. 
“Ché poi non è proprio una dipendenza, a dirti la verità. E’ che mi rilassa. Avevo fatto un patto con una persona una volta, ma alla fine non l’ho mantenuto. Forse dovrei comprare dei cerotti antifumo, che ne so…”
Itachi non smise di guardarlo dal basso e di sorridere.
“C’è un momento anche per smettere, non preoccuparti. – lo disse con voce stanca – Arriverà. Tutto finisce…”
“Quanta allegria…”
Itachi ridacchiò lievemente, chiudendo gli occhi. Finalmente la stanchezza stava arrivando e con lei il sonno. Forse avrebbe potuto dimenticare davvero l’astinenza…





Nel buio totale della stanza, Itachi spalancò gli occhi e la bocca nel tentativo di respirare. Sentiva la lingua arida di saliva e il cuore martellare da qualche parte nel suo corpo. Si portò una mano al petto, scostando il lenzuolo in modo brusco.
Shikamaru era placidamente addormentato a pancia in giù e lui cercò di essere svelto e silenzioso per non svegliarlo.
Il nero che avvolgeva il resto degli oggetti era troppo penetrante però… maledette ombre, maledetto passato, maledetta astinenza!
Ci mise un po’ prima di trovare i propri vestiti, poi li infilò in fretta, senza curarsi che la maglietta fosse dal verso giusto, e corse in bagno.
Quando accese la luce, avvertì gli occhi bruciare. Le pupille dilatate gli fecero percepire il bagliore chiaro cento volte più forte.
Shikamaru lavorava a contatto con gli ospedali, doveva avere delle siringhe da qualche parte…
Frugò nel mobile bianco del lavandino, ma non trovò nulla di quel che cercava, poi nella cassettiera vicino alla porta e lì… la sua salvezza: una confezione già aperta.
Prese quindi una delle proprie scarpe e ne tolse la suoletta interna, recuperando una busta di eroina. Era stato avventato portarla con sé, ma ora ne aveva troppo bisogno.
Tremando, guardò il contenuto.
Presto le voci sarebbero scomparse.
Andò in cucina traballando, tenendosi al muro del corridoio per non cadere a terra. Odiava non avere il controllo del proprio corpo, ma doveva tenere duro ancora per un po’.
Tastò la parete alla ricerca dell’interruttore della luce.
Il suo sguardo venne di nuovo ferito da quel bagliore intenso.
La cucina era di piccole dimensioni, ma nuova, con mobili in legno chiaro.
Itachi cercò subito il cassetto con le posate, ma preso dalla foga non si curò del rumore che queste facevano mentre vi frugava all’interno.
Trovò un cucchiaio e un accendino. Con frenesia si sfilò la cintura dai passanti dei jeans e la appoggiò sul tavolo: ora aveva tutto ciò che gli serviva.
Si sedette a terra barcollando, tanto che non finì per scontrare una sedia e farla cadere a terra, ma non se ne curò. Versò dalla bustina un po’ di polvere sul cucchiaio e poi iniziò a scaldarla con l’accendino. Piano piano la vide sciogliersi, divenire liquida come lacrime di disperazione.

Shikamaru si svegliò, quando sentì un rumore provenire proprio dalla cucina. Aprendo gli occhi non si rese subito conto di quello che stava accadendo. Pensò distrattamente che a Itachi fosse venuta fame, magari chimica, e quindi richiuse gli occhi.
Ma poi un rumore più forte glieli fece riaprire, gli sembrava quello di una sedia che cadeva per terra.
Controvoglia, si portò seduto, recuperò i pantaloni della tuta, li infilò e si diresse in cucina, sfregandosi gli occhi.

Quando entrò, vide Itachi seduto a terra, appoggiato al muro. Al braccio aveva legato la cintura e si stava iniettando una dose di eroina con una siringa.
Non ci fu tempo per chiedergli cosa stesse facendo (anche perché era evidente) che ormai il liquido era stato completamente iniettato nel corpo del ragazzo.
“Itachi…” lo disse piano, ma l’altro lo sentì, tanto da alzare lo sguardo smarrito verso di lui. Sapeva il suo nome? Quando glielo aveva detto?
Non lo ricordava…
I capelli, di solito raccolti e ordinati, gli ricadevano scomposti sulle spalle e sul viso, ma Shikamaru pensò che fosse bello anche così: scavato dall’astinenza.
“Io… lo dovevo fare. - Disse l’altro, abbozzando un sorriso amaro. – come vedi, la mia dipendenza è un po’ più complicata della tua.” Ma non c’era scherno in quelle parole. Non c’era niente. Sembrava che la tranquillità stesse tornando sul suo viso.

La reazione di Shikamaru, però, fu l’ultima delle possibilità che Itachi aveva immaginato: lo vide, infatti, sedersi accanto a sé.
“Perché?” chiese colpito.
Il paramedico scosse le spalle.
“Perché dobbiamo aspettare che la crisi finisca… - e poi voltandosi verso Itachi – No?”
Nessuna domanda sul perché si stesse facendo? Nessuna domanda su dove avesse tenuto l’eroina? O se fosse siero positivo? Proprio nessuna?
Itachi abbozzò un sorriso dei suoi, lieve, e Shikamaru questa volta pensò davvero a quanto gli piaceva quel viso. Avrebbe dovuto dirglielo che era stupendo, ma non conosceva il modo per farlo. Non vi era abituato.

“Aspetterai davvero con me perché finisca?”
Shikamaru si grattò pigramente un occhio e annuì.
“Certo, tutto finisce.”

E mentre si scambiavano uno sguardo complici, sapevano che dove stava finendo momentaneamente il delirium tremens, qualcos’altro sarebbe cominciato.

Il sesso sul pavimento della cucina, per esempio!




Owari

2010-07-10

Weeee, ce l’ho fattaaaa, non ci credo! L’ho terminata. Cavolo è di una tristezza assurda. Ed è incomprensibile. E i personaggi non saranno mai IC. E non c’è una cavolo di lemon… ma perché l’ho scritta? Aliiii, non ti piacerà mai. Perdona questo incidente di percorso! Ti prego!ç___ç Dovevo finirla così se volevo che non diventasse una longfic, anche se sto pensando a diversi seguiti... eheh...e sono pure in ritardo, mi perdonerai mai??? :(

Nali

  
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