Una breve introduzione è d’obbligo per un racconto importante.
Questa storia non è altro che la cronaca, un po’romanzata, della
mia serata di pochi giorni fa.
Credevo di aspettare un bambino... lo credevo così forte che è
diventato reale, catalizzatore potente per un amore che non credevo essere così
grande.
Il rendere pubblico questo breve scritto non è che un modo per
ringraziare la mia Ginevra, il mio piccolo angelo che un giorno nascerà, per
avermi fatto capire quando amo colui che sarà il suo papà.
Grazie, stellina mia.
Ti amo.
La tua mamma
Lettera a
un bambino che (forse) non c’è
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La
ragazza si lasciò cadere sul letto senza troppa grazia, semplicemente sfogando,
in quel gesto, tutta la stanchezza e la tensione accumulate durante il giorno.
Sospirando,
si tolse il reggiseno del costume sportivo e si massaggiò piano il seno,
divenuto, da pochi giorni a quella parte, decisamente troppo pesante.
E
duro, come il suo ragazzo si era premurato di ricordarle.
Troppo,
per essere normale.
Quella
mattina, poi, aveva avuto un conato di vomito parecchio forte che l’aveva
costretta a correre in bagno alla velocità della luce, cercando disperatamente
di non farsi notare dai suoi.
Non
era successo niente, non aveva rimesso nulla, ma il sintomo c’era, era lì,
davanti a lei, lampante come un’oasi nel mezzo del deserto.
Ravviandosi
i capelli scuri, la giovane sorrise e accarezzò, piano, il quaderno poggiato
sulla coperta accanto a lei.
All’inizio,
il giorno prima, aveva pensato che un bambino non avrebbe portato altro che danni
nella sua vita. Problemi da risolvere e liti con i suoi, ma niente di più.
Poi,
però, aveva sentito qualcosa, poche ore prima... qualcosa che le aveva spezzato
il fiato a livello della gola, costringendola a rivedere la sua posizione.
C’era
stato un movimento nella sua pancia.
Non
poteva essere il bambino, lo sapeva, ed era perfettamente cosciente che,
probabilmente, quel trambusto dentro di lei era dovuto solo ad una cena un
po’troppo pesante.
Eppure
si era resa conto, proprio grazie a quella strana sensazione, che crescere una
vita dentro di sé non poteva avere solo aspetti negativi.
Aprendo
il quaderno, sorrise, mentre le tornavano alla mente le parole che Lui le aveva
detto quello stesso pomeriggio.
Avevano
discusso del nome da dare al bambino, di come lui avrebbe voluto un maschietto,
mentre per lei una bambolina da coccolare sarebbe stata l’ideale. Avevano
persino provato ad immaginare il suo aspetto... bellissimo, come quello di ogni
creatura agli occhi dei suoi genitori.
Era
stata una conversazione strana e meravigliosa, come non ne aveva avute mai, e
improvvisamente i suoi diciannove anni le erano sembrati abbastanza.
Sempre
con il sorriso sulle labbra, stappò la penna, sistemandosi, come d’abitudine,
il tappo blu dietro all’orecchio e prendendo a mangiucchiare l’estremità della
bacchetta di plastica.
Immediatamente,
un pensiero piuttosto sciocco le attraversò la mente: non avrebbe potuto
insegnare a sua figlia che le penne non si mordono.
Poco
male, pensò, tracciando sul foglio le prime parole, ci penserà suo padre.
E poi,
spento il lampadario, con la sola luce della piccola torcia da lettura,
cominciò a scrivere la lettera più importante e difficile della sua ancora
breve esistenza.
Ciao, Ginevra.
È strano, nemmeno so se ci sei
e già ti chiamo per nome...
Beh, mi presento. Io sono la
tua mamma o, comunque, un giorno non troppo lontano lo sarò.
Chi sei tu, mi chiedi?
Questa è una domanda difficile,
piccola mia.
Vedi, io non lo so che cosa
sei.
Un’ipotesi, forse, è la
definizione più corretta. Un forse... anzi, il Forse.
Quello con la f maiuscola che,
se ci fosse, mi sconvolgerebbe la vita.
In linea di massima, comunque,
tu sei una bambina.
La mia bambina... anche se tuo
padre vorrebbe un maschietto. Ti chiameresti Edoardo e, non fraintendermi, ti
amerei esattamente allo stesso modo. È solo che lo sento qui dentro, in un
posto molto vicino al mio cuore, che, se ci sei, sei una femminuccia.
Una piccola, dolce stella.
La mia...la nostra Ginevra.
Stasera ho deciso di scriverti
perché sento qualcosa di strano dentro alla pancia, come un lieve movimento,
dato da non so che cosa.
Razionalmente, lo so che non
puoi essere tu. Sei troppo piccola, ora, per farti sentire, sei poco più di un
ammasso di cellule... o di una fantasia felice della mia mente, ma ho deciso di
provare a immaginare che siano i tuoi piedini a darmi questi piccoli colpi.
E allora ti ho vista, lo sai?
Proprio qui, davanti a me, che
quasi ti posso toccare, con i tuoi occhioni castani e riccioli scuri, proprio
come quelli del tuo papà.
È così che ho capito... ho
capito che, anche se forse non ci sei, ci sono delle cose che devi sapere e che
io ti racconterò nel modo che so fare meglio, scrivendo una storia.
Non ti illudere, bambina mia,
non è una storia piena d’avventura e misteri, questa.
È una storia forse noiosa, di
quelle che io non leggerei mai.
È solo la vita o, meglio, pochi
mesi della vita di due ragazzi normali.
Due ragazzi speciali che sono i
tuoi genitori.
Sai, piccola, trovo giusto che
tu ci conosca, perché se Dio -sempre che un Dio esista- ha deciso di farti
nascere in questa strana famiglia, da una donna bambina e un uomo non ancora
uomo, forse, in fondo, un motivo c’è.
Ci siamo conosciuti in vacanza,
io e il tuo papà. Una vacanza per me, a dire il vero, che avrebbe dovuto
risolversi in un po’di semplice shopping con la mia migliore amica, la Lilly.
La conoscerai, la Lilly...ma di questo ti parlerò dopo. Per il tuo papà,
invece, era uno stage con il suo gruppo di karate, di cui fanno parte anche tuo
nonno e tuo zio... due pazzi scatenati! Li amerai, Ginny mia, li amerai.
Ci siamo guardati di sfuggita,
sulle scale dell’hotel. Nemmeno ci siamo visti davvero, ma due serate passate
insieme sono bastate a tuo padre per innamorarsi di me e a chiedermi di uscire,
anche se io ero presissima da un altro.
È stata bella la nostra prima
uscita, lo sai, Ginevra?
Lui non mi piaceva, ma ho
accettato lo stesso ed è davvero valsa la pena! Ci siamo baciati sotto all’ombrello,
perché pioveva a dirotto e, ti dirò la verità, lui baciava veramente male! Oh sì
signorina mia, mi ha praticamente lavato la faccia con quel primo bacio.
Ma poi è migliorato...io gli ho
dato la possibilità di migliorare e non l’ho fatto perché mi fossi perdutamente
innamorata, no. L’ho fatto per dimenticare Paul (un altro “zio” che ti vorrà
tanto bene), che credevo di amare.
Poi però, uscita dopo uscita,
ho capito che avevo a che fare con una persona grande con un cuore
semplicemente immenso.
Ci sta tutto il mondo nel cuore
del tuo papà, lo sai? Vuole fare il dottore e salvare le persone ammalate. Ha
un cuore nobile, il tuo papà. Nobile e bellissimo, proprio come i suoi occhi.
Saranno dolci come i suoi, i tuoi
occhi?
Io invece non voglio salvare la
vita a nessuno. Non la trovo una cosa brutta; semplicemente non fa per me.
Se il destino vorrà, sarai
figlia di un medico e di un’attrice.
Questo è il mio sogno...
prendere tra le mani il cuore del pubblico e fargli il solletico, oppure
stringerlo in un abbraccio tanto forte da farlo commuovere, o ancora fargli
semplicemente una carezza, una carezza materna, dolce e rilassante.
Non credere mai, piccola mia, a
chi ti dirà che il mestiere che voglio fare è frivolo ed inutile: è il mestiere
più bello del mondo, se lo si fa con il giusto fine.
Con il tempo, ne sono sicura,
lo capirai.
Bene, piccola mia, in poche
righe ho provato a spiegarti chi sono i tuoi genitori, ma sono sicura che la
lettera che ti ha scritto tuo padre è servita allo scopo molto di più. È bellissima,
quella lettera... più diretta della mia, priva di giri di parole.
Meravigliosa.
Come sarai tu.
Per finire, dolce Ginevra,
voglio dirti una piccola cosa.
Il mondo, forse, non è il
miglior posto in cui vivere, ma noi non abbiamo a disposizione nulla di meglio,
quindi tanto vale amarlo.
Io amo il mondo, bambina mia,
lo amo con tutta me stessa e spero anche tu lo farai, perché è il miglior modo
per vivere. Avrai tante persone che ti vorranno bene, che tu nasca ora o tra
qualche anno, quando la tua e la nostra vita saranno più facili: io, tuo padre,
i tuoi zii, i tuoi nonni, così come i tuoi zii acquisiti, Lilly e Alessandro, e
mille altre persone.
Dunque, Ginevra, io ti dico
nasci.
Nasci quando sarai pronta, noi
ci adatteremo. Non siamo poveri e abbiamo tanto amore e tanta forza di volontà,
quindi non abbiamo paura.
A quando vorrai,
la tua mamma
Ecco,
l’aveva finita.
Aveva
fatto fatica, aveva pianto e sorriso, ma era riuscita a portare a termine quella
lettera tanto semplice eppure tanto tremendamente difficile.
Sorridendo,
felice, posò un bacio delicato sulla copertina del quaderno e scese veloce i
gradini che portavano al suo letto, senza curarsi di fare rumore.
Erano
quasi le cinque... un salto in bagno e poi un po’di nanna, perché anche alle
mamme, ogni tanto, serve dormire.
Pochi
istanti dopo, in una città vicina, lo schermo del cellulare di un ragazzo dai
riccioli scuri si illuminò, annunciando con una busta bianchissima l’arrivo di
un nuovo messaggio.
Il
giovane sorrise.
Era
lei.
C’erano
poche parole, nell’sms, che però ebbero il potere di fargli quasi sentire il
suo cuore che si spezzava.
Sono in bagno. Sangue. Lei non
c’è.
Aveva
soltanto diciassette anni, pochi mesi di più, eppure non si era mai sentito
uomo come in quella manciata di giorni in cui aveva creduto che sarebbe
diventato padre.
Ci
aveva creduto, in quella bambina, che oramai anche per lui era soltanto
Ginevra, l’aveva sentita, reale come non mai.
E
ora... ora lei non c’era più, era svanita nel rosso di una innocua macchia di
sangue.
Cercò
di scacciare le lacrime che gli premevano contro le palpebre, dicendosi che era
meglio così, che erano troppo giovani, che, se si amavano, se davvero si amavano, lei un giorno
sarebbe arrivata.
Però
no, non ci riuscì e le lacrime presero a correre libere lungo il suo volto.
Di
dormire quella notte non se ne parlava.
In
silenzio, si alzò e prese tra le mani il piccolo gufo che Lei gli aveva
regalato.
Un
piccolo dono, un pensiero speciale, un talismano per sentirla vicina.
Buona notte anche a te, piccolo
angelo. Vi amo.
Aveva
scritto quell’sms poche ore prima, quando la sua bambina era ancora reale.
Piangendo,
si appoggiò al davanzale della finestra, volgendo gli occhi al cielo stellato.
Un
piccolo angelo...
In
quel momento, una stella cadente attraversò di corsa il suo campo visivo.
Un
angelo caduto, gli venne da pensare.
Un
desiderio, si corresse, pochi istanti dopo.
E
pregò.
Lui
che non credeva in Dio, per la prima volta pregò.
Pregò
che il suo angelo esistesse davvero, che fosse lassù, a vegliare su lui e sulla
sua dolce, piccola donna che, ne era sicuro, stava osservando lo stesso cielo,
con le medesime lacrime ad offuscarle la vista anche dietro agli occhiali.
“Ti
amo...” Mormorò piano, tra i denti e i singhiozzi. “Vi amo.”