Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Cara_Sconosciuta    10/07/2010    5 recensioni
Credevo di aspettare un bambino... lo credevo così forte che è diventato reale, catalizzatore potente per un amore che non credevo essere così grande. Il rendere pubblico questo breve scritto non è che un modo per ringraziare la mia Ginevra, il mio piccolo angelo che un giorno nascerà, per avermi fatto capire quando amo colui che sarà il suo papà.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una breve introduzione è d’obbligo per un racconto importante.

Questa storia non è altro che la cronaca, un po’romanzata, della mia serata di pochi giorni fa.

Credevo di aspettare un bambino... lo credevo così forte che è diventato reale, catalizzatore potente per un amore che non credevo essere così grande.

Il rendere pubblico questo breve scritto non è che un modo per ringraziare la mia Ginevra, il mio piccolo angelo che un giorno nascerà, per avermi fatto capire quando amo colui che sarà il suo papà.

Grazie, stellina mia.

Ti amo.

La tua mamma

 

Lettera a un bambino che (forse) non c’è

Uploaded with ImageShack.us

 

La ragazza si lasciò cadere sul letto senza troppa grazia, semplicemente sfogando, in quel gesto, tutta la stanchezza e la tensione accumulate durante il giorno.

Sospirando, si tolse il reggiseno del costume sportivo e si massaggiò piano il seno, divenuto, da pochi giorni a quella parte, decisamente troppo pesante.

E duro, come il suo ragazzo si era premurato di ricordarle.

Troppo, per essere normale.

Quella mattina, poi, aveva avuto un conato di vomito parecchio forte che l’aveva costretta a correre in bagno alla velocità della luce, cercando disperatamente di non farsi notare dai suoi.

Non era successo niente, non aveva rimesso nulla, ma il sintomo c’era, era lì, davanti a lei, lampante come un’oasi nel mezzo del deserto.

Ravviandosi i capelli scuri, la giovane sorrise e accarezzò, piano, il quaderno poggiato sulla coperta accanto a lei.

All’inizio, il giorno prima, aveva pensato che un bambino non avrebbe portato altro che danni nella sua vita. Problemi da risolvere e liti con i suoi, ma niente di più.

Poi, però, aveva sentito qualcosa, poche ore prima... qualcosa che le aveva spezzato il fiato a livello della gola, costringendola a rivedere la sua posizione.

C’era stato un movimento nella sua pancia.

Non poteva essere il bambino, lo sapeva, ed era perfettamente cosciente che, probabilmente, quel trambusto dentro di lei era dovuto solo ad una cena un po’troppo pesante.

Eppure si era resa conto, proprio grazie a quella strana sensazione, che crescere una vita dentro di sé non poteva avere solo aspetti negativi.

Aprendo il quaderno, sorrise, mentre le tornavano alla mente le parole che Lui le aveva detto quello stesso pomeriggio.

Avevano discusso del nome da dare al bambino, di come lui avrebbe voluto un maschietto, mentre per lei una bambolina da coccolare sarebbe stata l’ideale. Avevano persino provato ad immaginare il suo aspetto... bellissimo, come quello di ogni creatura agli occhi dei suoi genitori.

Era stata una conversazione strana e meravigliosa, come non ne aveva avute mai, e improvvisamente i suoi diciannove anni le erano sembrati abbastanza.

Sempre con il sorriso sulle labbra, stappò la penna, sistemandosi, come d’abitudine, il tappo blu dietro all’orecchio e prendendo a mangiucchiare l’estremità della bacchetta di plastica.

Immediatamente, un pensiero piuttosto sciocco le attraversò la mente: non avrebbe potuto insegnare a sua figlia che le penne non si mordono.

Poco male, pensò, tracciando sul foglio le prime parole, ci penserà suo padre.

E poi, spento il lampadario, con la sola luce della piccola torcia da lettura, cominciò a scrivere la lettera più importante e difficile della sua ancora breve esistenza.

 

Ciao, Ginevra.

È strano, nemmeno so se ci sei e già ti chiamo per nome...

Beh, mi presento. Io sono la tua mamma o, comunque, un giorno non troppo lontano lo sarò.

Chi sei tu, mi chiedi?

Questa è una domanda difficile, piccola mia.

Vedi, io non lo so che cosa sei.

Un’ipotesi, forse, è la definizione più corretta. Un forse... anzi, il Forse.

Quello con la f maiuscola che, se ci fosse, mi sconvolgerebbe la vita.

In linea di massima, comunque, tu sei una bambina.

La mia bambina... anche se tuo padre vorrebbe un maschietto. Ti chiameresti Edoardo e, non fraintendermi, ti amerei esattamente allo stesso modo. È solo che lo sento qui dentro, in un posto molto vicino al mio cuore, che, se ci sei, sei una femminuccia.

Una piccola, dolce stella.

La mia...la nostra Ginevra.

Stasera ho deciso di scriverti perché sento qualcosa di strano dentro alla pancia, come un lieve movimento, dato da non so che cosa.

Razionalmente, lo so che non puoi essere tu. Sei troppo piccola, ora, per farti sentire, sei poco più di un ammasso di cellule... o di una fantasia felice della mia mente, ma ho deciso di provare a immaginare che siano i tuoi piedini a darmi questi piccoli colpi.

E allora ti ho vista, lo sai?

Proprio qui, davanti a me, che quasi ti posso toccare, con i tuoi occhioni castani e riccioli scuri, proprio come quelli del tuo papà.

È così che ho capito... ho capito che, anche se forse non ci sei, ci sono delle cose che devi sapere e che io ti racconterò nel modo che so fare meglio, scrivendo una storia.

Non ti illudere, bambina mia, non è una storia piena d’avventura e misteri, questa.

È una storia forse noiosa, di quelle che io non leggerei mai.

È solo la vita o, meglio, pochi mesi della vita di due ragazzi normali.

Due ragazzi speciali che sono i tuoi genitori.

Sai, piccola, trovo giusto che tu ci conosca, perché se Dio -sempre che un Dio esista- ha deciso di farti nascere in questa strana famiglia, da una donna bambina e un uomo non ancora uomo, forse, in fondo, un motivo c’è.

Ci siamo conosciuti in vacanza, io e il tuo papà. Una vacanza per me, a dire il vero, che avrebbe dovuto risolversi in un po’di semplice shopping con la mia migliore amica, la Lilly. La conoscerai, la Lilly...ma di questo ti parlerò dopo. Per il tuo papà, invece, era uno stage con il suo gruppo di karate, di cui fanno parte anche tuo nonno e tuo zio... due pazzi scatenati! Li amerai, Ginny mia, li amerai.

Ci siamo guardati di sfuggita, sulle scale dell’hotel. Nemmeno ci siamo visti davvero, ma due serate passate insieme sono bastate a tuo padre per innamorarsi di me e a chiedermi di uscire, anche se io ero presissima da un altro.

È stata bella la nostra prima uscita, lo sai, Ginevra?

Lui non mi piaceva, ma ho accettato lo stesso ed è davvero valsa la pena! Ci siamo baciati sotto all’ombrello, perché pioveva a dirotto e, ti dirò la verità, lui baciava veramente male! Oh sì signorina mia, mi ha praticamente lavato la faccia con quel primo bacio.

Ma poi è migliorato...io gli ho dato la possibilità di migliorare e non l’ho fatto perché mi fossi perdutamente innamorata, no. L’ho fatto per dimenticare Paul (un altro “zio” che ti vorrà tanto bene), che credevo di amare.

Poi però, uscita dopo uscita, ho capito che avevo a che fare con una persona grande con un cuore semplicemente immenso.

Ci sta tutto il mondo nel cuore del tuo papà, lo sai? Vuole fare il dottore e salvare le persone ammalate. Ha un cuore nobile, il tuo papà. Nobile e bellissimo, proprio come i suoi occhi.

Saranno dolci come i suoi, i tuoi occhi?

Io invece non voglio salvare la vita a nessuno. Non la trovo una cosa brutta; semplicemente non fa per me.

Se il destino vorrà, sarai figlia di un medico e di un’attrice.

Questo è il mio sogno... prendere tra le mani il cuore del pubblico e fargli il solletico, oppure stringerlo in un abbraccio tanto forte da farlo commuovere, o ancora fargli semplicemente una carezza, una carezza materna, dolce e rilassante.

Non credere mai, piccola mia, a chi ti dirà che il mestiere che voglio fare è frivolo ed inutile: è il mestiere più bello del mondo, se lo si fa con il giusto fine.

Con il tempo, ne sono sicura, lo capirai.

Bene, piccola mia, in poche righe ho provato a spiegarti chi sono i tuoi genitori, ma sono sicura che la lettera che ti ha scritto tuo padre è servita allo scopo molto di più. È bellissima, quella lettera... più diretta della mia, priva di giri di parole.

Meravigliosa.

Come sarai tu.

Per finire, dolce Ginevra, voglio dirti una piccola cosa.

Il mondo, forse, non è il miglior posto in cui vivere, ma noi non abbiamo a disposizione nulla di meglio, quindi tanto vale amarlo.

Io amo il mondo, bambina mia, lo amo con tutta me stessa e spero anche tu lo farai, perché è il miglior modo per vivere. Avrai tante persone che ti vorranno bene, che tu nasca ora o tra qualche anno, quando la tua e la nostra vita saranno più facili: io, tuo padre, i tuoi zii, i tuoi nonni, così come i tuoi zii acquisiti, Lilly e Alessandro, e mille altre persone.

Dunque, Ginevra, io ti dico nasci.

Nasci quando sarai pronta, noi ci adatteremo. Non siamo poveri e abbiamo tanto amore e tanta forza di volontà, quindi non abbiamo paura.

A quando vorrai,

la tua mamma

 

Ecco, l’aveva finita.

Aveva fatto fatica, aveva pianto e sorriso, ma era riuscita a portare a termine quella lettera tanto semplice eppure tanto tremendamente difficile.

Sorridendo, felice, posò un bacio delicato sulla copertina del quaderno e scese veloce i gradini che portavano al suo letto, senza curarsi di fare rumore.

Erano quasi le cinque... un salto in bagno e poi un po’di nanna, perché anche alle mamme, ogni tanto, serve dormire.

 

 

Pochi istanti dopo, in una città vicina, lo schermo del cellulare di un ragazzo dai riccioli scuri si illuminò, annunciando con una busta bianchissima l’arrivo di un nuovo messaggio.

Il giovane sorrise.

Era lei.

C’erano poche parole, nell’sms, che però ebbero il potere di fargli quasi sentire il suo cuore che si spezzava.

 

Sono in bagno. Sangue. Lei non c’è.

 

Aveva soltanto diciassette anni, pochi mesi di più, eppure non si era mai sentito uomo come in quella manciata di giorni in cui aveva creduto che sarebbe diventato padre.

Ci aveva creduto, in quella bambina, che oramai anche per lui era soltanto Ginevra, l’aveva sentita, reale come non mai.

E ora... ora lei non c’era più, era svanita nel rosso di una innocua macchia di sangue.

Cercò di scacciare le lacrime che gli premevano contro le palpebre, dicendosi che era meglio così, che erano troppo giovani, che, se si amavano, se davvero si amavano, lei un giorno sarebbe arrivata.

Però no, non ci riuscì e le lacrime presero a correre libere lungo il suo volto.

Di dormire quella notte non se ne parlava.

In silenzio, si alzò e prese tra le mani il piccolo gufo che Lei gli aveva regalato.

Un piccolo dono, un pensiero speciale, un talismano per sentirla vicina.

 

Buona notte anche a te, piccolo angelo. Vi amo.

 

Aveva scritto quell’sms poche ore prima, quando la sua bambina era ancora reale.

Piangendo, si appoggiò al davanzale della finestra, volgendo gli occhi al cielo stellato.

Un piccolo angelo...

In quel momento, una stella cadente attraversò di corsa il suo campo visivo.

Un angelo caduto, gli venne da pensare.

Un desiderio, si corresse, pochi istanti dopo.

E pregò.

Lui che non credeva in Dio, per la prima volta pregò.

Pregò che il suo angelo esistesse davvero, che fosse lassù, a vegliare su lui e sulla sua dolce, piccola donna che, ne era sicuro, stava osservando lo stesso cielo, con le medesime lacrime ad offuscarle la vista anche dietro agli occhiali.

“Ti amo...” Mormorò piano, tra i denti e i singhiozzi. “Vi amo.”

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Cara_Sconosciuta