Crossover
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Autore: Darik    12/07/2010    2 recensioni
Un omicidio chiaro. Tutto indica chi è il colpevole. Ma quel colpevole è una delle persone più care al mondo per Negi. Chi può aiutarlo nel tentativo di scagionarla? Forse un misterioso e abilissimo detective.
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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1° CAPITOLO

“Sveglia, dormiglione!”

La luce passò dalla finestra appena aperta, investendo in pieno viso il ragazzino ancora a letto

che stiracchiandosi e mettendosi seduto, osservò lo scocciatore.

Ci volle qualche secondo perché i suoi occhi si abituassero alla luce.

“Asuna” disse semplicemente.

“Proprio io” rispose una bella ragazza con i capelli rossicci e legati in due lunghi codini. “Forza Negi, devi andare a scuola”.

“Uffa, ma devo proprio?” sbuffò Negi cercando i suoi occhiali sul comodino.

“Che razza di risposta!” replicò Asuna. “Sono forse le parole di uno che vuole diventare insegnante?”

“Ok, ok”.

Mezzo assonnato, Negi andò nel bagno, dove trovò già tutto pronto per cambiarsi.

E mentre lui si lavava, Asuna tirava fuori gli abiti per la giornata.

Poi andò in cucina a preparare la colazione.

Negi uscì dal bagno e cominciò a vestirsi.

Era una vera fortuna che Asuna vegliasse sulle sue mattinate, dato che lui non capiva niente di vestiario e più di una volta aveva rischiato di presentarsi a scuola con accostamenti di colori che avrebbero fatto morire d’infarto chiunque fosse dotato di un po’ di senso estetico.

Lei era anche un’ottima cuoca, e quindi la colazione, il pranzo e la cena erano sempre squisiti.

Quel giorno non fece eccezione e un’invitante colazione si presentò agli occhi di Negi.

Asuna invece stava guardando il telegiornale. “Tsk, continua la caccia a quanto pare” dichiarò commentando un servizio appena conclusosi.

“Stasera dunque non ci sarai?” domandò Negi iniziando il pasto.

“No. Devo accompagnare Konoka a quella festa. Ieri sera, appena tornata a casa, ho setacciato l’armadio per trovare un abito adatto. E non ne avevo. Quindi me l’ho devo far prestare da Konoka. Mi cambierò qui e andrò non appena torna tua madre”.

“Spero che ti divertirai”.

“Figurati. Non sono mai voluta andare a simili feste, le considero una vera pizza. Stavolta ci vado solo per fare un favore a un’amica”.

“Dovresti cercare di svagarti invece. Come baby sitter e come distributrice di giornali lavori cosi tanto. Un po’ di relax ti ci vuole”.

“Con un angioletto come te, il lavoro non è mai difficile”. Asuna arruffò con una mano i capelli di Negi, che arrossi.

“Ah” si ricordò lei “Arrivando stamattina, ho incontrato tua madre. Ti manda tanti baci”.

“Come al solito” fece lui rassegnato.

Suo padre, una sorta di avventuriero-archeologo alla Indiana Jones, stava fuori di casa, e con casa s’intendeva il Giappone, quasi tutto l’anno.

Dimostrava di non aver dimenticato la sua famiglia grazie alla valanga di cartoline e souvenir che spediva dai posti spesso più esotici e strani.

Mentre sua madre era la classica donna in carriera: usciva la mattina presto, rientrava la sera tardi e si faceva sentire durante la giornata solo tramite telefono.

Telefonate che non andavano mai oltre lo schema del ‘sono io, tutto a posto? Bene, ciao’.

Meno male davvero che c’era Asuna.

Era lei che in pratica gli permetteva di fare vita sociale, portandolo fuori, facendogli svolgere sport, aiutandolo nello studio e difendendolo dai bulli.


Il treno della metropolitana era pieno come al solito.

Tante facce diverse, ma tutte ugualmente rientranti in due ben distinte categorie: studenti e impiegati.

La diversità in quell’ambiente era garantita dalle varie pubblicità attaccate sopra i finestrini: persone e oggetti di tutte le risme.

Negi, tenuto per mano da Asuna, si guardò intorno, poi fissò Asuna, che stava a sua volta osservando qualcosa davanti a se.

“Asuna? Asuna mi senti?” la chiamò lui.

La ragazza si ridestò. “Oh si. Che succede?”

“Senti, ti volevo chiedere se…”

Negi si guardò intorno nuovamente. “Niente”.

Asuna lo guardò perplessa, poi tornò a fissare in un punto davanti a se.

Negi riprese a osservarla, accorgendosi che l’obiettivo di Asuna era davanti a lei ma un po’ spostato verso l’alto.

“Asuna, cosa stai guardando?”

La ragazza fece un cenno col capo verso un manifesto.

Raffigurava un uomo sui trent’anni, con gli occhiali, vestito elegantemente e in una posa da galantuomo figaccione.

“Si tratta di quel Takamichi” costatò lui.

“Si, è davvero bellissimo” commentò lei mangiandoselo con gli occhi. “E sicuramente è anche una brava persona. Ispira cosi tanta fiducia”.

“A me non piace” dichiarò Negi.

“Be, ovvio. Tu sei un maschietto”.

“No, intendevo che non mi piace come persona. Diffido di qualcuno che per mestiere recita”.

“Non vorrai mica dire che tutti gli attori sono dei criminali?”

“Certo che no. Dico solo che anche se lui appare bello, gentile, intelligente e galante, non è detto che debba esserlo veramente. E neanche gli servirebbe, essendo bravo a recitare”.

“Sia quel che sia, io so bene che non lo incontrerò mai. Quindi posso accontentarmi delle apparenze”.

Arrivò la loro fermata, i due scesero e usando le scale mobili raggiunsero la superficie.

Entrambi studiavano all’istituto Mahora, una vera e propria città dello studio, che inglobava, in un’area grande quanto due campi da golf, un asilo, una scuola elementare e media, licei e un’università tra le più prestigiose del paese.

Oltrepassarono la cancellata d’ingresso, insieme ad una fiumana di altri studenti.

“Allora, tu segui il tuo flusso di coetanei, io devo seguire il mio. Ricordati di non dare confidenze a eventuali sconosciuti. Ci vediamo all’ora di pranzo” si raccomandò Asuna.

“D’accordo. Senti Asuna…”

“Si?”

Negi distolse lo sguardo. “Ecco… io so che il mese prossimo ti diplomerai… e quindi…”

Asuna inarcò un sopraciglio, poi capì. “Non preoccuparti. Anche se mi diplomo, resto sempre in quest’università. Continueremo a vederci”.

“Lo so. Però avrai più da studiare…. Insomma, non avrai troppo tempo libero”.

“Allora temi che non potrò più badare a te? Non pensarci neppure. Tu sei come un fratello per me. Il mio dolce fratellino” concluse lei baciandolo su una guancia.

Gli regalò anche uno splendido sorriso e andò verso i suoi amici, che la salutarono allegramente.

Negi invece era rimasto di sasso.


La mattinata scorreva tranquilla e monotona nella classe di Negi.

Soprattutto nell’intervallo.

I compagni di Negi si abbandonarono alle solite discussioni, riguardanti film, cartoni, fumetti e strani siti internet.

Negi invece guardava fuori dalla finestra come se volesse scorgere qualcosa.

“Ehilà, Negi!” lo salutò qualcuno con una formidabile pacca sulla spalla.

“Chi… Kotaro!”

“L’unico e il solo” disse un vispo ragazzino con i capelli neri folti saltando sul banco di Negi e mettendosi seduto con le gambe incrociate.

“Che fai?! Scendi, se ti becca la maestra saranno dolori!” lo rimproverò Negi.

“Figurati se mi spaventa quella vecchiaccia. Piuttosto, parliamo di te, signorino dal cuore solitario”.

“Che stai dicendo?”

“Come che sto dicendo? Guarda che l’ho capito benissimo che sei cotto di quella là”.

Negi divenne rosso come un peperone. “Di… di che diavolo parli?!”

“Parlo di Asuna, fessacchiotto. Vi ho visto diverse volte quando arrivate a scuola. O quando lei viene a prenderti o ad accompagnarti in altre occasioni. In ogni caso, te la mangi con gli occhi”.

“Non.. non è vero!”

Kotaro lo scrutò divertito. “Ah si? E allora cosa stavi guardando dalla finestra adesso? Da qui si vede chiaramente l’edificio del liceo”.

“E allora?”

“Ho studiato questa posizione da quando hai chiesto alla prof di spostarti a questo banco, un mese fa. Da qui si può osservare non solo il liceo, ma anche la classe di Asuna.” Kotaro tirò fuori un minuscolo binocolo e tramite esso guardò fuori. “Ed eccola là, la tua dolce baby sitter”.

“Smettila!” gridò Negi strappandogli il binocolo.

E quando lo ebbe in mano, si accorse che era solo un giocattolo.

“Te la stai prendendo davvero troppo” commentò Kotaro.

Come se fosse sfinito, Negi si abbandonò sulla sedia. “Uff, e va bene. Ma promettimi che non lo dirai a nessuno”.

“Sta tranquillo. E poi in questo modo siamo pari, visto che anche tu conosci un mio segreto. Tu sei l’unico a sapere del gruppo di cani che allevo al parco. Mia madre invece odia a morte i cani, e se lo venisse a sapere, mi rinchiuderebbe in casa”.

“Comunque il segreto è tutto qui: sono innamorato di Asuna. Punto”.

“E hai intenzione di dichiararti?”

“Sarei solo ridicolo. E’ un amore impossibile. Io ho 13 anni, lei 18. Io senza di lei non saprei fare niente. Lei invece è fantastica, sa fare di tutto, è orfana ma ha saputo affrontare il mondo, lavora, si paga gli studi da sola. Si è auto realizzata. Io sono solo un moccioso”.

“Ma ti vuole bene, no?”

“Certo, però in me vede un fratellino. La cosa mi fa piacere, tuttavia non potrà mai diventare quello che voglio io. Devo rassegnarmi”.

“Su con la vita” gli disse Kotaro rifilandogli un'altra mega pacca sulla schiena. “Solo alla morte non c’è rimedio”.


La sera, Asuna aveva preparato la cena per se e per Negi, e dopo aver mangiato, era in attesa di Konoka.

Con lei, Asuna si sarebbe recata alla festa.

Gli orari erano stati stabiliti alla perfezione, e le due ragazze sarebbero partite non appena la madre di Negi fosse rincasata.

Suonarono il campanello, e Asuna andò ad aprire. “Konoka. Ben arrivata”.

La sua amica, una bella ragazza con lunghi capelli castani, la abbracciò. “Ti vedo ogni giorno più in forma. E dov’è il piccolo Negi?”

Negi arrivò dal corridoio. “Salve, signorina Konoe”.

Konoka non rispose e corse ad abbracciarlo con forza. “Ma è sempre più carinissimo questo qui! Asuna, domani facciamo a cambio? Voglio essere la sua baby sitter per un giorno. E’ troppo carino il piccolo Springfield” esclamò, mentre Negi tentava invano di resistere a quella presa.

“E’ una persona, non un giocattolo” le ricordò l’amica.

Andarono a cambiarsi nella stanza di Negi, mentre quest’ultimo restò nel soggiorno davanti alla tv.

Nonostante fosse solo un ragazzino, alla fine cedette alla tentazione: alzò il volume e silenziosamente si accostò alla porta chiusa della sua camera, origliando e chiedendo mentalmente perdono.

Origliare era sbagliato, ma almeno riusciva a resistere alla tentazione di sbirciare.

“Dai, mettiti questa gonna, Asuna, farai un figurone”.

“Io sono a disagio con le gonne”.

“Ti ho già detto che non puoi presentarti alla festa con i pantaloni. Non sarebbe elegante. Mettiti questa gonna e poi il body”.

“Un body?! Ma stai scherzando?! Cos’è quella roba?! Sembra che sul petto ho un balcone!”

“Smettila di lamentarti e infilatelo, io te lo attacco dietro”.

“No, ferma. Mi vergogno!”

Dopo qualche animato secondo di lotta vestiaria, scese il silenzio e Negi tornò subito al suo posto.

Dalla sua stanza uscirono Konoka e Asuna, vestite quasi come due principesse delle favole.

Tuttavia Asuna era davvero una variante sexy, poiché il suo body le lasciava scoperte le spalle e aveva un notevole decolleté.

La gonna era piuttosto lunga e ampia, con un lieve spacco.

Infine, sulle braccia portava due guanti bianchi lunghi fino ai gomiti.

“A-Asuna…” mormorò Negi arrossendo.

Istintivamente Asuna si coprì il petto. “Aahh! Hai visto? Pure Negi s’imbarazza! Io mi devo togliere questa roba!”

“Non dire sciocchezze” replicò Konoka.

“Negi, perdonami se mi faccio vedere cosi da te”.

“Non… non fa niente” la tranquillizzò lui coprendosi gli occhi e cercando con le dita di ostacolare i suoi occhi desiderosi di guardare.

Proprio in quel momento rientrò la madre di Negi.

E Konoka approfittò di quella porta aperta per spingere fuori la sua amica.

“Buonasera a tutti” salutò allegramente.


La festa era cominciata alle nove e mezzo, e si svolgeva in un ampio salone scintillante situato al pianterreno di un palazzo, uno dei tanti palazzi, enormi e costruiti secondo ardite architetture, del nuovissimo quartiere di Tokyo-Sol: in pratica, avrebbe dovuto essere il primo centro commerciale grande quanto un quartiere intero.

I partecipanti al ricevimento erano tutte persone famose e ricche, o entrambe le cose.

Tutti con indosso abiti che una persona normale non potrebbe comprarsi neppure con una vita di stipendi.

E tutti molto a loro agio in quell’ambiente.

Con un’unica eccezione: Asuna Kagurazaka.

La poverina se ne stava dietro uno dei tanti tavoli riccamente abbelliti. Tentando di sorseggiare un bicchiere di liquore.

“Asuna, cosa fai lì? Vieni” la richiamò Konoka.

Quest’ultima sembrava davvero trovarsi a suo agio alla festa.

D’altronde era di famiglia nobile, addirittura imparentata con quella imperiale.

Asuna invece era una figlia di nessuno.

E questo contribuiva a farla sentire un pesce fuor d’acqua.

Si fece coraggio e raggiunse la sua amica.

“Lo sapevo che non dovevo venire qui. E si può sapere perché mi hai chiesto di accompagnarti? Mi sembri decisamente a tuo agio”.

“Perché anche se non è la prima festa di questo tipo cui partecipo, è la prima volta che vi partecipo senza mio padre. Quindi volevo qualcuno vicino” fu la risposta.

“Chissà quante persone avrebbero fatto a gare per accompagnarti”.

“Io preferisco avere vicino te. Ci conosciamo da tanti anni. E poi come potrei dimenticare tutte le volte che mi hai protetta quando eravamo piccole? Ero la vittima preferite di tutte quelle bullette, e senza di te, la mia infanzia sarebbe stata davvero un inferno”.

“Figurati, non ho fatto niente di speciale” si schernì Asuna “Però lascia che ti dica una cosa: potevi almeno procurarmi delle scarpe più comode. Con queste qui ho difficoltà pure a stare in piedi e …uops!!”

Detto fatto, Asuna mise un piede in fallo e rischiò di cadere all’indietro.

Ma delle forti braccia la presero al volo.

“Faccia attenzione, signorina” le disse una calda voce maschile.

Asuna si girò per ringraziare quella persona e rimase senza fiato. “Ta…Takhata Takamichi?!”

“L’unico e il solo” rispose l’attore sfoderando un bel sorriso. “E lei, signorina, è…”

“Asuna… Asuna Kagurazaka!”

La ragazza si perse in quello sguardo e nel sorriso di Takamichi.


Da quel momento, la serata per Asuna cambiò totalmente.

Dopo una prima ora di noia e imbarazzo, la seconda ora di festa fu davvero coinvolgente.

Si misero a sedere su delle comode poltrone in pelle, parlando e bevendo.

Takamichi si dimostrò un conversatore affascinante e pieno di garbo.

Capace di spaziare su ogni argomento.

E Asuna pendeva dalle sue labbra.

Konoka, intenta a chiacchierare con una sua conoscente, li osservava a distanza, soddisfatta di vedere quanto l’amica fosse presa dalla presenza di Takamichi.

Le aveva anche portato da bere, per rendere Asuna un po’ brilla e farla sciogliere ulteriormente.

Al quarto bicchiere, che Takamichi era andato a prenderle, Asuna avvertì un lieve capogiro.

Konoka, che non aveva mai perso d’occhio la novella cenerentola, se ne accorse e la raggiunse subito. “Asuna, che ti succede?” domandò preoccupata.

Takamichi intervenne prontamente. “Forse ha bevuto un po’ troppo. Lei non si preoccupi signorina, accompagnerò io la sua amica a darsi una rinfrescata”.

L’uomo, reggendo per un braccio Asuna, la accompagnò fuori dalla sala.

Konoka li osservò allontanarsi, poi decise di tornare dalla sua conoscente, che tuttavia vide dirigersi verso uno dei bagni insieme a un uomo e tenendosi una mano sulla bocca e l’altra sullo stomaco.

Intanto Takamichi, portando fuori la sua ultima conquista, incrociò un suo amico.

Che non badò ad Asuna.

“Sono le 11 e 34. Ricordati che tra dieci minuti la festa si trasferirà all’esterno” rammentò l’altro a Takamichi.

“Non preoccuparti, farò presto” rispose quest’ultimo.


Asuna era sveglia, ma anche in una sorta di torpore, si guardava in giro senza riconoscere ciò che vedeva.

Per questo non protestò quando fu portata non verso i bagni ma verso gli ascensori.

E non protestò quando, percorrendo un corridoio vuoto, fu condotta, quasi trascinata, dentro un lussuoso appartamento.

Takamichi la adagiò su un divano e chiuse la porta a chiave.

“Sei magnifica, semplicemente magnifica” mormorò l’uomo passandosi la lingua sulle labbra. “Sei proprio il tipo che piace a me, giovane e pura”.

“Uhnn… ma dove… dove sono?” borbottò Asuna mettendosi una mano sulla fronte.

“Si sta già riprendendo? Strano. Oh be, poco importa, mi piace quando lottano un pò’” disse tra se e se Takamichi cominciando a slacciarsi la cintura.

  
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