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Autore: Jane41258    12/07/2010    0 recensioni
Salve, ho deciso di RIpubblicare questa fanfiction perchè ho cambianto nome e account. RIASSUNTO: Era sua moglie a fargli il nodo alla cravatta ed ora che lei se n'è andata, dovrebbe imparare ad annodarsela da solo. Ad ogni costo. Ma non è così semplice e la sorte sembra accanirsi contro di lui
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aaron Hotchner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TITOLO: La cravatta

 PERSONAGGI: Aaron Hotchner

AVVERTIMENTI: One-shot

INTRODUZIONE: Salve, ho deciso di RIpubblicare questa fanfiction perchè ho cambianto nome e account. RIASSUNTO: Era sua moglie a fargli il nodo alla cravatta ed ora che lei se n'è andata, dovrebbe imparare ad annodarsela da solo. Ad ogni costo. Ma non è così semplice e la sorte sembra accanirsi contro di lui.

SPOILER: Nessuno in senso tecnico, ma è meglio aver già visto la terza stagione

DECLAIMER: Criminal Minds appartiene ai rispettivi autori e produttori, non a me, purtroppo. Non è intesa alcun infrazione di copyright. Ho scritto questa fic solo per divertimento, non ho ricavato profitto.

Era il momento più buio della notte, quando le stelle e la luna sono già oltre l’orizzonte e il sole deve ancora sorgere. Mi svegliai proprio in quel momento, in piena notte, agitato come un bambino. Cercai di scacciare dalla testa l’incubo che avevo fatto e tastai alla cieca il comodino in cerca dell’orologio da polso. Lo indossai ma non vedevo nulla ovviamente così accesi la lampada. Erano giusto le quattro e mezzo di notte.

Di solito non avevo mai avuto bisogno di una sveglia: senza alcuna spiegazione scientifica riuscivo a svegliarmi esattamente all’ora che avevo stabilito né un minuto in anticipo, né un minuto in ritardo.

Nonostante non avessi più sonno, spensi la lampada e provai a dormire. Invano.

Era da quando il mio matrimonio era andato in pezzi che il mio orologio biologico aveva cominciato a sbagliare. Alcune mattine non riuscivo a svegliarmi, altre mi alzavo in piena notte e non riuscivo più a prender sonno. Così avevo dovuto comprare una radiosveglia, la prima della mia vita.

Non appena chiusi gli occhi, la maledetta radiosveglia suonò.

“Come? Sono già le sette e dieci?” borbottai nel sonno. Con un enorme sforzo di volontà mi costrinsi ad aprire gli occhi. La mia stanza era già inondata di luce. Mi alzai e con uno scatto di rabbia spensi la radiosveglia.

Senza perdere tempo, mi spogliai e mi scaraventai sotto la doccia. Lasciai che l’acqua fredda ridestasse completamente i miei sensi, anche se non le lasciai sfiorare i capelli. Velocemente mi asciugai e corsi a vestirmi. Com’era mia buona abitudine avevo preparato tutto la sera precedente: boxer, pantaloni, canottiera, camicia, cintura e scarpe. Mi vestii più rapidamente del solito per lasciare il tempo ad una questione della massima importanza. Mi preparai la colazione… termine eccessivo forse per un toast quasi bruciato ricoperto di marmellata all’albicocca. Ed ora il nodo cruciale. Camminai come un condannato a morte verso la forca e mi piazzai davanti allo specchio. Sembravo perfetto con i pantaloni perfettamente calzanti e la camicia bianca che lasciava intravvedere i muscoli. Sembravo perfetto, ma non ero io, non ero Aaron Hotchner: mancava una parte di me, la cravatta.

Quando Haley mi aveva lasciato, avevo creduto che mi stesse crollando il mondo addosso. Fortunatamente ero riuscito a mantenere il controllo: avevo represso benissimo ogni sentimento di rabbia o nostalgia verso di lei, avevo continuato a svolgere il mio lavoro con la massima serietà, non avevo avuto problemi a tenere ordinata la casa (fra noi due era Haley la disordinata) anche se avevo dovuto assumere una ragazza che mi stirasse le camicie e mi preparasse la cena.

Ma ad un problema non ero riuscito a far fronte: non sapevo annodarmi la cravatta.

Nessuno lo sapeva e nessuno doveva saperlo. Se solo qualcuno l’avesse sospettato, per me sarebbe finita.

Quando stavamo insieme, era Haley che mi annodava la cravatta tutte le sante mattine e io non avevo mai voluto imparare. Quando viaggiavo per lavoro, lei mi preparava delle cravatte già annodate che avrei dovuto solo stringere ed era con quelle cravatte già annodate che ero andato avanti fino ad ora. Ma il destino crudele mi aveva costretto a farle lavare ed ora? Non avevo uno straccio di cravatta annodata. Provai maldestramente a fare da solo ma il risultato finale sembrava un cappio più che una cravatta.

“Ok, al diavolo” borbottai e mi tolsi il cappio. Per quella mattina sarei andato senza cravatta.

Purtroppo si rivelò una pessima idea.

“E la cravatta Hotch?” mi salutò immediatamente Morgan.

Rossi e Reid non avevano fatto altro che lanciarmi sguardi compassionevoli parlando fitto fitto tutto il giorno.

“E’ una chiara richiesta d’aiuto” stava mormorando Rossi ignaro che ero dietro di lui.

“Sì” convenne Reid “La perdita della moglie ha messo in crisi la sua identità. Nella sua testa non è più lo stesso uomo e non mettere la cravatta è un segnale che lui sta lanciando, per chiarire di non essere più lo stesso”.

“Io mi sento lo stesso uomo, non ho crisi d’identità. Ed ora tornate ai vostri rapporti, invece di chiacchierare” intervenni prima che dicessero altre stupidaggini.

A quanto pareva, il profiling non era una scienza esatta. Avevano ragione tutti gli altri imbecilli dell’FBI.

Non avevo nessuna voglia di restare al banco degli imputati sotto gli occhi dei miei giudici. Mi chiusi in ufficio per il resto del giorno, ma riuscivo lo stesso a sentire le loro maledette voci che borbottavano “Oh, secondo te perché non ha la cravatta?”

Il giorno seguente reputai più saggio restarmene a casa. Sapevo che questo avrebbe messo in allarme i miei colleghi. Già me li immaginavo fare congetture sulla mia salute psichica e sui danni che mi aveva procurato la rottura del matrimonio.

Aveva ragione JJ, in quella squadra non c’era un minimo di privacy.

Verso le undici il telefono squillò. Rassegnato, risposi. Doveva essere uno dei miei colleghi, che per deformazione professionale non erano in grado di farsi gli affari propri.

“Hotchner” dissi abbastanza inutilmente.

“Salve” disse una bella voce femminile “lei è il signor Aaron Hotchner?”

“Sì” risposi interdetto. Che la mia squadra avesse assunto un investigatore privato?

“Il suo numero è stato sorteggiato per un offerta promozionale. Con il suo consenso, verremo nella sua casa e le mostreremo il nuovo aspirapolvere Lux che è all’avanguardia nella tecnologia casalinga. Senza il minimo impegno da parte sua, noi…”

“Non sono interessato” troncai lì nonostante un aspirapolvere mi facesse comodo.

“Ma signor Hotchner, lei dovrà solo visionare il prodotto, anche se sono sicura che rimarrà abbagliato da nuovo design elegante e dall’efficienza…”.

“Ascolti” dissi sicuramente sotto dettatura diretta della follia “Io ho un altro problema. Potrebbe darmi un consiglio in merito?”

“Certamente e le ripeto che il nostro Lux” continuò la signorina.

Le parlai brevemente del mio problema sottolineando che se non avessi imparato al più presto a fare un nodo impeccabile alla cravatta, non avrei potuto più lavorare.

“Potrebbe provare sul tubo” mi consigliò lei con un filo di voce, pensando sicuramente di avere a che fare un maniaco.

“Quale tubo?” chiesi.

“You tube. Il sito Internet in cui sono ospitati migliaia di videi” rispose la signorina più tranquilla. Nessun maniaco che si rispetti, infatti, non passa almeno due ore fra i canali porno di You tube o su You porn direttamente.

“Lì sicuramente troverà un video su come si annoda una cravatta” lo rassicurò la call centerista.

“Ok, la ringrazio infinitamente” ringraziai.

“Allora per il nostro aspirapolvere?” tentò lei.

“Sono felice di averla conosciuta. Arrivederci” tagliai corto e attaccai il telefono.

Mi precipitai subito al mio computer e avviai la connessione a Internet.

Fui sorpreso dalla velocità con cui trovai i videi che volevo. Fui sorpreso dalla quantità di videi che spiegavano come farsi il nodo alla cravatta.

Alla fine scelsi un video che mostrava abbastanza lentamente e chiaramente come fare il nodo alla cravatta.

Lo guardai lentamente.  La prima volta non ci capii nulla e dovetti rivederlo. Lo scaricai e lo riguardai più lentamente e più e più volte. Presi una cravatta e provai a seguire le istruzioni. Il risultato qualcosa ancora più simile ad un cappio che il tentativo di stamattina. Provai con altre cravatte, ma tutto pian piano si stava rivelando inutile. Fui preso dallo sconforto.

“Sono un uomo finito” borbottai.

Inoltre ormai non ci vedeva quasi più dalla fame, avendo mangiando a pranzo solo un panino. Se panino si poteva definire un pezzo di sfilatino di tre giorni con dentro prosciutto, tonno, insalata e un hamburger mezzo crudo.

Stavo anche morendo di sonno. Poggiai la testa sulla scrivania.

“Signor Hotchner” sussurrò qualcuno.

Alzai la testa. Era la ragazza che avevo assunto per stirarmi le camicie e prepararmi la cena.

“Signore, usted debe estar trabajando” disse probabilmente in spagnolo.

“Ti ho già detto che non capisco lo spagnolo” risposi tentando di non assumere un tono aggressivo.

“Io già detto no puedo hablar su idioma” mi rispose la ragazza sentendosi probabilmente offesa.

“Dovrai imparare prima o poi” dissi schiettamente.

“Necesita qualcosa?” chiese più gentile.

“No, no va a stirare le camicie”  ordinai cercando invano di risultare gentile.

Lei annuì e con un sorriso diplomatico uscì dalla stanza.

Realizzando finalmente che era tutto inutile, chiuse la pagina web.

Mentre aspettava la cena iniziò a rileggere i rapporti. Riuscì a rimanere sorprendentemente distaccato davanti a tutto quel sangue, quella follia, quella sofferenza.

“Senor,  cena esta pronta !” urlò la ragazza dalla sala da pranzo.

Mi alzai e andai in salotto. Il tavolo era ben imbandito, come ogni sera.

“Vuoi favorire?” le chiesi con cortesia come ogni sera.

E come ogni santissima sera “No, io voy lavare pentole. Gracias… grazie”

Cenai con il chiodo fisso del nodo alla cravatta per tutto il tempo. La soluzione c’era ed era andare al lavoro senza cravatta. E i miei colleghi? Amen, si sarebbero rassegnati.

Poi mi venne un’altra idea geniale. Avrei potuto chiedere alla domestica messicana di insegnarmi.

Dopo aver finito di mangiare, mi avvicinai cautamente a lei.

“Senta Maria, ho bisogno che mi faccia un favore”.

“Favore?” chiese  sorridendo – probabilmente aveva capito solo quella parola – “Tutto quello che vuole, senor”.

Mi pentii immediatamente, ma ormai…

“Vorrei che lei m’insegnasse ad annodarmi la cravatta.  Podría usted enseñarme a nudo de la corbata? Por favor?”

“Ho capito, signor Hotchner!” mi rispose allegramente battendo le mani.

Purtroppo anche quella si rivelò un’idea infelice. Maria dimostrò di avere non avere la minima competenza in fatto di cravatte, ma continuava a passarmi su e giù la mano sul petto e a sperimentare nodi diversi più adatti ad un paio di scarpe da tennis, sinceramente.

“Usted no necesita los vínculos. Usted sigue siendo muy atractivo” mormorò improvvisamente, buttando la cravatta a terra.

Nonostante non avevo capito una parola, il tono della voce, lo sguardo e soprattutto le carezze che aveva cominciato a farmi sul collo erano inequivocabili.

“Ascolta tesoro. Domani prenditi la giornata libera, ok? Ti serve un po’ di tempo per calmarti” dissi allontanandola.

“Io  scusa se offeso te” rispose lei abbassando lo sguardo.

“Non mi hai offeso, ma domani prenditi la giornata libera. Ecco prendi duecento dollari” dissi più gentilmente possibile “Sei molto bella, ma ciò che vuoi è inopportuno. Inoportuno, capisci?”

Maria sfiorò i soldi, ma non li prese e scappò via in lacrime.

“Tutte a me succedono?” borbottai. Maria era una brava ragazza e svolgeva bene il suo lavoro, con fin troppa passione ripensandoci. Aveva comunque bisogno di quel lavoro e mi sarebbe dispiaciuto licenziarla.

Il giorno dopo andò a lavoro ancora senza cravatta. Suscitò meno scalpore della prima volta e si disse che avrebbe potuto abituarsi anche lui alla mancanza della sua adorata cravatta. Ma in ogni sguardo leggeva  stupore e disapprovazione come se stesse partecipando ad una riunione manageriale in boxer.

“Secondo me sta meglio così” sentenziò Garcia.

“Cosa? Ma vuoi mettere il fascino della cravatta? Così non sembra nemmeno più lui” la contraddisse JJ.

“Secondo me è un bell’uomo sia con sia senza” sussurrò Emily  in un tono allarmante.

Bene, pensai avendo origliato per sbaglio (se così si può definire avvicinarsi di soppiatto alle tue colleghe per sentire se stanno spettegolando su di te), ci mancava soltanto che una delle sue colleghe si prendesse una cotta per me.  Ciondolai per tutto il giorno per il BAU ringraziando qualsiasi divinità esistesse che non ci fossero casi.

Il giorno dopo mi svegliai decisamente in ritardo. Indossai la camicia più stirata che avessi a disposizione e provai anche ad indossare una cravatta, seguendo a memoria le istruzioni di You Tube. Il risultato finale faceva schifo abbastanza, ma non avevo tempo per stare a rimuginare.

Cercai di ignorare gli sguardi allarmati dei miei amici e colleghi e mi rinchiusi nel mio ufficio.

Era molto tardi quando sentii bussare alla porta.

Era Prentiss.

“Hotch, dobbiamo parlare” disse decisa.

Pregando che non fosse sul punto di saltarmi addosso, non perché non fosse attraente ma perché, come aveva già detto a Maria era inopportuno.

“Approfittando del tuo disinteresse, Morgan ha organizzato un torneo di Texas Hold’em e stanno giocando tutti, anche i pivelli addetti alle fotocopie” rivelò Emily.

“E perché tu non stai giocando?” chiesi cercando di non guardarla.

“Ascoltami” iniziò “E’ evidente che non stai bene. Non vorrei essere indiscreta, ma credo che tu abbia bisogno di aiuto. Ci preoccupa molto il tuo aspetto poco curato…”.

Alzai un sopracciglio.

“Scusami, non volevo mancarti di rispetto. Voglio dire il tuo aspetto è perfetto, solo ci preoccupa il fatto che ultimamente tu sia in ritardo che indossi camicie poco stirate e porti una cravatta stropicciata e mal annodata o addirittura non le porti. Non che questi dettagli siano importanti in assoluto, ma un uomo come te  così preciso…”

“Smettetela con questa dannatissima CRAVATTA! Che ne dici se domani vengo a dorso nudo? Non devo rendere conto a nessuno di come vesto”

Mi alzai e le poggiai entrambe le mani sulle spalle.

“Capisco la vostra preoccupazione e sappiate che anch’io mi preoccupo per voi. Per me siete come una famiglia ed è normale che una famiglia preoccuparsi. Ma io sto bene” dissi serio come una tomba.

Emily non disse niente. Se ne stava soltanto in piedi con gli occhi spalancati e l’aria un po’ spaventata.

Eppure non ero stato intimidatorio.

“Scusami, sei libero di vestirti come più ti piace, ma se hai qualche problema…” sussurrò  senza fiato.

Decisi di dire la verità, ma con una premessa importante.

“Sto per confidarti una cosa, ma devi giurarmi che non ne farai parola con nessuno” dissi teatralmente.

“Va bene” annuì Emily.

“Se parlerai, ti renderò la vita un infermo” dissi serio.

Lei annuì ancora, terrorizzata. Forse credeva che le stessi confessando di essere un serial killer.

“Io non so farmi il nodo alla cravatta. Era Haley che me lo faceva” rivelai.

“Ora tutto comincia a prendere senso” rifletté Prentiss “Anche se non capisco tutto questo mistero”

“Tu sai farlo?” chiesi con tono supplichevole.

“No, mi dispiace. Ma credo che dentro di te tu hai già la soluzione” mi rispose lei.

“E quale sarebbe?” chiesi sarcastico stavolta.

“Andare da Haley” rispose Emily mordendosi il labbro.

“Cosa? Non se ne parla” reagii con veemenza “L’ho già supplicata per troppo tempo”

Non riuscivo più a capire il gioco di Prentiss.

“Conosci le mie opinioni sulla tua ex moglie. Sai che non impazzisco per lei. Ma nessuno è così bravo nell’annodare la cravatta” mi spiegò.

Fu come se nella mia testa fosse sorto il sole. All’improvviso, la soluzione mi sembrava a due passi. Abbracciai sollevato la mia salvatrice e le diedi un bacio sulla guancia. Non mi lasciai nemmeno il tempo di osservare  la sua reazione (anche se vidi con la coda dell’occhio che si stava sedendo in forte stato di shock).

Corsi per l’open office. C’era un gran tramestio. Rossi stava raggruppando velocemente le fishes e Morgan le stava riversando in uno zainetto. Non vi feci caso. Corsi alla macchina.

Con il piede pigiato sull’acceleratore per tutto il tempo impiegai solo venti minuti per raggiungere il parcheggio a poche centinaia di metri dall’abitazione attuale di Haley.

Scesi dalla macchina ma mi bloccai. Nella fretta avevo dimenticato l’ombrello e stava piovendo a dirotto. Dannatamente a dirotto.

Il pensiero che da lì a dieci minuti avrei imparato ad annodarmi da solo la cravatta mi diede coraggio. Scesi e corsi sotto la pioggia. L’acqua mi bagnava completamente, ma continuai a correre come se fosse in gioco la mia vita. Poco dopo un minuto fui davanti alla sua porta. Esitai di nuovo. L’ultima volta che avevo visto Haley, lei stava urlando contro di me mentre io la pregavo di darmi un altra possibilità.

Feci qualche passo indietro e tornai sotto la pioggia.

“Meglio subire il giudizio dei miei amici che il suo” mi dissi, ma era troppo tardi.

Haley aveva aperto la porta. Era, come quando l’avevo conosciuta, molto bella ma il disprezzo e la rabbia su suo volto non me la rendevano attraente.

“Cosa ci fai qui? Jack sta dormendo” mi chiese in tono scocciato, ma si fece da parte per lasciarmi entrare.

“Devo chiederti una cosa” confessai.

“Dio, mi stai allagando la casa. Va a cambiarti in bagno, poi parleremo” mi apostrofò acida.

Andai in bagno e mi liberai dei panni fradici. Gli ammassai sul termosifone bollente.

Haley aprì la porta. Stringeva un paio di boxer sicuramente non miei e una delle mie migliori camicie, che con mio profondo dispiacere credevo d’aver perso. Dio solo sapeva perché se l’era portata di nascosto.

“Mentre faccio asciugare i tuoi vestiti, mettiti questi” disse senza imbarazzarsi minimamente per la mia nudità. Indossai camicia e boxer davanti a lei.

“Di cosa volevi parlarmi?” mi chiese appoggiandosi allo stipite della porta.

Dall’espressione tesa che aveva in volto, capii che si aspettava una di quelle dichiarazioni d’amore spettacolare, stile Pretty Woman. Non sapeva come reagire, povera donna. Era ovvio che non voleva tornare con me e ormai nemmeno io con lei, ma lessi un velo di speranza nei suoi occhi azzurri.

In effetti, dovevo riconoscerlo anch’io, tutta la scenetta di me che mi presentavo in piena notte bagnato fradicio di pioggia a casa della mia ex moglie sembrava una sequenza di una commedia romantica da due soldi. Non avevo mai amato le commedie romantiche. Molto meglio i thriller psicologici.

“Cosa vuoi?” mi chiese tradendo la sua trepidazione.

Fui terribilmente sincero “Voglio che m’insegni ad annodarmi da solo la cravatta. Non so come fare, quando devo andare al lavoro”.

Haley mi si avvicinò lentamente e mi sfiorò le spalle.

“Credo che possiamo trattare” disse in tono malizioso.

“Cosa vuoi?” chiesi teso. Se mi fosse saltata addosso pure lei, avrei cambiato sponda. Prima avrei onorato l’accordo (non potevo permettermi di tornare a casa senza l’abilità di annodare cravatte). Poi sarei diventato gay. Definitivamente.

“Voglio il Munch originale che hai appeso nel TUO salotto e ho pagato con i MIEI soldi” disse in fretta.

“D’accordo” acconsentii trattenendo un sospiro di sollievo. Avevo sempre odiato quel cosiddetto capolavoro.

“Ok” mormorò lei “Vado a prendere la cravatta. Accomodati in salotto”

Andai a sedermi in poltrona. Poco dopo Haley tornò con una cravatta celeste.

“Ok” ripeté tra sé. Mi appese la cravatta al collo.

“Prima sistemi la cravatta così, poi…” iniziò e passo passo mi spiegò come fare un impeccabile nodo. Ripeté la spiegazione più volte, poi m’invitò a fare da solo.

Tentai dapprima esitante, poi sempre più sicuro delle mie nuove capacità: il nodo che ne uscì era perfetto.

“Grazie mille!” esclamai al settimo cielo.

“Zitto! Abbassa la voce… tuo figlio sta dormendo. Sono onorata di averti insegnato la mia arte, ma non farti più vedere qui senza il quadro di Munch. Vado a prenderti i vestiti asciutti.

Mi lanciai su mio divano (ebbene sì, la mia ex-moglie se l’era proprio portato via insieme ai bagagli, alla mia camicia e a chissà a quanta altra roba).

Finalmente il mio problema più angosciante era risolto, senza contare che non avrei più rivisto quel maledetto quadro di Munch.

Questo era quel che si diceva un lieto fine.

   
 
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