Mi permetto di inserire alcune
note, prima di
lasciarvi allo sclero che mi ostino a chiamare fan fic. <3
Dunque…
Prima di tutto: ‘sta
storia è vecchia, risale ai
primi di Maggio. Fosse per me, forse non l’avrei neppure
postata, se devo
essere sincera – ho il terrore di aver analizzato male i
personaggi, cosa
assolutamente possibile, o di aver scritto un’eresia
imperdonabile, o… o
chissà, tutto insieme. Magari è OOC e
imperdonabile, chissà!
So solo che Winry ha quattro anni,
in questa fic,
e dunque non potevo sbizzarrirmi con chissà che
introspezione: mi sono limitata
al punto di vista di una bambina che vede la madre dei suoi migliori
amici
triste a rammendar panciotti, e che si sente in dovere di dire qualcosa.
Ah: è un po’
Missing Moment, un po’ Slice of Life
e un po’ What if?. Roba di poco conto, insomma.
…sì. Ci sono
degli accenni più o meno velati all’EdxWinry.
Mea culpa, la storia è dedicata ad un’amante di
questa coppia e dunque non potevo
esimermi da inserire
qua e là qualche battuta a riguardo. >///<
Comunque, prendetela per quello che
è: una storia
senza pretese.
C’è solo una
bambina, una donna, un panciotto da
ricamare e tanta malinconia.
PS: Il titolo è riferito
all’età di Winry nella
storia. XD Non avevo idee migliori, e mi sembrava alquanto…
adatto,
sinceramente.
PPS: La ripetizione di
“triste” è voluta. Eh, sì.
>____< Ci stava.
PPPS: Su, su, ora tutti a leggere
la Shot –
gemella di questa, in un certo senso, dato che nasce dal desiderio di
scrivere
qualcosa insieme per il compleanno
di
una comune amica – postata da Emiko92! E che nessuno mi
critichi per quest’annuncio
pubblicitario: è no-profit, gente! XD
[4 – Quattro]
[683
parole]
A Camilla.
Buon compleanno, anche se in
ritardo!
…e, anche se forse non
dovrei, a Emi. <3
Non chiedere
perché, te la meriti e basta.
La
madre di Edward era una donna bella, con lunghi capelli nocciola e
occhi
profondi – o almeno, quella era la descrizione che tutti gli
abitanti del
villaggio erano soliti fare di lei. Un esserino magro, avvenente, una
di quelle
ragazze a cui la Natura ha fatto doni e doni e doni, sempre a detta
degli altri.
Era
adorabile, lei, ripetevano spesso le vecchie comari, e simpatica, e
nessuno
riusciva a capacitarsi sul come una
fanciulla così leggiadra avesse potuto innamorarsi di un
vecchio, per quanto
piacente e ricco potesse questi essere.
Ma
comunque, l’importante non era questo.
«C-Ciao!
Buongiorno!», balbettò un giorno Winry, posando
– oh, dio, che razza di
situazione! – una mano sul tavolo della cucina e sforzandosi. Voleva sollevarsi sulle
punte, sì, voleva sollevarsi
almeno quel tanto necessario per poter guardare la donna negli occhi.
Trisha
Elric le sorrise dolcemente. «Oh, ciao a te, piccola. Se
cerchi Edward, è in
camera sua con Alphonse».
Non
le chiese come fosse entrata – eppure lei era entrata!, era
entrata in casa
altrui senza averne il permesso! –, e di questo Winry si
stupì: insomma,
sembrava quasi disinteressata. Continuava a rigirarsi tra le dita un
panciotto,
i capelli che le ricadevano morbidamente lungo le spalle, e lo faceva
canticchiando
una canzoncina.
«Signora
Elric?», si scoprì a mormorare.
«Sì?».
Arrossì,
perché i bambini di quattro anni arrossiscono, quando gli
adulti rivolgono loro
occhiate serie e interessate, e cercò di trovare le parole
giuste. I bambini di
quattro anni solitamente non sono obbligati a fare la morale agli
adulti, ecco,
dunque Winry era seriamente in imbarazzo.
Ma
ehi, si parlava di Ed e Al, quindi doveva fare del suo meglio, che la
signora
Elric le desse ascolto o meno.
«Ecco»,
disse, «non si sforzi di, ehm, sorridere».
Forse
era stata un po’ troppo diretta, perché Trisha
poggiò il panciotto sul tavolo e
inarcò un sopracciglio. Sembrava divertita, in
realtà, e questo fece sospirare
di piacere Winry. Beh, almeno non era arrabbiata. O, se lo era, sapeva
ben
nascondere la frustrazione, quella donna con gli occhi nocciola e
l’aria
dolciastra.
«Oh»,
ridacchiò Trisha Elric. Allungò una mano nella
direzione della bambina e le
scostò una ciocca di capelli biondi dal volto.
«Non credevo si notasse così
tanto», aggiunse – poi di colpo abbassò
gli occhi, e a Winry ricordò tanto un
quadro che sua madre amava particolarmente, e che era sistemato nella
casa di
una vecchia zia.
Raffigurava
un angelo, quel quadro, un angelo che era stato allontanato dal
paradiso per
aver aiutato un diavolo a scappare dalla punizione di Dio –
era rimasto solo,
lontano da tutto e tutto, e ora sedeva su un sasso, immobile.
L’angelo non
piangeva, ma il suo sguardo era così triste, così
dannatamente triste, che sua madre
era solita indicarglielo e
sussurrare: «Quello, Winry, è il volto di una
persona che soffre davvero».
E
a Winry sembrava che la signora Elric fosse davvero triste. Era solo
una
bambina di quattro anni, okay, e solitamente i bambini di quattro anni
non
fanno la morale agli adulti, ma se Trisha era triste, allora anche
Edward lo
era – oh, sì, davvero! – e, beh, a lei
non andava che Ed fosse triste.
Perché
quando gli occhi di Edward si rabbuiavano per il dolore, il cuore di
Winry perdeva
un battito: a quel punto cominciava a fare tanto male, un male
così atroce che
lei desiderava solo farlo smettere.
«Perché
non piange, ogni tanto?». Inclinò il capo di lato,
soddisfatta di se stessa e
del suo consiglio. «Piangere è utile, lo dice
sempre papà!».
Winry
l’avrebbe capito solo anni dopo, che alla signora Elric non
era concesso
piangere.
L’avrebbe
capito solo vedendo Alphonse disperarsi sulla tomba della madre, le
dita
premute contro la pietra, i piedi che calciavano l’etere con
furia.
L’avrebbe
capito solo osservando Edward, gli occhi chiusi – voleva
allontanare il mondo,
lui, e con gli occhi chiusi pregava affinché tutto sparisse.
L’avrebbe
capito solo stringendo le dita intorno al freddo manico di un
ombrellino, la
pioggia incessante che continuava a bagnare le sagome dei suoi due
migliori
amici, che Trisha Elric si era sempre sforzata di non piangere.