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Autore: AkaneTachibana    15/07/2010    0 recensioni
L'ascolto di alcune canzoni può essere il sale su una ferita.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ascoltare quel cd gli faceva male. La sua mente aveva l’abitudine di associare le canzone a momenti delle mia vita, ma in particolare a certe persone. Quel cd sapeva troppo di lei. Iniziò a mandare avanti le traccia, col dito sempre appoggiato al pulsante per avanzare. La seconda traccia: Waka waka. Quante volte l’aveva sentita con lei, quante l’aveva ballata con lei accanto, sia al circolo con i bambini del campo estivo, sia all’esterno. Più volte le aveva fatto notare la superiorità della versione spagnola, ma sentendola gli aveva fatto solo strano, preferendo la più ascoltata versione inglese. Un’altra, una canzone da discoteca, questa niente. Ancora. Grignani. Grignani fa sempre male al cuore, le sue canzoni sono perfette per periodi di depressione e dei momenti quando uno non vuole far altro che sentire il proprio dolore dentro e farsi avvolgere. La bellezza della sofferenza. E quelle parole che segnano, che colpiscono fra l’intero testo della canzone: “E ho scoperto che ne ho bisogno, che il tuo vivere lascia il segno, e senza il tuo spazio sono disperso in me”. Che il tuo vivere lascia il segno, nemmeno importa che lei faccia qualcosa, solo il suo essere lascia il segno, uno dei più bei complimenti che si possa fare a qualcuno.

Avanti. Alejandro. Gli ricorda di quando lo prendeva in giro per come pronuncia quel nome, un po’ all’italiana, senza grattugiarsi il palato come fanno gli spagnoli. Il suo tentativo multiplo di ripetere quel nome per imparare la corretta pronuncia, mentre ascoltava la canzone da solo in macchina. “Don't call my name, Alejandro” eppure lui chiama te, Alejandro. Perché anche tu sei un piccolo dettaglio che fa parte di lei.

Poi lei scorreva ancora le canzoni, ne saltava cinque o sei, lamentandosi: “Mi è già venuto a noia il tuo cd”, quando era appena la seconda volta che lo ascoltava. Perché le piaceva darmi noia e stressarmi e non poteva ammettere che le piacesse una cosa fatta da me.

Si ricordò della sicurezza con cui si accomodava in macchina, sempre nel posto davanti, nonostante fossimo in cinque. Con la sicurezza che quello non fosse altro che il posto a lei riservato e nessun altro. E ora quel posto è vuoto ed è lui a premere sul tasto per mandare avanti, per ricreare un vaporoso ricordo della sua presenza, ma manca il suo profumo, manca il suo corpo, manca la sua anima. E’ solo fumo.

Finalmente raggiunge le canzoni che lei cantava. Your love is my drug, alle volte l’amore è proprio una droga o forse la droga è solamente il sentimento che si sente quando l’amore non è corrisposto. In un film, un film che aveva prestato a lei, si diceva “Solo l’amore inappagato, è l’amore romantico”. Quanta verità in questa frase. Ma perché ogni cosa le ricordava lei? Forse era davvero vero che il suo vivere lasciava il segno, ma che segno.

Dopo arrivava California gurls, anche questa la cantava spesso, insultando Snoop Dog per il poco contributo che dava alla canzone, solo una minchiata alla fine. Lei era per le cose concrete, le minuzie non contavano. Solo bianco o nero, però doveva imparare che esiste anche il grigio. Non esistono solo le cose decise, nette, esistono le cose sfaccettate, né carne né pesce. Le cose strane. Erano una cosa strana loro due, avevano una relazione strana, mai definita entro limiti ben precisi e questo le faceva paura. Tanta paura da farla scappare via.

Dopo iniziò a cantare Craig David con Insomnia,quella canzone gliela aveva fatta sentire lui una volta su internet, lei non la conosceva e non le piaceva. Dopo un po’ disse che non era male, ma le altre volte che la sentì in macchina mia, continuò a commentare che nessuno conosceva quella canzone.

Ne mancavano solo due: Acapella, una canzone che ascoltava pochi secondi, poi la annoiava, perché era tutta uguale. E gira di nuovo. Alors on danse,l’ultima. Anche qui quante volte era stato redarguito per come lo pronunciava male questo titolo e più volte si divertiva a dirglielo storpiato per fargli storcere il naso. E gli ricordava come l’aveva cantata in macchina sua quella sera, pronunciando solo alcune delle parole, perché non la sapeva tutta. Ma che dolcezza nel parlare quel suo francese, quella pronuncia che sembrava così perfetta e dolce, nonostante le parole delle canzone fossero forte e non proprio da ragazza. E il ricordò andò a pochi attimi prima di quella serata, quando gli occhi di lei erano piantati sui suoi, fissi, uno sguardo che non doveva finire, ma dovette distogliere per guardare la strada. E il suo commento così dolce, per il senso lasciato intendere, non per le parole in sé pronunciate: “A forza di guardarti mi si è seccata la lente”.

E ora quel posto è vuoto, si volta per averne un’ennesima prova. Passa una mano sul sedile, sperando di trovare le sue gambe, e invece solo pelle nera e il ricordo di qualcosa svanito.  

  
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