Amore
Irrazionale: nemici, amici, innamorati
Capitolo
uno: la mia vita fa andare al bagno
La
mia vita era sempre stata come una di quelle sit com americane, piena
zeppa di colpi di scena, ma sempre prevedibili. Di quelle con teenager
alle
prese con qualche cretino super-figo che le tormenta e rende la loro
vita un
inferno, ma che, inevitabilmente, poi, le fa innamorare di lui come
delle
povere pere cotte.
Ma,
fortunatamente, io non ero la classica ragazza da sit com che
s’innamorava del cretino della città. Io ero la teenager che affrontava
il deficiente in questione, perché, purtroppo, anche nella mia
prevedibile
realtà, lui esisteva.
Non
poteva mica non esserci. Perché
quella presenza era peggio di una piaga in via di putrefazione, un
porro
peloso, un foruncolo, e resisteva.
Ma,
se nelle sit com, poi diventava l’eroe, si poteva star certi che qui,
nella mia città, nella mia vita, lui non sarebbe mai diventato
magicamente il
santo della situazione. Non c’erano segreti scabrosi della famiglia che
l’avevano irreparabilmente rovinato, niente maschere che nascondevano
un cuore
d’oro. Eh sì, perché, purtroppo, il figone del mio, di
villaggio, lo
conoscevo fin troppo bene. Perchè le nostre famiglie erano amiche da
quando mio
padre e mia madre andavano al liceo, e, come se non bastasse, una delle
mie
sorelle era fidanzata col fratello maggiore della mia nemesi. Solo per
informazione, nel mio universo, la pustola, colui che rompeva le palle
insistentemente, aveva il famoso nome di Adam Brown: mi rifiutavo
categoricamente di ritenerlo mio cognato. Era troppo..deprimente.
Restava
il fatto, che la Pustola aveva appena segnato la sua ora.
“Brown,
sei un idiota!” esclamai, adirata, gli occhi furenti iniettati di
sangue.
Quella
sottospecie di ameba, priva di un briciolo di materia grigia, aveva volontariamente
fatto cadere la sua cicca sulla mia testa.
Stavo
ringhiando come una rabbiosa, quasi con la bava alla bocca, mentre
una parte di me stava già piangendo i miei capelli che,
inevitabilmente, avrei
dovuto tagliare, per sistemare il danno.
Ricordiamo
la persistente somiglianza con le sit com americane, dove,
puntualmente, i professori nemmeno si vedevano, nullafacenti come pochi.
Ed
infatti, l’insegnate si faceva tranquillamente i cavoli suoi, con
l’Ipod
nelle orecchie, che picchiettava la biro sulla cattedra a ritmo di
musica.
Perché
qui succedeva così.
Lei
ci riempiva di esercizi, e mentre la parte di noi diligente eseguiva i
compiti, lei si faceva i fattacci propri, mentre Mr Pustola combinava
danni.
Non
poteva nemmeno sentire le mie urla la prof, la musica era così alta che
la sentivo chiaramente fino al mio posto, nella penultima fila di
banchi, in
fondo alla classe.
“Oh scusami Smith, te la tolgo subito!” disse, con finto tono
dispiaciuto.
Quando
allungò la mano, ebbi l’impulso di staccargliela a morsi; peccato
che non fossi cannibale. Ma, comunque, Brown riuscì a mettere le sue
manacce
sulla mia testa e spalmò bene il chewing-gum sui capelli. Boccheggiai,
shoccata. Non avrei mai creduto che fosse così sconsiderato,
quell’Essere, dal
volersi accorciare così drasticamente la vita.
“Brown, giù le mani!” urlai, in panico.
Lui
ghignò, lo sentii bene, ma quell’incompetente della prof non se ne
accorse minimamente. Non che lei avrebbe preso provvedimenti: com’è
prevedibile, Brown aveva un certo ascendente pure sulle professoresse,
oltre
che sul popolo femminile della mia città. Perciò, non sarebbe servito a
nulla
che la prof se ne accorgesse.
“Lascia
che ti aiuti.” Disse, con tono mellifluo. Il suo sorrisino era la
cosa più irritante che esistesse sulla terra.
Lo
allontanai con uno spintone e un’occhiata infuocata. Ma perché non
sapevo incenerire con gli occhi?
“Ma che aiutare.. Oh no, sono da tagliare..”
L’ultima
parola fu un sussurro strozzato. I miei capelli, lisci, lunghi,
morbidi: da tagliare. Mi sentivo mancare, ma cercai di riprendere il
controllo.
Mi alzai, con calma calcolata e un’espressione omicida. Lo fissai così
male che
indietreggiò con la sedia. La professoressa alzò lo sguardo sulla
classe,
vedendomi in procinto di ammazzare il suo beniamino.
“Smith, cosa succede?”
“Ma nulla professoressa. Chiedo un suggerimento a Adam..” Minimizzai
io, un
sorrisino sadico sulle labbra, le forbici in mano, nascoste dietro la
schiena.
Mi risedetti, mentre lei usciva dalla classe: “Vado a prendermi il
caffè, voi
state buoni” ordinò. Era troppo facile.. proprio da sit com, no?
Mi
rialzai, e andai al banco dietro al mio. Sorrisi sadica a
mononeurone-Brown.
“Nat, non farlo..” mormorò Kim, la mia migliore amica, preoccupata. Non
le
diedi ascolto. Non era il momento di professare il “Peace and Love”.
“Sai Brown, sei assolutamente un idiota.” Gli confessai, con odio in
quantità
industriale. Avrei potuto ricoprire la superficie della terra, con
tutto
l’astio che covavo per Brown. E sarebbe persino avanzato.
Lui ridacchiò, senza allegria, con un amaro sarcasmo.
Ecco,
lo sguardo che mi mandava in bestia. Era malizioso, pieno di
sottintesi, falsi e veri.
Adam
Brown era il classico figo dongiovanni, come ormai era risaputo, a cui
montava l’ego ogni secondo che passava grazie alle attenzioni che le
ragazze
gli davano. Bastava uno schiocco di dita, e il genere femminile gli
cascava ai
piedi. Ovviamente, con me i suoi occhi verde smeraldo non facevano
effetto.
Certo,
era bello – impossibile negarlo- ma io guardavo più in là, dentro la
persona. Il punto era che di lui non potevi vedere nulla, dato che era
profondo
come una pozzanghera. Adam Brown era esattamente come si mostrava:
superficiale, egocentrico, pallone gonfiato, insensibile ai sentimenti.
Punto.
Al massimo ci potevi aggiungere altri insulti. Fine.
“Detto da te è un complimento.” Alitò con quelle labbra tirate in un
sorrisino
malizioso. Mi stava mandando in bestia, e dovetti inspirare a fondo per
non
prenderlo a schiaffi. Dopotutto eravamo in classe.
Accennai una risatina nervosa. “Molto divertente..”
Volevo
abbassare quella cresta che si ritrovava,e nel vero senso della
parola. Mi avvicinai pericolosamente al suo viso, sotto il suo sguardo
soddisfatto, e prima che lui potesse fare qualcosa, le mie forbici
furono tra i
suoi capelli. Zac. Sorridendo soddisfatta, raccolsi i suoi capelli e
glieli
sventolai davanti al naso, sotto il suo sguardo stralunato. Se c’era
qualcuno
che teneva ai suoi capelli quanto io tenevo ai miei, era proprio Adam
Brown.
“Come. Hai. Osato.” Sibilò, con sguardo minaccioso.
“Occhio per occhio..” Beh, era la spiegazione migliore che potessi
dargli. No?
“Smith,
questa me la paghi.” Ringhiò tra i denti. Orgoglio ferito?
Indicai i miei capelli, irreparabilmente rovinati. Lo guardai male, ma male
male.
“Sai
che dovrò tagliarli? Corti, molto corti. E a me non piacciono i
capelli corti.”
“E sai che me ne frega dei tuoi capelli, befana!” rispose, acido.
“Beh, tua madre voleva che ti dessi una spuntatina, no? Ecco, hai
risparmiato
tempo e denaro. Sono io qui, quella messa peggio. O forse no?
Sappilo,
tua madre adorava i miei capelli. E’ ovvio che noterà il drastico
cambiamento,
e le confesserò piangendo che il disastro l’hai combinato tu ai miei,
innocenti
capelli.” Dissi, mentre un sorrisino perfido affiorava sulle mie
labbra.
“Tua madre stravede per me, ricordi? Mi difenderà a spada tratta” disse
Adam
sicuro. Pensava di avere il coltello dalla parte del manico. “Non avrai
vita
semplice.” Disse poi. Non volevo pensare alla reazione di mia madre,
sinceramente. Mi avrebbe distratto e rammollito.
“Nemmeno tu” risposi minacciosa. Ghignò perfido, chissà cosa il suo
cervellino
bacato macchinava.
“Tremo dalla paura. Natalie Smith mi minaccia!”. La classe rise, ma io,
con
un’occhiata alle spalle, zittii tutti. Rivoltai la testa verso
l’Essere, che
ancora aveva disegnato quell’odioso sorrisino sul viso.
“Sei odioso, impossibile, insopportabile, montato..”
“Tu sei patetica” il sangue mi ribolliva nelle vene, e mi colorava le
guance di
rosso, per la rabbia. Presi l’Estaté in bella vista sul suo banco-
ovviamente
lui poteva permetterselo- e lo premetti sulla sua zucca vuota, rompendo
la
plastica del bricchetto, e rovesciandogli in testa il thé. Ghignai,
soddisfatta. I suoi occhi si fecero più scuri, accecati dall’ira.
Afferrò la
bottiglietta d’acqua dell’amico, aperta, e mi rovesciò addosso il
contenuto. Mi
guardai la maglietta completamente zuppa, a bocca aperta, poi con un
tic
all’occhio rialzai lo sguardo su di lui. “Tu” sibilai.
La
classe si era zittita, le scommesse già fatte: tutti erano in attesa
della
rissa.
Ci
mancava solo l’arbitro e la campanella che segnasse l’inizio del match.
“Io?”
sfotté Brown, con quell’aria da superiore che lo contraddistingueva
dagli altri cavernicoli, sempre e comunque più evoluti di lui.
“ IO TI ODIO!” tirai in dietro il braccio, strinsi forte il pugno, e lo
distesi, colpendolo con tutta la forza che possedevo.
Non
ci potevo credere: l’avevo fatto davvero.
Riaprii
le dita, che scricchiolarono, ed insieme anche gli occhi. Gli avevo
fatto girare la testa, ero compiaciuta: avevo sempre desiderato farlo.
Rimase un attimo interdetto, a fissarmi, sconcertato; probabilmente era
basito
quanto lo ero io per il gesto. Non se lo aspettava nessuno, nemmeno io.
Stava
metabolizzando il tutto, forse. Sì, l’avevo davvero colpito in viso,
e molto probabilmente anche nell’orgoglio.
Sbatte
le palpebre un paio di volte, poi il gesto fece breccia.
Nel
suo sguardo c’era puro odio, nei miei confronti.
Aprì
la bocca, ma non uscì verso né parola.
“Smith.” Ringhiò, a denti stretti.
“Sì, Brown?” domandai,sorridendo sorniona.
“Io t’ammazzo!” con uno scatto si alzò in piedi, facendo ribaltare
all’indietro
la sedia. Indietreggiai, ora sì che mi venivano i brividi a vederlo. Mi
sembrava Bruce Banner in procinto di trasformarsi in Hulk. La vena sul
suo
collo pulsava paurosamente, il viso aveva già la sfumatura verdognola.
L’avevo
combinata grossa. Afferrò le sue forbici, e avanzò verso di me, lo
sguardo da
serial killer non accennava ad andarsene.
“Ehi, non t’avvicinare.” Intimai. Purtroppo mi uscì una supplica, e non
un
avvertimento, come volevo che fosse. Fece una risatina sadica, che mi
fece
venire la pelle d’oca. Tagliò l’aria con quegli arnesi malefici,
camminando
lentamente verso di me.
“L’avevo detto io che sarebbe finita male..” mormorò Kim tra sé. Ma che
carina,
perché al posto che fare la saccente, non mi dava una mano?
“Vieni qui, Smith!” ringhiò Adam, facendo uno scatto verso di me. Io mi
girai e
iniziai a correre per i banchi, con lui alle calcagna. Purtroppo, non
avevo
tenuto da conto i suoi amici cavernicoli, ovviamente dalla sua parte.
Jim, il
suo migliore amico – idiota anche lui-, piazzò in mezzo il suo banco,
bloccandomi il passaggio.
Brown ghignò, battendogli il cinque, poi mi guardò con gli occhi
ridotti a due
fessure. Lentamente, mi si avvicinò.
Io
cercavo, senza togliere gli occhi da lui, di spostare il banco. Non mi
ero accorta che l’amico l’aveva incastrato bene tra altri due. Solo
loro
potevano riuscirci casualmente.
“Stammi lontano!” ringhiai. Dovevo apparire un gattino che credeva di
essere
una tigre, ai suoi occhi.
Le
sue iridi erano così sadicamente intrise di odio che sembravano ancor
più magnetici, come quelli dei serpenti. Era quasi impossibile
distogliere lo
sguardo.
“Ma dai, Natalie.. Sono il tuo pavvucchieve di fiducia, tesovo, ti favò
un
taglio mevaviglioso!”
Doveva
far ridere? Eppure io ero traumatizzata.
Misi
i due indici delle mani a formare una croce: “esci da questo idiota!”
esclamai.
Ma
dove trovavo il coraggio per far dell’ironia, anche nelle situazioni
tragiche?
“Simpatica, Smith, davvero simpatica. Ma io non sarei così in vena di
scherzare.” Afferrai la prima cosa che riuscii, sul banco di un
compagno: la
colla. Una misera, inutile colla! La fissai male, e Brown rise della
mia
sfortuna. Era a due passi da me, che mi minacciava con quelle
pericolose
forbici appuntite e un ghigno perfido. Fece un altro passo;
istintivamente gli
lanciai il tubetto in faccia, e sgusciai dalla trappola. Sentii
distintamente
le forbici chiudersi sui miei capelli.
Oh no. Mi voltai verso di lui, che teneva in mano una ciocca abbondante
dei
miei capelli, lunga almeno venti centimetri, con un sorrisino
soddisfatto.
Passai una mano, scioccata, sulla mia nuca: il dislivello si notava
eccome.
Inspirai ed espirai profondamente, era il mio turno di diventare Hulk.
Afferrai
una sedia libera, e la alzai sulla mia testa. Indovinate chi era il
bersaglio?
“Smith, Brown, che succede?” la prof rientrò proprio in quel momento.
Non ci
potevo credere. Evviva il tempismo.
Abbassai
la seggiola, e mi voltai verso la prof a capo chino.
“Diari”
Come
nelle classiche sit com, no?
***
Marciai a passo spedito verso il bagno delle ragazze, con l’assoluto
bisogno di
vedere in che pietoso stato si trovassero i miei capelli.
Masochismo
puro.
Entrai
velocemente, cercando di nascondermi agli occhi altrui. Oddio..i
miei poveri capelli. La cicca, di un rosa chiaro scolorito, era come
saldata
alla mia testa. Avrei dovuto tenere la testa al fresco- nel vero senso
del
termine- per staccare il chewing-gum.
Toccai
la gomma, schifata. Bleah!
Per non parlare del taglio netto dei miei capelli, dietro alla
testa..quello
sì, che era un danno.
Cavolo,
avrei dovuto tagliarli scalati, cortissimi. Miseriaccia.
Slacciai
il foulard che avevo al collo, per pura fortuna, e lo sistemai sul
mio capo. Almeno non avrei fatto una figuraccia mentre tornavo a casa.
Uscii
spedita, sperando di non incontrare Faccia-da-schiaffi-Brown. Beh,
non c’era molto da sperare, dato che eravamo vicini di casa.
Con
calma, uscii dall’edificio. Attraversai l’intero spiazzo, diretta verso
casa. Ero senza macchina- purtroppo- e dovevo farmi la strada a piedi.
“Ehi, strega!” Nat, respira, respira a fondo. Non. Dovevo. Sbraitare. E
non
dovevo ucciderlo: sarei finita in prigione. Cos’avrebbe detto papà?
“Ho detto: ehi, strega!” ripeté, seccato.
“Che vuoi!” sbottai, voltandomi. Sorrise, strafottente.
“Oh, niente.” Rise, quasi strozzandosi. “Mh, bella bandana.” Commentò.
Stronzo.
“Va a quel paese, razza di idiota!” sibilai. Lui rise, rise di gusto.
Aumentai
la velocità, intenta a seminarlo: che cosa vana, dopotutto dovevamo
fare la
stessa strada. Anche se non parlava più- o meglio, non sparava più
cretinate-,
lo sentivo camminare dietro di me. Dopo dieci lunghissimi minuti, quasi
interminabili, giungemmo a casa. Senza salutarci, ovviamente, ci
separammo.
Entrai in casa, e presi un respiro profondo. Durante il tormentato
tragitto, mi
ero preparata mentalmente all’ennesima sfuriata di mia madre, per la
nuova nota
disciplinare. “Ehm, mamma?” chiamai. Arrivò tutta pimpante, eccitata,
con un
sorriso ad illuminarle il volto. La situazione mi puzzava.
Il
mio inconscio- tipo vocina fastidiosa che mi metteva in guardia- mi
suggeriva il motivo ma non l’ascoltai.
“Mi
devi aiutare, stasera vengono a cena i nostri fantastici vicini!” mi
ritrovai a sperare che fossero altri vicini, ma la vocina –
sempre
quella crudele vocina – mi suggeriva che non erano quella simpatica
coppia di
anziani.
“I
signori Willis, intendi?” dissi innocentemente.
Chi
gliel’avrebbe spiegato ai genitori, che io e Adam avevamo fatto ancora
rissa? Emily rise. “Ma che dici, è ovvio che sono i Brown! E’ una
settimana che
non ci vediamo tutti insieme!” battè le mani, entusiasta. Poi mi guardò
attentamente. “Ma.. Nat, perché quel foulard?” deglutii a vuoto, mentre
scioglievo il nodo dietro al capo. Strabuzzò gli occhi.
“Ma’, ho predo una nota.. perché quel tesoro di Adam Brown mi
ha messo
la cicca in testa.” Dissi mostrando il disastro. “E mi ha tagliato i
capelli.”
“Per questo, hai preso una nota?” chiese, scioccata.
“Beh, io gli ho dato pan per focaccia.” Confessai, con un sorrisino
divertito.
Al ricordo di quel pugno ancora gongolavo. “E gli ho quasi tirato una
sedia in
testa” aggiunsi, con nonchalance. Ormai, tanto, la frittata era fatta.
“Natalie!” mi sgridò “Come hai potuto? Richard, corri. Qui urge una
ramanzina
coi fiocchi!” mio padre comparve nel corridoio,tutto trafelato. Sapeva
che
quando mia madre, da pacata, diventava belva furente, era perché
succedeva
qualcosa di catastrofico. Beh, ormai con me era una routine.
“Nat, cos’è successo ai tuoi capelli?” era basito, la bocca aperta
stile
baccalà. Mi strinsi nelle spalle
“Brown”
Solo il nome diceva tutto.
Scosse
la testa, rassegnato. Per quanto il mio papino adorasse Adam, non
gli avrebbe mai dato pienamente ragione: io ero la più piccola di casa,
dopotutto. E l’unica delle sue tre figlie a cui avesse mai insegnato a
giocare
a football e a fare la lotta.
“Ha preso un’altra nota, Richard, l’ennesima! Non. Va. Affatto. Bene. E
poi
questa cosa delle risse, proprio non la tollero!” Evitai di alzare gli
occhi al
cielo. Ormai la tiritera la conoscevo a memoria.
“Natalie cara, mamma ha ragione. Tu e Adam dovreste andare d’accordo,
la
situazione è pesante.” Mio padre mi guardò accorato. Era pesante sì, ma
anche
ingestibile. A lui dispiaceva sempre dover discutere con i coniugi
Brown di
queste cose; non era il massimo per dei migliori amici come loro.
Mamma
era fuori di sé, come al solito.
“Come se fosse solo colpa mia: se lui non mi avesse appiccicato la
gomma tra i
capelli, io non gli avrei tirato un pugno!” sbottai, incrociando le
braccia al
petto.
“Gli hai tirato un pugno?Ma sei impazzita?” urlò mia madre.
Forse
avevo parlato troppo. Mio padre si accese d’entusiasmo, anche se con
un pizzico di preoccupazione negli occhi chiari: “ ti sei fatta male?”
“Poco, però ne è valsa la pena: gli ho girato la faccia.” Dissi, fiera
del mio
destro potente. Mio padre ridacchiò, sotto sotto era soddisfatto quanto
me che
le sue lezioni fossero andate in porto. “A volte mi chiedo se non fossi
dovuta
essere maschio. Sembra ti piaccia fare rissa!” commentò divertito.
Annuii:
“Oh sì, fare a botte con quel microcefalo di Brown sarebbe molto
più entusiasmante” feci ridere ancora mio padre, e grugnire mia madre.
“Se fossi maschio, sareste amici.” Disse mamma, storcendo il naso.
Rabbrividii:
“sono felice di essere donna! Ora mi devo lavare, anzi. Devo
sistemare il disastro che ha fatto il beniamino di mamma.”
La
diretta interessata sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Scomparve in
cucina, mentre mio padre, col suo sorrisino divertito, tornò in
salotto.
*****
“Nat, i tuoi capelli..” sospirò mia sorella, accarezzandomi la testa.
“Ringrazia quel deficiente del fratello di Bryan.” Risposi, alzando le
spalle.
Mi
ero dovuta tagliare i capelli, corti, molto corti. Fortunatamente, mi
ricrescevano velocemente. Mia sorella sbuffò.
“Non c’entra nulla Bryan, non metterlo in mezzo!” mi sedetti sul letto
di mia
sorella, e sospirai.
“Certo,
Rose, il tuo ragazzo è fantastico. È suo fratello l’idiota.”
“Però è carino.” Scoppiai a riderle in faccia. I singulti erano
violenti, mi
contorcevo per le troppe risa. A volte mia sorella se ne usciva con
delle vere
cavolate.
Cercai di riprendere un contegno: “Sei assurda, sorella.” Ansimai, col
fiatone.
Lei storse il naso, contrariata.
“Solo perché lo odi, non vuol dire che non sia bello. Insomma, le sue
conquiste
le fa.” Si strinse nelle spalle, come se la cosa detta fosse ovvia.
“Ti interessi di pettegolezzi da liceo?” apostrofai, con un sorrisino
di
scherno. “Nat, guarda che fino all’anno scorso anch’io ero una di voi.
I
ragazzi Brown hanno sempre destato una certa fama, in questo senso.
Adam fin
dal primo anno ha fatto conquiste, mi pare.” Disse, con un’aria da
saccente.
“Intendi dire che anche Ryan era un casanova?” Sorrise, ravviandosi i
capelli
dorati e boccolosi. Mi si strinse il cuore: i miei, anche se erano di
un biondo
cenere spento e non belli come i suoi, una volta erano così. Cioè, fino
a
quella mattina.
“Fino a quando non mi ha conosciuta, e ha messo la testa a posto.”
Disse fiera,
gli occhi azzurri scintillanti da innamorata. “Prima o poi, anche Adam
metterà
la testa a posto. E quel giorno...” lasciò la frase in sospeso
lanciandomi
un’occhiatina che non riuscii a decifrare.
“Quel giorno?” chiesi, curiosa. Ridacchiò, poi mi tirò una cuscinata.
“Quel giorno sarà troppo tardi!” che voleva dire? Mia sorella era
proprio un
mistero. Se io ero quella che dava più problemi a scuola, lei era
quella meno
normale. Rimasi lì qualche minuto, alla ricerca del significato
dell’affermazione di Rose.
Lasciai
perdere quasi subito, mia sorella era come un sudoku: mi era
impossibile risolverlo, come non riuscivo a capire lei. Inutile
struggersi
tanto.
Andai
in salotto, e in quel momento sentii la porta di ingresso aprirsi.
“NAT” sorrisi: la piccola Kate, la sorella minore di Bryan e
Testa-di-cocco-Brown, era un vero angelo. La bimba venne in salotto-
ormai casa
nostra la conosceva troppo bene- ,accompagnata dalle risate di tutti, e
mi
corse in braccio. “Ehi, terremoto!” esclamai, stringendola a me. “Sei
cresciuta”
La piccola si aprì in un sorriso mozzafiato, mostrandomi i suoi
dentini. Era
tenerissima, con i suoi boccolosi capelli biondi, e quegli occhioni
verde
acqua.
“Natalie, e i tuoi capelli lunghi?” mormorò, accarezzandomi la testa.
Scossi il
capo, un sorriso amaro sulle labbra. Intanto entravano tutti gli altri,
nella
stanza, compreso il ‘genio’ della famiglia. “Ho dovuto tagliarli..”
dissi, con
un sospiro.
“E non hai pianto?” domandò, confusa. Beh, c’ero molto, molto vicina.
“Ma no, piccola. Tanto ricrescono.”
“Beh, comunque rimani bellissima, tesoro. Non preoccuparti!” Emma, la
madre di
Bryan, Kate e Testa-Di-Cocco-Brown, venne da me e mi stritolò in una
presa da
lotta libera, facendo ridere la piccola.
“Ciao
Emma” ridacchiai.
Era
una persona fantastica, quella donna. E così anche il marito, e i due
figli- il più grande e la più piccola, sia chiaro. Doveva esserci stato
un
errore, una madornale anomalia nel concepimento del secondo figlio. O
forse
c’era stato uno scambio di figli, dove il vero angelo Brown era stato
brutalmente barattato con questo obbrobrio della natura.
Emma e Seth Brown erano colleghi, nonché quasi consuoceri, dei miei.
Sarebbe
stata una famiglia fantastica, la loro, se non ci fosse stata la pecora
nera a
rovinare tutto.
L’amicizia che legava noi a loro, era quasi sempre, per me, causante
del
desiderio di suicidarmi. Mi chiedevo perché mio padre avesse voluto
proprio
fare quel lavoro, e soprattutto, perché ci fossimo stabiliti proprio
lì, a
fianco a loro.
Ma perché rovinarmi la vita a causa di un cafone ignorante?
Da sottolineare, però, che era un’impresa titanica sopportare quel
cervello di
gallina, perché mi ronzava in torno, oltre che a scuola, pure a casa.
Mi
ricordo che alla nascita di Kate, per ogni minima cosa, ci ritrovavamo
per
festeggiare: ‘Kate ha fatto il ruttino!”; ‘la piccola ha sorriso!’; e
così, di
corsa al ristorante. Forse, per una cosa, io e Adam eravamo d’accordo:
non ne
potevamo più. Ci salutammo- ovviamente, io e Adam ci lanciammo occhiate
di
fuoco, anche lui aveva dovuto sistemare i capelli in qualche maniera- ,
poi
mamma annunciò che la cena era pronta. Come al solito, mi sedetti
accanto a
Bryan, di fronte al Vaccone, con Kate in braccio. Bryan, anche se aveva
due
anni in più di me- era un diciottenne, come Rose- , era il mio migliore
amico,
nonché confidente. Avevamo un bel legame, io e lui. Era un tesoro, e
non biasimavo
mia sorella che ne era completamente cotta.
Arrivò
il primo – in queste cene, mia madre si dava alla pazza gioia,
neanche fosse una chef-, e l’atmosfera aveva già perso tutto il solito
imbarazzo. Bryan e Rose si guardavano intensamente, gli occhi a
cuoricini. Ogni
tanto si scambiavano parole dolci, e si dicevano quanto fossero
fantastici,
l’uno all’altra. Kate mangiava tranquillamente, ogni tanto sbuffava
annoiata-
di solito con me si divertiva sempre, ma quel giorno il mio umore era
nero come
il carbone. Mi dispiaceva per la mia piccolina; io ero come una sorella
acquisita, non la semplice baby-sitter per lei. In quanto a me, non
avevo fame
e nemmeno voglia di mangiare. Nemmeno Adam sembrava averne, e
continuava a
lanciarmi sguardi di fuoco, pieni di odio, a cui io rispondevo
prontamente. Era
difficile che ci insultassimo, a tavola: a parte il fatto che avremmo
distrutto
il mito di ragazzi beneducati ai nostri genitori, c’era presente la
bambina.
Avrei creduto che Adam-testa-di-nocciolina
fosse proprio, definitivamente, senza cuore, se non avessi visto il
bene che
provava per la sua famiglia, e la devozione per la sorella minore. Che
poi era
reciproca, in quanto Kate aveva già annunciato che, da grande, si
sarebbe
sposata con lui. Beh, non volevo essere nei suoi panni, povera piccola
ingenua.
Adam era praticamente un mostro!
“Mamma, mi scappa la pipì” Emma prese Kate in braccio, e chiedendo
scusa e il
permesso, scomparve nel corridoio.
Una scintilla attraversò quell’oceano di verde- gli occhi di Adam erano
davvero
belli, glielo potevo concedere- e le sue labbra si tirarono in un
sorriso
divertito. Prese la bottiglia di Coca-cola e svitò il tappo, sempre con
quel
ghigno presente sul viso. Nell’allungarsi, per afferrare il suo
bicchiere, urtò
la bottiglia, che si rovesciò direttamente su di me. Non era casualità.
Perché anch’io, casualmente, avrei potuto, ovviamente per sbaglio,
conficcargli
la forchetta in un occhio.
“Nat,
stai più attenta!” rimproverò mia madre.
Ora,
se avessimo fatto replay, si sarebbe visto chiaramente che io non
avevo mosso un muscolo e che quel microcefalo aveva volontariamente
rovesciato
la bottiglia per bagnarmi. Ma mia madre era infatuata del
figlio di Emma
e Seth Brown, in modo quasi malsano. E, come ogni volta, aveva fatto
magicamente
diventare me dalla parte del torto.
Adam
mise su un broncio mortificato, falso come Giuda, e si girò penitente
verso mia madre.
“Emily, è colpa mia, ho per sbaglio rovesciato la bottiglia.” Bleah,
eccesso di
mielosità. Si vedeva da un miglio che stesse gongolando.
Mia
madre gli sorrise dolcemente. “Tranquillo caro, non è successo nulla.”
Come non era successo nulla?!Si dava il caso che avesse appena rovinato
la mia
maglietta preferita: avevo sudato per averla, e solo dopo infinite
preghiere e
un lavoro come baby-sitter, l’avevo comprata. E lui, quel caprone,
idiota,
quell’essere mitologico con corpo d’uomo e testa di cazzo- era riuscito
a
rovinarmela, senza che mia madre, quella traditrice, dicesse nulla.
Era certificato, ero stata adottata.
Non
si spiegava, altrimenti, perché mia madre non fosse mai dalla
mia parte.
“Natalie, vai a cambiarti, che bagni il pavimento!” ordinò Emily. Okay,
volevo
ufficialmente divorziare da mia madre.
“Vengo
anche io!” disse Rose, seguendomi in camera mia. Sapeva che stavo
per scoppiare. Mi sentivo il sangue ribollire nelle vene, probabilmente
il fumo
usciva dalle mie orecchie, dato che sentivo un fischio fastidioso in
esse.
“Nat,
respira, respira!” intimò mia sorella, scrollandomi per le spalle.
Solo in quel momento, mi accorsi di aver trattenuto il respiro, e pian
piano
l’aria tornò ai miei polmoni. Inspiro, espiro.
“Devo iscrivermi ad un corso di yoga.” Dissi, mentre mi ossigenavo. Inspira,
Nat, espira.
Tenevo
gli occhi chiusi, cercando di placare la mia ira funesta. “Ti sei
ripresa?” scossi la testa, in segno di diniego. Sentivo ancora il
bisogno di
spezzargli le ossa e di spappolare il suo cranio sul muro.
Sadica?
Un pochino non guasta mai.
Presi
altri respiri, poi riaprii le palpebre e sorrisi a mia sorella:
“Okay, ci sono”
“Dai, Nat.. non devi prendertela così.” Sapevo che Rose ci stava male,
quando
avevo qualcosa che non andava, e cioè sempre, se c’era Brown.
“Rose,
questa è la mia maglietta preferita..” mi lagnai. “ E poi, cavolo,
sembra che sia lui suo figlio!” sbottai, offesa.
Lei
mi abbracciò: “lo sai che ti vuole bene..” sì, quanto si poteva voler
bene ad una crepa sul muro.. “Ma è vero che oggi avete fatto ancora
rissa? E’
vero che gli hai tirato un pugno?”chiese, curiosa, come un fiume in
piena.
Annuii,
solamente, e lei scoppiò in una fragorosa risata. “E lui ti ha
tagliato i capelli.” Dedusse. Sfilai gli indumenti bagnati e
appiccicosi, e
cercai qualcosa di comodo, ma non di trasandato, da mettere.
“Prima gli ho rovesciato il thé in testa, e lui l’acqua addosso, e
prima ancora
mi ha messo la cicca in testa.” Raccontai, facendo aumentare le sue
risate.
“Oddio,
siete una comica assoluta!” e ricominciò a ridere. “Mi.. mi
piacerebbe vedervi!” finii di sistemarmi, grugnendo. Io non ci trovavo
niente
di simpatico.
“Beh, ci saranno dei video su You Tube, sicuramente..” dissi,
stringendomi
nelle spalle.
Lei sorrise, entusiasta. “Quando vanno via lo cerco subito!” detto
questo,
tornammo in salotto.
La serata passò lenta e, per me, tormentata.
“Grazie Emily, per la cena! Ricambieremo sicuramente” Emma l’abbracciò,
sorridendole grata. Ma perché doveva essere così gentile?
“Ciao Nat!” mi salutò la piccola Kate, attirando la mia attenzione. Le
baciai
una guancia, chinata alla sua altezza.
“Ciao piccola.” Le sorrisi.
“Ehi, impiastro, oggi non mi hai nemmeno calcolato” mi disse Bryan,
fingendosi
offeso. Grande e grosso com’era, quel visetto non gli donava.
“Se
tu non avessi occhi che per mia sorella, magari riusciremmo a
conversare!” arrossirono entrambi, ed io ridacchiai.
“Andiamo ragazzi!”
“Ciao, ci sentiamo!” Detto questo, la famiglia Brown uscì da casa mia,
facendomi sospirare di sollievo.
*
*Angolino
Autrice*
Salve
a tutti i gentili lettori. Ehm, si lo so, questa
storia l'avevo già postata, però...
L'ho
tolta, per sistemarla e modificarla un po'.
Ora,
il primo capitolo come si è visto, più o meno è
uguale all'altro. Però ho messo anche la foto, è più chic xD
Spero
comunque che.. vabbè, che la storia vi piaccia.
Un bacio! ( Ps: ringrazio Sakura__Nice per i non-linciacci e la magnanimità dimostrata nei miei confronti: grazie! )