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Autore: Ulissae    16/07/2010    5 recensioni
Fanfiction classificatasi prima al contest "Bathroom Love" indetto dal C.o.S.
[One shot su Aro; Caius e Marcus :3 i loro primi momenti]
Quella giornata non era poi stata così malvagia: grazie a un po' d'acqua aveva trovato un nome.
Mica cosa da poco.
Genere: Comico, Commedia, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Aro, Volturi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L'enciclopedica visione dei Volturi'
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Sproloquiamo, sì, che è proprio necessario:
·    Il titolo vuol dire “La fortuna risiede nel corpo del miserabile”, con fortuna si intende anche il destino, il fato.
·    Secondo le interviste con la Meyer Caius è nato nel 1300 A.C.; suppongo che a quell'epoca il nome Caius ancora non esistesse. Perciò ho inventato nella mia testa un passato per il personaggio, che qui viene solo accennato. Caius fu trasformato da una vampira donna -da qui la misoginia che un poco traspare- e non ricorda nulla del suo passato. È stato trovato da Marcus.
·    Marcus l'ho sempre visto come un preludio ad Aro, così, ecco qui.
·    Le notizie riguardanti la parte storica sono prese dal libro “Una giornata nell'antica Roma”, di Alberto Angela.
·    Le terme in cui è ambientata sono quelle di Traiano.
·    Un quadrante era il prezzo medio per entrare alle terme.
·    Era normalissimo usare degli zoccoli, nel calidarium. I pavimenti erano così caldi che percorrerli senza era impossibile.
·    Un asse sono cento sesterzi. Con 1200-2500 sesterzi si comprava uno schiavo.
·    Suppongo che si capisca che l'incidente con l'acqua è quando questa diventa gelida e anche lo scivolone.


Fortuna in corpore villi est



La via Sacra era sempre stata un crogiolo di persone; mentre la percorreva con calma al fianco del suo nuovo compagno, Marcus si guardava attorno divertito: i giovani avvocati scrutavano il cielo grigio con cipiglio allarmato; i più anziani già sentivano i dolori delle ossa e stropicciavano le toghe, stringendosele addosso; i parassiti aguzzavano la vista, come avvoltoi, alla ricerca di buone persone da accalappiare.
Sui sassi ben lavorati e ampi, Caius e Marcus camminavano adagio, diretti verso l'anfiteatro.
Il moro si guardava attorno divertito: tutta quell'umanità che lo sfiorava, ignara, lo rendeva allegro, come pervaso da un sottile senso di superiorità.
Caius, al contrario, era pensieroso e accigliato. Si guardava attorno con cipiglio indagatore, studiando ogni singola faccia per poi voltare la testa, riportando la sua attenzione sui propri sandali.
«Gaius, cosa ti cruccia?» rise Marcus, dandogli una leggera pacca sulle spalle. Questi si voltò e con gli occhi di fuoco lo fulminò. Ancora si chiedeva perché aveva deciso di unirsi a lui, cosa lo aveva spinto a seguire quel folle, dai modi tanto -perfino troppo- umani. Probabilmente il ritrovarsi su una spiaggia, dopo giorni in cui si era lasciato trasportare dalle onde, senza ricordare il proprio nome e con vaghe memorie di donne traditrici... Bhè, forse questi fattori l'avevano aiutato ad accettare le stramberie di Marcus.
Anche quella sua nuova voglia di trovargli un nome.
«Nulla, nulla» tagliò corto, anche se quel nome gli dava i nervi.
Non aveva nulla che fosse gaio lui; né il viso, né le espressioni, né la voce, né i gesti. Tuttalpiù sembrava uno scorbutico e altero falco cacciatore.
Ci fu un attimo di silenzio tra i due, che superarono il chiasso proveniente dall'enorme anfiteatro al loro fianco.
«Ulisse, che ne dici? Non è poi così male. Elegante, regale, intelli...» come al solito si era iniziato a perdere in inutili ciance.
«No» cercò di recidere la conversazione sul nascere «né Gaius, né Ulisse, né Temistocle, né Julius, né Panfilo...» la lista sarebbe potuta continuare, ma la risata di Marcus la interruppe. I bei denti appuntiti si sporsero dalle labbra e l'ilarità si espanse su tutto il viso: le guance bianche si piegavano all'insù, chiudendo -almeno per un attimo- quegli occhi rossi e vivaci. Quel vampiro lo faceva divertire come nessun altro, era così semplice e spiccio che lo faceva impazzire.
«Gaius ti sarebbe benissimo, per Polluce!» scherzò, iniziando a salire la piccola collinetta piena di gente. L'odore era pungente: i più poveri emanavano olezzi quasi vomitevoli, dalle bocche rovinate l'alito, che durante il chiacchiericcio era più che sprecato, puzzava. I più ricchi se ne stavano in disparte, con al seguito i proprio schiavi, uomini dalle pelli di mille colori, dalle lingue silenziose e dagli sguardi malinconici o rabbiosi.
Inserendosi nel secondo gruppo Caius e Marcus rincontrarono facce sconosciute, magari prescelti per la loro futura cena, magari semplici boriosi mercanti arricchiti, che pensavano che il semplice sfoggio di gioielli li innalzasse a un rango superiore.
Le donne con i loro colori sgargianti e i profumi fin troppo pesanti catturarono per un istante l'interesse di Caius, cercava un volto che non poteva di sicuro trovare, sotto quei veli trasparenti che coprivano i volti aggraziati.
Aspettarono annoiati finché non entrarono. Pagarono il loro quadrante a testa e superarono lo schiavo, mentre le riponeva nel piccolo forziere di legno mal tagliato.
L'enorme entrata li accolse presentandogli davanti un'enorme piscina. Aggirando la natatio studiarono i corpi nudi degli uomini che si erano fermati al suo interno: si rilassavano, trattavano, ridevano. Sembravano completamente estraniati dal caos che regnava per le vie di Roma, come se quell'acqua e quell'ambiente candido li avessero estrapolati dal contesto quotidiano.
Ogni tanto qualcuno raccoglieva dell'acqua, mettendo la mano a coppa, e se la lasciava scivolare sui capelli; i liberti, con le loro teste lucide e ben rasate, risaltavano tra la massa che rimaneva a mollo.
La sala risultava piuttosto buia, nonostante la chiarezza dell'acqua, il grigiume del cielo non riusciva a illuminarla a dovere.
Uscendo da questo primo enorme spazio percorsero altrettanto velocemente il parchetto, superando le biblioteche e gli spazi adibiti alla mens.
«Incredibile, vero?» Marcus, nonostante andassero lì una volta a settimana, ogni volta lo ripeteva, sottolineando, con profondo fastidio di Caius, quanto straordinarie fossero quelle terme, inaugurate da pochi anni.
«Sì, Marcus, incredibile» commentò l'altro, annoiato, entrando nello spogliatoio e consegnando con flemma calcolata la propria tunica e toga all'inserviente, mettendoci fin troppo a levarla. Marcus si spogliò con un gesto rapido, scompigliandosi i capelli e pagò il custode, superandolo. Come sempre andava in fondo allo spogliatoio, a osservare i marmi colorati che andavano a disegnare la forma di un tritone. Era affascinato dalla bravura degli artigiani, tanto quanto Caius ne ignorava le opere.
Si fasciò la vita con un telo di lino e ne pose uno simile a Marcus, questo lo prese senza staccare gli occhi da davanti a sé e lo indossò veloce.
Uscirono -Caius trascinò Marcus-, lasciando quella massa di uomini intenti a rivestirsi o spogliarsi.
«Sai stavo pensando...» iniziò Marcus, adocchiando le spalle nude di alcune donne, intente a intrattenere con colte discussioni uomini, che molto probabilmente non le stavano neanche a sentire. Caius capì dove voleva andare a parare e lo fulminò. Non voleva contatto, non voleva sfiorare i corpi di quelle donne, né vederli così nudi.
Probabilmente gli ultimi ricordi da mortale -con quella risata di donna garrula e quel pugnale dietro la schiena- lo avevano portato a una leggera forma di misoginia. Leggera. Proprio leggera.
Nonostante la fila fuori, le terme erano piuttosto vuote, così dentro al calidarium riuscirono a trovare una vasca completamente vuota nella quale infilarsi.
Quell'enorme basilica dalle enormi vetrate, colorata e sgargiante, con i suoi marmi, era invasa dalla leggera nebbiolina del vapore; impalpabile si insinuava nei polmoni degli umani, rendendoli improvvisamente caldi. Nei loro, al contrario, si sfrangeva contro pareti morte e gelide, raffreddandosi e rimanendo lì a marcire.
Alcune volte, senza rendersene conto, Marcus pensava a ciò e si chiedeva se la sua presenza -prolungata oltremodo- nel mondo fosse semplicemente una forzatura o qualcosa di necessario. Guardando le immagini degli eroi alle pareti si riprendeva e sogghignava: lui era necessario. Come un semidio, come una malattia. Lui era parte integrante di quel mondo d'oro e di luce, lui era la parte che marciva, che nascondeva la muffa. Lui era colui che distruggeva e che creava.
Guardò Caius, sicuramente non interessato a tali ragionamenti e sospirò. Scalzo si immerse nell'acqua, dove l'altro già giaceva immobile.
«Che pensi?» chiese, vedendolo fissare intensamente davanti a sé.
«Che tutto ciò finirà. I corpi marciranno, l'acqua si essiccherà, queste pietre si sgretoleranno e copriranno i cadaveri, che qualcuno calpesterà» si zittì, poi sorrise, come mai aveva fatto e si bagnò i capelli bianchi, calmo.
Marcus lo fissò interdetto e sbatté le palpebre. «E in che modo la cosa dovrebbe essere allegra?»
«Noi sopravviveremo» spiegò calmo, aprendo le labbra in un ghigno.
Dopo un attimo di silenzio i due scoppiarono a ridere, in sincronia. Compatendo con quel cinismo sadico i miseri mortali che li circondavano.
Eletti, si sentivano così.
Ma l'acqua non li riscaldava, il vapore non li avvolgeva, non sudavano, né avvertivano il bollore dei pavimenti, sotto i quali scorrevano i tubi. Destinati all'insensibilità, ignoravano quel particolare, credendo che fosse una benedizione.
Non si accorsero del giovane che silenzioso li aveva osservati attento. Incuriosito dalla loro pelle pallida e dai loro occhi vermigli, appena dopo la natatio aveva deciso di seguirli. Nudo come loro si avvicinò e il rumore degli zoccoli li fece voltare.
Entrambi lo fissarono attenti, incuriositi da quel ragazzo: era lurido, il volto sporco di fuliggine, i capelli lerci gli si attaccavano alla fronte, imperlata dal sudore, sul petto sembrava conservare un piccolo quadratino di pelle più chiara, come se fosse stata nascosta per anni alla luce del sole.
Sorrideva in un modo particolare: entusiasta, differente dalle altre persone. Come se quelle labbra piegate all'insù capissero veramente il perché della loro felicità.
Li fissò a sua volta e con un passo svelto, si avvicinò alla loro vasca.
«Posso?» domandò. Il tono era pacato e la voce bassa piacevole all'orecchio. Conservava una certa  regalità nei gesti fatti dalle mani sporche e incrostate di sporcizia.
Marcus lo studiò con occhio critico, centimetro per centimetro lo scandagliò, poi, aprendosi in un'espressione cordiale, gli fece cenno di sedersi con loro.
Caius non approvò la cosa, tanto che fissò con odio il nuovo arrivato, scansando la testa con stizza.
Questi immediatamente si immerse e con gesti rapidi si sciacquò il viso e il corpo.
Sembrava entusiasta del semplice contatto con l'acqua, si strofinava le braccia con lena decisa, e quando smise questa toletta quasi animale ritornò a fissarli.
Marcus lo aveva seguito per tutto il tempo, interessato; Caius, al contrario, sembrava schifato e si era allontanato lentamente da lui. Ora lo guardava con sprezzo, chiedendosi chi mai potesse essere quel rozzo uomo, dalle fattezze così asciutte e il viso scavato.
Notavano ora le guance magre e gli zigomi sporgenti; poteva apparire quasi sciatto, se non fosse stato per quegli occhi vispi, che guizzavano dall'uno all'altro, attenti.
«Chi siete?, se è lecito chiedere» chiese educato Marcus, sistemandosi meglio e poggiando un braccio sul bordo.
Il ragazzo spalancò gli occhi, ma non disse nulla, si schiarì un attimo la voce e rispose: «un mercante. Sono giunto a Ostia qualche giorno fa, provengo dall'Oriente.»
Caius lo guarda e subito capì il perché di quei modi tanto selvaggi, storse il naso e disse: «ce lo dovevamo aspettare, allora» ghignò, «e cosa vendete?»
La curiosità era finta ed era dettata più dai modi che ogni tanto gli ritornavano in mente, molto spesso sbiaditi dal tempo passato, privo di memoria.
Il giovane non sembrò esitare nel dare la risposta e disse, calmo: «schiavi... se sono così sporco è perché nel trattarli e nel contrattare, giù al mercato, la polvere mi ha assalito» scherzò, «non sapete quanto può durare una trattazione. Più sono ricchi, più sono tirchi!»
Rise e si passò una mano tra i capelli, riposandola poi su un ginocchio.
«Mi chiamo Aro» concluse, sorridendo ai due. Questi alzarono un sopracciglio e lo fissarono, interrogativi.
«Nome piuttosto poco comune» commentò ghignando Marcus, cercando nell'acqua i brevi fili umani che riconducevano il nuovo arrivato ad altri suoi simili.
L'ironia perfida nella voce non turbò molto Aro, che sorrise amabilmente e mormorò, quasi tra sé: «siete veramente resistente se riuscite a sopportare il calore del pavimento». Inchiodò il braccio che ancora era posato sulle maioliche, roventi per ogni altro mortale.
Il vampiro ritirò velocemente la mano in acqua, scottato più da quella annotazione che dall'idea di potersi bruciare.
Fissò il ragazzo con occhi nuovi, iniziando a notare che i fili intricati erano estremamente spessi, quasi tutti spinosi e ruvidi. Odiava molto, pensò tra sé.
«Sapete, corrono migliaia di tubi là sotto... il calore arriva così» sorrise. Sembrava come un muto che, costretto al troppo silenzio, ora avesse un vero e proprio bisogni di parlare; quasi come se ascoltare il suono delle sue stesse parole fosse un piacere tutto suo.
«Il bello è che non si vede niente; strano, vero?» sorrise, cercando negli occhi dei due complicità. Pareva nuovo ai rapporti, come se sfiorando le menti di quei corpi perfetti fosse un'esperienza tutta nuova.
Marcus si passò una mano sul petto, scompigliando la peluria leggera e nera. Alzò un sopracciglio, non nascondendo una certa curiosità.
Era vampiro da poco, più o meno una decina d'anni, e la maggior parte del tempo l'aveva passato fuori dalla civiltà, sperimentando la parte più bestiale di se stesso; ora che si ritrovava in mezzo agli uomini ne era attratto, come mai prima, nella sua vita terrena, lo era stato.
«Seriamente?» domandò, sporgendosi un poco in avanti.
Ad Aro la cosa parve particolare: sembrava Giove, che, una volta che Mercurio gli porgeva novella, si chinava, ignorando la sua posizione di superiore.
«Certo, come in un palcoscenico. Tutto ciò che è dietro noi non lo vediamo. La bellezza cela sempre qualcosa di orrendo, non lo sa?» rise, ignaro dell'effetto che le sue parole provocarono in entrambi.
Anche Caius si voltò e quel mercante non gli parve poi tanto sprovveduto.
«Qui intorno... è pieno di aria: calda, per la precisione. Per questo l'ho avvisata, prima» il tono si tinse di furbizia, ma continuò «sotto di noi ci sono tantissimi uomini che lavorano. Un'enorme fornace, fuliggine, tosse» rise, osservando la loro reazione.
Marcus, strabiliato, aveva ormai messo a lavorare la sua mente arguta, immaginando tutto, creando fantasiose idee nella sua testa, pensando a questi schiavi che, come laboriose formiche, creavano tutto quello splendore. Invisibili agli occhi di tutti, ma non ai suoi, grazie a questo Aro.
Caius, stupito in un primo momento, tornò alla sua apatia, riuscendo solo a dire, acido: «e lei, come lo fa a sapere?»
La domanda lo spiazzò un istante, nel quale si guardò intorno a disagio. Si riprese velocemente e con tranquillità rispose: «molto spesso mi incuriosiscono i lavori che vengono assegnati agli schiavi che vendo, così chiedo ai nuovi proprietari di farmeli vedere all'opera... sono eccentrico, lo so» scherzò e si rilassò nell'acqua, che iniziava a diventare tiepida.
Nelle due vasche accanto i clienti si iniziarono a lamentare; lagnandosi della temperatura, che si stava raffreddando, alcuni gridavano a gran voce.
Marcus avvertì un cambiamento nel cuore di Aro: batteva più velocemente e una goccia di sudore scese giù per la fronte, sicuramente non dovuta al caldo, dato che ormai la sala era diventata quasi gelida e la nebbiolina prima presente si era tutta condensata sui muri.
«Cosa...?» iniziò Caius, avvertendo finalmente il cambiamento. Si girò, confuso, e vide la figura di un uomo massiccio camminare con passi pesanti verso di loro.
Gli occhi piccoli, infossati nella testa lucida di sudore, erano iniettati di sangue e sembravano sputare fuoco; si guardavano intorno con rabbia e si fermarono unicamente quando videro il ragazzo.
«TU!» gridò e come un folle iniziò a correre verso Aro. Questo, agile come una volpe, era già uscito dall'acqua ed era diretto all'uscita.
Marcus non riuscì a capire subito cosa stesse succedendo, guardò il compagno in cerca di qualche risposta, ma anche Caius non aveva la minima idea del perché un mercante dovesse essere rincorso da uno che sembrava uno schiavo. Anzi, lo era, come suggeriva la targhetta di metallo che penzolava dal collo.
«Che l'Ade ti risucchi, piccolo bastardo! Figlio di cagna!» le mani tozze andavano a stringere l'aria, nell'intento di catturare la figura rapida e veloce del ragazzo. Questi rideva e scansava, correndo per la sala, tutti i bagnanti, che, a causa della temperatura troppo fredda, avevano deciso di uscire dalle vasche.
«Su, Claudius! Possibile che ti infervori per così poco?» cercava di scusarsi l'altro, ma l'ironia nelle parole non faceva che aizzare ancor di più l'uomo.
«Filio de puta! Vieni qui! Che rimpiangerai di non essere stato condannato al circo!»
Si avvertiva il rumore degli zoccoli che, urtati dai piedi di Aro, finivano delle vasche. Tutta la sala rideva a quello spettacolo, degno di una palliata di alto livello.
Un servo inseguiva un cliente delle terme? Quale storia era mai quella?
«Se quello è un mercante, io posso tranquillamente diventare una vestale» commentò acido Caius, uscendo a sua volta dalla vasca -ormai gelida- e arrotolandosi il telo sul bacino.
Marcus lo seguì, ma la sua attenzione era riservata alle espressioni del ragazzo, completamente inglobato dalle sue azioni.
In un continuo battibecco, fatto di insulti e di risposte scherzose, quei due si rincorrevano, provocando l'ilarità di tutto il calidarium.
Adocchiando l'uscita, Aro provò a fermarsi, ma il pavimento era sdrucciolevole e in un attimo si ritrovò con la schiena a terra e il respiro mozzato.
Spalancò i grandi occhi scuri, in parte coperti dai capelli bagnati e provò a inspirare. Niente. Divenne paonazzo e più volte tentò di respirare.
L'uomo, sudato e furente, lo riprese per una spalla mettendolo in piedi e dandogli un pugno in testa.
Aro accusò il colpo, ma per lo meno riprese un colorito normale, abbandonando il violaceo del soffocamento. Tossicchiò e tentò nuovamente di scappare dalle mani del servo.
Ci fu un applauso dei presenti, divertiti da quel tira e molla, che sembrava quasi aver fatto scordar loro la noia dell'acqua non calda.
«Ti ho preso,  maledetto! Ah, questa volta hai trapassato il limite!» tuonò, colpendolo nuovamente. Aro strinse i denti e, di nuovo, rimase zitto.
Marcus allarmato si avvicinò. Non riusciva a capire il motivo di tanto trambusto, in che modo quel ragazzo tanto ingegnoso avesse potuto nuocere a quel misero schiavo.
«Si può sapere cosa vi ha fatto? Mi auguro che per lo meno abbia ucciso vostra madre, per aver sollevato tutto questo disordine!» tuonò.
Gli occhi di Aro guizzarono un attimo verso di lui, poi si riabbassarono.
Lo schiavo chinò la testa, umile, e rispose prontamente: «questo pezzente ha creato un pandemonio, giù alle fornaci. Ha istigato i lavoranti alla rivolta! Tutte le terme protestano! L'acqua calda è diventata fredda, e qui... bhé, vi sarete...»
Marcus guardò immediatamente il ragazzo, sconvolto. Un servo. Un servo l'aveva gabbato.
Aveva mentito a tutti loro e ci era riuscito. Li aveva ingannati con abilità straordinaria, sapendosi calare nella parte, completamente inventata.
Quell'Ulisse vestito di cenci possedeva ingegno e furbizia straordinari.
La folla, anche se poca, si gelò; iniziarono a inveire contro di lui, furenti; lo insultarono e minacciarono.
«Cane» ringhiò uno, sputandogli contro. «Maledetto». «Disgraziato». «Magiapane a tradimento».
Aro rimase fermo, tra sé sembrava mormorare maledizioni o preghiere.
«Ti aspetta la verga e la fame, aizzatore dei miei calzari» ruggì l'uomo tarchiato, strattonandolo aveva iniziato a trascinarlo di fuori, riempendolo di calci.
Il corpo magro sembrava non piegarsi ai colpi, anche se i muscoli tesi suggerivano dolore.
Caius si era già voltato, pronto ad andarsene, irritato da una tale sceneggiata.
Fu trattenuto da Marcus, per un braccio; deciso, continuava a fissare il ragazzo che veniva portato via.
«Caius, lo voglio» disse tra sé.
«Caius?» era piuttosto interdetto, non l'aveva mai chiamato sovrappensiero, solitamente impiegava anni prima di decidere un nome che potesse essere adatto.
Lo ripeté più volte in testa e si accorse che la c forte gli piaceva, molto. Di nuovo, in mente, lo ripeté e gli piacque.
«Lo voglio» ribadì, ignorando lo stupore del compagno.
Scattò in avanti, con passo sicuro e fermò il servo, che sembrava più un padrone.
La mano gelida, posata sulla spalla, lo fece trasalire; questi si voltò e fissò attentamente quel patrizio che lo aveva fermato.
«Signore?» la voce era incerta, modulata dall'aspetto innaturale di Marcus.
«Quanto costa?» rispose subito, guardando con occhi più che interessati Aro. Questo alzò la testa e lo fissò stupito.
«Non è in vendita...» balbettò, allentando la presa sul suo inferiore.
«Tutto si compra» commentò acido e spazientito Marcus «hanno comprato perfino te» aggiunse, con cinica cattiveria.
L'uomo divenne rosso di vergogna e ripeté, tra i denti: «non è in vendita...»
«Ti offro quindici aurei e un servo in cambio» secco, Marcus voleva chiudere la trattativa.
Gli spettatori, che si erano trastullati prima con l'inseguimento e poi con gli insulti, si erano quasi tutti allontanati, nonostante in quel momento l'aria del calidarium fosse ripresa a essere bollente e soffocante.
Lo stesso Caius, scocciato, si era ritirato nello spogliatoio, intrattenendosi con il proprio nuovo nome.
Il servo sbiancò: erano effettivamente molti, moltissimi soldi.
«Ti tolgo un peso, no? Dovresti pagarmi tu» continuò acido, il braccio già allungato verso Aro, che lo fissava strabiliato.
Nella sua mente semplice aveva convertito quei soldi in qualcosa di concreto: la possibilità di pagarsi la libertà.
«Chi mi assicura che me li darai?» gli occhi rapaci del servo si assottigliarono.
La domanda irritò Marcus, che trattenne un ruggito animale; lo fulminò e disse, secco: «devo ricordarti che tu sei il servo?»
«Anche questo qui» scrollò un po' Aro «prima era un mercante. Una volta nudi gli uomini sono tutti uguali» ghignò e si asciugò il sudore da viso con una poderosa passata di mano: iniziava a rifare caldo.
«Domani recati al foro e chiedi di Marcus Aurelius Cordus. Se entro il mezzogiorno non mi trovi denunciami. Mi sembra un buon compromesso. Non hai nulla da perdere» cupo lo fissò, intensamente.
Lo schiavo titubò un attimo, poi, con uno scatto secco spinse Aro in avanti, che si aggrappò  a Marcus per non cadere a terra. Questi gli cinse una spalla e gli sorrise, furbo, tornando immediatamente a guardare torvo il servo.
«Se lo tenga, e lo punisca come si deve: le bastonate non bastano mai con tipi del genere» si voltò, un po' curvo e iniziò ad andarsene, salvo lanciare un'ultima occhiata all'uomo dall'aspetto così strano.
«Quindi... domani...» iniziò, per ricordargli quell'appuntamento.
Marcus urlò un sì irritato e si girò, conducendo con sé Aro verso gli spogliatoi.
Superando le vasche e l'acqua sui pavimenti sorrise, strinse ancora di più la presa sulla spalla del giovane, che non aveva parole.
Caius era già pronto e quando lo vide rientrare con il giovane non si stupì: sapendo come era fatto ormai era abituato a vederlo ottenere ciò che voleva, sempre.
«Ottima giornata» ridacchiò, avvicinandosi a lui; Caius lo squadrò e poi fece lo stesso del giovane.
«questo ragazzo ha potenzialità da vendere» gli diede una pacca leggera, amichevole.
Aro sorrise, più sicuro di sé e annuì: «la ringrazio»
Il più anziano li ignorò, quando questi iniziarono a parlare, una volta usciti, fece finta di esser solo.
Quella giornata non era poi stata così malvagia: grazie a un po' d'acqua aveva trovato un nome.
Mica cosa da poco.




Angolo autrice:
sì, amo questa storia.
Mi piace molto, mi è piaciuta scriverla e immaginarla. :3  E poi... è arrivata prima al contest Bathroom Love indetto dal Collection of Starlight
Sono soddisfatta, proprio tanto, tanto :3
Spero che sia piaciuta anche a voi, qui di seguito vi lascio i giudizi di shari-chan.
Logicamente ho corretto gli errori in questa versione che rendo pubblica.

1. Lessico; grammatica: a) correttezza verbale - b) punteggiatura: 7.6
Sono presenti diverse sviste o errori di battitura: il grigiume del cielo si non riusciva a illuminarla a dovere; telo lino, ci va un “di lino”; pallatia al posto di palliata.
Intrattenere con colte discussioni uomini, forse sarebbe stato meglio inserire l’inciso “con colte discussioni” tra due virgole.
Si trova una ripetizione del termine enorme.
Nel seguente periodo:Sembrava come un muto che, costretto al troppo silenzio, ora aveva un vero e proprio bisogni di parlare; quasi come se ascoltare il suono delle sue stesse parole fosse un piacere tutto suo., sarebbe stato preferibile un “avesse” al posto del qui presente “aveva”.

2. Trama e originalità: 8
La costruzione della storia è molto buona: sia l’originalità che la caratterizzazione dei tre Volturi sono notevoliÈ dubbio quanto la figura di Aro sia fedele a quella che poi presenta la Meyer, ma sicuramente l’immagine che viene proposta al lettore è interessante e colma di particolari, che ben spiegano alcuni atteggiamenti dei vampiri della Meyer. È uno studio dei personaggi interessante e costruttivo; il tutto coronato da un originale sfondo storico, molto ben gestito.
Appunto sulle note (ininfluente ai fini della valutazione finale): fortuna in latino vuol dire proprio, una sorte generica né buona né cattiva, il fato e non anche.

3. Rispetto e utilizzo degli obblighi: 7-
Con incidente s’intende: avvenimento inatteso che interrompe il corso regolare di un’azione; per lo più avvenimento non lieto, disgrazia (dalla Treccani). In questo caso l’incidente è positivo per tutti, non è poi tanto inatteso e/o improvviso. Ciò, di conseguenza, penalizza un po’ la storia.

Totale: 22.45/30

   
 
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