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Autore: Gengis    28/11/2003    2 recensioni
I ricordi di una ragazza. La sua storia fra una famiglia di genitori autoritari, ragazzi da due faccie e la sua voglia di libertà
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non è facile descrivermi Scritto da Gengis

 

Non è facile descrivermi.

Ora ho l’età che ho ma non fu cosi quando mi cacciarono di casa e mi misero in mezzo ad una strada. Già, la mia famiglia. Mio padre, povero lui, un geloso nato. Mia madre, una poveretta che neanche immagina che cosa vuol dire “vita”. Mio fratello che farà la mia stessa fine.

“Tesoro, mi potresti prendere un tovagliolo?” “No, ora ho da fare!”. E cosi litigavamo, giorno e notte senza più un motivo. Non sono brava a raccontare, perché se ne dicono sempre tante tra genitori e figli, la cosiddetta “ famiglia” per intenderci, ma ugualmente tenterò di narrare la mia storia di disperazione e schiavitù in un gruppo che ormai è la mia “famiglia”…

“Caro diario, oggi a scuola è arrivato un nuovo ragazzo! È stupendo! Hai presente quei ragazzi dal corpo perfetto, carattere super? Lui è cosi! Mi piace proprio tanto, ma non credo che tra noi possa mai nascere qualcosa… Lui ha tre anni più di me, e sai come papà e mamma prendono queste genere di situazioni. Che cosa posso fare? Dammi un consiglio…”

Com’ero ingenua all’epoca. M’innamoravo di chiunque mi piacesse. Ero una ragazza viziata, un po’ snob ma anche timida ed indifferente. Volevo e pretendevo tutto in un momento, eppure sapevo che i miei genitori non navigavano in buone acque. Riuscivano a mala pena ad arrivare alla fine del mese. Li sentivo parlare, li sentivo dialogare, li sentivo litigare. “Non è possibile, abbiamo dei figli che non fanno altro che chiedere! Questa è tutta colpa tua! Imitano te, donna, a spendere! Oggi i vestiti, domani il telefonino. Tanto le bollette e le fatture le paga papà, che purtroppo non riesce quasi neanche a comprare da mangiare. Quattro bocche da sfamare con 450 euro al mese. E loro pure pretendono…”. Era un continuo rinfacciarsi d’accuse, minacce e qualche volta si passava anche alle mani. Mio padre era burbero, severo e arrogante, innanzitutto possessivo. Per lui moglie e figli non erano altro che cose materiali da gettare al loro primo “malfunzionamento”. Non lo sopportavo e quando chiamava mia madre “donna” lo odiavo.

Ho sempre vissuto in quest’ambiente di sottomissione, schiavitù direi io. Il signor …... (non voglio neanche ricordare il nome) comandava e guai a contrariarlo, altrimenti erano violenze e punizioni. Mia madre in tutto questo non poteva fare nulla. Sentivo che voleva lasciare papà ma non n’aveva il coraggio, anche perché non aveva né un posto di lavoro né poi una sistemazione in cui rifugiarsi. Famiglia. Il mio piccolo fratello inoltre aveva la schiena piena di lividi, causa papà. A scuola gli insegnanti lo definivano un asociale, non parlava mai, era estraneo a quello che avveniva in classe. Sfido io! Con un padre che non vuole sentire ragioni, che non concede il lusso di “dialogare” è normale che non parli neanche a scuola.

Il tempo cosi passava. “Caro diario, domani tenterò di chiedere qualcosa al ragazzo che mi piace, speriamo che non faccia brutte figure!!”.

Il giorno dopo, a scuola, mi recai con una scusa vicino a lui. Lo chiamai, si girò… Dio, quanto era bello! “Cosa c’è?” mi domandò giustamente. “Volevo chiederti se oggi pomeriggio hai da fare. Volevo che tu mi aiutassi in geografia, sai non è che ci ho capito molto”. “Va bene, allora ci vediamo in biblioteca?” “D’accordo! Sei veramente un amico, grazie tante!” “Figurati”.

Ricordo ancora quel pomeriggio passato assieme. Lui mi parlava di fiumi, laghi e monti ma io non lo ascoltavo. Vedevo solo quei capelli dorati e splendenti, il suo volto d’angelo, il suo corpo perfetto e non trascurato. Lo sentivo, l’amavo follemente. Per un attimo dimenticai le mie burrascose origini e mi lasciai andare fra le braccia di Cupido. Finché ad un certo mi fece una domanda di cui mi vergognavo a rispondere: “Come va a casa?”. Con una certa falsità gli risposi “B-Bene”. Ma ormai la frittata era fatta. I miei occhi da quel momento divennero lucidi, non riuscivo più a trattenere le lacrime. Ed allora lui chiese: “Ho detto qualcosa che non va?”. A quel punto crollai. Gli raccontai dei litigi fra i miei, delle violenze, delle superiorità che mio padre andava a crearsi. Lui ascoltava, capiva ed annuiva. Cercava di consolarmi, di darmi consigli, di aiutarmi. Mi disse di ribellarmi, di non soffrire più, di confidarmi con qualcuno, di andare via se necessario. In effetti, avevo pensato anch’io di andarmene se le cose in casa sarebbero continuate.

Seguii parzialmente i sui consigli. Cominciavo ad andare controcorrente, negando in principio piccole cose tipo non apparecchiare la tavola, non rifare il letto, non fare più la spesa. Mia madre forse capiva le ragioni del mio comportamento ma taceva, come sempre d’altronde. Mio padre invece andava sul pesante e mi picchiava. Era stato contrariato nei suoi insegnamenti e nella sua disciplina, avevo commesso qualche “sgherro” alla regola. Ma me ne sentivo soddisfatta. Per una volta non subivo ma REAGIVO! Non avvertivo più il dolore delle sue percosse per quanto era contenta. Ogni giorno il mio ragazzo mi domandava di come vivevo. Gli rispondevo che anche se ancora picchiata e punita mi sentivo il cuore pieno di felicità. Mi liberavo di un peso che neanche chi l’avesse provato, n’avrebbe compreso il significato. Mi chiese inoltre se volevo essere ancora percossa. Naturalmente gli dissi di no. Mi fece dunque una strana proposta. Il giorno dopo lui ed un suo amico si sarebbero diretti in una città abbastanza lontana dalla nostra. Mi pose quindi un quesito. Se volevo, potevo andare con loro, scappare, fuggire, raggiungere una libertà quanto più desiderata. Io, per il mio amore che provavo nei suoi confronti, gli risposi subito si.

Il giorno successivo, dissi a miei che sarei uscita per fare una ricerca scolastica, ma in realtà sapevo che non li avrei visti mai più. Salii in auto, con lui ed il suo amico. Viaggiammo per circa un’ora finché ad un certo punto scendemmo per una sosta. Lì il mio amore mi chiese di venire ove lui stesso si trovava. Era un posto buio. Poi un colpo, la testa mi faceva male, sentivo che avevo qualcosa sugli occhi. Avvertivo che qualcuno mi stava legando, fino a quando per il dolore svenni.

Al mio risveglio mi ritrovai nuda ed imbavagliata, con alcune poverette nella mia stessa condizione. Gridai per lo sconforto, anche le altre lo fecero. Dopo alcuni istanti entrò il mio “ragazzo” accompagnato da altri due. Slegarono tutte, inclusa me. “Benvenute alla vostra nuova casa. Da oggi in poi toglierete qualche piacere agli uomini stanchi di vivere la solita vita…”.

Ero diventata una prostituta, altro non si può definirmi. Soddisfacevo le voglie di tutti quelli a cui piacevo. Rimpiangevo ora la mia vera identità. Non ero più la ragazzina viziata e sensibile, ma una di quelle che la sera “batteva” la strada alla ricerca di clienti. Mio padre rappresentava schiavitù, ma questo era molto peggio. Altro che percosse, qui ero violentata in tutti i sensi. E ripensavo ad una bellissima canzone che mia nonna prima di morire cantava: Ho avuto il tempo della mia vita. Forse stavo per morire anch’io? La cantavo come lei, spiravo anch’io. Il ragazzo dei miei sogni era un orco da cui dovevo proteggermi. Valori come libertà, famiglia ed amore venivano ora spazzati via in un batter d’occhio. Libertà di poter fare qualcosa, famiglia uguale sentimenti, amore vero e sincero. Libertà. Parola quanto più desiderata e purtroppo ora non più raggiungibile.

Ma il colpo finale mi venne dato quando ci comunicarono che il giorno dopo saremmo dovute partire per l’estero, poiché eravamo state vendute ad un altro gruppo del “giro”. Allora veramente mi sentii male dentro. Essere prostituta, essere schiava ed ora essere merce. Non ero più una persona ma un oggetto da sfruttare e vendere all’infinito in un ciclo che nessuno sembrava più riuscire a spezzare.

Avvenne in seguito lo “scambio”. Ma durante l’atto, la polizia bloccò e arrestò entrambi i gruppi. Ci condussero al commissariato ove ognuna di noi raccontava la propria storia, storie di ragazze giunte qui in cerca di lavoro e diventate quel che sono ora, storie di ragazze vendute dai loro stessi genitori per denaro e storie d’amori fasulli ed ingannevoli (come la mia del resto). M’identificarono. Rintracciarono i miei genitori, che subito arrivarono. Mia madre piangendo, mi abbracciava e mi dava calore. Mio padre invece, neanche in quell’occasione sembrò volermi un briciolo di bene. Mi diceva: “Sei una sgualdrina, ecco che sei, vergogna della famiglia”. Quello era un padre, capace solo di dare ordini ed offendere i propri cari. Per rabbia e per dolore mi alzai e scappai dal commissariato, presi un treno e fuggii per sempre.

Anni dopo mi ripresentai davanti casa. Suonai il campanello, mi aprì la porta una vecchia signora. Mi disse: “Le serve qualcosa?”. Non risposi, dissi solo che avevo sbagliato indirizzo, e me andai. Ma la vecchia signora mi richiamò invitandomi ad entrare. Mi disse che avevo il viso uguale a quello di quando era più giovane. Gli dissi allora: “Mamma…”. Lei pianse per la gioia di aver ritrovato la figlia scomparsa. Mi chiese i motivi della mia fuga quel giorno dal commissariato. Gli rivelai finalmente del mio odio verso papà, delle tensioni che non riuscivo più a sopportare. Per la prima volta la mia mamma si esprimeva con naturalezza, svelandomi la verità che avevo sempre rifiutato. Mio padre picchiava me e mio fratello non tanto per le nostre disobbedienze ma bensì perché conosceva i ragazzi che ci circondavano. Anche sua madre, mia nonna, era diventata una prostituta, per gli stessi motivi per cui lo sono diventata io. Poi la notizia che mi sconvolse più di tutto. Mio padre era morto, cercandomi fino in capo al mondo. Spendeva i suoi miseri 450 euro al mese quasi interamente pagando viaggi, ispettori privati, trasmissioni televisive affinché trovassero anche una minima traccia di me. Inoltre mia madre disse che piangeva, sentiva la mia mancanza, si comportò in quel modo al commissariato perché era accecato dalla rabbia. D’improvviso ero divenuto vuoto, dopo che anche mio fratello, diventato maggiorenne, tagliò i ponti con lui. Mio padre dunque mi voleva BENE, anche se gli era difficile dimostrarlo.

Ora mia madre vive sola, io anche e mio fratello pure. Nessuno di noi ha più quel rapporto che c’era prima, ma se questo esisteva e perdurava era altresì solo grazie alla presenza di papà.

In questo momento che racconto la mia storia a mia figlia, ripenso a quelle parole dette durante la prigionia: Ho avuto il tempo della mia vita.

  
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