Stare con un inglese ha dei lati molto, molto
impegnativi. Innanzitutto, in quanto francese, riuscire a sopportare la sua
cucina e dover addirittura fingere
che sia anche solo vagamente gradevole, quando l’unico utilizzo possibile del
suo cibo sarebbe quello di scrostare il water, è un’offesa gravissima al suo
spirito, ma pour l’amour
si fa questo ed altro. La timidezza e la vergogna che a malapena gli
concedono di camminare fianco a fianco, senza neppure tenersi per mano o
baciarsi in pubblico; per un francese è una delle dodici fatiche di Ercole –
ma, ancora, per amore tutto passa in
secondo piano, anche doversi trattenere quando per strada il suo uomo assume un’espressione
corrucciata ed arrabbiata, da mangiare a baci e morsi. Per non parlare del suo
carattere isterico, rancoroso, rabbioso;
è uno di quelli che si lega le cose al dito, ogni piccolo particolare e
ogni minuscolo sgherro, così tanto da avere le mani ricoperte di fili dal
colore acido – almeno non è scostante, si mantiene sempre uguale a se stesso, e
dopo tutti quegli anni avere a che fare con lui è meno problematico; rimane
comunque una creatura estremamente elettrica, una specie di anguilla che,
toccata quando non è dell’umore adatto, si agita e non si ferma fino a quando
non riacquista tranquillità e torna un normale e grazioso pesciolino d’acqua
dolce; peccato che sia così difficile trovarlo tranquillo.
Uno di questi rari momenti si presenta quando dorme,
quando il Sole è tiepido e colora il cielo di un arancione morbido, sfumato nel
rosa: Francis è abituato a svegliarsi presto, soprattutto da quando ha scoperto
quanto sia bello il viso del suo stupido inglese, nel sonno.
Si china su di lui, gli bacia le gote; è estate e sono
caldissime, lievemente salate. Ha un modo quasi educato di dormire: anche se Francis ha lasciato il letto libero,
non lo ha occupato tutto, è rimasto composto nella sua posizione, con la pancia
all’aria, scoperta fino all’ombelico. Gli accarezza le labbra e gli zigomi, si
trattiene fortemente dal svegliarlo e dare sfogo ai suoi più bassi e naturali
istinti; non ha idea di come possa diventare, se svegliato all’improvviso; e vuole godersi la sua bellezza così naturale
ed indifesa, offerta ai suoi occhi.
Pronuncia il suo nome sulla punta del naso, gli mette i
capelli dietro le orecchie, gli dichiara tutto il suo amore (e non perde l’occasione
di confessargli le dosi massicce di bicarbonato che deve ingoiare di nascosto
ogni volta che si intestardisce e vuole assolutamente
preparare da mangiare, ricordandogli che il mal di pancia che hanno ogni volta
che cenano da Alfred è, in fondo, tutta colpa sua che non sa educare i
bambini). Arthur mugola, gira il viso, gli offre il collo nudo e Francis non
riesce a non baciarlo, succhiare leggermente la pelle. Vede le gote del suo
inglese prendere progressivamente colore, lo vede girarsi di nuovo ed
abbracciargli il collo. Si sorprende piacevolmente, sorride e le labbra passano
dal collo all’orecchio.
“Francis…”
Mugola il suo nome e lo sorprende, perché è rarissimo
sentirlo pronunciare dalla sua bocca, abituata invece a chiamarlo coi
soprannomi peggiori che riesce a pensare.
“Ti amo…”
Francis quasi ride, perché questo significa che è
veramente ancora immerso in un mondo onirico acquoso, lento, morbido. Se fosse
in sé, non lo direbbe neppure sotto tortura, neppure se lo minacciasse di morte
– si porterebbe il suo segreto nella tomba, come un agente segreto.
“Moi aussi,
mon trésor.”, gli risponde
con tono soffice, ridacchiando leggermente, accarezzandolo con le parole come
farebbe coi petali di una rosa, gli lascia un ultimo bacio sulle labbra e si
tira su; trova che sia il giorno adatto per una bella colazione a letto. Francese,
però.