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Autore: Stray cat Eyes     17/07/2010    5 recensioni
Sirius Black, il barista, il quadro e problematiche sentimentali.
[Partecipante all'iniziativa 2010: a year together, del forum Collection of Starlight.]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note.
Questa cosa è What if...?, ma proprio what-if, ma così what-if che una più what-if di così non l’ho mai scritta. Per certi versi, potrei addirittura etichettarla come AU, ma non me la sento davvero.
In ogni caso, mettiamola così: Sirius non è mai morto, Remus non si è mai sposato e non ha mai avuto nessun figlio né ha fatto brutta fine proprio sul più bello, e per qualche strano motivo qui c’è anche Aberforth Dumbledore/Silente. Aberforth. Perché, fra tanti altri, nella lista dei personaggi il suo nome non c’è? Gnah. *tears*

Mentre io mi consumo in lacrime amare, precisiamo che:
- questa fanfiction partecipa all’iniziativa 2010: a year together sul forum Collection of Starlight;
- è un’eternità che non scrivo su Harry Potter, quindi c’ho pure perso la mano (ammesso che io l’abbia mai avuta);
- il titolo è evidentemente molto random;
- non so se nel mondo magico esistano psicologi o meno;
- ho accennato al “nuovo millennio”, e lo so che Harry Potter è ambientato (salvo le ultime righe) nel vecchio, ma mi sono presa questa piccola licenza. E poi, nel millenovecentonovantasette eravamo vicini al duemila, no? *-*

Comunque sia, buona lettura. ^^













[Gongolando, giù al bar]

#354. Lo psicologo dice che...




Il bancone del bar era sudicio e un po’ incrostato, la luce era fioca e il locale praticamente vuoto.

“...ato, ma mi stai ascoltando? Ti sarei grato se mi ascoltassi.”

C’era afa, un caldo reso ancor più opprimente dal temporale che oscurava la luce accecante degli ultimi giorni di luglio. Non fosse stato che per la calura, con quel grigio cupo avrebbe creduto che fosse novembre.

“Ti sarei grato se mi ascoltassi.”
“Io ti sarei grato se evitassi di ripeterti, e allora tu ne saresti grato a me, perché io eviterei di tirarti un boccale sui denti.”

Sirius scosse il capo, apparentemente deluso dalla riservatezza nonché scarsa propensione al dialogo dell’interlocutore, ma nient’affatto intimidito da quell’aria di acidità e solitaria vecchiaia che Aberforth emanava.
Aveva letto che il barista è un po’ come lo psicologo del nuovo millennio - letto su giornali babbani, per essere precisi, e a onor del vero lui, uno psicologo, non l’aveva mai neppure visto da vicino. Però aveva una vaga idea di cosa fosse, e per cause sconosciute gli era venuta voglia di parlare con qualcuno; perciò, impacchettati per bene i problemi e le pare mentali sul groppone, aveva pensato di fare un salto al bar.

“Come sei simpatico, amico mio.” Commentò, con la punta della lingua fra i denti e lo sguardo che, tanti anni prima, l’aveva identificato come malandrino.
In realtà, non s’era aspettato granché dal burbero barista del Testa di Porco. Sospettava che lui stesso avesse i suoi problemi, magari con quel bel fratello che si ritrovava - e Sirius sapeva cosa significasse avere problemi con un fratello, soprattutto se il suddetto fratello è già morto e le questioni in sospeso resteranno sospese nell’aria all’infinito, e le incomprensioni non le comprenderà mai nessuno.
In ogni caso, erano già un paio d’ore che se ne stava lì, ma il barista seguitava a far finta di nulla.

“Starei parlando con te, comunque.”
“Sei sicuro di stare parlando con me?” Gli chiese quello, d’un tratto, con l’aria seccata. Sembrava rifiutarsi di accettare la sua mera presenza nel locale, e quel tono non era esattamente quanto di più amichevole Sirius avesse mai ascoltato. “Sei sicuro di essere qui?”
“Ora come ora, preferirei non esserci.” Gli rispose lui, poggiando con una certa, sinuosa eleganza il gomito sul banco.
“Certi desideri li si esaudisce con poco.” Ammiccò, sorprendentemente, Aberforth - e un improvviso quanto intenso legame sembrava essersi instaurato fra i suoi occhi e la porta del bar.
Ma Sirius lo ignorò, deliberatamente e spudoratamente, cogliendo invece la palla al balzo per guidare il discorso verso altri lidi.
“Ecco, appunto, desideri. Come diavolo si fa a capire quali siano i desideri di una persona? Cosa questa persona vuole da te?” Esordì dunque, con passione.
In risposta, Aberforth gli offrì un sorriso incredibilmente finto e a tratti arrugginito, piantando i palmi sul bancone dall’aspetto stantio e sporgendosi appena verso di lui.
“Sono certo che capisci cosa voglio da te in questo momento.”
Il sorriso si richiuse come una lampo, risucchiato da labbra arricciate e barba incolta, per poi perdersi in uno sbuffo annoiato, giusto sulla faccia di Sirius.
Intanto, il quadro alle spalle del barman scuoteva piano la testa, lasciando ciondolare il dito indice, con le labbra protese e una lieve aria di rimprovero.
Aberforth tornò a strofinare uno dei tanti bicchieri, sporcandolo di più.





“... però, voglio dire, perché ti rifiuti di ascoltarmi o anche solo di rivolgermi la parola? Dico, hai mai pensato che creare un nuovo tipo di rapporto con i tuoi clienti - e dare una bella pulita a questo posto, soprattutto - potrebbe darti una spinta verso l’alto con l’attività? Certo, la tua clientela attuale non è proprio il massimo e magari farci due chiacchiere non sarà facile, ma perché non provarci? Ci guadagneresti un sacco di più, e secondo me sarebbe-”
“Insomma, qual è il tuo problema?!” Sbottò il barista, evidentemente sull’orlo di un esaurimento nervoso, e la ragazzina del ritratto tornò a rimproverarlo con lo sguardo.
Sirius, invece, gongolò.
“Lo sai? Speravo proprio che me lo chiedessi.” Sorrise, in un fortuito incontro fra il giovane avvenente che era stato e l’uomo affascinante che stava cercando di recuperare, nei meandri della mente, da un paio d’anni a quella parte.
Aberforth emise una sorta di grugnito, tentando poi di trucidarlo con la forza del pensiero, ma senza risultato.





“... Più di tutto, credo che lui non sia soddisfatto – nah, contento di me come sono adesso. Io mi sto sforzando, davvero, ma penso che resti qualcosa tra di noi. Qualcosa come ostacolo, intendo. È come se lui si tenesse a distanza, come se non riuscissimo a ritrovarci veramente. Eppure, ora che è tutto finito, definitivamente, pensavo che avremmo potuto trovare il tempo che negli ultimi anni non c’è sta-”
“Sai cosa penso?” Se ne uscì l’altro, senza preavviso, tuonando più del cielo fuori della porta.
“Mah, io penso che tu pensi che ci godi, ad interrompermi...” Suggerì Sirius.
“Penso che sia tu, quello col problema. Sei tu che non t’accontenti di te stesso e di come sei e di quello che hai, e scarichi questo bel peso sul tuo compare con una scusa. Sei tu che ti tieni a distanza e lasci il disturbo a lui. Ma è comodo, così, no?”
Black boccheggiò per alcuni istanti, salvo poi rinsavire e posare il mento sull’altra mano, lasciando la destra libera di grattare la superficie decisamente sporca del banco.
“Non mi piaci, come psicologo.” Sentenziò.
“Chi ha mai detto che lo sono?!”
Dall’alto della sua cornice, Ariana sorrise comprensiva - come una piccola, ingenua madre.





“Lui... Non mi cerca più. Non mi vuole più, te lo dico io.”
Il tonfo del bicchiere sul legno del bancone si fece sentire più del temporale che bussava con veemenza alle gracili e sozze finestre del bar, e Sirius temette che sarebbe andato in frantumi.
“Scommetti che tra meno di mezz’ora sarà qui?” Lo sfidò il barista, con il tono più seccato del suo repertorio.
“E come fai a saperlo?” Protestò lui. “Neanche lo conosci!”
“Conosco la gente senza cervello come te, però.” E qui gli lanciò un’occhiata che parve disgustata. O forse solo un po’ amareggiata, non l’avrebbe mai saputo. “E se questo qui ti sopporta da, tipo, vent’anni, allora tra meno di mezz’ora piomberà qui e sarà anche preoccupato.”
Sirius non concordò, irritato da quella sua saccenza.
“Che non mi piaci te l’ho già detto?”
“Scommetti oppure no?” Insistette Aberforth.
Lui si prese il suo tempo, prima di accettare.
“Cosa vuoi scommettere?” Chiese, sospettoso. L’altro, da parte sua, si concesse un breve sorriso - per niente innocuo, a dire il vero.

E dettò le sue condizioni.






Sirius!

La porta si spalancò in un’entrata scenica a cui nessuno, purtroppo, poté assistere, semplicemente perché il bar era vuoto.

Remus?

Una faccia per parte incredula, per parte felice e per una piccola, piccola parte anche assolutamente irritata.

“Ventinove minuti e tredici secondi.”

Voce gracchiante nel timbro, assurdamente giubilante nel tono.

“Ci si vede tra un mese, Black. Se proprio avrai voglia di tornare. Io di certo non t’invito.”

Remus non comprese la situazione, o perché Sirius si fosse avventato sul suo braccio e lo stringesse con tutte le sue forze, mentre lo trascinava fuori; ma vide bene l’occhiata in cagnesco che lanciò in direzione di Dumbledore - “Contaci, che torno!” - e gli parve che quest’ultimo, seppure in silenzio, esultasse. No, gongolasse.











  
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