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Autore: ambris    17/07/2010    1 recensioni
Fin dai primi anni di vita, ai bambini gli viene insegnato cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è bene e cos’è male … Forse sarebbe anche il caso, alcune volte, insegnargli che non tutti i libri che trovano e leggono sono fiabe dedicate a loro …
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1



Notizia Inaspettata





La sveglia suonò un paio di volte prima che riuscissi a destarmi dal sonno.

Nell’alzarmi, guardai l’orologio.

Erano solo le otto del mattino.

Fuori il tempo era molto nuvoloso e, con alte probabilità, quel girono avrebbe piovuto in grande quantità. Ciò era molto strano, visto che a Keanville, piccolo paese nel Texas, d’estate soprattutto, il tempo era sempre bello.

Come ogni mattina, da quando avevo inviato l’iscrizione per il college, mi maledicevo per essere stato così stupido. Avevo faticato come un dannato per prendere quel maledetto diploma e, non contento, avevo deciso di continuare gli studi di medicina per fare contenti i miei genitori e provare a me stesso che, in fondo, qualcosa valevo anche io e che non ero uno buono a nulla, come alcuni pensavano. Ma, alla fine, era sempre stato il mio sogno diventare un chirurgo di modesta popolarità. Mi piaceva anche pensare che, in qualche modo, la vita delle persone era affidata nelle mie mani, anche, se in quel momento, non ero certo della decisione presa.

Ero ancora un po’ intontito quando riuscì a tirarmi su dal letto. Ciò era dovuto non solo alle poche ore di sonno che durante la notte riuscivo a fare, ma anche a causa di quello strano incubo che mi tormentava da circa una settimana.

Quell’incubo …

Non riuscivo a dargli un senso. Più cercavo di ricordarlo e più le immagini mi scivolavano via come sabbia, ed erano poche i ricordi che mi rimanevano in mente, come un film visto a spezzoni. Hai sempre bisogno di rivederlo più volte per dare un significato alla trama. L’uniche cose che ricordavo erano una donna con in mano un libro chiuso e dei bambini intenta ad ascoltarla, o almeno così credevo.

Alla fine, mi convinsi che era il mio cervello a non funzionare più tanto bene e, senza darci troppo peso, mi avvia in cucina per bere un caffè e fumare la solita sigaretta mattutina.

Nel preparare la caffettiera, non mi accorse della presenza di Molly, la mia piccola gatta, che si era appisolata vicino al tavolo da pranzo. Nel tentativo di non schiacciarle la coda, feci cadere il caffè sul pavimento.

-Porca miseria Molly! Levati di torno!-

La gatta senza fiatare si dileguò in camera da letto.

Dopo aver pulito tutto il disastro causato, riuscì a bere quel benedetto caffè ed avviarmi in camera mia per dedicare un paio d’ore allo studio.

Circa mezz’ora dopo, mi era già stufato di starmene li a imparare che cosa fosse la sindrome metabolica o la polidipsia, dunque, decisi che cinque minuti di pausa non avrebbero fatto male a nessuno.

Era ancora un po’ assonnato, così mi coricai sul letto e, nel appoggiare la testa sul cuscino, vidi la foto che avevo attaccato sulla parete accanto al letto.

C’erano raffigurati io e altri quattro ragazzi in tenuta molto estiva.

Mi scappò un sorriso nel vederla.

L’avevamo scattata qualche settimana prima, quando andammo un paio di giorni in campeggio. Se non ricordavo male, l’idea di andare in campeggio era venuta al sottoscritto. A quanto pare, era stata un’ottima idea.

Accanto a me, nella foto, c’era Migel.

Il mio migliore amico, il fratello che non avevo mai avuto. Sempre con la risposta pronta, capace di farti sorridere anche nei momenti più cupi, ma anche un ragazzo testardo come pochi. Anche lui, come me, stava per iniziare il college. Gli sarebbe piaciuto diventare un importante diplomatico e sicuramente, con la testa che aveva, ci sarebbe riuscito. Da un punto di vista fisico, Migel poteva che incutere paura. Era una massa di muscoli con dei lunghi capelli riccioluti neri e un paio di occhi scuri che, se volevano, ti potevano lasciar spiazzato in ogni momento. Io, a differenza di Migel, potevo sembrare una mezza calzetta. Non perché non avessi un fisico atletico, ma perché avevo un viso dai lineamenti un po’ dolci, con due occhi blu mare e un bel taglio corto biondo. L’unica cosa che poteva lasciare a indesiderate in quel bel viso, era un pizzetto dello stesso colore dei capelli.

Alexia non smetteva mai di ricordarmi di tagliarmelo. Vicino a Migel, c’era proprio lei. Alexia, anche se per gli amici era Scimmia per gli amici, ma preferiva essere chiamata Scimmiotta, anche se non sopportava quel sopranome. Era un po’ una testa calda per avere diciotto anni, ma con un cuore d’oro. La conoscevo da 17 anni. I nostri genitori si conobbero in ospedale, a causa di alcuni problemi di salute che abbi da piccolo. Negli ultimi mesi, Alexia, si era fatta venire delle strane idee in testa, come ad esempio farsi bionda. Peccato che il risultato non fosse venuto come quello sperato. Uno strano biondo - ramato aveva preso posto al suo castano naturale. Non stava male, se non fosse stato per quegli occhi scuri. Per sua fortuna, e la tranquillità dei suoi genitori, aveva deciso di ritornare al suo colore naturale, nera. Ma erano proprio queste pazzie improvvise a renderla speciale, e, alle volte, un po’ matta.

Proseguendo, accanto ad Alexia c’era Johnatan. Per essere un ragazzo di ventanni, aveva un po’ troppe volte la testa tra le nuvole, forse troppo buono con le persone, ma sempre pronto per qualsiasi cosa con gli amici. Ora come ora stava lavorando in una tavola calda in città, e faceva un corso di fotografia, visto che non era riuscito a farsi ammettere all’esame di diploma. Di primo impatto, poteva assomigliare a un cantante metal fallito. Aveva i capelli più lunghi di Alexia, e questo non le faceva affatto piacere. Fisicamente assomigliava a Migel anche se era più alto di lui di un palmo. Con lui, sinceramente, non avrei mai iniziato una rissa. Con il gruppo andava molto d’accordo e se c’era qualche problema tra di noi, cercava sempre di risolverlo.

E alla fine c’era Isabel.

L’amavano come nessun altro. Era la cosa più preziosa che avessi a questo mondo, oltre a essere la ragazza più bella che avessi mai visto. Questa bellezza forse era dovuta al sangue irlandese, tramandatole dalla madre. Anche lei aveva finito il liceo e stava tentando di intraprendere la strada per entrare al college di psicologia. Purtroppo, andò male, e dovetti passare un pomeriggio con lei, nel tentativo di consolarla. In questo non ero proprio il massimo. Adoravo tutto di lei. Il modo in cui mi guardava e parlava, la sua risata e adoravo, soprattutto, vederla dormire. Era dolce, sicura di se, permalosa e orgogliosa. Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. anche per questo avevo così tanta stima di lei. Stavamo insieme da quasi un anno un ormai e, come facesse a sopportarmi ogni giorno, non lo sapevo neanche io.

Con questi pensieri in testa, non mi accorse dell’arrivo di mia madre, carica di borse della spesa.

La raggiunsi in cucina e la vidi trafficare con le borse. Ma non sembrava concentrata su quello che faceva.

-Vuoi una mano?-

-No stai tranquillo. Piuttosto, hai studiato?-

-Si …-

Comincia a cercare nelle borse, alla ricerca disperata di un pacchetto di sigarette.

Ad un certo punto sentì il cellulare di mia madre squillare sul tavolo, e senza chiedere il permesso risposi io. Mia madre non tollerava un comportamento simili, ma, stranamente, in quel momento non mi disse niente.

-Pronto?-

Dall’altra parte del telefono mi rispose una voce familiare, ma molto agitata e sconvolta.

-Sono Rose, c’è tua madre?-

Era la mamma di Alexia. Come la figlia, era un po’ stralunata ma sempre con la voce gioiosa e divertente. Mai fino ad allora, l’avevo sentita così.

-Si te la passo subito …-

Porse il telefono a mia madre. Per un paio di secondi mi guardò senza fare niente, poi prese il cellulare, si sedette sul divano e cominciò a parlare con Rose. Dal parte mia, non mi misi ad ascoltare cosa si stavano dicendo, anche se la curiosità era tanta. Presi il telecomando e cominciai a guardare un po’ di televisione con interesse.

Ma l’interesse mi passò quasi subito. La voce di mia madre era troppo veloce e troppo incasinata e questo non era un bene. Spensi la televisione e mi avvicinai a lei. La curiosità prese il sopravvento.

-Mamma che succede?-

Mi fece cenno di stare zitto.

-Si! Non ti preoccupare glielo dico subito! Vuoi che venga con te? Non credo che tu sia nelle condizioni di guidare e … Va bene, come vuoi tu. Per qualsiasi cosa sono qui Rose! Poi fammi sapere … Ciao-

Non aspettai neanche che attaccasse la chiamata, che comincia a farle delle domande.

-Come mai Rose era così agitata? È successo qualcosa ad Alexia? Mi devo preoccupare?-

Mia madre non riusciva neanche a guardarmi in faccia. L’unica cose che fece fu prendere una sigaretta dal tavolo e accendersela. Ci volle un bel po’ prima che trovasse le parole giuste. Ma non ci volevano tanto giri di parole per quello che stava per dirmi.

-Alexia è in coma …-

Lo disse talmente piano, che all’inizio non compresi bene quello che aveva detto, ma poi fu tutto chiaro.

-È uno scherzo vero?-

-Non è uno scherzo purtroppo. Sta mattina presto, Rose doveva andare via per delle commissioni ed è andata a svegliare Alexia, ma non si svegliava. Ha provato a scrollarla, ma non è successo nulla. Ha chiamato subito un’ambulanza e l’hanno portata al pronto soccorso. Dopo alcuni accertamenti le hanno detto che è in ottima forma, ma non riescono a capire come mai non si sveglia. E senza una causa a questo strano coma, non possono curarla … Rose è distrutta …-

Non disse nient’altro. E cos’altro poteva dire?

Non ci volevo credere. La sera prima eravamo andati al pub a prendere una birra. Rideva e scherzava come sempre, e, pensare che in quel momento era in coma, era impossibile.

Mia madre mi guardò.

-Alexia non ti è sembrata strana in questi giorni?-

Era sempre strana, a maniera sua.

-Era normale, come tutti i giorni. Mi aveva solo detto che dormiva poco a causa del caldo e che aveva un po’ di mal di schiena! Tutto qua! Ma che diavolo le sta succedendo?-

Non sapevo cosa pensare, ne, tanto meno, cosa dire. Quindi, decisi di andare in camera mia e di chiamare gli altri. Dovevano sapere quello che era accaduto ad Alexia, ed io, avevo urgente bisogno di parlare con qualcuno.

Senza pensarci troppo, presi il cellulare dalla scrivania, e composi il numero di Migel.

Dopo un paio di squilli, sentì una voce molto vivace rispondere al cellulare.

-Dimmi tutto amigo!-

-Dobbiamo vederci subito!-

Migel si spaventò del tono mio tono di voce, ma non mi importava. Se fossi riuscito a mettermi in contatto con qualcuno, sicuramente avrei cominciato a tirare testate contro il muro da quanto ero agitato e scioccato.

-Che è successo?-

-Te lo spiego quando ci vediamo. Ti prego muoviti! Scusami di tutta questa fretta ma …-

Migel non mi lasciò finire la frase. Una sua brutta abitudine.

-Tranquillo! Dieci minuti e sono da te!-

Dopo aver chiuso la chiamata, mi accasciai sulla sedia e chiusi gli occhi. non so quanto passò prima che li riaprissi. Forse secondi, minuto o addirittura ore. In quel momento era in un posto dove cercavo delle risposte. Per qualcuno questa mia reazione poteva apparire esagerata, ma Alexia è sempre stata una sorella per me, più o meno, un Migel al femminile. Cominciai a vagare in un mondo fatto di ricordi e, improvvisamente, mi venne in mente qualcosa. Qualcosa che mi fece accapponare la pelle e gelare in sangue.

Non poteva essere quello …

Non doveva essere quello …







  
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