Libri > Twilight
Segui la storia  |      
Autore: Lucius_Malfoy    17/07/2010    5 recensioni
Parodia demenziale del celebre romanzo della Meyer.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte, nonostante fossi una emo senza cervello con tendenze depressive e suicide

Oh non prendetela a male, è solo un modo per farci due risate tutti insieme.


________________________________________________________________________________



Non avevo mai pensato seriamente alla mia morte, nonostante fossi una emo senza cervello con tendenze depressive e suicide.

Senza fiato, perché ho la mobilità e la vitalità di una settantenne, nonostante abbia soli 17 anni, guardavo gli occhi scuri del cacciatore, meravigliandomi della scintilla di felicità che vi aleggiava all'interno, mentre si rendeva conto che probabilmente stava per fare quello che tutti desideravano: uccidere la protagonista.

Era una maniera davvero idiota per morire, sacrificarmi per qualcun che amo, lasciandogli così sul groppone il peso della mia morte nonostante tutti tentino di affibbiarmi a qualcun altro.

Sapevo che, se non fossi andata a Forks, probabilmente milioni di persone me ne sarebbero state grate ma, per quanto mi sarebbe piaciuto compiacervi, se la vita ti offre la possibilità di passare da sfigata a quella-che-romperà-le-palle-in-eterno-ad-un-poverino-che-ha-passato-un-secolo-in-santa-pace, chi sono io per oppormi?

Il cacciatore si avvicinò a passo lento, con l'incitamento dei lettori che avevano iniziato il conto alla rovescia in sottofondo con lo champagne in mano e Carneval Carioca a risuonare festante mentre si univano al trenino, pronto ad uccidermi.


*******


Io e mia madre viaggiavano verso l'aeroporto con i finestrini aperti. Faceva un caldo allucinante, il sudore scendeva copioso e mia madre era talmente entusiasta di mettermi su di un aereo che non mi aveva neanche dato il tempo di mettere il deodorante. Sfortunatamente per lei indossavo la mia camicia preferita, quella senza maniche, e mia madre era sul punto di rimettere ogni qual volta alzavo per sbaglio un braccio.

Non avevo altri vestiti, perché da buona emo ero rinchiusa nella mia interiorità per cercare di apparire come una persona profonda e matura, visto che mia madre soffriva di un caso acuto di sindrome di Peter Pan e la sua occupazione principale era rimorchiare giovani aitanti sportivi per poter mantenere la casa senza bisogno di lavorare.

Nella penisola di Olympia, sotto una coltre perenne di nuvole e pioggia, non chiedetemi cos'ho contro le nuvole e la pioggia perché non sono stata io a scrivere la storia, c'era la cittadina di Forks.

Era in quel buco, dimenticato da Dio, che mia madre mi stava spedendo perché, con il mio pessimo gusto in fatto di vestiti, quando uscivamo insieme le impedivo di rimorchiare a dovere.

Stava progressivamente cadendo in uno stato depressivo per assenza di scopate.

Odiavo Forks, perché segretamente amavo la puzza delle mie ascelle.

Amavo il sudore appiccicoso perenne che mi faceva sentire sempre sporca e adoravo l'afa pressante che impediva a quell'odore stagnate di allontanarsi dal mio corpo.

- Bella – mi ripeté mia madre per la milionesima volta, con la più falsa faccia aria afflitta che sia mai stata esibita.

- Non sei obbligata – ma la sua espressione diceva chiaramente 'sali su quell'aereo o ti ci mando a calci nel culo da tuo padre'.

- Ci voglio andare –, mentii. Mi faceva paura quando i suoi occhi da Bambi con la congiuntivite si spalancavano iniettati di sangue.

- Salutami quel coglione di tuo padre. -

- Certo. -

- Non tornare troppo presto, se hai bisogno di qualcosa chiama un'assistente sociale -.

- Non preoccuparti per me -

- Non lo stavo facendo -

- Mamma... -

- Senti Bella, adesso sali su quell'aereo e ti levi dalle palle, o devo far finta che mi dispiaccia che tu vada via ancora a lungo? -, mi fece il gesto dell'ombrello ed io finalmente salii in aereo.

Ahhhh, l'amore materno!

Charlie, il coglione citato poche righe più su, pareva aver perso la parola da quando aveva avuto la notizia.

Sembrava sinceramente inorridito dall'idea che, dopo 17 anni di libertà e sesso occasionale con tutte le single di Forks, dovesse tornare a fare il padre e, per limitare il tempo passato insieme, mi aveva già iscritta a scuola.

Sapevo che, per lui, la mia decisione era del tutto incomprensibile.

Aveva reso evidente quanto mi volesse nella sua vita rinunciando all'affidamento immediatamente dopo che mia madre aveva abbandonato il tetto coniugale, ma non aveva potuto non accettare visto che lei aveva minacciato di chiamarlo ad ogni ora del giorno e della notte.

L'unico suo commento era stato: quella gran troia mi ha incastrato.

Quando atterrai a Port Angeles pioveva e mi sfregai le mani sulle braccia cercando di trattenere per un'ultima volta l'appiccicaticcio del sudore che le ricordava subito le distese desolate di Phoenix.

Charlie mi aspettava in posa da gran figo, poggiato con le braccia incrociate sul cofano dell'auto della polizia.

Era normale.

Per la tardone del posto Charlie era lo sciupa femmine in divisa che controllava periodicamente la sicurezza delle loro stanze da letto.

Che lo facesse quando i mariti non erano in casa, non era rilevante.

E questo era il motivo principale per cui desideravo un'auto tutta mia: mi rifiutavo di essere picchiata a sangue per sbaglio da uno dei cornuti di provincia.

- Avevo sperato di non rivederti mai più, Bells – mi disse acchiappandomi esasperato per non farmi sfracellare al suolo. Ma per un attimo lo avevo visto esitare. - La Baldracca come sta? - chiese, mettendo la mia unica valigia nel bagagliaio in uno slancio insolito di cavalleria.

- Mamma sta bene, è bello rivederti papà -.

Charlie grugnì.

Evidentemente non condivideva la mia gioia.

- Vista la tua inefficienza motoria ed io tuoi riflessi penosamente sotto la media, ho trovato un'ottima macchina per te. Così non dovrò farmi vedere con mia figlia in giro e non mi rovinerò la piazza -.

Il modo in cui aveva detto buona macchina per te mi fece pensare che, anche a Forks, non avrei abbandonato il mio status di sfigata grazie ad una decapottabile.

- Che macchina è? Una Golf? Una punto? Una 500? -.

- Beh in realtà è l'abitacolo di un tre ruote messo su quattro pneumatici. Uno Chevy -.

- Ghà? - risposi in maniera acuta. Non capivo un cazzo di moda, figuriamoci di macchine.

- Un Pick up. Ti ricordi Billy Black quello che sta a La Push? Ti mollavo sempre con le sue figlie, quando andavamo a rimorchiare sulla spiaggia con la canottiera bianca e il crocifisso in oro in bella mostra. Esattamente come mi voleva la moda di allora -.

- E qual era la moda di allora? -

- Burino style. Ho conservato il tutto, casomai tornasse di moda. Il made in Italy è sempre In. Quindi usa il catorcio e non chiedermi di accompagnarti da nessuna parte -.

- Grazie Papà -.

Arrivammo a casa di Charlie che, visto che consumava tutto lo stipendio per acquistare strisce di coca e qualche pasticca di viagra, viveva ancora nella stalla che da quelle parti chiamavano casa, la stessa che aveva quando era sposato con mia madre.

Sul vialetto, c'era la mia nuova auto.

Una persona qualsiasi avrebbe pensato che fosse un mucchio di lamiere scampate per miracolo allo sfascio ma per me, visto che era di un bel rosso scolorito che faceva subito sole, era bellissimo.

La mia stanza era la stessa che avevo da bambina: un metro per un metro con un letto, il pc per aggiornare il mio profilo facebook con le mie paranoie, ed un armadio. Il bagno era in comune e questo mi preoccupava.

La mattina avevo bisogno di parlare una mezz'oretta allo specchio con il mio Io interiore.

Dovevo cercare di spiegargli il senso della vita e mettere a nudo la mia anima, per regolarizzare il mio karma.

Una delle qualità migliori di Charlie era che si faceva i cazzi suoi.

Non era come mia madre, non faceva finta che gli interessasse la mia vita salvo poi pensare a quando aveva fatto la manicure l'ultima volta mentre parlavo.

Scaricò le mie valige e chiamò al cellulare una certa Barby.

Da quello che riuscii a capire dalla telefonata, il marito sarebbe tornato il mattino dopo ed aveva bisogno del Capo Swan perché le molle del letto cigolavano in maniera sospetta.

Era bello stare per conto mio.

L'aereo era pieno di persone con l'aura negativa ed io avevo bisogno di scrollarmi di dosso la loro influenza, prima di andare a letto per affrontare nel giusto modo la scuola il giorno dopo.

La scuola di Forks aveva un numero di studenti proporzionati al buco dimenticato da Dio dove vivevano.

Io sarei stata la novità, quella che avrebbe dovuto esser figa perché veniva dalla metropoli.

Mi aspettavano bionda, sportiva e gnocca... ed invece mi avrebbero trovata mora, fiacca e Mary Sue.

Ebbene sì.

Perché nonostante io sia la protagonista, la cara Meyer mi ha fatto pronta perché i lettori possano facilmente immedesimarsi.

Ordinaria, priva di una qualsivoglia personalità e imbranata al limite della deficienza.

Un bel guscio vuoto plasmabile all'occorrenza, ecco.

Osservandomi allo specchio, ammisi che mi stavo prendendo in giro da sola.

Non era colpa della Meyer.

In tutte le storie c'è sempre una Mary Sue e stavolta è toccato a me.

La notte non riuscii a dormire bene.

Il pensiero che fossi finita su di un pianeta alieno aveva iniziato a farsi spazio nella mia mente.

Tutto quadrava.

Il verde, la pioggia, il vento... tutte cose che non posso considerare normali.

Avrei dovuto indagare.

Il mattino dopo, la colazione con Charlie fu tranquilla.

Sembrava che non avesse riacquistato del tutto la parola e si limitò a mangiare mentre cacciava di continuo il pettine dalla sua giacca di pelle per aggiustarsi i capelli, faceva il gesto della pistola e diceva – Ehi -.

Quando Charlie uscì, diedi un'occhiata alla cucina. Aveva gli stessi mobili approssimativi che lui e mia madre avevano raccolto alla discarica dopo essersi fatti sposare a Las Vegas da Elvis e tutto era lievemente coperto da uno strato di polvere.

Tutto, tranne il ripiano della cucina che sembrava essere stato lustrato da qualcosa che aveva una forma che ricordava vagamente un paio di natiche.

Non volendomi interrogare più di tanto delle implicazioni del caso, misi un oggetto di dubbia provenienza chiamato cappotto ed uscii.

Mi bagnai, cercando la chiave nelle piante nonostante sapessi perfettamente che era sotto lo zerbino, e mi incapricciai a volerla infilare nella toppa al contrario senza riuscirci.

Che cosa strana.

Eppure una chiave è una chiave e il mio universo interiore mi insegnava che queste cose materiali potevano essere plasmate a piacimento con la forza dello spirito.

Aprii il Pick up ed ignorai la puzza di canna che impregnava il sedile, vergognandomi del boato del motore visto che avrebbe attirato di sicuro l'attenzione.

Come avrei gestito l'attenzione?

Dovrò chiederlo alla piccola Isabella dentro di me, lei sa sempre cosa fare.

Trovare la scuola non fu difficile, e ci credo!

Forks era racchiusa in tre strade e qualche panchina sporadica ma, nonostante tutto, credo di aver girato in tondo per un paio di volte.

Ebbene sì, anche il mio senso dell'orientamento è ai minimi storici.

A vederla non avrei detto che fosse una scuola.

Niente spacciatori, niente vagabondi, niente elemosinanti.

Con un pizzico di nostalgia pensai al mio caro giubbotto anti-proiettili.

Gli ero così affezionata. Gli avevo dato persino un nome.

Parcheggiai avanti al primo edificio con l'insegna << Segreteria>> e, nonostante vedessi chiaramente che era zona vietata, io mi fermai comunque perché non c'è niente di meglio che una bella multa di primo mattino.

La stanza era uno sgabuzzino con due sedie, delle cartacce impilate sul pavimento perché non c'era spazio per un cestino ed una lillipuziana con i capelli rossi raccolti in una acconciatura alla Moira Orfei dietro ad una scrivania, perché una persona intera non ci sarebbe mai entrata.

La donna alzò lo sguardo dalla Settimana Enigmistica:

- Che vuoi? -

- Sono Isabella Swan – dissi, ed immediatamente il suo sguardo si riempì di comprensione.

- Ahhh, la figlia della prostituta ex moglie del caro Charlie! - prese qualche foglio dalle cartacce e me li porse.

- Falli firmare da tutti gli insegnanti e non tornare fino alla fine della giornata. A meno che tu non sappia la soluzione di questa definizione. “ E' famoso quello di Troia” -.

Scrollai le spalle ed uscii e mi parve di sentire un - tale madre, tale figlia. Entrambe inutili – che ignorai.

Quando tornai al pick-up fortunatamente non trovai nessuna multa e le auto degli altri studenti iniziarono ad arrivare.

Seguii il flusso del traffico, notando che la maggior parte delle auto erano dei relitti esattamente come la mia, tranne una Volvo grigia tirata a lucido che doveva appartenere sicuramente al riccone di zona.

Ogni scuola aveva sempre i suoi elementi fissi: la bella, lo sfigato, lo sportivo, il simpatico, lo stronzo...

Nella mia vecchia scuola io ero la sfigata, mi auguravo almeno di avanzare di grado. Magari potevo essere quella strana.

Camminai con il volto nascosto all'interno del cappuccio, cercando di studiare l'ambiente e cercando l'edificio numero 3.

Per fortuna dovevano aver saputo del mio arrivo, perché sulla facciata avevano dipinto un numero grosso più della parete stessa.

L'aula era claustrofobica ed osservai le due ragazze che mi precedevano sfilarsi il cappotto.

Avevano entrambe la pelle chiara come la mia e mi appuntai mentalmente che, i presunti alieni che si erano impossessati del posto, non erano identificabili dal colore della pelle.

Feci firmare il modulo al professore di inglese e lui mi guardò con la classica aria di uno che non è molto sveglio, e mi rincuorai nel vedere che la lista delle mie letture comprendeva tutte cose che il mio cervello sottosviluppato poteva ricordare.

Ascoltai distrattamente la lezione, chiedendomi se mia madre stesse ancora con l'attraente giocatore di Baseball o se avesse già cambiato fidanzato.

Quando la campanella suonò, un ragazzo che sembrava non si lavasse da mesi e con una pronunciata acne giovanile si avvicinò.

Ed ecco il Nerd della scuola, pensai tra me e me.

- Tu sei Isabella Swan – Oh, mio Dio.

Era davvero un super genio.

Aveva detto il mio nome per intero senza balbettare.

- Bella – lo corressi, io ho un cervello semplice che lavora lentamente, caro!

Si voltarono tutti a guardarmi.

Evidentemente anche il loro QI era pari al mio, perché quando lui aveva urlato Isabella non sembravano aver capito.

- Dov'è la tua prossima lezione? – ed il suo sorriso cordiale aggiunse mutamente. - Ti accompagno visto che hai la faccia da deficiente -.

Infatti, dovetti controllare nello zaino per ricordarmi una cosa che avevo letto solo un'ora prima.

- Educazione civica al 6 -

- E allora muoviti, sono di strada ti faccio vedere dove devi andare -.

Lo guardammo tutti stupiti, con lo stesso pensiero in mente: - OHHHHHHHHHHH COM'E' COLTO ! -.

Uscimmo fuori e mi accigliai vedendo che la pioggia era aumentata.

- Comunque io sono Eric! -

- Puoi dirlo più lentamente -

- E-R-I-C. Sei proprio tarda. Hai notato almeno che c'è una bella differenza tra qui e Phoenix? -

- Piano piano me ne sto rendendo conto. Ad esempio, qui non puzzo -

- Come mai? -

- Sai com'è, a Phoenix non piove mai ed è molto assolato -

- Non sembri una che puzza -

- Charlie mi ha fatto fare la doccia e l'anti rabbia e stamattina ho messo lo spray per le pulci -.

Mi guardò con aria preoccupata e si allontanò di qualche passo.

Sospirai.

Evidentemente qui non sanno che le pulci sono degli ottimi animaletti da compagnia, si addestrano e ti rimangono fedeli a vita.

Meglio dei cani.

Mi accompagnò fino all'aula e poi mi disse - Eccoti qui, con un po' di fortuna non ci vedremo più oggi -.

Sembrava speranzoso e non me la sentii di disilluderlo.

Il resto della mattinata trascorse tranquillamente e, dopo un paio di ore, riconoscevo parecchie facce.

Bel colpo, Bella.

Una ragazza rimase con me tutto il tempo.

Veniva chiaramente dalla Terra di mezzo, era una Hobbit, e cercava di bilanciare il suo nanismo con una capigliatura degna dei Cugini di Campagna.

Era di sicuro la pettegola perché, mentre mi accompagnò in mensa, non smise di raccontarmi i cazzi di tutti neanche per un secondo.

Fu in quel momento, seduta con 7 persone che ciarlavano al di sopra della mia capacità di immagazzinare informazioni, che li vidi per la prima volta.

Erano seduti nell'angolo più lontano, ben attenti a non mischiarsi con noi poveri idioti. Non mangiavano la carne di topo della mensa, né bevevano il succo di rabarbaro.

Ma non fu per questo che li notai.

Non si somigliavano affatto, e non vedo perché questo mi sorprende visto che neanche io somiglio alle 7 persone sedute con me, ma non importa, andiamo avanti.

Il più grande era largo come un armadio a 4 ante ed aveva i capelli neri e ricci. Uno era alto ed aveva solo due ante, con i capelli color uovo sbattuto o cacca di piccione, non riesco a decidere. Il terzo era una classica porta di cantina, non larghissima ma che ha il suo perché, con i capelli rossicci e spettinati. Sembrava più giovane degli altri, che parevano tutti studenti universitari o addirittura insegnanti.(Che poi la Meyer me lo dice dove li ha pescati gli insegnanti di 21 anni che mi iscrivo anche io in quella scuola).

Le ragazze erano sedute di fronte a loro.

La più alta era sicuramente la gnocca della scuola, o forse dell'intera Forks, una di quelle tipe che fa la capo cheerleader e va al ballo della scuola con il capitano della squadra di basket.

Un'oca con i capelli dorati e il fisico perfetto, sentenziò la mia Isabella interiore profondamente invidiosa. La ragazza più bassa sembrava profondamente malnutrita, con il classico fisico tutto ossa che, in sua presenza, chiami elegante e, alle sue spalle, manico di scopa.

Eppure c'era qualcosa che li rendeva tutti somiglianti.

Erano bianchi e pallidi come il gesso, più pallidi di me che avevo perso uno strato di pelle sotto la doccia stamattina.

Avevano le occhiaie di chi ha passato la notte a far baldoria e occhi neri come il giaietto.

Ma non era per questo che li notai.

Erano tutti belli come i modelli delle riviste patinate che mia madre guardava dal parrucchiere.

- Quelli chi sono? – chiesi alla pettegola.

Mentre alzava lo sguardo per vedere di chi stessi parlando, lui la guardò.

Quello più giovane, quello con i capelli rossicci al quale volevo chiedere il nome della tintura.

Osservò lingua lunga per un attimo, prima di guardarmi con i suoi buchi neri.

Distolse lo sguardo subito, ancora prima di me, che chinai il viso per pensare se era Mogano o Fragola quello che usava.

La sua espressione era neutra, come se avesse sentito distrattamente il suo nome.

- Sono Edward ed Emmett Cullen, insieme a Rosalie e Jasper Hale e quella che poco fa è andata via era Alice Cullen. Vivono insieme al Dottor. Cullen e sua moglie – disse.

E con chi cazzo dovrebbero vivere mi chiesi io, con uno lampo di acume che non riconobbi come mio.

Osservai il ragazzo che martirizzava una ciambella mentre sembrava recitasse il rosario.

Nomi strani. Nomi chic per una cittadina plebea come questa pensai, ricordandomi che la pettegola si chiamava dozzinalmente Jessica.

- Sono... carini – dissi, cercando di non sbavare.

- Sì, ma stanno insieme. Tutti insieme. Si racconta che la casa dei Cullen sia un bordello e che saltuariamente al suo interno si tengano delle orge su invito -.

- Quali sono i Cullen, non sembrano parenti -

- Oh, non lo sono. Sono stati tutti adottati. Ma dai retta a me: io penso che il Dottor. Cullen sia il loro protettore e credo che li abbia recuperati tutti nel Nord Europa, o in Alaska -.

E questo spiegava il perché non li avessi mai visti nei mie sporadici week-end a Forks.

Mentre li studiavo, quello con i capelli ancora-non-ho-capito-di-che-rosso-si-tratta, alzò di nuovo gli occhi e, stavolta, mi guardò curioso prima che io mi voltassi di scatto.

- Il testa rosso Ferrari chi è? -

- Oh, è Edward. E' uno gnocco spaziale ovviamente, ma non perderci tempo. Sei una racchia, non ti degnerà mai di uno sguardo -.

Jessica aveva il tono ferito di chi sei è sentita dire la stessa cosa e, con la coda dell'occhio, notai che Cullen sorrideva.

Quando entrai nell'aula di biologia con la presunta brava ragazza del posto, che sicuramente nascondeva una doppia vita, riconobbi i capelli di Edward Cullen seduto accanto all'unico posto libero.

Mi avvicinai e, quando gli fui accanto, si irrigidì fissandomi con uno sguardo di puro odio.

Mi sedetti e tentai di ignorarlo, ma vedevo comunque che si allontanava centimetro dopo centimetro verso il bordo del banco come se sentisse una tremenda puzza.

Ma che cattivo!

Ed io che mi ero anche lavata!

Mi odorai i capelli e sentii l'odore dell'anti pulci alla fragola.

Che non gli piacesse la fragola?

La lezione era un palla galattica ed io ne approfittai per guardare il pezzo di gnocco.

Non era affatto una porta da stanzino, era più uno stipo ad un'anta e mezza.

Perché faceva così?

Eppure ora ero una brava bambina pulita.

Guardami gnocco, non puzzo più di sudore.

Ora conosco il sapone!

Ripensai alle malignità di Jessica e pensai che forse avrei dovuto cospargermi di lubrificante!

Magari quell'odore gli piaceva.

Lo guardai di nuovo e me ne pentii. Mi fissava con disprezzo mentre tutti i lettori pensano che no, purtroppo gli sguardi non possono uccidere e tu sei ancora viva e vegeta.

Quando la campanella suonò lui praticamente era già fuori la porta, ed io rimasi immobile sulla mia sedia.

Cattivo... cattivo... cattivo! Poteva almeno parlarmi, dirmi almeno un ‘levati dalle palle’.

- Sei tu Isa...Isa...Isa..be...lla, olè l'ho detto tutto, Swan – chiese un ragazzo, che aveva la tipica faccia di quello che si crede un gran Playboy ed in realtà è un pirla.

- Bella – precisai, volendolo agevolare.

- Sono Mike -

- Hai un nome da cane -

- Lo so, ma guardati tu che hai un nome elegante come Isabella e preferisci farti chiamare come una mucca. Dove hai la prossima lezione? -

- In palestra, -

- Oh ma che magnifica coincidenza, anche io! Vieni ti accompagno -.

Fortunatamente, la mia aria da ebete funzionava perfettamente, perché non dovetti controllare la piantina della scuola neanche una volta.

In palestra non andò altrettanto bene.

Spiegai a Mr Clapp che avevo seri problemi motori e di coordinazione, raccontandogli di quando avevo decapitato una compagna di classe giocando a Pallavolo. Per fortuna era un tipo abbastanza sveglio da farmi rimanere buona buona seduta a guardare.

Quando finalmente l'orario scolastico terminò ed io strisciai a terra come un serpente per non incespicare nei miei piedi, entrai in segreteria e riconobbi Edward Cullen che flirtava spudoratamente con la lillipuziana per cercare di convincerla a fargli evitare le ore di biologia. Quando una folata di vento scosse i miei capelli, lui si irrigidì e si girò ad incenerirmi con lo sguardo.

Congedò in fretta la lillipuziana ed uscì come se avesse il fetore del diavolo alle calcagna o, in questo caso, il mio anti pulci alla fragola.

Consegnai i fogli alla segretaria e feci finta di ascoltarla, mentre in realtà pensavo che, se volevo parlare con lui, dovevo trovare uno shampoo al lubrificante.







  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Lucius_Malfoy