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Autore: Aliseia    17/07/2010    6 recensioni
Remus Lupin sogna e ricorda, prima delle battaglia finale di Hogwarts. Pensa alla sua famiglia, Dora e Teddy, ad Albus e Aberforth Silente, e a un Ragazzo Nero che correva…
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un mondo possibile

(Il Ragazzo Arcobaleno)

 

I sogno.

 

Il Ragazzo ha gambe secche e nervose, scure, instancabili, scendono le scale, implacabili come quelle di un ragno.

Il rumore di quel movimento riempie i corridoi, i passi risuonano cupi, rimbombano dietro di lui, all'unisono con i nostri cuori.

“Più in fretta, più in fretta! Prendilo... ”

«Prendilo!» dice la voce chiara di Sirius, mentre il suo istinto di cacciatore si eccita.

“Prendilo, o sarà troppo tardi” dice una voce dentro di me.

Fluttua nero e leggero, come un pipistrello, sembra irriderci, pur senza voltarsi. “Ma perché- mi chiedo – perché non si volta” Anche di spalle avverto il fuoco nero e beffardo dei suoi occhi.

Ma perché non si volta. Perché fugge... Lui non lo fa mai. Un'ansia sorda si impadronisce di me, come il presagio di una sciagura. Forse lui si volterà, e riderà. Sarà una risata cattiva. Ma sono io, in realtà, quello cattivo. Siamo noi. Si volterà e sarà un sorriso triste, posso già vederlo, come dietro un vetro, un velo di lacrime. È così, è un pianto che abbiamo tutti in gola, persino Sirius, con quella sua bella risata, che viene dal cuore, persino lui vorrà piangere, soffocando le risa in un singhiozzo. Eh, Sirius? Anche tu... ma dove sei? Perché il Ragazzo continua a correre, indifferente a tutto? E Felpato, dove diavolo è? Si è nascosto dietro le tende, come i bambini, ma io non ce la faccio più, mi manca il fiato, e il Ragazzo è un vento nero lungo i corridoi, passa e ripassa accanto a me, con l'arroganza di un cartone animato, e io sono in ginocchio, piegato in due per il dolore. E poi sono di nuovo in corsa, avverto l'aria spostata dal suo mantello, sento l'odore della mia preda, un odore di vento e Primavera, allungo la mano, lo tocco, e lui si volta...

E i suoi occhi sono i miei…

E il suo sorriso trema come il mio…

Forse qualcuno mi ha visto…

I vestiti, poveri e sciatti, come quelli che ho io…

Mi guarda, ride e piange insieme, e sono io.

 

 

Remus.

 

Remus fissò il proprio volto stravolto nello specchio.

Le guance scavate, le ciocche disordinate di capelli, grigi e biondi, assurdamente mescolati, sulla fronte bianca e fredda come il marmo.

Fece una smorfia, quasi una boccaccia, a quel se stesso invecchiato e triste, che ancora faceva sogni da ragazzino.

Fossero stati almeno sogni felici. Come avrebbe voluto sognare e rivedere i vecchi tempi, le loro scorribande, le imprese pazze e gloriose di un'amicizia che avevano creduto inossidabile.

Ma, in linea con le giornate orribili e inquiete che stava vivendo, a tornare a galla erano solo gli incubi.

Cose che avrebbe preferito dimenticare.

Perché poi proprio ora…

Perché mai avrebbe dovuto sentirsi in colpa, con tutto quello che stava succedendo?

Che senso aveva, ora, ricordare le loro bravate, e le probabili sofferenze di quel ragazzo?

Soprattutto perché nel suo sogno lui non soffriva, ma sembrava piuttosto prenderli in giro, e passava e ripassava davanti a lui senza farsi vedere in viso, elusivo e misterioso come un segreto che per un  attimo credi di afferrare, e poi, di nuovo, ti sfugge.

 

 

 

II Sogno.

 

Ancora in corsa, sempre, e in lontananza la fine è sempre più nera, non c'è luce in fondo al corridoio, e lui corre, corre, non smette mai.

Che ci tema o ci irrida, corre comunque come il vento, mi sembra di sentirne i passi, piedi, stivali o zoccoli, un soffio gelido di vento, e il Ragazzo corre più leggero dell'aria, senza meta, senza pace, e di lui ho solo un flash che mi ferisce la retina, e poi la fine è più vicina, rallento la mia corsa, punto i piedi per non cadere, ma lui finalmente si è voltato, e lui è davanti a noi…

E ha ancora gli occhi come i miei…

E sorride, e il sorriso è un po' più buono di quello che ricordavo…

Gli occhi castani e dolci…

E gli occhi e il sorriso sono i miei, ma, oh Merlino… i capelli cambiano colore sotto il mio sguardo: rosso, azzurro, giallo come il sole… E ora davanti a me vedo mio figlio.

 

Teddy.

 

Remus Lupin si tirò su dal letto, di scatto.

Dalla stanza accanto venivano i versi brevi e teneri del bambino. Lupin corse di là, con il cuore che batteva ancora forte per la corsa che aveva  fatto in sogno, con un sordo presagio di sventura che gli opprimeva il petto.

Teddy Lupin si agitava sulla superficie bianca del lettino.

Muoveva gambe e braccia, come un piccolo nuotatore, mentre un ciuffo impertinente di capelli, solitario sulla sua fronte, cangiava e brillava nel buio: rosso, azzurro, giallo come il sole.

Un sorriso radioso e impudente tendeva le guance paffute, e tanto splendore ebbe il potere di rilassare il volto tirato e precocemente invecchiato del padre.

“Il Ragazzo Arcobaleno” pensò Remus, e anche lui sorrise.

Dopo tanti anni di insegnamento sapeva che certi ragazzi hanno quel dono, il potere di portare la luce, di diffondere una grazia sorridente e leggera tra coloro che li circondano.

Harry Potter aveva quel potere. Non importava con quali sciagure la vita lo avesse segnato.

Harrry Potter brillava di luce propria.

Senza alcuno sforzo, con la sua sola presenza, tirava fuori da ognuno il meglio. Era una dote che aveva ereditato da Lily. Una fitta di rimpianto sorprese Lupin. Era abituato a ricordare la sfrontata energia di James, la tormentata arroganza e la scontrosa sensibilità di Sirius.

Ma non pensava quasi mai a Lily.

Non perché non le avesse voluto bene, anzi. Ma era come se il ricordo di lei fosse più doloroso e irrisolto degli altri, come se, in qualche modo, la luce e la grazia ineffabile che lei sprigionava fossero per lui ancora un mistero.

 

 

III Sogno.

 

Il Ragazzo corre come il vento, un vento nero e freddo, che solleva ancora in volo le sue gambe lunghe e sottili, ma non fugge, ci precede, piuttosto.

Il riso è leggero come l'aria, ma senza gioia, come quello di un angelo deluso, che conosce troppo bene il mondo.

Tutte queste cose io le so adesso, ed è come se le avessi sempre sapute: conosco da sempre il suo sguardo, conosco il viso pallido e sottile, e so già cosa dirà quando si sarà fermato. Dirà: «Non vi temo, non vi ho mai temuto.» E fisserà sui nostri visi ignoranti quegli occhi che sanno troppo, neri e sempre senza pianto, con un ardore di rabbia che li brucia dentro, con quel pallore in viso che già da solo ci impone rispetto, e paura, e tutta la frustrazione di chi non può capire.

Ma il suo sorriso: come posso anticiparlo se non l'ho mai veduto…E adesso aspetto che lui parli, poiché tutti ci siamo fermati al suo cospetto, aspettiamo il segreto, le parole...

Ma sono solo.

James si è fermato laggiù, molto più indietro. «Non ci vedo» si lamenta. «Non trovo più gli occhiali» e a terra, carponi, disperato, tasta il pavimento.

«Non ci vedo!» urla nella mia direzione. Ma io non so che fare.

E Sirius, anche lui si è fermato, appena un po' più avanti, al solito lui ci ride sopra, cerca un po' di luce, entra ed esce dalle ombre delle tende, e poi di lui vedo solo un riflesso, come una nuvola scura, come foschia evanescente di cui rimane, ultima cosa viva, quel suo sguardo chiaro, grigio e tremolante come l'alba, fisso in lontananza su quella figuretta nera...

 

E Snape si volta.

Non l'avevo mai visto ridere, e c'è qualcosa di ineffabile, splendente, su quel visetto magro.

E ora certo mi riferirà il segreto, c'è una luce che trema in quel sorriso, ma poi la mano pallida si avvicina al viso, e con l'indice sottile sulle labbra, mi fa il segno: silenzio!

 

 

Dora.

 

«Remus…» La voce di lei tremò sulla soglia della camera da letto. Da un po' di tempo la voce di lei, che prima era così sicura, tremava.

Remus trasalì, fra paura e irritazione. Avrebbe voluto chiederle “Perché tremi, perché hai sempre paura”. Ma lui lo sapeva.

Tutti avevano paura.

Il mondo intero aveva paura, e lei tremava non per sé, ma per quel bambino, per quel “ragazzo arcobaleno”, parente di mannari e “traditori”. Una piccola, colorata anomalia, in un mondo sempre più buio.

A scuola insegnavano che l'arcobaleno è un simbolo di pace, l'arco che unisce il cielo alla terra, e Dio al mondo.

Ma il loro ragazzo avrebbe trovato sempre guerra. «Dora...» sussurrò lui con dolcezza, perché all'improvviso la sua donna gli fece pena, e tenerezza. Perché un tempo lei non aveva mai paura.

 

Aberforth.

 

L'uomo che li osservava sulla soglia aveva lo sguardo limpido, ma acuto, pungente come il ghiaccio, che aveva avuto Albus Silente. Ai suoi occhi chiari e imperturbabili rispondeva lo sguardo imperscrutabile del Lupo. La belva aveva gli occhi tersi, privi di ferocia, splendenti solo di una gelida determinazione, impersonale, distaccata. Il pelo argenteo e intatto riluceva, sotto la luce della luna. Era perfettamente immobile, non sembrava neanche vero, e il vento che accarezzava appena la chiara peluria faceva l'effetto di una brezza sul pendio di un monte. «Un Lupo...» mormorò il vecchio. «Sei il Patronus di Nymphadora Tonks».

«Solo Tonks, prego...» La giovane strega uscì dall'ombra, il suo sorriso scintillò nella semioscurità. «Aberforth...» mormorò con affetto in direzione del vecchio, e poi lo abbracciò. Un fruscio alle spalle della ragazza e anche l'uomo dietro di lei si rivelò nella luce della porta aperta. Era magro, elettrico e attento come quel lupo che li aveva preceduti, solo più scuro, più nervoso.

 

«Ci credereste?» disse Aberforth a voce troppo alta, ridendo (le abbondanti libagioni lo avevano reso insolitamente affabile) «Quel ragazzo, il rosso, mi chiese “Allora l'ha mandata lei la cerva?” “Quale cerva, figliolo?” “La Cerva! Il Patronus che ci ha inviato per farci trovare la Spada di Grifondoro!” “Con quel cervello potresti essere un Mangiamorte, figliolo!" gli ho risposto "Il mio Patronus è una Capra!”» Accompagnò quest'ultima affermazione con una sonora manata sul tavolo, e Dora si unì alla sua risata. Lupin, ancora cupo e nervoso, guardava fuori della finestra. «Saranno ancora lì?» chiese senza voltarsi. Due Mangiamorte li avevano seguiti, nonostante Dora avesse reso il proprio aspetto irriconoscibile (capelli biondi a caschetto e un naso che Aberforth aveva definito, senza troppi complimenti, “un po' porcino”), mentre Remus l'aveva seguita a distanza, guidato dalla luce del Patronus di lei, sicuro nel buio grazie al suo istinto di lupo e alla sua esperienza di spia. Non avrebbe voluto mandarla avanti da sola. Non avrebbe voluto neanche che lei venisse. Ma Dora era stata irremovibile: "Se c'è una guerra io voglio combattere." Remus sorrise, suo malgrado. Sua moglie era di quelle persone spaventate dall'inattività più che dal pericolo.

Mentre parlava animatamente con Aberforth, con i corti capelli che erano tornati al loro impudente rosa, e il fresco sorriso che illuminava il bel viso intatto e splendente come un fiore in boccio, l'intera persona sembrava irradiare una luce più forte e più chiara persino del suo Patronus. Lei era in piedi, con le mani appoggiate all'indietro sulla credenza, snella e flessuosa, e lui la desiderò con una violenza che era come una morsa allo stomaco.

Merlino, come ne era fiero. Quella era la donna che per lui aveva sfidato il pubblico disprezzo, la donna che, mentre il mondo le rideva dietro, aveva cambiato per lui il proprio Patronus.

Il Patronus... «La Cerva!» esclamò Remus «Lily scelse quel Patronus per amore di James...» I due lo fissarono allibiti «La Cerva...» mormorò Remus, guardandoli senza vederli «era il Patronus di Lily» Qualcosa si agitò, tremò, in un angolo oscuro della sua coscienza, e non li vide più, preso in un sogno angoscioso, un sogno in cui vedeva balenare una luce, per un momento nell'oscurità, forse il chiarore argentato di una Cerva che, per un attimo, veloce, inafferrabile, passava davanti ai suoi occhi, per poi sparire di nuovo nel buio.

 

Aberforth e Dora erano rimasti in silenzio, e lo fissavano un po' preoccupati. «Forse il giovane Potter…» azzardò Aberforth. «No!» Remus si sorprese della violenza della propria risposta. Per qualche ragione quell'argomento lo turbava. «Il Patronus di Harry Potter è un Cervo. Lo so, gli ho insegnato io ad evocarlo. Un Cervo, come quello di James» «Ma, non può essere» mormorò Dora

«Lily è morta» e poi tacque, lei per prima colpita da ciò che quelle parole significavano. Rivolse a Remus uno sguardo lucido di pianto. «Qualcuno potrebbe aver cambiato il proprio Patronus, come ho fatto io.»

«Non vedo chi» rispose Remus bruscamente.

Un silenzio imbarazzato scese tra i tre membri dell'Ordine.

Aberforth decise di cambiare discorso. «Le cose a Hogwarts non vanno bene. Quello Snape… I ragazzi già una volta avevano raggiunto la Spada di Grifondoro, ma lui li sorprese» Remus lo guardò allarmato. «Li mandò per punizione nella Foresta, in compagnia di Hagrid.» Aberforth pronunciò la frase con il tono più serio, poi li guardò con gravità, in silenzio, finché tutti e tre non scoppiarono a ridere. Lupin, sollevato per quel diversivo, rideva più forte degli altri.

«Con Hagrid… Nella Foresta con Hagrid! Eppure dovrebbe saperlo…»

Dora sorrise tra sé, poi i suoi occhi scintillarono maliziosamente. «A volte ho qualche dubbio sulla sua tanto celebrata intelligenza. Sai cosa mi disse quel giorno che riaccompagnai Harry a scuola? "Ero curioso di vedere il tuo nuovo Patronus. Devo dire che preferivo il vecchio"» Dora imitava abbastanza bene il tono basso e solenne di Snape «"Questo sembra debole…" Sembra debole!» la voce di lei tornò ai consueti toni squillanti «che diavolo significa?» Dora rideva, cercando lo sguardo del marito. Aberforth bofonchiò: «Sarà stato invidioso, una bella ragazza come te…»

Remus rise un po' forzatamente.

Qualcosa si agitava, in un angolo buio della sua coscienza

 

Remus e Dora.

 

«Non puoi»

«Sì che posso, Remus! Sono un Auror. Lo sapevi. Dicevi di amarmi anche per questo, per il mio coraggio!» «Dora, io non ti chiedo di scappare. Ti chiedo solo di restare con nostro figlio, finché la situazione non sarà più chiara. Nostro figlio, capisci? Ci aspettano tempi orribili, non hai sentito Aberforth? Neanche i nostri ragazzi sono sicuri. Hogwarts è nelle mani di Snape, e Merlino sa cosa potrebbe fare, con tutta la rabbia e la violenza che ha in corpo. È un mondo terribile, e noi non possiamo cambiarlo, possiamo solo contenere i danni. È un mondo dove gli insegnanti lanciano maledizioni sugli studenti, l'hai sentito? Dora, sono un insegnante anch'io, non so se capisci cosa significa. Ho conosciuto pessimi insegnanti, ma nessuno che volesse coscientemente, studiatamente, fare del male agli studenti. È come fare male ai propri figli. È un mondo orrendo, e non solo a causa di Voldemort. Cosa credi sarà di nostro figlio, se anche dovessimo vincere la guerra? La gente come me non fa figli, non dovrebbe…» Remus si prese la testa tra le mani. «C'è troppa oscurità dentro di me, non dovevo fare figli, dovevo fare come Snape…» «Ma cosa dici?»    mormorò lei preoccupata, prendendogli il viso tra le mani, stringendo contro il proprio petto la testa di lui. Dora gli accarezzò piano le spalle, scosse da un pianto senza lacrime.

«Noi non eravamo amici» disse Lupin con voce fioca.

«Noi chi?» chiese lei sempre più allarmata.

«Noi, i Malandrini e… Snape. Lui era… un ragazzino strano» Remus guardò davanti a sé, come se rivedesse la nera figura, smilza ed arrogante, del giovane Snape «e qualche volta… James e Sirius esageravano. Hai conosciuto Sirius. Non era cattivo, lo sai, ma c'era qualcosa in Snape che lo innervosiva. Forse il fatto che fosse un Serpeverde così fiero di esserlo. Non so. Anche James. Anzi, James proprio non lo sopportava. Non piaceva neanche a me, intendiamoci... E per me era importante... La loro amicizia era importante... Ma qualche volta... avrei potuto impedirlo... Voglio dire: non è facile, essere soli... » La voce di Remus era ridotta a un sussurro.

Dora gli carezzò i capelli.

«Non pensarci, adesso. Sono successe tante cose, le persone cambiano...  »

«Ma certe cose non cambiano, sai?» Lui alzò di nuovo la voce. Dora si agitò. Erano usciti in strada, affinché Aberforth non sentisse la loro discussione, ma ora Dora temeva che i Mangiamorte potessero scoprirli, e, ancora peggio, che Remus fosse vicino a crollare.

«Se dai odio, riceverai odio» ansimò Remus, con il piglio solenne e un po' patetico di un predicatore

«se emargini qualcuno, tuo figlio sarà emarginato. Con la stessa indifferenza, la stessa crudele noncuranza che avevamo noi da ragazzi!»

«Ma voi eravate bravi ragazzi!» protestò Dora. «Più che bravi: coraggiosi, degli eroi. No, non negarlo. E qualunque cosa sia accaduta tra te e Snape è ora di metterla da parte. La vita va avanti, Remus. E questo è un momento importante, è il momento di scegliere. Noi abbiamo scelto Silente. Snape ha scelto Voldemort. Ma tanti altri uomini, tanti altri ragazzi, hanno scelto giusto, come noi, indipendentemente dalle loro sofferenze passate, o forse proprio per quelle. Scegliere l'amore è possibile, sempre.»

«No, non sempre» mormorò lui con amarezza.

 

Hogwarts.

 

Così era meglio.

Era meglio perdersi nel combattimento, galleggiare fra lampi rossi e verdi come un incauto nuotatore, indifferente alla vita e alla morte, acceso solo del fuoco della lotta, di quell'istinto ostinato che lo spingeva a sopravvivere pur tra tanti orrori. Aveva visto, infine, quanto davvero brutto potesse essere il mondo. Aveva visto ragazzi impallidire e cadere a pochi passi da lui, fulminati dagli incantesimi spietati di maghi molto più esperti di loro. Aveva visto l'adulto, quello forte, colui che sa, recidere giovani vite con la stessa indifferenza con cui avrebbe strappato un'erba tenera e selvatica, incautamente cresciuta sul suo cammino.

Lupin si domandava quando sarebbe stato troppo, quando il suo cuore si sarebbe rifiutato di pompare sangue davanti a tanto orrore.

 

Poi lei entrò.

Era una figuretta eterea, chiarissima, così lieve da sembrare un fantasma. Stava combattendo con un Mangiamorte.

Sembrava Ariana, la sorella di Albus e Aberforth, il candido spirito che li aveva condotti attraverso il tunnel fino a Hogwarts.

Ma era viva, in carne e ossa, e Remus temette per lei quando la vide entrare con la leggerezza innocente di una farfalla. Nello stesso tempo lui doveva guardarsi da Dolohov, che era un combattente formidabile, ed evidentemente deciso ad ucciderlo.

Luna Lovegood trovò persino il tempo di sorridergli.  «Buonasera professor Lupin!». Gli rivolse uno sguardo luminoso, prima di tornare ad affrontare l'oscura figura incappucciata, che la minacciava con la voce femminile, acuta e petulante, di una ben nota strega.

Remus si spostò bruscamente, per evitare il lampo verde partito dalla bacchetta del suo rivale.

Erano passati senza smettere di combattere dal parco a quel salone interno, dominato da un enorme soppalco ingombro di armature. A tratti gli sembrava di cogliere ombre tra i riflessi metallici, e Lupin temeva quello che sarebbe accaduto se i loro nemici li avessero attaccati dall'alto.

«Attenta, Luna!». La ragazza era una combattente generosa, e valorosa, ma così inesperta che il  cuore di Lupin si stringeva d'angoscia ad ogni colpo della sua rivale.

Finire Dolohov subito: questo doveva fare, per poi proteggerla. Ma Dolohov non gli dava tregua, e gli acuti sensi del lupo avvertivano passi nei corridoi. Presto i due Mangiamorte avrebbero avuto rinforzi.

 

Poi accadde ciò che Lupin aveva temuto fin dall'inizio.

Una piccola porta si aprì, e, silenziosa e solenne tra le brillanti armature del soppalco, avanzò la nera figura di Severus Snape.

"È finita" pensò Lupin.

Altre voci sembravano provenire dai piani superiori, alle spalle di Snape, ma per ora lui solo incombeva su di loro, unica figura viva tra  gli involucri rigidi e lucenti delle armature.

Lupin schiantò il proprio avversario nel duello, concedendosi quei pochi attimi per schiarirsi le idee.

«Complimenti, professor Lupin!» esclamò Luna con una nota di ingenua ammirazione nella voce.

“No, no, no – si disse Remus- non distrarti, no...”

Con un'orribile risata, simile a un gorgoglio, la strega Mangiamorte puntò la bacchetta.

Poi un lampo rosso attraversò l'aria, e la mano della strega volò via come avrebbe fatto quella di una bambola. Fu così rapido e strano che per un attimo Lupin vide il taglio netto, pulito, come se fosse davvero il polso di un pupazzo, con il profilo bianco dell'osso, prima che il sangue cominciasse a zampillare con violenza.

Luna balzò indietro, inorridita, Remus istintivamente si parò davanti a lei per proteggerla.

Cos'era successo?

Chi aveva scagliato quell'incantesimo non verbale?

“Un Sectumsempra” pensò Remus con chiarezza.

Un Sectumpsempra...

L'oscura formula risuonò dentro di lui come un grido.

Senza avere il coraggio di alzare gli occhi, spinse Luna fuori dal salone. «Vai, vai in infermeria, controlla se sei ferita»

«Sto bene, sto bene» ripeteva Luna meccanicamente, sotto shock.

La strega giaceva a terra, tremante, quasi dissanguata.

Poi smise di tremare.

Dolohov giaceva in un angolo, ancora privo di sensi.

Remus si esaminò le mani e i vestiti, coperti di sangue.

I rivoli scarlatti disegnavano trame improbabili sul dorso delle sue mani, sulla camicia, sul pavimento. I suoi occhi erano persi in quella scrittura sconosciuta, nel segreto linguaggio di quel sangue. Ne seguiva con lo sguardo le ramificazioni, come avrebbe fatto con il delta di un fiume, più su, più indietro, dentro i suoi ricordi, fino alla sorgente.

 

 

La Cerva.

 

«Un Corvo?! Il Patronus di Snape è un Corvo?!»

La voce di Sirius suonava forte e beffarda nel pomeriggio luminoso.

«Snivellus!» Si era alzato tra le risatine generali. «Snivellus...» la voce si abbassò con un tono irridente e falsamente carezzevole «ma sei proprio uno sfigato... Persino il tuo Patronus è sfigato»

Le risate si fecero forti e incontrollabili. Gli occhi di Lily dardeggiarono un rimprovero.

«È per via della poesia» disse lei freddamente.

«Quale poesia?» chiese James voltandosi di scatto.

Sirius anticipò con aria annoiata la risposta della ragazza: «Ma sì... Il Corvo di Poe. Quello che dice “Mai più”». Sirius si guardò intorno con aria compiaciuta, prima di continuare: «È la risposta che gli danno sempre le ragazze, eh, Snivellus? “Mai più, Severus, mai più”». Sirius imitò con vocina lamentosa l'ipotetica ragazza che rifiutava a Snape un secondo appuntamento. Le risate divennero un boato.

Snape, che aveva continuato a scrivere, con i lunghi capelli scuri ostinatamente incollati alla pergamena, alzò bruscamente la testa. I suoi occhi neri saettarono fra le bocche aperte e gli occhi lucidi, fra quella che doveva giudicare solo come una volgare ilarità.

Dedicò a Sirius appena un secondo, uno sguardo tagliente come una spada. Per James e Remus si sprecò anche meno, pochi attimi di lampeggiante disprezzo. Ignorò Peter.

Poi i suoi occhi si fissarono su Lily.

 

Remus rammentò quello sguardo con la stessa fitta dolorosa che gli dava il ricordo soave di Lily.

 

C'era un abisso di disperazione in quello sguardo, e abbastanza fierezza e orgoglio da annegare in quell'abisso ogni rimprovero, ogni lacrima.

Fu l'unica volta in cui Remus vide Severus dedicare tanto tempo a una persona.

Lo sguardo di Snape studiava la pelle candida di Lily, il muto linguaggio dei suoi occhi verdi, con la stessa ansiosa attenzione che sembrava di solito dedicare solo alle antiche pergamene.

Gli occhi neri si accesero di qualcosa che il giovane Remus allora non capì, e che l'uomo adulto invece riconobbe.

Poi Snape distolse lentamente lo sguardo, incredulo, addolorato, come se quello che aveva visto lo avesse ferito molto più delle parole di Sirius.

E poi ci fu quella volta in cui tutti evocarono i Patroni. E Lily, fra lo stupore generale, evocò una Cerva.

Ed erano così belle, lei, la Cerva, così pure, che molti, senza volerlo e senza saperlo, sorrisero.

Anche Remus sorrise.

Severus voltò la faccia.

Il giovane Remus non gli badò, e non cercò il suo sguardo.

 

Il Remus adulto, che vedeva scorrere davanti a sé i propri i ricordi, ebbe invece la netta percezione dell’espressione di Snape. Ne riconobbe la disperazione e la frustrazione, per averle viste tante volte, dentro lo specchio, nei suoi stessi occhi.

 

Un Patronus si può cambiare per amore... 

 

Remus alzò la testa.

Tutto era durato solo pochi istanti, e Snape gli aveva voltato già le spalle, e sembrava affrettarsi per lasciare la stanza.

«È per lei, non è vero?»

La voce di Remus, poco più di un sussurro, sembrò colpire Snape come una frustata.

L'uomo si arrestò, le spalle si irrigidirono visibilmente nell'abito scuro.

Snape si voltò, e Remus si aspettava sarcasmo, o stupore, ma quello del Preside era furore puro, una rabbia che a fatica riusciva a controllare.

Snape rimase immobile, il volto pallido come il marmo, irrigidito in una specie di maschera.

Poi un'ombra passò sul viso impassibile, una ruga piccola e profonda si incise rapida tra le sopracciglia corvine, e Snape mosse le labbra sottili come per dire qualcosa, e piegò leggermente il busto per affacciarsi sul salone.

Ma non disse nulla, si limitò a guardare giù con uno sguardo insieme grave e indecifrabile, mentre le mani si stringevano spasmodicamente alla balaustra, tradendo, con il nervosismo del movimento e il loro esangue pallore, l'estrema tensione interiore dell'uomo.

 «La Cerva era il Patronus di Lily» disse Remus come se fosse una cosa normale, come se quelle parole dovessero avere un senso anche per Snape.

Evidentemente ne avevano, perché il Preside impallidì se possibile ancora di più, e gli occhi neri erano due ferite ardenti, l'Inferno stesso brillava in essi da insondabili profondità.

 

Contro ogni previsione Remus si sentì invadere da una specie di sollievo.

Era così, dunque?

Era un mondo possibile, quello in cui gli uomini cambiano per amore?

Il sorriso che gli allargò la faccia dovette sembrare un po' ebete, perché Snape passò da un iniziale allarme a un'espressione via via più furiosa e disgustata.

Ma non poteva, evidentemente, dire nulla.

Allora Remus prese fiato, approfittò di quella tregua, con la strega morta e Dolohov svenuto nell'angolo. «Lo so, Severus, ho capito tutto» la sua voce tremava. «Io so.» gli sembrava così strano, e meraviglioso, poterlo dire. «So che Silente aveva ragione, quando parlava di una “ragione di ferro”. So che c'era qualcosa tra di voi, un accordo, per cui tu...» Incredibile come anche questo ora gli sembrasse naturale. Non chiaro, ovviamente, ma in qualche modo prestabilito, concordato prima e al di là di ogni evidenza. Era qualcosa che Remus sentiva ora senza poterselo spiegare, e se non fosse bastata quella sensazione, lo sguardo addolorato di Snape, nell'udire il nome del precedente Preside, sarebbe stato sufficiente per confermargli questa sua nuova, sorprendente convinzione.

In qualche modo, Silente aveva studiato e concordato con Snape la propria morte.

Ma non c'era tempo per le spiegazioni, e Remus capì che l'altro non poteva darne.

«Silente credeva in te. E lui non sbagliava mai.» Remus ricordò come la fermezza, la perspicacia, la libertà di giudizio del vecchio Preside lo avessero salvato dall'emarginazione quando era ragazzo.

Severus distolse lo sguardo.

Poi lo fissò di nuovo sull'altro, ed era uno sguardo strano, un misto di ironia e di preoccupazione, e di qualcos'altro ancora.

E poi accadde qualcosa di incredibile: Severus fece un breve, rigido segno con il capo.

Un rapido segno di assenso.

 

Prima che Remus potesse aggiungere altro, Dolohov, che da qualche momento aveva ripreso confusamente i sensi, si rialzò.

Remus si voltò. Mentalmente maledì la propria lealtà di Grifondoro. Credeva di averlo messo definitivamente fuori combattimento. Ma avrebbe dovuto comunque ucciderlo subito, mentre era privo di sensi.

Remus riprese il combattimento, mentre Severus li osservava dall'alto.

Chi avesse visto il muto scambio di sguardi tra i due ex nemici, avrebbe notato con stupore che gli occhi ambrati di Lupin si allargavano ad accogliere un sorriso.

Mentre gli occhi neri, fondi, di Snape, si aprivano a loro volta per lo stupore, per poi passare da un lampo di collera a un guizzo di complicità, non disgiunto da un rapidissimo, ironico luccichio.

Lo sguardo di Lupin, chiaro, caldo, parlava e parlava: di vecchie inimicizie, di comprensione, di reciproco perdono, mentre la bocca restava serrata nel combattimento.

Dall'alto Snape , riconquistata la propria silenziosa immobilità, si limitava con gli occhi, ora ardenti e vivi, a lanciare rimproveri come dardi fiammeggianti, ogni volta che l'ex-Malandrino gli rivolgeva ancora, brevemente, la propria attenzione.

Era come se l’uno confermasse “Io so”, e l’altro, con rabbia e preoccupazione, gli intimasse di non parlare.

Anche se, a ben guardare, l’austero Preside sembrava aver perso qualcosa della sua aria tetra, e se non si muoveva, c’era comunque nella sua postura una specie di commossa stanchezza.

E poi, a tratti, quando davvero il combattimento si faceva pericoloso, la muta lucentezza degli occhi neri suggeriva al lupo come e quando stare attento, avvertimenti che più di una volta permisero a Lupin di schivare colpi altrimenti letali.

 

Apparentemente Snape li fissava con aria impassibile e distaccata, ma gli impercettibili, nervosi, movimenti del capo, l’irrequietezza negli occhi scuri, suggerivano che l'uomo valutava il da farsi, indeciso, ora Lupin lo sapeva, tra mantenere la propria copertura e buttarsi nella lotta dalla sua parte.

Dalla parte di Silente. Sempre.

 

Poi all'improvviso una porta alle spalle della nera figura del Preside si aprì, facendolo sussultare.

Lucius Malfoy, pallido e visibilmente preoccupato, si avvicinò a lui per sussurrare qualcosa al suo orecchio, gli occhi chiari quasi bianchi, lo sguardo mobile e sfuggente che sembrava non poter reggere quello grave e diretto di Snape.

 

Snape impallidì.

I suoi occhi, ora svuotati di ogni luce, vagarono nel salone, si soffermarono sulle ampie scale, su ogni oggetto, quadro, armatura, come se non li vedesse inizialmente, e poi, ardendo all'improvviso di una nuova determinazione.

Come per carezzarli, a uno a uno. Come se, dovendosi distogliere a fatica da quella contemplazione, salutasse in ogni cosa il luogo che lo aveva accolto, ragazzino testardo e non amato. Come se lasciasse tra quelle mura, sotto quel soffitto che rispecchiava il cielo, con dolore e definitivamente, la vitalità e la passione che gli restavano.

L'ultimo sguardo fu per Lupin, ed era uno sguardo insieme di rabbia e d'intesa.

C'era, in quel breve cenno del capo che gli rivolse, insieme un commiato, un doloroso rimprovero, e una richiesta di perdono.

Remus raccolse, nel breve istante in cui interruppe il combattimento, tutte queste cose in un solo, struggente messaggio d'addio, e per un attimo si lasciò andare ad un vero sorriso.

Snape distolse rapidamente lo sguardo e, voltando bruscamente la testa, se ne andò in compagnia di Malfoy, che sembrava troppo sconvolto per badare a loro.

 

Lupin riprese a combattere con rinnovato vigore.

Oh, Snape non sapeva che regalo gli aveva fatto.

Certe cose accadono davvero…

Ora Lupin ne era certo.

Se mai un giorno suo figlio Teddy fosse stato emarginato e offeso, se l'arroganza e l'indifferenza dei maghi avessero fatto di lui un reietto, comunque non si sarebbe arreso.

Perché esistono ragazzi capaci di ricongiungere le parti, ragazzi capaci di donarsi al mondo in modo disinteressato, ragazzi capaci di amare.

Come Harry Potter.

Com'erano stati loro, i Malandrini, quando avevano messo in pericolo il loro futuro e la loro vita, per unirsi a Silente nella lotta contro Voldemort.

Com'era stata Lily, che aveva a tal punto creduto in quella lotta da sacrificare per essa la propria famiglia.

Com'era stato, com'era, Severus Snape, che da anni silenziosamente combatteva dalla parte giusta, senza appoggi, senza riconoscimenti.

Un uomo di Silente, fino alla fine.

 

E se un giorno qualcuno avesse spento la luce iridescente che danzava nello sguardo e nel sorriso di Teddy Lupin, facendo di lui un emarginato e un infelice, Teddy Lupin si sarebbe sempre e comunque rialzato. Come si era rialzato Severus Snape, quando il mondo intero sembrava averlo abbandonato.

 

Quando Nymphadora Tonks irruppe nella stanza, Remus combatteva ancora, pallido, esausto, ma con una luce febbrile nello sguardo, il lume di una speranza che lei non gli aveva più visto da tanto.

«Dora!» Lui le sorrise, schivando l'ennesimo colpo. «Avevi ragione, sai?»

Lo sguardo di lei saettava dal marito a Dolohov. «Ragione?» gli chiese prudentemente, senza perdere di vista il Mangiamorte.

«Scegliere è possibile.»

Dora non potè evitare un moto d'impazienza. Non era proprio il momento per la morale…

«La Cerva, ti ricordi? Anche lui…anche lui… Ecco perché…Era incuriosito dal tuo Patronus, perché anche lui cambiò il suo. Per amore.» Remus si fermò. Non voleva che Dolohov capisse.

Ma Dora capì, e lo fissò con occhi lucidi, sebbene ancora increduli.

«È così, Dora. Non siamo soli. I nostri ragazzi non sono soli. È un mondo possibile… Dillo a nostro figlio, se mai io…»

 

I Ragazzi Dell'Arcobaleno.

 

Nella lunga notte di Hogwarts, i corpi dei ragazzi di oggi e di ieri giacevano immobili, come avvolti dal sonno, sotto il soffitto che sembrava un cielo stellato.

Remus e Dora riposavano l'uno accanto all'altra, le mani allacciate, e avevano la composta serenità di una coppia di sposi che ha iniziato un nuovo cammino insieme.

 

Lontano, nella Stamberga, l’uomo che aveva sempre camminato da solo, ora riposava in pace.

 

Ancora più lontano un bambino, una colorata anomalia, si agitava sul lettino, muovendo gambe e braccia come un piccolo nuotatore, e i suoi capelli cambiavano colore: rosso, azzurro, giallo come il sole.

 

 

FINE.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE: Ecco. Per ora ho finito, con le mie vecchie storie. La prossima sarà nuova, almeno spero.

L'idea su cui si basa questo racconto mi venne in mente subito dopo la lettura di Deathly Hallows, nell'estate 2007. Ma per qualche ragione non riuscivo a scriverlo, avevo scritto solo i "Tre Sogni", quelli che in un certo senso ricordano di più il mio solito stile. Ma c'erano lacune nella trama del libro che volevo colmare, e alla fine l’ho fatto, nel 2008. Ammetto che ci sono alcuni snodi poco plausibili nella mia storia, ma scriverla era diventato un vero impegno con me stessa, una necessità. E' un po' sentimentale, un po' retorica. Ma ne avevo bisogno.

 

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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

  
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