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Autore: Swindle    18/07/2010    6 recensioni
Finalmente la Cuddy ha avuto una bambina (come non è specificato), peccato che questa sia stata improvvisamente male, talmente tanto da essere un “caso da House”…
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Titolo: I know

Autore/data: Swindle
Beta-reader:
no
Tipologia:
one-shot
Rating:
verde
Genere: generale, introspettivo, drammatico
Personaggi:
Gregory House, Lisa Cuddy, Un po’ tutti
Pairing:
Huddy
Epoca:
periodo imprecisato dopo la 4^ serie
Avvertimenti:
niente spoiler, tutto inventato.
Riassunto:
Finalmente la Cuddy ha avuto una bambina (come non è specificato), peccato che questa sia stata improvvisamente male, talmente tanto da essere un “caso da House”…

 

 

 

 

.:I Know:.

 

 

La sta evitando.

Lo sa, se lo sente. E l’ha capito… anche se è distrutta, anche se non dorme da parecchie ore, ancora non è così stupida. Lui la sta evitando.

Sono passati tutti da lei, a dirle qualche parola, a farle qualche sorriso, a cercare di consolarla.

Ma sono tutti degli ipocriti.

Almeno lui rimane fedele a sé stesso.

Che pazzia, un minuto dopo aver pensato queste cose si dà della scema. Sta rimproverando quelli che le sono stati vicini, mentre invece dovrebbe rimproverare lui.

Perché lui la sta deliberatamente evitando.

E lei è lì, davanti a quella camera sterile, con gli occhi rossi, gonfi, è stanca, troppo stanca.

Guarda la sua bambina: dentro quella camera, è così sola, è così piccola, è così fragile…

La prima ad essere andata a trovarla è stata Cameron. Le è stata accanto, l’ha abbracciata, le ha detto che per qualsiasi cosa lei sarebbe stata lì. Lo sa, avrebbe dovuto ringraziarla, ma non ne ha avuto la forza.

Un accenno di sorriso, mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime, è stata l’unica cosa che sia riuscita a fare.

Lui invece non c’è mai andato.


 ***

 

Eppure è passato un giorno, un intero giorno da quando è lì, da quando hanno ricoverato la sua bambina… e lui non si è fatto vedere.

Mentre fissa dentro la camera, guardando amorevolmente, ma terrorizzata e agitata, la sua bambina, combatte fra l’istinto di cercare di partecipare anche lei alla diagnosi e la consapevolezza che non può, non in quelle condizioni, non ne è in grado…

Sono passati tutti a trovarla, a vedere come stava, come stava sua figlia, a sapere se aveva bisogno di aiuto. Tutti con quella pena dipinta sul volto, ne è grata a tutti, anche se non è riuscita a dimostrarlo.

Dopo Cameron erano passati Chase e Foreman, fuori da quella camera sterile, dove lei aspetta. Le hanno parlato gentilmente, sono stati comprensivi, si sono dimostrati buoni e disponibili per qualsiasi cosa. Ma lei ha leggermente negato con la testa: no, grazie, non ha bisogno di nulla.

L’unica cosa, o meglio, l’unica persona di cui ha veramente bisogno, la sta evitando.

Nelle prime ore del ricovero di sua figlia, quando ancora era solo piena di rabbia, era andata in giro per l’ospedale, affranta, arrabbiata, in lacrime, a cercarlo. Nel suo ufficio, nella sala conferenze, in bagno, nelle camere di qualche malato in coma, sul tetto… ma non l’aveva trovato da nessuna parte.

Semplicemente, lui non voleva vederla.

 

***

 

Si sente impotente.

L’unica cosa che può fare è stare lì, fuori da quella stanza del suo ospedale, e aspettare… e sperare.

Lei, lei che è il capo di tutto quello, non può far altro che guardare la sua bambina lottare fra la vita e la morte. Senza poter far nulla, senza poter aiutare: il suo giudizio sarebbe troppo compromesso, anzi, arrivati a quel punto dubita anche solo di averne uno.

Così continua a fissare sua figlia in quel lettino di quella camera, con il suo corpicino pieno di tutti quei tubi, che le sue conoscenze mediche sanno perfettamente spiegare, ma non vogliono accettare. Perché lei è così piccola… e come può avere, una bambina così piccola, tenera e bella una malattia del genere?

Era venuta anche Tredici. Aveva sempre pensato che quel medico fosse una strana donna. Non la giudicava certo per le sue tendenze sessuali, né per il fatto che fosse malata, ma… Non sapeva spiegarsi, ma le era sempre piaciuta. Era stata davvero gentile. Anche lei le aveva chiesto se avesse bisogno di qualcosa. Le aveva fatto capire che non ce n’era bisogno, l’aveva ringraziata al meglio che poteva per essersi preoccupata per lei, ed il suo sguardo era ritornato a vagare sulla figlia. Lei aveva capito, e se n’era andata.

Più passava il tempo e più si chiedeva perché lui non fosse lì, non le importava che le dicesse qualcosa, le sarebbe bastata anche solo una delle sue battute sarcastiche, cattive e pungenti, o anche solo la sua presenza, o la sua ombra…

Ma lui non era venuto. Lui non era lì, con lei. Avrebbe dovuto aspettarselo.

 

***

 

Quando non l’aveva trovato da nessuna parte ed aveva capito che lui lo stava facendo apposta, aveva dato di matto. Non aveva retto la situazione, la tensione, la paura. Era semplicemente scoppiata.

Aveva cominciato a urlare il suo nome per i corridoi, a sparare insulti rivolti a lui, a gridare chiedendogli perché non stesse facendo nulla per salvare la vita di sua figlia, a tremare dalla rabbia, a piangere disperatamente… finché non si era accasciata al suolo, stremata. E gli altri l’avevano consolata, o almeno avevano cercato di farlo, e l’avevano portata davanti a quella camera, su quelle sedie, lì dove si era stabilita fino a quel momento, senza più alzarsi, né bere, né mangiare.

E neanche a quel punto lui si era fatto vedere. Allora lei si era arresa.

Lui non voleva parlarle.

E lei era stufa di chiedersi il perché delle cose che lui faceva o non faceva.

Aveva alzato bandiera bianca e aveva spento il cervello per cercare di non capire a fondo cosa stesse succedendo alla sua bambina, per non pensare a lui.

Erano venuti addirittura Taub e Kutner, non pensava che quei due medici potessero rivelarsi così umani. Anche loro consolazioni, sorrisi, domande di circostanze, parole gentili… Tutte cose che oramai non le facevano più né caldo né freddo. Li aveva rassicurati e alla fine loro se n’erano andati.

Che strano… nessuno fra Cameron, Foreman, Chase, Tredici, Taub e Kutner le ha detto che sarebbe andato tutto bene, l’ha rassicurata anche sono dicendole qualche cavolata.

Non le hanno mentito, è vero, ma solo perché sanno quanto lei che il caso è difficile, che la sua bambina sta davvero male, che non sanno cosa possa avere.

Mentre ancora fissa sua figlia oltre i vetri della camera, stringe nelle mani un suo completino rosa, facendosi diventare le nocche bianche, e riprende a piangere…

Perché lei avrebbe davvero voluto quelle semplici parole: “Andrà tutto bene.”

Ma se nessuno di loro gliele ha dette, figurarsi lui…

E poi lui tanto la sta evitando, tanto non c’è.

 

***

 

Vede la sua bambina così lontana, così sperduta, piccola in quel lettino, e vorrebbe solo toccarla, solo prenderla in braccio, solo guardarla da vicino, solo stringerla a sé e dirle quanto la ama.

Ma non può.

Sospira, disperata, piangendo silenziosamente.

Dopo un po’ guarda l’orologio, abbandonando per un attimo il contatto visivo con sua figlia. Non mangia, non beve, né si alza da quella sedia da troppo tempo oramai, si sente stanca, tanto stanca, e non sa quanto possa reggere ancora.

Inclina leggermente la testa verso destra, appoggiandosi alla sua spalla, e si permette di toccargli la mano. Lui le stringe la sua, e lei si gode il suo tocco caldo, vorrebbe dirgli grazie, ma sa che non ha importanza, sa che lui sa cosa prova.

Già, perché lui, Wilson, le è stato accanto tutto quel tempo, fin dal momento in cui è entrata nell’ospedale, a notte fonda, terrorizzata e con sua figlia in crisi respiratoria fra le braccia.

Wilson è sempre stato lì con lei, al suo fianco, senza farle domande, senza cercare di farla parlare, senza dirle nulla, perché sapeva come lei stava, senza bisogno di chiederlo.

E lei gliene è infinitamente grata, perché la sola presenza dell’amico è riuscita a farla andare avanti. Sapere che lui è rimasto lì con lei per tutto quel tempo, le ha dato la sicurezza di essere protetta.

È un grande amico, lo ha sempre saputo. Wilson è stato con lei, ed è lì per lei, semplicemente.

E così nota la differenza con lui.

Wilson c’è, invece lui no.

 

***

 

E il tempo passa ancora, e lei rimane lì, con la testa appoggiata alla spalla di Wilson, con la mano intrecciata alla sua, con la sua paura e con il suo dolore.

Finché, ad un certo punto, sente Wilson stringere leggermente la sua mano.

Tira su la testa, guardandolo, confusa. Lui le sorride, e le fa un cenno verso la parte opposta.

Si volta, e guarda al fondo del corridoio.

Il suo cuore perde un colpo, perché lì, in piedi appoggiato al suo bastone, c’è lui.

Lei dovrebbe essere arrabbiata per come lui si è comportato, ma non può, perché non ci riesce, perché ha bisogno di lui.

Così Cuddy guarda House, e House guarda Cuddy.

E si fissano negli occhi.

Ora lui c’è.

 

***

 

Lisa percepisce appena Wilson alzarsi dalla sedia al suo fianco. Le passa vicino, le dà un rapido sorriso di incoraggiamento e si avvia. Quando passa di fianco ad House, lo guarda brevemente e gli dà una pacca sulla spalla, prima di allontanarsi.

Greg comincia ad avanzare, senza staccare lo sguardo da lei, con il bastone che ritmicamente colpisce il suolo.

E Lisa si ritrova a pensare che mai un altro suono le è sembrato così bello.

Si chiede perché provi queste cose, perché abbia così bisogno di lui, lui che sfrutta solo, non pensa a nessuno, non vuole nessuno, eppure lei, in quelle ventiquattr’ore, non ha fatto altro che pensare a quel maledetto rumore di quel maledetto bastone, sperando di sentirlo vicino a sè.

La sua mente è divisa, mentre cerca di capire cosa sia giusto e cosa no.

Ma quando le arriva ad un passo, smette di pensare.

« Ce ne hai messo di tempo. » dice Lisa con voce flebile, arrochita da tutte quelle ore di mutismo.

Greg la guarda « Ventiquattro ore. » ribatte, e la sua ironia, nota, è diminuita al punto che ora non se ne sente che una piccola punta.

« Perché? » chiede, arrabbiata, ma senza riuscire a fermare le lacrime che minacciano di ricominciare a scorrere.

Greg non risponde, la guarda ancora un  attimo negli occhi, e poi abbassa lo sguardo.

Lisa diventa furibonda: « Ma certo! » sbotta alzando un po’ la voce « Le tue stupide regole! Mai avvicinarsi tanto ad un paziente… si rischia di venire coinvolti troppo… »

Greg non risponde, continua a fissare il pavimento. Allora Lisa inizia a colpirlo al petto con i pugni chiusi, urlando: « Perché? » e piangendo disperatamente.

Greg non si difende, la lascia fare, finché un pugno particolarmente forte non gli toglie un po’ di equilibrio, e il suo bastone gli scivola di mano.

Mentre il bastone risuona a contatto con il suolo, Lisa ferma i suoi pugni, e si rannicchia contro il suo petto, afferrandogli la maglietta con le mani e nascondendo il viso fra esse.

Per qualche secondo non si sente altro che il pianto di Lisa soffocato contro il petto di Greg.

Ma poi lui fa una cosa che lei non si sarebbe mai aspettata: la abbraccia.

 

***

 

Lei si ritrova le sue braccia intorno alla sua vita, e, stupita, alza il viso rigato dalle lacrime verso di lui.

Lui la fissa negli occhi ed accenna ad un sorriso: « L’ho fatto » inizia a dire « perché non volevo arrivare esattamente qui dove sono ora. »

Non prende bene quelle parole, la sta solo prendendo in giro, come al solito.

Cerca di svincolarsi dal suo abbraccio, guardandolo male, ma lui la trattiene, stringendola fra le sue braccia.

« Mi dispiace. » le sussurra Greg.

Lisa si blocca, sbarra gli occhi e apre la bocca, sorpresa dalle sue scuse, mentre si rende conto di non aver capito nulla: ha agito così non perché non gliene fregasse nulla di lei, ma perché aveva paura di poter sbagliare, se solo l’avesse incontrata e visto il suo dolore.

All’improvviso Lisa sente un gran calore, che parte dal suo abbraccio e dalle sue parole e che le scalda il cuore.

Nasconde la testa nel suo petto, chiudendo gli occhi e beandosi del suo abbraccio. Sente il cuore di lui battere regolarmente, sente il suo respiro tranquillo. Grazie a questo Lisa smette di piangere, riprendendo una respirazione normale, all’unisono con la sua, mentre lui le accarezza gentilmente la schiena con una mano, e le appoggia il mento sulla testa, con delicatezza.

Lisa non sa per quanto stanno così, sa solo che si sente profondamente in pace. Ma poi il suo cervello richiede risposte, così gli chiede, confusa: « E allora perché sei qui, ora? »

Greg esita un attimo, prima di sussurrare in risposta: « Perché non potevo andare avanti nel mio proposito. »

Lisa gli sorride, ed incredibilmente anche lui lo fa, lo fa con un sorriso sincero, bello come non avrebbe mai sospettato. E, anche se lui non lo sa, a lei basterebbe così.

Ma Greg va avanti: « Andrà tutto bene, vedrai. Farò del mio meglio. »

E a quelle parole il suo cuore sembra scoppiare di gioia.

Lì, soli in mezzo a quel corridoio, mentre si abbassa leggermente stringendola ancora fra le sue braccia e lei si alza un po’ sulle punte, Lisa non si può impedire di pensare di aver finalmente capito: ha bisogno di lui perché anche lui ha bisogno di lei.

« Lo so. » gli risponde semplicemente, prima che le loro labbra si incontrino in un dolce bacio.

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

N.B.:  Qui di seguito risponderò a tutte le recensioni che mi verranno fatte, aggiornerò di volta in volta. Rika ^^

@Melmon: devo ammettere che in realtà questa fic è fin troppo romantica per i miei parametri. Ma non so, all’epoca mi è uscita così, e credo che resterà così. Sono contenta che ti abbia colpito… Mi fa sempre piacere sapere i pensieri che vengono a chi legge una mia storia! Grazie per i complimenti e per quest’analisi così accurata! =D

@MmeHuddy: Guarda, a dire la verità al padre proprio non ho pensato... insomma, una cosa per la serie "è la cicogna che porta i bambini"! xD Ad ogni modo sono d'accordo con te... House è decisamente perfetto come padre! Ahah! Grazie! =)

@Nike87: Non puoi che rendermi felice dicendo queste cose! ^^ E' vero, ultimamente c'è troppo Huddy... però questa fic io l'ho scritta qualche anno fa... quindi non è colpa mia! xD Ecco, appunto quando ho scritto questa fic negli U.S.A. c'era la quarta serie, che io seguivo... e all'epoca, soprattutto all'inizio, le personalità di personaggi come Taub e Kutner non erano ben definite, per questo ho fatto dire a Cuddy che è sorpresa di vederli così! Anch'io, purtroppo, sono particolarmente esperta di problemi respiratori... quello che volevo dire era che la crisi respiratoria era stata l'inizio del problema, poi peggiorato in qualcosa di ben più grave (come tutti i casi "da House"). Ad ogni modo forse hai ragione tu, avrei dovuto specificarlo, ma il fatto è che non sono un medico, quindi non sono esperta di malattie, perciò ho preferito restare sul "vago"... e comunque la malattia non è certo il vero centro di questa fic! xD Grazie davvero! ^.^

@huddy4e: Grazie! Ho sempre paura di esagerare... in un senso o nell'altro! =)


  
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