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Autore: KatNbdwife    21/07/2010    2 recensioni
In "Dopo di te" Lea e Bill si sono conosciuti, amati, lasciati. Ora come vivranno il resto della loro vita lontani?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ti sei deciso?” chiese Tom al gemello, uscendo dal bagno “Io ho fame, Bill. Quindi uscirò con o senza te” continuò scocciato. Non voleva essere duro con lui, ma lo stava davvero mandando fuori dai gangheri. Odiava vederlo ciondolare per casa senza meta, incrociare i suoi occhi spenti, sentirlo parlare piano, come se usare la voce gli costasse fatica. Cercava in tutti i modi di spronarlo, anche a costo di sembrare scortese e scostante.
“Tom, abbiamo una cucina, lo sai?” rispose Bill, risentito.
“Non ho voglia di mettermi a cucinare, Bill! Ho voglia di uscire, di prendere un po’ d’aria, di mangiare qualcosa di estremamente unto e ipercalorico. Dai, alzati da quella poltrona e vestiti”
“Non ho voglia, Tom. Fuori si gela”
“Vaffanculo, allora. Ci vado da solo” rispose, secco, dirigendosi verso la porta.
“Sei scemo?” la voce di Bill gli giunse forte e chiara. Il rasta tornò indietro e si piazzò di fronte al fratello “No, tu sei scemo! Te ne stai lì, come un morto vivente! Sembri un’ameba”
“Oh, che paroloni che usa il fratello” commentò Bill facendogli il verso “Ma che cavolo vuoi? Vai a mangiare quello che ti pare, esci con Georg, fai quel che ti pare ma non rompermi le palle, Tom!”
“Sei patetico” dalla labbra di Tom quelle parole uscirono in un sussurro, ma Bill le capì ugualmente.
“Scusa?”
“Sei patetico, Bill. E tutto per una ragazza!”
“Forse non mi sono spiegato bene” tuonò Bill, alzandosi e piantandosi le mani sui fianchi “Io non ho nulla che non vada e non ho intenzione di ripeterti per l’ennesima volta che lei non c’entra nulla!”
“Lei” sbuffò Tom “Non pronunci il suo nome da mesi. E poi vuoi farmi credere che non ha nulla a che vedere con questa storia? Se ti manca così tanto, va’ da lei, fai qualcosa! Basta che non te ne stai lì, immobile come una statua! A volte ho l’impressione di avere in casa un pezzo del Madame Tussaud”
“Spiritoso. Resta il fatto che lei non c’entra. Sono solo stanco e desideroso di passare il mio mese di vacanza in pace, in casa mia. Non ti basta la vita che facciamo undici mesi all’anno?”
“No. Ho 19 anni e voglio godermeli fino a che posso. Sperando di non incontrare una che mi riduca come te” rispose, sprezzante.
Era necessario, si diceva Tom, metterlo di fronte a questa situazione. Forse avrebbero litigato, ma quantomeno ne avrebbero discusso, anziché celare la storia dietro un pesante silenzio.
“Non riesco a capire cosa ti dia così tanto fastidio. Perché parli così, Tom?”
“Perché non puoi impazzire dietro ad una storia finita. Avevi detto che era tutto risolto, che avevi accettato il fatto che se ne fosse andata, che avevi capito la sua decisione. Ne abbiamo parlato per un giorno intero, ti ricordi? Mi hai detto che era tutto a posto. Mentivi, quindi”
“No, non ti ho mentito. E’ tutto a posto. Sento la sua mancanza, ma non mi sto distruggendo per lei. La vita va avanti lo stesso”
“Non mi pare proprio” commentò il rasta, di rimando.
“Allora non so che altro dire!”
“Che vieni con me e Georg, questa sera. Mi basta. Voglio vederti fuori di qui”
“Va bene” si arrese Bill “Verrò con te e Hagen, basta che non continui a menarla con questa storia!”
“Promesso. E adesso, vieni con me a pranzo, dai”

Bill sorrise al fratello, che nonostante i suoi modi bruschi, era comunque la cosa più cara che avesse al mondo. Oltre a lei.

**

Alle 22.00, Georg parcheggiò l’auto sotto casa dei gemelli, diede un colpo di clacson come da accordi e aspettò che i ragazzi scendessero. Il locale distava solo pochi minuti da lì, era carino, di recente apertura, discreto e alcuni amici che ci erano già stati gli avevano detto che i cocktail erano ottimi.
Tom fece capolino dal cancello per primo, seguito da un cupo Bill. Salirono in macchina e Georg partì sgommando.

“Andreas non viene?” chiese il bassista.
“No, non aveva voglia di uscire, esattamente come mio fratello” scherzò Tom, voltandosi per guardare Bill che sedeva dietro e che alzò il dito medio.
“Dai Bill, mi hanno detto che è un posto molto carino”
“Non preoccuparti Georg, è un Kaulizt! Qualcosa da me, avrà pur preso! Si divertirà”
“Io sono qui, nel caso non ve ne foste accorti” disse Bill, facendo ridere i due ragazzi.

Arrivarono al locale ed entrarono pieni di energia, tranne Bill, che stava cercando qualcosa in borsa, la sua fedele borsa nera. All’ingresso li riconobbero subito e li fecero passare senza fare la fila, come il resto dei comuni mortali. Vennero scortati fino ad un tavolo e fu loro servito da bere da una prosperosa cameriera dai corti capelli rossi.

“Cosa stai cercando in quella borsa?” chiese Tom al gemello, mentre Georg si guardava in giro.
“Il telefono, cazzo. L’ho lasciato a casa, devo andare a prenderlo” disse Bill, alzandosi ed uscendo.
“Ma dove vai?” gli urlò dietro il gemello. Bill aveva quasi raggiunto la porta.
“Aspettami Ge, arrivo subito” Tom si alzò e seguì il gemello, che ormai era in strada e si stava avviando verso casa, a piedi.
“Bill!” Tom gli corse dietro e lo raggiunse “Ma che cavolo fai? Ho io il cellulare, ammesso che ci serva”
“No, devo prendere il mio” rispose Bill, continuando a camminare.
“Cosa ti interessa del telefono?”
“Potrebbe chiamare” disse Bill, tutto d’un fiato.

Il locale era ormai parecchi metri dietro alle loro spalle, Bill camminava velocemente, a grandi passi.
“Fermati” Tom lo prese per un braccio “Torniamo indietro”
“No, devo prendere il telefono. Tu vai, io arrivo subito”
“No! Lei non ti chiamerà, Bill. E’ andata via”

Bill fece ancora qualche passo, poi si fermò. Tom era dietro di lui, in silenzio.

“Bill basta, lei non ti chiamerà” ripeté il rasta.
“Non puoi saperlo, devo prendere il mio cellulare”
“Vai allora! Fai quel cazzo che vuoi, mi pare di avere già sprecato troppo fiato per questa faccenda!” tuonò Tom. Bill non riuscì a contenersi ed esplose: “Lei potrebbe chiamare! Tu non capisci, Tom!”
“Cosa non capisco, eh? Non capisco il fatto che stai impazzendo per una persona? No, non lo capisco! Non puoi, capisci? Non puoi!” disse Tom, gesticolando vistosamente, per poi continuare “Lei si è già scordata di te, ne sono certo! E tu dovresti fare altrettanto!” poi scrollò le spalle e tornò indietro, verso il locale, lasciando il gemello solo, in mezzo al marciapiede.
Bill riprese a camminare e raggiunse casa, vi entrò sbattendo prima la porta del cancello e poi quella di casa, corse in stanza e afferrò il cellulare, appoggiato sul comodino. Guardò il display: nulla. Non una chiamata, non un messaggio. Niente di niente. Con rabbia, lo scaraventò contro il muro, imprecando.

Lei non lo avrebbe richiamato, non sentiva la sua mancanza, si era già dimenticata di Parigi, di quello che si erano detti in aeroporto, si era dimenticata di lui.
Sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma le ricacciò indietro: un uomo non piange mai, pensò.

Sedette sul letto e ricordò cosa aveva provato quando avevano dormito insieme la prima volta, a quanto fosse stato dannatamente emozionante essere il suo primo amore, il primo ad accarezzare la sua pelle, ad assaggiare le sue labbra, a sentire il profumo del suo corpo. L’aveva sentita così vicino, per un attimo aveva pensato di aver trovato davvero la ragazza giusta, quella con la quale poter condividere tutto, dal dentifricio al letto.
Di nuovo, gli occhi presero a bruciargli. Dopo mesi e mesi di repressione, decise di lasciar scorrere quelle benedette lacrime. Affanculo gli uomini che non piangono.
Con la testa fra le mani, diede sfogo a tutta la desolazione e la tristezza che gli soffocavano il cuore da quando lei era partita.
Piangeva raramente: si era commosso con un paio di film, aveva pianto dopo il primo concerto per l’emozione, si era emozionato quando aveva cantato, per la prima volta in pubblico, “In die Nacht” ma a parte queste brevi parentesi, non ricordava di aver mai avuto così tanto bisogno di sciogliersi in un bagno di lacrime amare.
Come poteva pensare di scordarsela? Aveva sottovalutato la potenza del suo sentimento, credendo erroneamente di riuscire a vivere senza di lei, sperando di colmare quel vuoto con gli impegni della sua professione ma soldi e fama non gli avrebbero mai dato quello che gli aveva regalato lei con un solo sorriso.

**

“Phil, sei pronto?”

Lea aspettava il nipote, in piedi di fronte alla porta di casa. L’avrebbe accompagnato dalla nonna e poi sarebbe andata a lavorare, come sempre. Il bambino arrivò poco dopo, trotterellando, con il suo zainetto sulle spalle e in mano la sua valigetta dei colori.

“Hai preso tutto?” chiese Lea, dolcemente.
“Sì zia” cinguettò il piccolo.

Lea lo abbracciò affettuosamente, poi uscirono di casa e salirono in macchina. In venti minuti Lea era già al locale. La casa della madre era di strada e aveva anche fatto in tempo a fermarsi da lei per un veloce saluto. Dopo Parigi, erano cambiati i rapporti: Lea aveva trovato il coraggio di essere sincera con lei e, forse, anche un po’ più tenera. Varcò la soglia del posto di lavoro sorridendo: quante cose erano cambiate dopo di lui, grazie a lui, senza di lui. Così come la morfologia di un deserto cambia dopo una tempesta di sabbia, allo stesso modo era cambiata la sua vita. Dove prima c’erano dune invalicabili, adesso il terreno era piatto ed era più semplice attraversare la via senza interruzioni. Anche se, doveva ammetterlo, un cammino solitario era, seppur facile, sempre solitario.

“Lea, buonasera!” la salutò Tino, il suo datore di lavoro, nonché proprietari, nonché simile ad un padre per lei.
“Ciao Tino!” rispose Lea.
“Tesoro, ho una sorpresa per te” iniziò Tino, avvicinandosi a lei “Miriam si è licenziata”
“E sarebbe una sorpresa?” chiese Lea, perplessa.
“Beh dai, non puoi nasconderlo. Non era propriamente la tua migliore amica, se non sbaglio”
“No, non lo era” rispose Lea “Ma ormai avevo imparato a conoscerla”

Dopo Bill, anche la rabbia e il disappunto si erano affievoliti, in lei, facendo prevalere la tenerezza e la comprensione. Di conseguenza, anche Miriam non era più un problema. Anzi, dopo Parigi si era ripromessa di provare a parlarci, in maniera schietta, in modo da riuscir a trovare un punto d’incontro. Ma in quei tre mesi non aveva ancora trovato il giorno giusto e ora lei se ne era andata.

“Ma c’è anche un’altra novità” continuò Tino “Vieni”

Lea lo seguì fino al bancone, dietro al quale stava un ragazzo magro e molto alto, con i capelli neri, lisci, che gli sfioravano appena le spalle. Tino lo chiamò e quando lui si voltò, Lea per poco non svenne. I suoi occhi. Era impossibile, non poteva essere lui.

“Lea, questo è Luca”
“Ciao” balbettò Lea.
“E’ il tuo nuovo collega, sono sicuro che andrete d’accordo”

Lea lo osservò meglio. I lineamenti del viso erano più marcati di quelli di Bill, ma gli occhi… gli occhi erano identici. Nemmeno Tom aveva degli occhi così simili ai suoi.
La tonalità, il taglio, la luce: identici. Stessi identici occhi.

Presa a squadrarlo, non si accorse della mano che il ragazzo le stava porgendo.

“Scusa” balbettò nuovamente, dandogli la mano “Piacere, Lea”
“Luca” sorrise il ragazzo “Spero di non fare danni. Sai, è la prima volta che lavoro in un locale”
“Lea ti spiegherà tutti i dettagli che io ho trascurato, non preoccuparti” si intromise Tino “Non è difficile e lei è un’ottima maestra”

Luca sorrise, di rimando e Lea sussultò: aveva di fronte a sé gli occhi di Bill.

**

Eccoci al secondo capitolo!
Rinnovo i ringraziamenti a tutte le lettrici e a coloro che commentano, grazie! *_*
Vi ricordo, anche se l'ho già detto, che la storia è stata scritta nel 2008 quindi età e look dei gemelli sono "vecchi" xD
(Ok, ammetto che stare dietro ai cambi di look di Bill non è comunque semplice xD)
Alla prossima! :)
Kate
   
 
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