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Autore: _AlexeTK    21/07/2010    2 recensioni
Alexe era una semplice ragazza con un grande sogno: incontrare i Tokio Hotel, la sua band preferita, e soprattutto Tom Kaulitz, il chitarrista noto per le sue One-night-stand. La fragile ragazza riuscirà nel suo intento, ma poi scoprirà che a volte i sogni sono meravigliosi proprio perché sono tali. La sua vita verrà stravolta completamente, ed infine Alexe troverà la pace che tanto aspettava.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appena mi svegliai, senza aprire gli occhi, cercai con la mia la sua mano.
La trovai subito, era ancora lì accanto a me, che dormiva tranquillo.
Ancora con gli occhi chiusi, cominciai ad accarezzare la pelle calda e liscia della sua mano, assaporando il suo profumo, che ancora mi sentivo addosso.

Poi la mano si mosse, si era svegliato anche Lui.
Aprii gli occhi e lo vidi fissarmi dolcemente con i suoi grandi occhi nocciola.
Quando si accorse che anche io lo stavo guardando, mi sorrise adorabilmente.
La sua mano si sfilò da sotto la mia, che posò sul suo vellutato ventre, e sfiorò la mia guancia con le dita.

Brividi si sparsero per tutto il mio corpo.

Posò la mano sulla mia schiena e mi spinse verso di sé, in modo che poggiassi la testa sul suo petto.
Da lì potevo sentire i suoi polmoni gonfiarsi e sgonfiarsi regolarmente e ascoltare i fermi battiti del suo cuore, mentre le sue dita si intrecciavano soavemente ai miei capelli.
Avrei dato l’anima per poter cliccare sul tasto Stop e rimanere in quell’istante per tutta l’eternità.
Invece sentivo forte e chiaro il ticchettio dell’orologio appeso alla parete e scandiva distintamente ogni secondo, che mi portava sempre più vicina all’ora dell’addio.

Restammo così, in silenzio, talmente a lungo che persi la cognizione del tempo, concentrata com’ero sui battiti del suo cuore.

Improvvisamente squillò un cellulare, il suo cellulare.
-Pronto? … Ah, okay. … Arrivo.

Quelle poche parole, pronunciate con poca enfasi, bastarono per provocare in me un’orda di forti emozioni.
Paura.
Delusione.
Un accenno di speranza.
Poi di nuovo delusione.
Profonda delusione.

Continuai a fissarlo con gli occhi lucidi per un tempo indeterminato.
Quando poi divenni incapace di trattenere le lacrime, abbassai lo sguardo.
Il suo petto si mosse sotto di me, e fui costretta ad alzarmi.
Ma il mio braccio cedette, e allora il mio petto venne straziato dai singhiozzi.
Sapevo esattamente ciò che avrei dovuto fare, cosa Lui si aspettava che facessi.
Eppure non ce la facevo.
Non potevo andarmene così, sapendo di essere stata usata come una qualunque.

Lui non fece una piega, si alzò e si vestì, proprio come se io non fossi nel suo letto, come se io non esistessi.

Tutta quella dolcezza della notte appena trascorsa, quelle parole che mi aveva sussurrato all’orecchio dopo aver fatto l’amore, erano state solo un metodo per non farmi andar via subito.
-È stato diverso, con te. È stata la mia volta più bella…

Bugie, ecco cosa erano. Solo sporche bugie.
L’amore lasciò il posto all’odio, che mi servì su un piatto d’argento la forza di cui avevo tanto bisogno per reagire.
Raccolsi i miei vestiti da terra, li indossai più velocemente possibile e mi voltai verso di Lui.

Lo fissai, e tutto il rancore che ero riuscita ad accumulare raschiando nel mio cuore svanì, si perse appena vidi i suoi ammalianti occhi.
Aveva indossato i jeans, ma non ancora la maglietta e mi guardava con espressione interrogativa.

-Io vado, addio.
Pronunciai queste parole cercando di rimanere impassibile, mentre dal profondo del mio sentivo il bisogno di sbattergli in faccia la realtà; tutti i miei sentimenti e le mie emozioni.

-No, non andare via così. Dammi almeno il tuo numero e ti chiamerò appena poso!
Sarei stata capace di fare l’impossibile in quel momento, solamente per sentirmelo dire.

Invece delle sue labbra uscì solamente un lieve:
-Okay, allora addio.
Non mi guardò neppure in faccia, dicendomelo.

Uscii dalla stanza senza dare alle lacrime il tempo di rigare il mio volto, sbattei la porta con violenza e scappai letteralmente dall’hotel.

Sarebbe stato meglio morire che fuggire così, avrebbe fatto meno male.
Camminai dilaniata dalle lacrime per una buona mezz’ora, fino a trovare delle scalette, dove mi abbandonai completamente priva di forze.

Fu allora che venni totalmente sommersa dal rimorso e dal pentimento.
Se non fossi andata con Lui, ora sarei a casa, sul mio letto.
Magari starei soffrendo comunque, ma non in questo modo atroce.
Invece ho deciso di andare, mi sono annientata da sola, con le mie stesse mani, che ora non fanno altro che stringersi fino a far penetrare le unghie nella carne.
Se ora del mio cuore ne è rimasta solo polvere, la colpa è solo mia e del mio fottuto sogno.

***

Infilai le chiavi nella serratura del portone e lo aprii.
Salii i quattro scalini di marmo e controllai la cassetta delle lettere.
Era piena, come al solito.
C’erano vari volantini pubblicitari, una cartolina e due lettere.
Salii le scale frettolosamente ed entrai in casa.
Una volta essermi chiusa la porta alle spalle, tolsi le scarpe e mi buttai sul letto, a gambe incrociate.

Lasciai i volantini dai colori vivaci della nuova gelateria cadere svolazzando sul parquet, e presi in mano la cartolina.
Erano i miei genitori che mi scrivevano da Parigi, dove erano andati in vacanza da dieci giorni, lasciandomi a casa tutta sola.
Qualche tempo prima avrei pensato, “Casa libera, tutta vita!”.
Invece no, “Casa libera, tutta depressione.”
Ma il brutto era che ormai mi ero arresa, avevo smesso di combattere e deposto le armi. Non stavo facendo assolutamente nulla per ritrovare la mia felicità, forse perché pensavo che ormai questa mia vita non aveva più un senso.

Una lacrima cadde pesante sulla cartolina, impregnando la carta del nero eye liner.
Rimasi a fissare il nero propagarsi estendersi sulla cartolina, da una piccola macchia divenne un enorme buco nero.

Il mio cuore aveva bisogno di urlare, ma lo ignorai.

Posai la cartolina e passai alla prima lettera; un estratto conto della posta, se ne sarebbero occupati i miei al loro ritorno.

Allora presi la seconda, cercai ostinatamente una scritta o un segno sulla busta, ma niente.
Era interamente bianca, non c’era neanche un francobollo.
Fui subito presa dal panico e dalla smania di sapere cosa ci fossa in quella misteriosa confezione bianca.
Senza pensarci due volte la aprii e ne tirai fuori un foglio a righe.
La grafia mi sembrò in qualche modo familiare, ma non la riconobbi all’istante.
Agitata ed esterrefatta, la lessi tutta d’un fiato.

“Cara Alexe,a dire la verità non so se questa lettera ti arriverà mai, ma se accadrà, so perfettamente che non avrai la più pallida idea di chi io sia. Penso che sia ora però di svelarti questo mistero. Ci siamo conosciuti qualche mese fa, abbiamo trascorso poche ore insieme, ma so per certo che ti ricordi di me. Ti notai subito, in discoteca, e quando tu mi dicesti di essere una mia fan … beh, fu davvero un colpo al cuore. Quella notte ti dissi cose che forse avrei fatto meglio a tenere per me, ma erano tutte vere. Fu davvero bellissimo, speciale, straordinario, impareggiabile. Da quella notte sei entrata nella mia testa, e non ne sei più uscita. Ho cercato di dimenticarti in tutti i modi possibili, ma, come puoi aver già intuito, non ci sono riuscito. Ti ho lasciata andare, mentre avrei dovuto fermarti. Non l’ho fatto perché la mia vita non mi permette di avere una vita privata, non posso impegnarmi con qualcuna, la farei soffrire troppo. Prima di scriverti, ci ho pensato a lungo, ma infine sono riuscito ad ammettere ciò che sapevo sin dal tuo primo sguardo. Per la prima volta nella mia vita, mi sono innamorato, e la sfortunata sei tu. Forse dicendoti questo ho sconvolto la tua vita, ma non potevo più riuscire a tenermi tutto dentro, lo urlerei al mondo intero, che ti amo. Probabilmente non mi vorrai più vedere, ma in caso contrario, ti sto aspettando in piazza, sarò qui fino alle 17. Se non verrai non ti disturberò mai più.
Sperando davvero che tu venga,
Tom.”

Non finii neanche di leggere che mi alzai in piedi, con il volto invaso da calde e delicate lacrime.
Presi le chiavi di casa e corsi più veloce che potevo.

Arrivai in piazza, ma non lo vidi.

Il mio cuore perse un battito.

Controllai e ricontrollai l’orologio. Erano le 16.30, e Lui già se n’era andato.
La gioia divenne disperazione, che si fece sempre più acuta, divorandomi lentamente dall’interno.
Raggiunsi miracolosamente la panchina più vicina e mi ci accasciai.

Respirai il suo profumo.

Due erano le cose, o stavo impazzendo, o Lui era stato su quella panchina.
Cercai di trattenere i singhiozzi, e odorai di nuovo l’aria, bramosa di quel profumo.

Le mie mani cedettero, facendo cadere a terra la lettera, l’unica cosa che avevo di Lui.
Ma in fondo anche quella era una bugia, una promessa non mantenuta.
Non cercai neanche di riprenderla, desiderai che l’asfalto la inghiottisse.
Desiderai aver stracciato quella lettera ancora prima di aprirla, pochi minuti prima.

Sentii dei passi alle mie spalle. Qualcuno mi aveva vista e voleva accertarsi della mia incolumità, mi dissi.
Vidi una mano allungarsi ad afferrare la lettera.

Ci fu qualche istante di silenzio, rotto dai miei singhiozzi.

-Ei …
Qualcuno si sedette accanto a me.
Mi sollevò il volto con un dito, in modo che lo guardassi.
- Sono io. Sono qui. Non fare così.

Non capii più niente.

Lo guardai negli occhi, quegli occhi nocciola che mi avevano trafitto il cuore già in passato.
Le lacrime sgorgarono sempre più copiose dai miei occhi rossi e lucidi, e mi costrinsero ad abbassare lo sguardo, non potevo farmi vedere così, non volevo.

Mi accarezzò i capelli, continuando a ripetere:
-Sono qui, non piangere … non piangere …
Sollevai il capo, e vidi una lacrima accarezzare dolcemente quei lineamenti perfetti.
Mi avvicinai lentamente, fino a che le nostre labbra non si incontrarono in un bacio dolcemente struggente e salato come le nostre lacrime.

Avvertii le sue labbra dividersi dalle mie.
-Ti amo.
Mi disse con dolcezza. Sorridendo tra le lacrime.
-Dillo ancora.
-Ti amo!
-Più forte.
-Ti AMO!

Il suo urlo si levò forte da quella panchina, e si espanse nello spazio.
Aveva urlato al mondo che mi amava. Ora lo sapeva l’intero universo.


   
 
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