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Autore: Sara_S16    21/07/2010    1 recensioni
Soggetto: ragazza di diciassette anni. Sintomo: una vita monotona. Possibile rimedio: un black out e senso dell'umorismo. Buona lettura!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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6.30 di un martedì come tanti altri. Come tutte le mattine, da diciassette anni a quella parte, Tamara venne svegliata dal bacio della madre. Non era mai stata un tipo mattutino. Adorava dormire fino a tardi. Questa sua grande “passione” era motivo di scontro con la madre praticamente tutte le estati. Lei cercava ogni anno, in vano di convincerla che dormire era uno spreco di tempo. Ripeteva continuamente: “Tamara tutte le ore che passi dormendo sono tempo sprecato che potresti impiegare per fare qualcosa di diverso.” La risposta della figlia era pressoché sempre la stessa: “Mamma quando troverò un modo migliore per me di trascorrere le mattinate sarai la prima a saperlo”. Di solito seguiva un sorriso ironico. Quel sorriso lo aveva di certo ereditato dal padre. Comunque per il resto dell'anno riusciva a svegliarsi senza troppi problemi. Andare a scuola non lo considerava un obbligo. E in effetti non lo era. Dopo i sedici anni si era liberi di scegliere se continuare oppure no. Lei non aveva aspettato sedici anni per prendere quella decisione e questo era chiaro visto che frequentava il liceo scientifico. Almeno per lei lo era. Ma c'erano diversi tipi di studenti: alcuni sceglievano l'istituto “consigliati” dai genitori, altri semplicemente seguivano le orme di fratelli più grandi, per altri ancora la scelta era casuale. Ma Tamara non rientrava in nessuna di queste categorie. I suoi genitori le avevano lasciato libera scelta, e sarebbe comunque stato difficile per loro imporle quella che lei considerava una decisione importante. Non aveva orme da seguire essendo la più grande di tre figli e le sue decisioni non erano mai casuali. Non era una persona impulsiva, ma era una di quella che prima di fare qualsiasi cosa calcola pro e contro. Aveva scelto il liceo scientifico sopratutto perché voleva avere una preparazione solida per l'università. A quattordici anni aveva già le idee chiare e da allora non aveva mai pensato a delle alternative che stravolgessero totalmente i suoi piani, così come capitava alla maggior parte dei suoi coetanei. A dire la verità i suoi progetti erano rimasti sempre quelli: impegnarsi per diplomarsi con un ottimo punteggio, frequentare l'università lontano da casa, diventare una donna in carriera. Forse gli unici dubbi riguardavano la scelta dell'università, era propensa per scienze delle comunicazioni ma stava prendendo in considerazione anche medicina. Si sentiva in ansia per non aver ancora preso una decisione definitiva. Essere confusa non era da lei, e non le piaceva affatto. Su una cosa non aveva alcun dubbio: l'università sarebbe stata molto lontano da casa. Voleva diventare indipendente, andare in un posto nuovo e cavarsela da sola senza il continuo supporto dei suoi genitori. Certo questo non poteva avvenire da un giorno all'altro ma gradualmente avrebbe acquistato la sua indipendenza. La sua voglia di ricominciare da qualche altra parte era dovuta soprattutto al fatto che quel periodo della sua vita non le piaceva. Sentiva che le mancava qualcosa, non era soddisfatta e sapeva che da qualche parte c'era qualcosa di meglio che l'aspettava. Doveva solo trovarla.

Quel martedì però l'unica cosa che doveva trovare era la forza di volontà per affrontare le prime due ore di latino. Alle 8.15 erano tutti in aula. Mai come il martedì la puntualità era d'obbligo. Tamara sedeva al terzo banco della fila centrale, da lì copiare non era impossibile. La sua compagna di banco, non che sua migliora amica, era la stessa da 4 anni. Conosceva Rebecca fin dalle scuole medie, anche se per i primi due anni non poterono certo considerarsi amiche del cuore. Per definire l'inizio di questa amicizia non avrebbe di certo usato l'espressione “colpo di fulmine”. Il rapporto si era trasformato gradualmente e questo aveva dato ad entrambe la possibilità di conoscersi a fondo prima di considerarsi amiche, nel vero senso della parola. Del resto non sarebbe potuto essere diverso trattandosi di Tamara. Conoscere Rebecca non era un impresa diffcile: era estroversa e confidarsi con le persone le riusciva abbastanza facile, in modo particolare con lei che era sempre pronta ad ascoltarla. Ma Tamara non era Rebecca. Le risultava difficile anche aprirsi totalmente con quella che considerava la sua migliore amica. Mostrarsi felice non era un problema, gli intoppi nascevano quando le cose non andavo bene, quando si sentiva triste e confidarsi significava apparire vulnerabile. Non sopportava che gli altri la vedessero così. Le persone che la conoscevano erano abituate a vederla sorridente. Non era certo il tipo da coccole e parole sdolcinate, anzi a primo impatto risultava spesso acida, ma conoscendola meglio si poteva apprezzare il suo senso dell'umorismo. Per sua sfortuna la maggior parte dei suoi coetanei era superficiale e abituata ad etichettare le persone con troppa facilità. Questo non era di certo un punto a suo favore. Almeno però non le veniva difficile apparire allegra anche quando non lo era. Erano in pochi quelli che potevano sgamarla, tra questi Rebecca, se non fosse stata una persona così poco attenta ai particolari.

Come gli altri giorni alle 14.00 suonò la campanella.

  
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