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Autore: AngelMary McCartney    22/07/2010    1 recensioni
Piccola one-shot sulla vita ed il suo corso. Un giorno un signore decide di portare la figlia in campagna, in mezzo alla natura. La ragazza non vuole, ma è possibile che un piccolo viaggio si trasformi in una lezione di vita? Che una piccola gita familiare diventi l'intento di un padre per far comprendere alla figlia l'essenziale della vita e la cosa più importante? Forse la trama è un po' banale, ma cercate di capirmi. E' la prima fanfic originale che creo. Perdonate la banalità del titolo, ma non mi veniva in mente altro. Buona lettura. Mi raccomando, scrivete qualche recensione. :) Angy^-^
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Viaggio

Ho creato questa one-shot per caso, grazie ad un lavoro di antologia. La consegna era totalmente diversa da ciò che ne è uscito, ma non importa. Spero che vi piaccia, perché ha un significato molto profondo. Buona lettura a tutti voi. Baci, Angy^-^.
Ps: ci tengo a dire che ciò che ho scritto è interamente frutto della mia fantasia e ogni riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Se sto commettendo un plagio, cosa che ritengo improbabile, vi posso assicurare che è del tutto a mia insaputa.
Pps: se qualcuno di voi volesse fare qualche commentino, sappiate che tutto sarà gradito, ovviamente anche delle critiche costruttive. Quindi, aspetto tanto recensioni. Ancora una volta, buona lettura.

Dovevamo partire. Non sapevo dove, come e neanche perché. Mio padre si era girato e aveva detto << Partiamo >> . Boh! Una persona non decide di punto in bianco di partire. Non è una cosa normale! Ma in fondo l'ho sempre saputo che mio padre non lo ha mai conosciuto questo aggettivo. E così, non senza musi, urla, litigi, mi ero ritrovata a fare le valigie. Massimo due giorni. Un bagaglio leggero. L'indomani babbo li avrebbe caricati, i suoi e i miei e saremmo partiti. Voleva evidentemente approfittare del sabato, uno dei rari giorni nei quali non lavorava e io non andavo a scuola. Così il venerdì sera andai a dormire pensando a cosa avremmo fatto il giorno dopo. Chiusi gli occhi e già la mia sveglia spacca timpani rossa mi avvisava che era arrivata l'ora di andare. In meno di un'ora eravamo pronti sull'auto vecchia e decrepita di babbo.
<< Ti divertirai >> tentò di rassicurarmi con il suo solito sorriso che mi riscaldava dentro. Ed era così felice che capì che era da tanto che voleva farlo. Lasciare ogni cosa e buttarla all'aria per godersi un paio di giorni libero. Non me la sentì di rovinargli tutto. Gli sorrisi.
<< Ne sono certa >> gli dissi del tutto convinta del contrario. Lui avviò il motore raggiante. Infrangendo tutte le mie aspettative, però, non prendemmo l'autostrada ma bensì una stradina di campagna. In poco tempo gli edifici grigi della nostra città, le palazzine, lo stress, la gente indaffarata e le auto sparirono per dare spazio a campi di grano, alberi solitari, erbacce, fiori di tutti i colori. Eravamo circondati dalla natura. Abituata com'ero alla mia città, ammirai stupefatta il paesaggio che si stagliava al di fuori della macchina. Lo ammetto, avevo quindici anni e non avevo mai visto la campagna, mai ero uscita dalla mia città. Cominciava a fare caldo, così abbassai il vetro del mio finestrino e mi sporsi leggermente all'infuori.
L'aria fresca e...pura, è questa la parola giusta, mi sferzava il viso. Mi sentivo diversa, strana. Mi piaceva quel dolce contatto con il vento che fuggiva lontano. Mi sentivo viva. Per la prima volta. Non ho idea di quanto rimasi in quella posizione. Quando chiusi il finestrino, notai di sbieco un accenno di sorriso da parte di mio padre.
<< Dove stiamo andando? >> chiesi curiosa.
<< Oh, non è importante il DOVE, la destinazione, ma bensì il DURANTE, il viaggio per arrivare alla meta >> disse semplicemente lui, con un sorriso sibillino. All'inizio pensai che era solo una delle sue tante stramberie.
Quel paesaggio ci accompagnò sino a mezzogiorno. Babbo parcheggiò vicino a un piccolo stagno. Aprendo il cofano notai che aveva portato con se la tenda. Mh, male. Mangiammo dei panini al tonno, maionese e pomodoro. Il pomeriggio lui si addormentò e io andai in giro, senza allontanarmi troppo. C'era lo stagno, pieno di pesciolini e ranocchie, ninfee rosee e giunchi. Stupefacente, no, per una ragazzina che non è mai andata al di fuori della sua misera e grigia città. Mi piacque moltissimo. La brezza che mi sfiorava dolcemente il viso aveva un buon profumo, non di quelli che si comprano le vecchie signore, che ti soffoca tanto è forte, ma uno delicato, intenso e dolce allo stesso tempo. A un certo punto vidi un albero. Un grosso ed enorme albero di noce. Era tutto bellissimo, ma la cosa più bella fu quell'albero. Così maestoso e imponente, sembrava volermi accogliere con le sue braccia di foglie verdi e offrirmi un rifugio sicuro. Volli arrampicarmi, arrivare sin lassù e pensare. Ma non sapevo come fare. Rimasi ad ammirarlo per almeno due ore buone. Quel posto mi dava l'ispirazione. Così calmo e pacifico, così solitario e accogliente. Non sono mai stata una persona socievole, al contrario. E mi sembrò che quell'albero esprimeva il mio più profondo essere.
<< Ti piace, eh? >> disse una voce alle mie spalle. Mi voltai e riconobbi mio padre che mi guardava felice.
<< Molto >> annuì. La sera cenammo con i panini superstiti ed entrando nella tenda diedi un'occhiata di sfuggita al cielo sopra di me. Miriadi e miriadi di stelle si stanziavano nel blu notte e brillavano come non mai. Le ammirai per un bel po'. Mi addormentai con il sorriso. Quando ce ne andammo l'unica cosa che disse mio padre fu questa.
<< A tua madre questo posto piaceva proprio tanto >> . Non so perché, ma non ebbi bisogno di fingere che non mi fossi divertita. Babbo non mi portò mai più lì, mai più. Il viaggio lo interpretai come una fuga dalla realtà, un sogno nel quale voleva immergersi con me. E presto me ne dimenticai, troppo presa da scuola, sport, amici. E divenne un sogno lontano.
All'inizio pensai che era solo una delle sue tante stramberie. Ma solo ora, che sono vecchia con una famiglia e tanti nipoti e senza più genitori da tempo, bé, solo ora capisco che quella frase fu l'essenza della vita di mio padre, che quel viaggio non lo fece per farmi vedere il posto preferito di mia madre, come ingenuamente credetti, ma per farmi capire che il bello della vita non è come finisce, ma come la vivi. E ora, nel freddo pungente di una sera d'inverno, mentre sono al terrazzo a rimirare lo stesso cielo di quella volta, una lacrima sfugge al mio autocontrollo e passa lungo la guancia per finire a terra con un docile e silenzioso pof. Mio marito accanto a me mi chiede << Che c'è? >> .
<< Sto solo pensando a quanto sia stato bello ed intricato il viaggio per arrivare sino a qui >> dico.
<< E ti è piaciuta la meta, anche se fino all'ultimo non la conoscevi? >> mi chiede ancora cogliendo subito il senso figurato della mia frase.
<< Si, perché l'importante non è il DOVE, la destinazione, ma il DURANTE, il viaggio per arrivarci >> rispondo mentre una seconda lacrima cade giù. E penso che quel semplice paesaggio di campagna sia stato il più bel dono di mio padre, così diverso dalla città nella quale ho sempre vissuto.
<< E poi non è ancora finito >> aggiungo sorridendo soddisfatta.

  
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