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Autore: Bellis    23/07/2010    2 recensioni
Un breve frammento di vita tra le mura del Petit-Picpus.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Per Monsieur Joseph Bell il quale, avendo letto questo frammento, ha trovato il modo di apprezzarlo.


Opere

Si applicava al lavoro come sempre aveva fatto nella sua vita, con dedizione e perseveranza.

Era stata una forza divina, a prendere con gentilezza le sue mani nelle proprie, e a discostarle dall'agreste ed umile impiego di potatore per sostituire la durezza della prigionia ad un diverso tipo di asprezza, reso dolceamaro dalla consapevolezza della libertà. La medesima imperscrutabile giustizia gli aveva donato nuovamente la padronanza della sua esistenza terrena: v'era qualcosa, tuttavia, che in tutti quegli anni non era mutato, ed era proprio la sua instancabile tenacia.

Le pie madri e sorelle dell'Adorazione Perpetua avevano fiducia nella parola di papà Fauchelevent; inoltre, il loro istinto confermava l'opinione che l'anziano uomo aveva dell'onestà del fratello.

Eppure, esse non si stupivano che l'altro Fauvent - così egli era chiamato dalle vergini - sovente risollevasse la schiena curva dal lavoro per indugiare con lo sguardo, con la mente - e, così sembrava a tutte loro, col cuore - sul cinguettante gruppo di giovani allieve impegnate nei loro giochi. Nè qualcuna - neppure la Superiora - avrebbe mai pensato a rimbrottarlo per questa sua distrazione, giacchè esse sapevano come quell'animo pensoso e cupo fosse in quegli attimi tutto teso ad uno scopo ben più santo della semplice opera di rassettare un orto.

Egli imparava a scorgere la sua piccola bambina tra tutte le educande.
Apprendeva a distinguere il modo particolare che aveva di saltare, di correre, di rivolgere gli occhi azzurri alla tersa distesa della medesima sfumatura, prima e dopo la preghiera delle ore.
Nell'incessante trillo di quelle infantili voci, l'uomo sapeva riconoscere la risata di Cosette.

Si teneva, certo, in disparte. Gli era concesso di vederla tutti i giorni, e questo gli era sufficiente. Una mattina, un cerchio, lanciato con troppo entusiasmo, finì la sua gaia corsa accanto al secchio col quale egli stava portando l'acqua. Lui aveva raccolto il povero giocattolo, porgendolo quindi alla bambina: ma quella, a dispetto del campanello legato alla caviglia del giardiniere con una cinghia di cuoio, invece di riprendere il proprio svago s'era gettata sul padre, con un trasporto che oltrepassava la commozione.
Chi avrebbe mai potuto biasimarla? Nessuno, infine, l'aveva fatto. Ma l'episodio non avrebbe mai dovuto aver luogo, e non si ripetè.

Quando le giovinette ritornavano nelle aule, egli contava i rintocchi del campanile, indugiando con la vanga ad ogni squillo di campana, soffermandosi ad ascoltare le devote frasi provenienti di sotto ad ogni velo che egli intravedesse al di là di una vetrata, centellinando il tempo che lo divideva dalla sua piccina ed insieme desiderando che fosse già venuto il momento di riabbracciarla.

Qualche volta, di notte, quando era certo che nessuno disturbasse la quiete del cortile, egli si avvicinava ai dormitori, passeggiando lentamente, e rimaneva seduto su di una sobria panca di marmo. Lì, gli giungeva di tanto in tanto un sussurro, un bisbiglio, una invocazione, leggere risa soffocate nei cuscini e zittite dalla paziente severità delle educatrici.

Quando un acuto suono di acqua limpida si faceva strada nell'aria immobile e fredda sino alle sue orecchie, Ultime Fauchelevent senza esitazione diceva a se stesso: questa spensierata allegria non può appartenere alla mia Cosette! Conosceva bene la moderata e quasi timida felicità che talvolta si faceva sentire, innalzandosi al di sopra di mille voci, facendosi strada tra i suoi turbamenti più radicati, nelle sue cogitazioni più profonde; portandone, ahimè, altre, di maggior tristezza.
Non era la gioia pura e completa che caratterizza la fanciullezza, l'età nella quale la piccola figura di un infante sembra irradiare una luce propria, e scacciare l'ombra da ogni dove. Tanto la piccola era avvezza all'oscurità, essa era penetrata anche in lei.

Eppure, ella rimaneva candida, ai suoi occhi.
Questo candore aveva avuto il potere di riportare un frammento della perduta vita nel suo cuore avvizzito. A quanto può riuscire una luce oscurata! Quale sfolgorante Sole può albeggiare al termine d'una lunga e tenebrosa notte, se due stelle s'incontrano cospargendo il Cielo di scintille!

Il Petit-Picpus si era stagliato in un'orizzonte privo di speranze come il simbolo di una finalmente raggiungibile salvezza. Nei mesi successivi, aveva rappresentato una casa sicura e solida, un pasto caldo e certo sia per il fuggiasco che per la giovane liberata.

Ma, un giorno, Cosette s'ammalò.
Fu la Superiora a convocare i due Fauvent nel parlatorio, e a riferir loro l'inquietante nuova.

Assicurò, con la massima dolcezza, che già le suore possedevano il benefizio dell'arte della guarigione, e che avrebbero pregato per la giovine allieva accoltà lì per carità come avrebbero implorato Iddio per una loro sorella, che sarebbe subito stato chiamato un medico, se ne fosse sorta una impellente necessità.
La domanda giunse sùbito, senza indugio: posso vederla?
E la Superiora, a spiegare che non era possibile, che i luoghi vetusti ed antichi erano riservati ai passi leggeri di coloro che lì dimoravano da secoli.
La richiesta si tramutò in una sommessa supplica: posso vederla?
Una mano grinzosa, quella del vecchio Fauchelevent, si poggiò con insolita esitazione sul braccio del più giovane. Muta empatia avvolgeva la stanza in un non molto confortevole e troppo lugubre incanto.
Iridi scure splendettero di umida compassione, al di là delle barre di legno che separavano la Reverenda Madre dai due uomini a capo chino.

La bambina gli fu consegnata.
Dall'ospizio fu trasportata dalle sorelle erboriste nel parlatorio, e dal parlatorio fu affidata a papà Fauvant, il quale delicatamente la recò nella sua solida ma spartana abitazione, dove Ultime, ignaro e pallido, bisbigliava chissà cosa alle due ruvide mani giunte innanzi al viso.
Nel vederla, l'uomo si alzò, e rimase per un attimo impietrito. Poi si avvicinò, e se la prese tra le braccia, stringendola come se avesse timore che quell'esile personcina indebolita dalla malattia potesse prendere il volo, nella gelida brezza mattutina, e scappar via come aveva fatto quella di Fantine, lasciarlo solo, librandosi verso il sorriso della madre, le alte nubi, e l'Astro che brillava al di là di esse, promettendogli che, un giorno, si sarebbero incontrati di nuovo.
Se il cuore dell'uomo era stato abbattuto dalla notizia della sua malattia, il sorriso ch'ella, destandosi, gli rivolse, guarì in qualche modo entrambi.
Le sottili mani che ella intrecciò dietro la sua nuca non lo gravarono di un peso, anzi, lo sollevarono del più grave fardello che egli avesse mai conosciuto.

La normalità fu ripristinata, ed il tempo ritornò a scorrere senza quella estenuante lentezza che aveva crudelmente adoperato nelle passate meste giornate di travaglio.
Le preghiere, però, continuarono.

Jean Valjean, solo di fronte al mondo, e privo di maschera dinanzi a Dio, ringraziò d'aver potuto salvare la vita ed il cuore astioso di colui che, ritrovato in quel convento, gli aveva fatto l'onore di chiamarlo suo fratello ed aveva dato asilo all'angelo Cosette.
Implorò che i meriti di misericordia e di bontà delle caritatevoli benedettine fossero rammentati quando la loro anima fosse giunta in Paradiso.
Chiese perdono per i propri peccati, e si dichiarò intimamente incredulo che gli fosse stato concesso il privilegio di avere la sua bambina al proprio fianco, sana, salva, lieta. Tale era tuttavia la realtà - come constatò l'uomo, con un tepore in petto che sfiorava le lacrime.

Nessuna di queste benedizioni ricadde negli abissi: tutte s'innalzarono al Cielo.


   
 
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